Il Blog del prof. Panizon

A un anno da Fukushima e a vent’anni da Tangentopoli
marted�, 27 Marzo 2012, ore 11:07

L’undici marzo, alle 14:46, il Giappone si è fermato. Il Presidente Yoshiito Nota ha giurato che il Giappone risorgerà più forte e più sicuro di prima; e l’imperatore Akihito ha detto che la tragedia non deve essere dimenticata, ma il suo ricordo va tramandato ai posteri perché le nuove generazioni costruiscano un avvenire più sicuro. È stato rilanciato il referendum per dare l’addio all’energia nucleare e la gente ha assediato i palazzi del governo per chiedere la chiusura definitiva delle 54 centrali atomiche giapponesi. Ci sarà la svolta? E la svolta riguarderà solo il Giappone? E il Giappone senza il nucleare sarà davvero in grado di crescere più forte e più sicuro di prima? E rappresenterà una guida per altre Nazioni, nell’idea che il progresso non debba mettere in crisi la sopravvivenza stessa del pianeta; oppure resterà solo (assieme all’Italia), magari in coda al resto del Mondo? E semmai, la (possibile) svolta del Giappone, e il suo (possibile) effetto-guida potrà anche, prima o poi, fermare la fatale corsa a produrre più in fretta che si può, presto presto, prima che il cambiamento del clima, ormai forse irreversibile, frutto a sua volta di questa “competitiva” iperproduzione (che ha sconvolto l’economia), abbia reso questa terra invivibile?
In tutte queste domande c’è l’idea che nel mondo globalizzato si sia ormai messa in moto (da quando, dalla nascita dell’uomo? Oppure solo da un secolo a questa parte?) una forza d’inerzia ormai non più frenabile, verso un progresso di cui non possiamo disconoscere gli enormi vantaggi (e di cui godiamo, specialmente noi del Mondo ricco, ma non solamente noi) ma di cui non possiamo non vedere il prossimo futuro e di cui non possiamo non essere in timore per le conseguenze. Per i nostri figli; ma forse già per i meno vecchi tra noi.
In Italia, dove l’energia nucleare non c’è, c’è invece un’altra pesante nuvola carica quasi della stessa potente inerzia: quella della corruzione, che passa, naturalmente, per il potere (se no, che corruzione sarebbe?), dunque per la politica. Il povero ministro Riccardi, per aver sussurrato all’orecchio di un amico “che schifo”, ha visto sorgere l’indignazione di un intero partito: indignazione che non poteva che venire dal profondo, cioè dal riconoscersi nella parola.
Sì, da noi la corruzione, che per poche lire, negli anni ’90, aveva prodotto un’indignazione capace di travolgere un governo, adesso ci costa 90 miliardi di € l’anno, che sarebbero 180.000 miliardi delle lire di una volta, e nessuno più si volta indietro. I partiti politici, dai soldi che ricevono legalmente fanno poi investimenti nei paradisi fiscali; così, per le cose di casa, hanno bisogno di altri soldi, illegali. E un altro poco di soldi per chi compie le operazioni di scambio. Non fa più impressione. E la Sanità, dopo l’edilizia e il lavori pubblici è una delle maggiori vie di scambio. E i medici pure. Noi pediatri siamo forse in fondo alla graduatoria di chi ci può guadagnar sopra. Però forse ci dispiace.
Non dispiaciamocene. Sempre in tema di Fukushima, Banana Yamamoto ha detto che, dal disastro, ha imparato a essere felice; che bisogna abbassare l’asticella della felicità: saper essere felici di poco, di niente; di non aver debiti con la coscienza, di non aver debiti col resto del mondo, di essere vivi, di sapere di essere vivi. Cerchiamo di saper essere vivi. Abbiamo un bel mestiere, uno stipendio, una pensione. Siamo proprio fortunati.