marted�, 5 Dicembre 2006, ore 12:00
In relazione all'editoriale di Federico Marchetti (Medico e
Bambino 2005; 24:499) e agli interventi successivi del Presidente
della SIP, dell'ACP e del CSB, mi permetto di tentare un
contributo spero utile alla discussione. Utilizzerò
a questo fine la stessa organizzazione per punti che Federico
Marchetti ha utilizzato. Premessa indispensabile è
la considerazione che la visione "pediatrocentrica" della
salute del bambino è poco efficace e anche non
giusta, per cui partire dai bisogni del bambino e della sua
famiglia, piuttosto che da quelli del pediatra, rappresenta
un "a priori" fondamentale.
Punto 1:
definizione di un'agenda
di lavoro per la comunità dei pediatri. È
necessario contribuire ad attivare un sistema organizzato di
valutazione delle priorità e definizione di
obiettivi prioritari espliciti a "cascata" dal sistema
nazionale a quello locale, prevedendo per ciascuna di queste
tappe interlocutori, partecipazione, condivisione. Su questa
base vanno costruiti coerentemente gli obiettivi formativi.
Vanno definiti obiettivi uniformi validi per ciascun
territorio e obiettivi specifici relativamente a problematiche
locali ed è su questo livello che il sistema di
cure va valutato e vanno valutati i professionisti dedicati.
Punto
2: i leader entusiasti. Lascio aperta la questione
entusiasmo
responsabilità:
è questo un campo troppo scivoloso, ma in linea di
principio preferirei il senso del dovere e la
continuità-coerenza all'entusiasmo, ma, se ci
fossero tutte queste qualità insieme, sarebbe il
massimo.
Punto 3:
mi pare sintetizzabile come "prospettive
organizzative delle cure al bambino e alla sua famiglia a
livello territoriale". Il primo elemento critico
è rappresentato dall'integrazione all'interno del
sistema di cure sanitarie: bisogna attivare un sistema
inter-unità operative che lavori per programmi e
percorsi, che leghi funzionalmente tutti gli operatori che
si occupano dell'infanzia e delle famiglie. Questo sistema
è orizzontale e non solo verticale e sequenziale
del tipo ospedale-territorio. Altro elemento critico
è l'integrazione socio-sanitaria e quindi il
rapporto tra ASL, Comuni e terzo settore; in questo caso quello
che era il paradigma dell'integrazione, cioè il
Consultorio, si trova in condizioni, specie al Sud, di
esaurimento quasi completo del potenziale innovativo; ormai
è solo un alibi dell'integrazione. Relativamente
all'integrazione interna al sistema sanitario, vanno definiti
a livello locale gli obiettivi programmatici, gli operatori
coinvolti e le relazioni tra essi, utilizzando un sistema di
osservazione che potremmo dire di tipo multifocale, in cui
l'osservazione clinica individuale diventa, in un
sistema informativo utile e semplice, anche la base per una
visione comunitaria della salute e della vita dei bambini e
delle famiglie a livello locale. L'integrazione
sociosanitaria va fondata all'interno dell'area
materno-infantile, al meno nel Mezzogiorno; le carenze
strutturali, organizzative e culturali sono tali da richiedere
uno sforzo molto grande per risalire la china.
In questo non
è possibile permettersi scontri corporativi,
irrigidimenti di ruoli e responsabilità, ma
è necessario uno sforzo comune
(università, regioni, scuole, province, comuni,
ASL...). Tutto questo è vero e necessario nel grande
ambito della promozione della salute e nell'altrettanto grande
campo dell'accom pagnamento, sostegno e/o presa in carico dei
bambini e delle famiglie con bisogni speciali, dove la
definizione di processi assistenziali condivisi
(contatto/ascolto, valutazione integrata, progetto
personalizzato, verifica, uscita/dimissione) rappresenta,
secondo me, il nuovo paradigma.
È chiaro che
ciò comporta una rivoluzione culturale con
l'organizzazione di Porte Unitarie di Accesso, di
Unità di Valutazione Integrata e di modelli
integrati di intervento, e l'adozione di strumenti comuni e nuovi
tra gli operatori: la valutazione sociale, relazionale e
sanitaria; la cartella sociosanitaria... Questo
modello organizzativo deve poter produrre un sistema di
monitoraggio praticabile sia dei singoli che della comunità;
sarà ovviamente un sistema integrato, dove gli
aspetti sociali, relazionali e sanitari avranno uguale
dignità e rappresente ranno solo angoli di visuale
diversa per migliorare la conoscenza dei bisogni e delle problematiche
dei bambini e delle loro famiglie.
Punto 4: La
partecipazione e sviluppo lo cale come movimento, per la
definizione degli obiettivi e per la valutazione. Tutte
le possibilità vanno sperimentate, le associazioni
di famiglie dei bambini con patologie croniche, con
disabilità, le asso ciazioni per l'ambiente, i
pediatri associati e non, sono tutti parte del capitale sociale della
comunità e tutti rappresentano una risorsa per il
raggiungimento di obiettivi comuni: i piani di zona ne
rappresentano il contenitore più importante.
Punto
5: comunicazione, ascolto, educazione, formazione. Sono
la conseguenza di quanto finora detto, all'interno dei
territori e delle comu nità, vanno sviluppati
processi circolari di comunicazione tra i sistemi di erogazione delle
cure e dei servizi e la cittadinanza attiva, nelle forme
più adeguate ed efficaci. Tutto questo deve tener
conto:
a.
delle disuguaglianze nella salute (inter regionali,
intra-regionali, tra le piccole aree);
b. delle
trasformazioni dell'epidemiologia dei problemi (riduzione dei
problemi orga nici, riduzione delle malattie trasmissibili, aumento
delle problematiche psico-sociali, aumento delle malattie non
trasmissibili);
c.
della necessità di una visione
complessi va delle catene causali e di un approccio longitudinale
al "corso della vita" che punti all'intervento nei momenti
critici, ai fa tori di rischio e di protezione, tenendo conto
dei determinanti sociali della salute sia distali
(istruzione-casa-socialità-lavoro) che prossimali
(abitudini e stili di vita).
Giuseppe Cirillo
Dipartimento Socio-Sanitario, ASL Napoli 1