Rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di base,
realizzata in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri
POSSONO I PEDIATRI ACCETTARE UN CAMBIAMENTO NELLA LORO PRATICA?
Contributo del dott. Massimo Grimaldi
Non ci sembra proprio che questa lettera
faccia fare brutta figura al dott. Grimaldi.
Anzi. È certamente indispensabile fare i
conti con la realtà, che non è propriamente
demotivazione degli attori (i pediatri di famiglia,
ma non solo loro), ma inevitabile e
anche fisiologico adattamento alla routine.
Ci sembra possibile tradurre così il messaggio:
sì, i pediatri, i singoli pediatri, la maggioranza
dei pediatri, possono certamente
accettare il cambiamento che, volenti o nolenti,
i tempi sembrano imporre alla pediatria,
ma occorre che qualcuno prenda le redini
della faccenda, e che questo qualcuno
abbia la voglia e l’autorità per farlo, e per
farlo più o meno a tempo pieno. Questo
però ci sembra corrispondere (perché no?)
a quella scommessa perduta che è il Dipartimento
Materno-Infantile, e che non si fa
tanta fatica a identificare col villaggio di
Biasini. Poiché il Dipartimento manca, e
quindi manca qualcuno che faccia da leader
autorevole, riconosciuto e dotato di poteri
organizzativi, questo compito spetta, a
nostro avviso e ci sembra in maniera naturale,
al Direttivo Regionale della Società
Italiana di Pediatria, che comprenderà ragionevolmente
pediatri del territorio, dell’ospedale,
e in diversa misura, nelle diverse
Regioni, pediatri della ACP e della FIMP,
che potranno farsi portatori sia degli interessi
professionali che di quelli sovraprofessionali.
La questione dell’aggiornamento,
ancora, dovrà (dovrebbe) essere guidata
dalla sensibilità nei riguardi del nuovo che
le Società, scientifiche (SIP), culturali
(ACP) e professionali (FIMP), il lievito della
specialità, sapranno darsi.
Capisco che si torni così a riprodurre
una realtà ideale, quella contro la quale
Grimaldi ci mette in guardia, ma sembra
anche che non sia una realtà impossibile,
anzi che sia l’unica realtà possibile, anzi
quasi reale: che chiama a raccolta tutti i
pediatri (non con la tromba, ma coi fatti,
sulla spinta dei bisogni del lavoro quotidiano);
e tutti i pediatri esprimono (col voto,
come no? dove almeno la SIP regionale funziona,
ma anche con la simpatia, e la conoscenza
personale, e la fiducia) i loro leader,
che a loro volta si guadagnano la fiducia e
dunque guidano l’evoluzione culturale, da
cui prendono ispirazione la prassi ed eventualmente
la riorganizzazione assistenziale,
a cui si arriverà, certo, attraverso l’Agenzia
Regionale, ma anche attraverso le singole
iniziative di coinvolgimento e di promozione,
di cui saranno protagonisti, realtà per
realtà, i responsabili di Unità Operative.
In tutta questa ipotesi di “movimento
naturale” deve essere tenuta in giusta considerazione,
come suggerisce questa lettera,
anche l’inerzia, che è anch’essa una forza
utile per evitare cambiamenti troppo radicali,
e anche l’interesse personale, che comprende
però anche la voglia e il bisogno di
far bene. E va anche tenuto in considerazione
il fatto che inevitabilmente le cose non si
muoveranno allo stesso modo, con la stessa
rapidità e forse neanche nella stessa identica
direzione, nelle diverse realtà regionali o
provinciali. Nemmeno questo è male (Pangloss
ovvero “tutto va per il meglio nel migliore
dei mondi possibili). I Forum istituzionali,
come quello di Pisa, aiutano a indicare
la strada.
C’è un’altra variabile: il ruolo della
scuola (si intende, se ho ben capito, la scuola
di specialità). Sappiamo che l’Università
non è sempre all’altezza dei suoi compiti,
che talora è sorda ai bisogni che non siano i
bisogni dei cattedratici. Sappiamo, ce lo dice
l’Osservatorio degli specializzandi (M&B 2006;25,7:416), che c’è molta disomogeneità
tra luogo e luogo, che anche là c’è più
inerzia di quanto sarebbe desiderabile in un
luogo la cui prima funzione è quella della
formazione (delle persone, ma anche delle
idee, e anche degli ideali). Ma nello stesso
tempo sappiamo/ speriamo che gli anticorpi
(la presa di consapevolezza da parte degli
specializzandi, la vergogna che dovrebbe
dare il non sentirsi all’altezza del compito,
il bisogno di essere riconosciuto, amato, stimato
dalle persone che ti sono vicine) dovrebbero,
oggi più che ieri, portare a una
omogenizzazione verso l’alto. E dunque portare
a Scuole, sede per sede, che siano all’altezza
dei tempi e dei compiti, che non si
concludano nella preparazione degli specializzandi
ma nella costruzione di una cultura
territoriale. Cosa dire? Che crediamo e
speriamo in Darwin, nella evoluzione della
specie, nella provvidenzialità della Natura.
E che comunque non ci possiamo fare niente
di più di quello che può fare un Rivista di
formazione (ancora!) e di opinione.
C’è un’altra variabile: il ruolo della scuola (si intende, se ho ben capito, la scuola di specialità). Sappiamo che l’Università non è sempre all’altezza dei suoi compiti, che talora è sorda ai bisogni che non siano i bisogni dei cattedratici. Sappiamo, ce lo dice l’Osservatorio degli specializzandi (M&B 2006;25,7:416), che c’è molta disomogeneità tra luogo e luogo, che anche là c’è più inerzia di quanto sarebbe desiderabile in un luogo la cui prima funzione è quella della formazione (delle persone, ma anche delle idee, e anche degli ideali). Ma nello stesso tempo sappiamo/ speriamo che gli anticorpi (la presa di consapevolezza da parte degli specializzandi, la vergogna che dovrebbe dare il non sentirsi all’altezza del compito, il bisogno di essere riconosciuto, amato, stimato dalle persone che ti sono vicine) dovrebbero, oggi più che ieri, portare a una omogenizzazione verso l’alto. E dunque portare a Scuole, sede per sede, che siano all’altezza dei tempi e dei compiti, che non si concludano nella preparazione degli specializzandi ma nella costruzione di una cultura territoriale. Cosa dire? Che crediamo e speriamo in Darwin, nella evoluzione della specie, nella provvidenzialità della Natura. E che comunque non ci possiamo fare niente di più di quello che può fare un Rivista di formazione (ancora!) e di opinione.