POSSONO I PEDIATRI ACCETTARE UN CAMBIAMENTO
NELLA LORO PRATICA?

I pediatri leaders e i cambiamenti della pediatria
venerd�, 8 Dicembre 2006, ore 12:00
*Questa lettera arriva in coda, ma forse nemmeno tanto, a un dibattito aperto da un editoriale di Marchetti (2005;24,8:499), cui hanno fatto seguito gli interventi dei Presidenti della SIP, della ACP e della FIMP (2006;25,2:82-84), poi del prof. Biasini (2006;25,2:83)e del dott. Cirillo (2006;25,5:284) e successivamente il grande Forum della SIP a Pisa con gli interventi successivi (2006;25,8:483). La questione ha una valenza italiana molto particolare, perché solo in Italia c’è il pediatra di famiglia, ma è una questione mondiale (vedi anche le dichiarazioni della AIP, anche queste pubblicate sulla rivista).


Il dibattito sui cambiamenti che si prospettano per la nostra pediatria ha ricevuto un grande impulso dalla strepitosa sincerità con cui Massimo Grimaldi esprime una verità finora inconfessata: a noi pediatri (ovviamente il giudizio si riferisce a una valutazione complessiva e non ai casi singoli) non importa più nulla; che tutto sia delegato ai leaders che devono impegnarsi in un piano d’azione che dia le direttive a noi pediatri “semplici”, api operaie che legittimamente (legittimamente?) siamo distratti dal nostro interesse piuttosto che da quello prioritario dei “bisogni del bambino”. In qualche modo, seppure con spirito diverso, c’è un richiamo ai “leaders entusiasti” auspicati anche da Federico Marchetti con l’editoriale che ha dato avvio al dibattito. A mio modo di vedere c’è un grosso problema di fondo: quali garanzie ci possono essere sulla “bontà” delle azioni di questi leaders, a maggior ragione quando il popolo dei “pediatri semplici” rinuncia a far sentire la pressione del proprio impegno etico a favore dei bambini? Io credo che oggigiorno la situazione sia nei fatti proprio quella che il collega Grimaldi auspica: il popolo dei pediatri sonnacchiosamente segue la corrente dei comportamenti dettati da un ristretto gruppo di politici, manager, esperti delle società scientifiche, leaders locali o nazionali che però spesso hanno seguito una logica per cui la disponibilità di un servizio, di un farmaco, di un vaccino, di una competenza professionale specifica ha reso necessaria l’individuazione di un bisogno e il conseguente consumo di una prestazione; in altre parole la logica del proprio interesse anteposto a quello del bambino. Il risultato si è tradotto in un tasso di ospedalizzazione altissimo con un coefficiente di appropriatezza non brillante, un uso “discutibile” del Pronto Soccorso, una accuratezza prescrittiva ben fotografata dallo studio ARNO, una politica vaccinale “disinvolta” ecc. In pratica si è gonfiata a dismisura l’offerta fino all’attuale rischio di collasso perché il Sistema non è più capace di sostenersi; una grande inappropriatezza degli interventi che ha in più anche prodotto un senso di insicurezza sempre più diffuso tra i genitori che ri-alimenta il circolo vizioso della sempre maggiore richiesta di prestazioni. Sicuramente entrano in gioco anche molti altri fattori indipendenti dal nostro modo di agire. Ma, così come siamo stati corresponsabili di questo stato di cose, possiamo ora fare qualcosa per venirne fuori? Potrei dire: solo tornando alla diffusa coscienza della necessità di rimettere al primo posto l’interesse del bambino, interesse analizzato col metro dell’appropriatezza degli interventi, a loro volta graduati secondo i riscontri epidemiologici dei bisogni della popolazione intera e non solo di quella parte che chiede a voce più alta. Sento già le accuse di idealismo ipocrita. Provo allora a dirlo in modo “pragmatico”. Comunque lo vogliamo giudicare, il nostro lavoro è un servizio destinato a soddisfare la domanda di salute della popolazione: solo se forniamo un servizio soddisfacente e allo stesso tempo sostenibile, possiamo sperare di “sopravvivere”; se invece il Sistema giunge al collasso, ci sarà anche la nostra estinzione. È quindi nostro interesse prioritario invertire la rotta. Solo dopo verrà il momento (politicosindacale) della riorganizzazione tecnica, anch’essa improcrastinabile e, quella sì, per forza di cose, affidata ai leaders: più territorio con maggior filtro prima dell’accesso in ospedale; maggiore attenzione alla educazione sanitaria per restituire ai genitori un perduto senso di responsabilità insieme però alla contestuale restituzione di competenze usurpate impropriamente (da gran parte della puericultura all’uso dei farmaci sintomatici); più adeguata presenza nelle comunità dove è possibile intercettare le fasce deboli di popolazione che non accedono negli ambulatori; maggiore incisività degli interventi sociali (Nati per Leggere, città a misura di bambino ecc.). Ma è importante che questi leaders impegnati a dare corpo concreto (strutture organizzative) a questi indirizzi programmatici sentano “sul collo” il fiato del popolo dei pediatri semplici e del loro consenso (o dissenso) etico; cominciando a manifestarlo magari dalle cose (apparentemente) più banali, come un’attenta (e autocritica) lettura dell’editoriale sulla prescrizione dei corticosteroidi inalatori, seguito da un comportamento prescrittivo finalmente coerente con le premesse fisiopatologiche.
Bene, l’ho detto; anche a me suona un po’ utopistico, ma si può fare questo per scelta etica o lo si può fare per puro pragmatismo prima che il sistema scoppi come un pallone gonfiato troppo; forse nel primo caso ne ricaveremmo un pizzico di soddisfazione in più. Se invece non lo volessimo fare, temo che dovremo prepararci a raccogliere i cocci (parlo dei pediatri “semplici”, i leaders se la caveranno comunque!).


Bibliografia
1. Marchetti F, Longo G. L’uso razionale dei corticosteroidi inalatori: il caso Italia (Editoriale). Medico e Bambino 2006;25(10):619.

Rosario Cavallo
Pediatra di famiglia, Lecce
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