gioved�, 1 Novembre 2007, ore 12:00
Cercando un senso
Avevo letto il Focus “Cercando un senso:
il futuro della pediatria in Italia” (Medico
e Bambino 2007;26:221-29) e mi ero negato
di sussultare ancora, di reagire. Sono
un po’ rassegnato per la condizione della
pediatria italiana, perché non vedo concrete
vie di uscita, dai tanti rivoli in cui
siamo sparpagliati, troppi e in troppi posti,
il che rende difficile ogni coesione di intenti,
per ora più auspicati che percorsi.
Ora il Focus di nuovo stimola a pensare di
non perdere l’occasione di riprendere il
discorso, tante volte iniziato e mai concluso,
dentro e fuori della pediatria. Dire di
essere totalmente d’accordo è dire poco: il
futuro della pediatria dovrà essere profondamente
diverso da ciò che osserviamo
ora, non fosse altro perché la pediatria per
la quale sono stati formati i pediatri di ieri
e di oggi (tuttora in servizio), ma anche
quelli del domani più prossimo, è diventata
un’altra cosa e sarà ulteriormente diversa
nel prossimo futuro. Ma bisogna intendersi.
Dove ci ha portato finora l’essere
d’accordo, nelle analisi lo si è già da qualche
tempo, anche se con qualche sfumatura
categoriale? Chi si vuole seriamente
rendere conto del problema presente e futuro,
dimostrando di volere davvero abolire
steccati e divisioni fittizie, per lo più legate
al consolidamento di innegabili privilegi?
Allora il punto da superare non è tanto
l’analisi dei ruoli e dei numeri, che potranno
andare su e giù, proprio perché
nessuno ha la sfera di cristallo, per continuare
a cercare una sempre difficile condivisione
e consenso. Ci vuole innanzitutto
l’intenzione, meglio l’azione dei pediatri,
necessariamente comune, altrimenti le
iniziative rischiano di diventare il solito
“andate avanti voi che poi vi seguo anch’io”,
il che rende sempre tutto difficile e
macchinoso. “Cercare un senso” è indubbiamente
una parola nuova, perché non significa
affatto “cercare consenso”, ciò che
abbiamo inutilmente e variamente perseguito
fino ad oggi. Dopotutto il consenso
non ha finora riempito la situazione di
qualche azione concreta. In secondo luogo,
ci vuole la politica, quella vera, dedita
a risolvere i problemi della gente e non
solo agli inciuci, alle lobbies (neologismo
anglofono, spesso nobilitante la più triste
parola mafia) ovvero ai ritorni elettorali, i
famosi conti di bottega, per colpa dei quali,
dovendo tener conto degli interessi di
tutti, si finisce naturalmente per non fare
e non pensare più a nulla, tantomeno a
nuove idee per il cambiamento vero. Così
ritornano solo parole vecchie, stantie, consumate
dal tempo, che ci lasciano tutti
nell’attesa, ormai messianica. Pessimismo
eccessivo? No, puro realismo! “Meglio
con meno” è un’idea bella, che comporta
proposte davvero interessanti e condivisibili.
Ma non è nuova, perché in Africa e in
tutti luoghi del globo viene già applicata e
seguita da tempo proprio perché bisogna
non avere quasi nulla per capire che si
può davvero fare bene anche con quel poco
di cui si dispone. Da noi il compito è
più gravoso, perché lasciare la strada del
“peggio con molto” non è cosa semplice.
Il paradosso è evidente, ma il differenziale
tra le due possibilità è solo la nostra intelligenza
e, ancora di più, l’onestà intellettuale
di ciascuno di noi: qui sta il difficile.
Saremo capaci di essere gli artefici virtuosi
e i primi attori di tale cambiamento? Il
dibattito è aperto.
Prof. Paolo Paolucci
Direttore del Dipartimento Integrato
Direttore del Dipartimento Integrato
Materno-Infantile, Policlinico di Modena