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MEDICO E BAMBINO - ultimi commenti

Medico e Bambino - Tutti i commenti
< 2008 >
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Contributi Originali - Ricerca Aprile 2007
Focolai di morbillo nella popolazione nomade in Italia disponibile
A. Filia, F. Curtale, P. Kreidl, G. Morosetti, L. Nicoletti, F. Perrelli, J. Mantovani, D. Campus, G. Rossi, M.C. Sanna, A. Zanetti, F. Magurano, C. Fortuna, S. Iannazzo, MG. Pompa, M. Ciofi degli Atti
Focus Dicembre 2007
La terapia inalatoria disponibile
A. Battistini

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    venerdì 08/02/2008 15:25
Articolo speciale Marzo 2008
L'Africa, gli aiuti e noi disponibile
Aniko Aczel, Giuseppe Battaglia, Eleonora Biasotto, Cristina Brondello, Chiara Busetti, Sante Cantatore, Ilaria D'aquino, Andrea de Manzini, Erica Dudine, Sergio Facchin, Tania Gerarduzzi, Anna Lasagni, Marzia Lazzerini, Ilaria Mariotti, Massimo Maschio, Rosanna Meneghetti, Anna Lucia Paltrinieri, Emiliano Panizon, Franco Panizon, Michele Pasetto, Anna Lucia Quitadamo, Marika Riva, Fabio Rodaro, Laura Rubert, Silvia Vaccher, Federico Verzegnassi
Il commento Maggio 2008
Il trattamento del Croup, tra conformismo e pratica clinica disponibile
F. Marchetti
Oltre lo specchio Novembre 2007
C’è un futuro per il genere Homo? Economia, genetica, letteratura disponibile
F. Panizon
Focus Giugno 2008
Il test rapido spiegato da un esperto del self help disponibile
L. Reggiani
Editoriali Aprile 2008
Le incerte sorti del Servizio Sanitario Nazionale disponibile
G.Tamburlini
Editoriali Novembre 2008
Dalla parte della casta disponibile
F. Panizon
Contributi Originali - Ricerca, Aprile 2007

Lorenzo Monasta evidenzia come la causa principale dei recenti focolai di morbillo nelle comunità rom/sinte sia da ricercare non nella loro elevata mobilità, ma nella loro esclusione sociale. Le informazioni pubblicate a riguardo hanno sottolineato come la causa principale della diffusione del morbillo in queste comunità sia stata la bassacopertura vaccinale1.
Come è noto, infatti, il morbillo ha una elevata contagiosità e si diffonde facilmente in ogni contesto in cui ci siano persone suscettibili. Oggi in Italia queste persone possono essere suddivise in due categorie principali: 1) gli adolescenti e i giovani adulti non vaccinati, cresciuti in aree in cui la copertura vaccinale dei nuovi nati, seppur non sufficiente a interrompere la trasmissione dell’infezione, ha limitato la sua circolazione e diradato gli intervalli tra epidemie. È questo il caso del focolaio di morbillo attualmente in corso in Piemonte2; 2) i bambini che appartengono a gruppi di popolazione “difficili da raggiungere”, in cui le coperture vaccinali sono basse. È questo il caso sia delle comunità rom/sinte che di alcune comunità di immigrati. In entrambi i casi, “l’ingresso” del virus del morbillo è favorito dagli spostamenti, che consentono l’importazione da zone in cui è presente l’infezione. Nell’esperienza italiana recente, analogamente a quanto osservato a livello internazionale, l’importazione è stata associata a viaggi per vacanze (in Toscana nel 2006, il caso indice ritornava da un viaggio in India)3, lavoro o studio (in Piemonte nel 2007, il caso indice aveva viaggiato con la classe in Gran Bretagna)2, o per motivi familiari (in Sardegna, il caso indice aveva partecipato a un funerale)1.
Raggiungere e mantenere elevate coperture vaccinali con due dosi di MPR in gruppi vulnerabili e più difficili da raggiungere rispetto alla popolazione generale è una sfida importante per il sistema sanitario italiano, e per tutta Europa. È chiaro che per le comunità rom e sinte è necessario un approccio integrato, che miri a migliorare globalmente il ricorso alla prevenzione e alle cure. In questa ottica, non dobbiamo sottovalutare il valore dell’offerta della vaccinazioni che, oltre a costituire un diritto, sono spesso il primo contatto con il mondo sanitario. Istituire fiducia su questo fronte è quindi un investimento ad ampio raggio, che merita la massima attenzione.

Bibliografia
1. Filia A, Curtale F, Kreidl P, et al. Cluster of measles cases in the Rom/Sinti population,Italy, June-September 2006. Euro Surveill 2006;11(10):E061012.2.
2. Filia A, Barale A, Malaspina S, et al. A cluster of measles cases in northern Italy: a preliminary report. Euro Surveill 2007;12(11): E071129
3. Boncompagni G, Incandela L, Bechini A, et al. Measles outbreak in Grosseto, central Italy. Euro Surveill 2006;11(8):E060803.4.


Marta Ciofi degli Atti

Istituto Superiore di Sanità, Roma
lunedì 04/02/2008 18:11
Contributi Originali - Ricerca, Aprile 2007
I casi di morbillo nelle comunità rom e sinte: la ricerca delle cause
Nonostante sia pienamente condivisibile l’evidenza riportata sui numerosi casi di morbillo nelle comunità rom e sinte in Italia e in altri Paesi europei, è importante sottolineare che la causa non va ricercata nell’alta mobilità di rom e sinti. Oltre il 95% dei rom e sinti che vivono in Italia non pratica alcuna forma di nomadismo. In Paesi dell’Est Europa tale percentuale è probabilmente superiore e gran parte dei rom vive in case regolari.

Per affrontare il problema dei focolai di morbillo e, in generale, quelli generati da una bassa copertura vaccinale nelle comunità rom e sinte è necessario ricercare le vere cause di questa condizione di rischio. Per i rom e sinti italiani le ragioni vanno ricercate nell’esclusione, nell’assenza di approcci integrati e nel mancato coinvolgimento attivo delle comunità dovuto ad un diffuso pregiudizio. Nei gruppi di rom stranieri le basse coperture vaccinali sono dovute, in più, ad un rapporto non consolidato con i servizi italiani, a condizioni di vita precarie nel nostro Paese e all’esclusione nei Paesi d’origine.

Solo analizzando a fondo le ragioni, affrontando in modo integrato il problema e cercando la partecipazione attiva dei gruppi rom e sinti si può sperare di ottenere un impatto positivo che tenda a migliorare, in generale, lo stato di salute e le condizioni di vita di rom e sinti in Italia.


Lorenzo Monasta, MSc PhD
monasta@burlo.trieste.it
Unità per la ricerca sui servizi sanitari e la cooperazione internazionale, IRCCS Burlo Garofolo
mercoledì 05/12/2007 09:32
Focus, Dicembre 2007

Egregio dott. Boschi,

ho letto con interesse la sua lettera relativa all'articolo sulla terapia inalatoria e mi permetto di risponderle per la parte che mi riguarda. Non sono d'accordo quando Lei suggerisce di utilizzare nel bambino più grande il salbutamolo con lo spray da solo, senza il distanziatore: le Linee Guida Britanniche SIGN-BTS(1), note per il loro rigore metodologico, affermano che "i bambini e gli adulti con riacutizzazioni d'asma lieve e moderata dovrebbero essere trattati con un pMDI + lo spacer, con dosi modulate in base alla risposta clinica".

Questa affermazione viene accompagnata, proprio per tutta la fascia di età pediatrica oltre i 2 anni (e anche per l’adulto), da un grado di raccomandazione A, la massima possibile, perché derivata da Studi Clinici Randomizzati di elevata qualità. Uno studio osservazionale ben condotto(2) ha anche dimostrato, ad ulteriore supporto, che la proporzione di pazienti che, istruiti all'uso, non compiono nessun errore nella tecnica inalatoria è quasi il doppio quando si utilizza lo spray con il distanziatore o il DPI, rispetto al solo pMDI. Per quanto riguarda la manutenzione, le già ricordate Linee Guida(1) consigliano di sostituire la camera di espansione al massimo dopo 12 mesi, ma naturalmente questo intervallo di tempo è variabile in base a quanto e come l'apparecchio viene usato. Se si considera che il costo di un buon nebulizzatore pneumatico è di circa 3-4 volte quello di un buon spaziatore, ritengo quest'ultimo ancora non inferiore al primo dal punto di vista del rapporto costi/beneficio.

Cordiali saluti
Daniele Radzik

1. British Guideline on the management of asthma ed 2007 www.ac.uk/guidelines/63/index.html.
2. Brocklebank D, Ram F, Wright J. Comparison of the effectiveness of inhaler devices in asthma and chronic obstructive airways disease: a systematic review of the literature. Health Technology Assess 2001;5;1-149.

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dradzik@alice.it

venerdì 08/02/2008 15:25
Focus, Dicembre 2007
Forme e modi della terapia inalatoria
L’articolo della "Prof" (in area Emiliana qualunque pediatra sa che "la Professoressa" o, più semplicemente, "la Prof" senza altre specificazioni sta per Battistini) comparso nel Focus di dicembre relativo alla terapia dell’asma, parlando bene del distanziatore trascura l’inalazione diretta del salbutamolo al bisogno da parte del bambino grandicello/adolescente (cui lo spacer viene a noia).

In questa ultima evenienza, proprio per facilitare la compliance (senza aspettare che sia il ragazzo stesso a farlo e magari a farlo male), credo sia bene raccomandare, nella pratica corrente, questa modalità, verificando ai controlli che l’inalazione sia ben fatta (=niente sbuffi), escludendo al massimo quei pazienti (molto pochi) che hanno crisi molto gravi (gli si può raccomandare tuttavia che, quando non riescono più a inalare dalla bomboletta, è il caso che impieghino lo spacer).

Da qualche anno le formulazioni di BDP-HFA (che al momento hanno un’indicazione formale dai 18 anni in su), consentendo dosi circa dimezzate proprio perché penetrano meglio e hanno minor effetto balistico, rendono superflua prima la camera d’espansione. In egual modo, sempre nel medesimo articolo, viene criticato l'utilizzo delle polveri, enfatizzando la potenziale confusione con la terapia al bisogno.

Un ragazzo grandicello, a cui il medico curante spieghi e periodicamente ripeta i concetti più importanti, conosce bene la differenza tra una terapia di fondo e, al bisogno, tra un turbohaler da fare mattina e/o sera (quindi da lasciare a casa o meglio in camera dove non c’è umidità e non si è neppure troppo lontani dal bagno dove vanno fatti i gargarismi), e un salbutamolo da portare con sé senza un distanziatore (che di solito non si ha piacere di mostrare).

I turbohaler contenenti budesonide e formoterolo(associazione non esistente in formulazione spray), utilizzabili già adesso nelle varianti “mite” dai 6 anni, a partire da questa età, vanno viceversa incoraggiati; inoltre, per una quota di ragazzi asmatici, potrebbero essere considerati come rimedi unici, in barba al dogma della doppia terapia di fondo/al bisogno, modalità non realizzabile con le formulazioni diskus correnti. Queste ultime, in associazione allo steroide più discusso (come “la prof” definisce il fluticasone), contengono un broncodilatatore a lento avvio, due caratteristiche che potrebbero presto renderle obsolete (anche come spray).

Insomma, non creiamo dei bamboccioni dell’asma e incoraggiamo i nostri bambini asmatici a passare a modalità adulte di inalazione qualora ciò sia fattibile.

Cocludo dicendo che, in merito alla terapia ospedaliera prevalentemente aerosolica, ai miei asmatici raccomando a voce e per iscritto di portare bombolette e distanziatore, non solo quando vengono da me ma anche se dovessero avere la necessità di andare in Pronto Soccorso, sperando che questo induca al trattamento dell’episodio acuto con modalità spray (questa volta) distanziato.

Dimenticavo: nell’articolo non viene dato risalto all’inconveniente più grosso dei distanziatori ovvero il costo elevato (Daniele Radzik peraltro nel suo contributo ne elenca modelli e costi), che dovremmo moltiplicare per quanto, se vogliamo avere un aggeggio efficiente visto che le ditte produttrici dicono che va sostituito ogni 6-12 mesi (di questo Radzik non parla)?

Giuseppe Boschi
PLS Quattrocastella(RE)


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boschigiusep@alice.it

mercoledì 06/02/2008 19:48
Editoriali, Gennaio 2008
I CIBI SOLIDI NELLA DIETA DEL BAMBINO
ho trovato di interesse, durante l'esplorazione di questo tema, di come l'uomo ha divezzato la sua prole nelle molte decine di migliaia di anni che hanno preceduto la civiltà dell'agricoltura e dell'allevamento. Allora si iniziava l'alimentazione complementare quando il lattante era competente (dal punto di vista neurologico, relazionale)cioè al sesto mese. Mentre si divezzava normalmente dal secondo-terzo anno di vita fino ad arrivare al sesto anno. In più, il continuo contatto con la terra (la mamma sovente si sdraiava per terra mentre allattava e non puliva i capezzoli) e la probabile compresenza di parassiti faceva si che l'allergia non fosse una costruzione del nostro apparato immunitario.
Sarebbe interessante conoscere se i trial considerati abbiano tenuto conto anche di variabili come: "parassiti intestinali" e "mani lavate" nell'analisi di possibili sottogruppi oltre che della durata dell'allattamento al seno

Costantino Panza
costpan@tin.it
pdf
martedì 04/03/2008 11:54
Editoriali, Gennaio 2008
I CIBI SOLIDI NELLA DIETA DEL BAMBINO
Mi sembra che in relazione a questo annoso e dibattuto argomento le evidenze scientifiche attualmente a disposizione siano ancora lontane dall’essere d’assoluto indirizzo.
Complessivamente, però, alla domanda sull’opportunità di ritardare l’introduzione dei cibi solidi come strategia di prevenzione delle allergie alimentari mi sembra si possa dire più no che si in tutti i bambini (anche in quelli con rischio atopico).
Quanto ai tempi mi sembrava quasi naturale che non ci si ponesse il problema al di sotto dei sei mesi di vita e non tanto in relazione alla inequivocabilità delle evidenze ma piuttosto per l’inutilità sul piano nutrizionale dell’intervento in sé.
Nel bambino al di sopra dei 6 mesi di vita, poi, la mancanza di evidenze forti a favore di un’introduzione ritardata mi sembra di per sé un valido motivo di diniego di tale pratica.
A questo proposito segnalerei come nel lavoro del Lancet (1980, sic!)citato da Fiocchi, gli Autori concludevano in realtà che la tardiva esposizione al pesce e limone determinava solo un ritardo nella comparsa dei sintomi allergici che risultavano avere la stessa incidenza a 3 anni sia nei bambini svezzati per tali alimenti prima dell’anno che in quelli che li avevano introdotti dopo l’anno di vita. Come a dire chi deve essere allergico lo sarà comunque ed il tempo può solo ritardare la comparsa del quadro clinico in relazione alla ritardata introduzione.
Una cosa simile è stata verificata anche per la celiachia dove si è visto che la ritardata introduzione del glutine di fatto ritarda solo la comparsa dei sintomi senza modificare la storia naturale del soggetto (1).
Quanto, poi, alle revisioni sistematiche citate, non mi sembra che anche in questo caso emerga un quadro definitivo anzi… Muraro e coll. concludono il loro lavoro segnalando che “there is no evidence of allergy preventing effect of restrictive diets after 6 months of age”. Allo stesso modo, in fondo in fondo, neppure la Revisione Sistematica di Beth Tarini et al. appare così perentoria nelle conclusioni.
Alla luce di questa scarsità quali e quantitativa di prove, le evidenze di un possibile effetto contrario sia sul piano nutrizionale che come possibile effetto pro-allergizzante della ritardata introduzione di cibi solidi nella dieta del divezzo assumono a mio avviso una risonanza ancora maggiore. Senza contare che non si tratta comunque di una cosa del tutto “gratuita” in termini psico-relazionali sia per il bambino che per la sua famiglia. Ricordando un po’ di latino scolastico mi verrebbe da dire in assenza di prove certe… “primum nihil nocere”.

1. Carlsson A, Agardh D, Borulf S, Grodzinsky E, Axelsson I, Ivarsson SA. Prevalence of celiac disease: before and after a national change in feeding recommendations. Scand J Gastroenterol. 2006;41(5):553-8.


Cannioto Zemira
zemira79@hotmail.com
Specializzanda Pediatria, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste
giovedì 28/02/2008 10:13
Articolo speciale, Marzo 2008
Aiuti internazionali - replica
L’articolo a cui la dott.ssa Delben fa riferimento ha certamente il torto d’aver cercato di sintetizzare, per renderlo leggibile, una faccenda così complessa, contraddittoria e spigolosa, come quella degli aiuti internazionali.
Forse è sbagliato confrontare le accountability dei singoli soggetti di una Onlus, di cui è possibile (entro certi limiti) valutare i risultati particolari ma impossibile valutare l’effetto “reale”, con quelli dell’agenzia dell’OMS, da cui ci si attendono effetti generali misurabili (che sono peraltro sempre inferiori all’atteso o al dichiarato).
Ma su questi temi, lontani eppure sempre vicini, Medico e Bambino ritornerà presto, come Lei si augura.



Franco Panizon


lunedì 04/08/2008 11:07
Articolo speciale, Marzo 2008
Aiuti internazionali
Mi ha fatto molto piacere leggere l’articolo sull’Africa pubblicato su Medico e Bambino (2008;27:174-80), spero possa essere l’inizio di un confronto e di una condivisione di esperienze.
In base alla mia formazione e all’esperienza pratica nel mondo della cooperazione nonché, oggi, anche come responsabile di una Onlus che si occupa di bambini di strada, vorrei proporre tre punti, tre flash di riflessione rispetto a quanto ho letto nell’articolo.
1. Trovo ci siano delle inesattezze nella contrapposizione che è stata fatta tra agenzie dell’ONU e ONG, rispetto alle maggiori difficoltà nel valutare l’operato e i risultati ottenuti da queste ultime. Esistono delle norme e tutti i soggetti, governativi e non, sono obbligati a “render conto” sia delle spese sostenute che dei risultati ottenuti rispetto agli obiettivi di partenza. Un progetto di cooperazione, inteso come inizio di un cammino condiviso di aiuto, in prospettiva, però, di una totale autonomia e autosufficienza del soggetto ricevente, viene finanziato con denaro pubblico solamente se strutturato in un certo modo.
Naturalmente il mondo della cooperazione è fatto di esseri umani, alcuni più furbi, arrivisti ed imbroglioni di altri, ma essi si distribuiscono in egual misura tra ONG e agenzie internazionali.
2. Credo possa essere interessante riflettere un po’ meglio sull’operato di enti come il FMI e la Banca Mondiale. Sono questi, a mio avviso, che dettano le regole del gioco, ma non solo in tema di aiuti all’Africa, bensì sulle regole di mercato che impoveriscono sempre di più l’Africa stessa.
3. Nell’ambito della cooperazione e degli aiuti internazionali, citerei il dibattito molto acceso che vi è all’interno di questa realtà tra chi opera in situazioni di emergenza e chi, invece, lavora a progetti di sviluppo. Nell’emergenza spesso viene proposto e, forse, imposto, il nostro modello di sviluppo e di risoluzione della crisi, pronto e impacchettato per l’uso, con tanto di bandiere e giornalisti al seguito, che però spesso, una volta tolte rapidamente le tende, rischia di lasciare un vuoto peggiore di quello trovato. I progetti di sviluppo partono da precise richieste locali, valutate con attenzione, cercando una sinergia tra culture diverse e risorse diverse; non possono durare meno di una decina d’anni per dare risultati concreti perchè coinvolgono tutte o quasi le sfere dell’esistenza umana, anche se si tratta di progetti sanitari, o agrari, o edili.
Mi scuso per questa mail scritta un po’ di getto e non rielaborata; spero però che contenga qualche spunto interessante.



Chiara Delben

Vicepresidente Arcoiris Onlus
lunedì 04/08/2008 11:05
Articolo speciale, Marzo 2008

Cara Stefania, la tua lettera arriva in controtendenza rispetto a un articolo, pubblicato sul numero di febbraio, a firma mia e di tutti quelli che sono stati nel Posto da dove tu sei appena tornata (Medico e Bambino 2008;27:174-80); in controtendenza perché la conclusione (non facile, né certa, nemmeno per ciascuno di noi, è che andare là faccia bene a noi (professionalmente, e nella comprensione del mondo, e nei sentimenti che ci guidano e ci guideranno nella vita) e a loro (ai medici, agli infermieri e alle mamme, anche solo un poco), che sia una carità, non per cambiare il mondo, ma per renderlo meno diseguale, non forse per salvar vite, che, a dispetto della dichiarata sacralità “valgono” oggettivamente 100 volte meno di quelle dei bambini che nascono qua, ma per trasferire gentilezza e conoscenze.
A me pare, dalla tua lettera, che abbia fatto bene anche a te, anche se ne hai riportato inquietudine e malessere. Anch’io, dopo il primo ritorno a casa, sono entrato in una lunga depressione, quella vera, quella delle pastiglie. Ma poi ci sono ritornato, e ancora, e ancora. Di quella esperienza, posso dire due cose.
La prima è che il medico, per sua natura, non agisce per cambiare il mondo, ma ne cura le ferite; e che trova conforto, alla sua vita, in ogni singolo atto (non dico in ogni vita salvata, che sarebbe già moltissimo, ma in ogni atto pietoso che riesce a compiere).
La seconda cosa è che, a mio avviso, il contributo che il volontariato riesce a dare all’Angola è più che una goccia. La missione di don João Calabria, sbarcata a Luanda negli anni ‘70, con un solo confratello che abitava in un container, serve ora un barrio di 400.000 abitanti, con un asilo Nido, una scuola per 2000 allievi, quattro posti di salute, un consultorio per TB e AIDS, un servizio ambulatoriale per malnutriti, un Ospedale, il “nostro”, quello della Divina Providencia. E si trova assieme ai Medici senza Frontiere, al volontariato del VIM, dal CUAMM, dall’Università Cattolica: e la somma di tutto questo non è miserabile. Forse non basta a compensare il male che la civiltà bianca ha dato e ancora dà, ma, anche per questo, è una presenza significativa.
Un caro abbraccio.

Franco Panizon


Franco Panizon


martedì 27/05/2008 15:43
Articolo speciale, Marzo 2008
La mia Africa
Primo giorno in ospedale dopo due mesi di Africa. E sento salirmi un senso di repulsione per tutto quello che sento e vedo. Peggio di quando sono tornata dal Brasile.
Mamme che si disperano e portano il figlio in Pronto Soccorso (PS) perché il figlio è caduto e si è escoriato un ginocchio, o che pretendono di mettere la supposta con l’EMLA al figlioletto di 11 anni… E medici che spendono ore per rassicurarle…
E mi domando ancora come posso tollerare tutto questo dopo aver visto mamme giovanissime con già due o tre figli che non sapevano nemmeno quanti anni avevano, che non sapevano leggere nemmeno l’orologio o cosa fosse un bagno, che accettavano passive che il loro marito avesse altre mogli o che si ubriacasse ogni sera...
E mi domando che cosa è giusto fare: sono giusti gli sforzi che facciamo per “aiutarli”, sempre che aiutiamo loro e non cerchiamo di tener buona la nostra coscienza o di fuggire a cose/responsabilità che qui ci divorano?
Sarà giusto andare lì e calar dall’alto delle verità completamente lontane dalla loro quotidianità, al loro pensiero comune, o forse è meglio andarsene via rapidamente e lasciarli crescere secondo la loro storia naturale anche se ci volessero mille anni? E forse, per mettere a tacere questa inquietudine, mi rispondo sempre con la frase di Madre Teresa che dice che ogni azione è come una goccia nell’oceano… Ma sarà vero? Servirà quella goccia all’oceano o creerà più danno che altro e sarà un seme che farà nascere un fiore o cadrà nel deserto?
Appena scesa dall’aereo sono stata accolta da una bandiera con una sciabola disegnata e con i colori rosso sangue e nero morte. Una popolazione triste, chiusa, che non ti guarda in faccia mentre parli e al tempo stesso così orgogliosa che piuttosto preferisce continuare a sbagliare che chiedere spiegazioni, per nulla angosciata, perché non se ne rende conto (e questo è ancora più grave), da un figlio che a 2 anni pesa 4 chili, che con la calma più assoluta ti viene a chiamare in corridoio perché il figlio “dottora, non respira più” senza capire che è morto!… Altro che le nostre che per due etti in meno si disperano e vogliono l’integratore!!!
Infermieri che dormono sui tavoli perché l’importante è avere un lavoro, non svolgerlo bene; pertanto non importa se non fanno le terapie perché non sanno fare le diluizioni (si saltano o non si dice al medico che manca il farmaco). E così mi vengono in mente le mie infermiere del PS, fantastiche! Loro che non devi aprir bocca e hanno già fatto tutto, che ti dicono “quando hai finito questa visita, vieni subito di là che c’è una mastoidite…” e ringrazio di averle…
A cosa serve tutto questo che sto dicendo? A niente probabilmente, o forse a riportare qualcuno con i piedi sulla terra, a far sì che qualcuno spieghi alla prossima madre isterica che è normale che un figlio si faccia alcune banali infezioni respiratorie nei primi anni o che una tosse non scompaia in due giorni. Che riporti tutti un po’ con i piedi a terra, perché in questa parte del mondo si creano problemi dove non ci sono, e al telegiornale si preferisce parlare della love story di un presidente piuttosto che della mancanza di antitubercolari per più di un mese in un Paese stracolmo di tubercolosi!
Forse serve a me come sfogo perché non so più cosa è giusto fare e cosa no. Perché spero in un consiglio sincero... o semplicemente vorrei ringraziare di cuore per ogni cosa di cui non ci rendiamo nemmeno conto, dall’acqua che arriva al settimo piano senza che dobbiamo andare a prenderla da una tanica e caricarcela sulle spalle, a un’insalata condita con l’olio, a una casa che sei in grado di pagare anche se con mille sacrifici e gettoni mal pagati ma che intanto puoi permetterti perché hai un lavoro, hai studiato, puoi mangiare, bere tutto quello che ti pare, che hai un frigorifero in cui tenere lo yogurt e non comprarlo dopo che è stato uno o più giorni sotto il sole…
E allora grazie a tutti loro che ti permettono di sentire questo quando ritorni al di qua del baratro, grazie a Leleno, Helena, Manuel Domingos, Tales, Alsenio, Teresa, Baltazar, e agli altri mille che mi hanno permesso di ringraziare per essere viva, per non essere malata come loro, per avere una casa pulita, per aver la possibilità di scegliere il mio destino, per poter dire a una mamma che suo figlio sta bene anche se è la terza febbre della stagione, che se non va di corpo da due giorni non occorre che venga in PS alle 4 di mattina….
Spero solo di non dimenticare troppo in fretta…
Stefania Norbedo



Stefania Norbedo

Specializzanda in Pediatria
martedì 27/05/2008 15:42
Il commento, Maggio 2008
Desametasone
La mia è solo una precisazione: mi risulta che in Italia sia in commercio una forma di desametasone per os il cui nome commerciale è : Soldesam gocce sol 0,2%.
Secondo i miei calcoli 1 gtt corrisponderebbe a 0,6 mg. di desametasone.

Isaia Bernardino
dino_isaia@hotmail.com
PdF ASL 1 CN
giovedì 12/06/2008 14:56
Oltre lo specchio, Novembre 2007
C'è un futuro per l'uomo?
L’articolo di Franco Panizon “C’è un futuro per il genere Homo?” (Medico e Bambino 2007;26:603-6) contiene preziosi elementi di riflessione circa il destino della specie umana negli anni a venire e sui possibili cambiamenti biologici prossimi venturi. La domanda finale che Franco Panizon pone all’amico fisico circa il paradosso di un’umanità che divora se stessa sotto la spinta ancestrale dell’espansione, racchiude il ‘nodo cosmico’ di tutta la questione. Ma, a dispetto della laurea in fisica, la risposta dell’amico appare piuttosto evasiva.

È un dato di fatto che negli ultimi decenni l’azione dell’uomo ha messo a rischio le basi fondamentali delle dinamiche naturali che garantiscono la nostra sopravvivenza sulla terra. Un gigantesco esperimento non controllato del quale iniziamo a intravedere le conseguenze (1). C’è sempre dell’azzardo nelle previsioni. I sistemi naturali non possono essere considerati come sistemi in equilibrio o che tendono all’equilibrio, ma piuttosto in uno stato di organizzazione instabile, diffuso ovunque (‘criticità auto-organizzata’). Ma è proprio questa stessa complessità costitutiva dei sistemi naturali a rappresentare, a mio modo di vedere, un elemento di speranza per il futuro.

Il suolo, l’acqua, l’atmosfera della terra si sono evoluti nel corso di miliardi di anni grazie a straordinarie capacità adattative e auto-organizzative, a cicli globali precisi, ma fragili, di energia e materia organica trasformata. I sistemi viventi possono tollerare un disturbo senza collassare in uno stato qualitativo differente, grazie a sistemi di controllo interni e diffusi, a stati ‘emergenti’ con i quali il sistema è in grado di riorganizzarsi (2). In natura sono enormemente complesse le espressioni dell’accoppiamento naturale tra materia ed energia: il nostro ‘istinto causale’ ci fa ricondurre qualcosa di ignoto a qualcosa di conosciuto attraverso il meccanicismo elementare della legge di causa-effetto. Alla luce delle attuali conoscenze sui sistemi complessi adattativi, la natura ci si presenta sempre più come una realtà difficilmente definibile, ricca di elementi che evidenziano discontinuità, ambiguità, ma anche disponibilità verso inedite possibilità di sintesi.

Nella nostra esperienza quotidiana cause ed effetti sono strettamente correlati nel tempo e nello spazio: invece negli ecosistemi complessi i sintomi possono apparire con grande ritardo; di fronte ad una nuova strategia, tendono a trovare un nuovo comportamento tale da restituire risultati che spesso, ma non sempre, riportano alle condizioni di partenza (3). Tuttavia, gli ecosistemi contengono punti sensibili manovrando i quali, anche attraverso uno stimolo minimo, si può influenzare pesantemente il comportamento del sistema ("biforcazioni catastrofiche").

L’imprevidibilità della relazione causa-effetto riguarda anche l’entità dei danni legati ai tossici ambientali, puntualizzati da Giorgio Tamburlini nell’editoriale di gennaio (Medico e Bambino 2008;27:8-9).

Ad aumentare la già affollata schiera delle criticità di origine antropica si aggiunge anche il rischio geochimico nei confronti delle falde acquifere, anch’esso di portata non completamente conosciuta. Mario Dall’Aglio, Ordinario di Geochimica ambientale dell’Università La Sapienza, e il Centro Studi “Dental Child” di Grottaferrata (Roma) hanno promosso una rilevazione sui livelli di svariate sostanze tossiche presenti nelle acque potabili di alcune zone del centro Italia (in primo luogo arsenico e fluoro). In alcune zone i livelli riscontrati sono ben al di sopra dei valori considerati sicuri. Che fare? Denunciare? Allarmare? Minimizzare? Chiudere fonti di approvvigionamento idrico in funzione da centinaia di anni? Le implicazioni etiche, politiche, amministrative di questi problemi sono evidentemente enormi, così succede che la comunicazione verbale agli assessorati di competenza dei risultati ottenuti produca sconcerto, che diventa dubbio, poi diffidenza, poi promesse di monitoraggi, di provvedimenti, e infine… il nulla. Per questo è prezioso l’invito di Tamburlini a informare le famiglie sulle priorità, sulle evidenze certe. Un utile invito ad una ‘alfabetizzazione eco-tossicologica’ da rivolgere a tutti i pediatri per aiutare a crescere famiglie capaci di futuro.


Bibliografia
1. Bologna G. Manuale della sostenibilità. Milano: ed. Ambiente, 2005.
2. Bettelli O. Modelli per sistemi complessi. Brescia: ed. Starrylink, 2003.
3. Auconi P, Bruscalupi G. Sistemi complessi per il pediatra. Prospettive in pediatria 2006;36:53-63.


Pietro Auconi

Centro Studi “Dental Child”, Grottaferrata (Roma)
lunedì 16/06/2008 12:17
Lettere, Giugno 2008
Migliorare l’appropriatezza diagnostica della faringite
Se mi è consentito, desidero inserirmi nell’interessante discussione fra il dott. Neri, il dott. Reggiani e il Prof. Panizon riguardante la diagnostica clinico-strumentale, rapida e non, delle faringotonsilliti dell’infanzia.
In primo luogo vorrei dire che a me dispiace moltissimo, e non soltanto un po’ come ha detto Lamberto Reggiani, che il messaggio dapprima suggerito dal Progetto Bambini e Antibiotici (ProBA) della Regione Emilia Romagna e quindi inserito nelle recenti Linee Guida regionali, sia stato interpretato dal dott. Neri come mero fumo negli occhi, o come messaggio confondente.
Lo “scoring system” di McIsaac (1) è a tutt’oggi il punteggio meglio validato sul campo, anche in ambito pediatrico (2), per la diagnosi clinica di faringite streptococcica. La sua integrazione (2) con un test rapido per il rilevamento degli antigeni streptococcici nell’essudato faringeo (Rapid Antigen Detection Test-RADT) permette, in caso di esito positivo, di raggiungere una probabilità post-test di malattia streptococcica abbondantemente superiore alla cosiddetta soglia del trattamento, anche nei casi in cui lo score clinico di McIsaac fosse stato di basso livello (3). Nei casi con punteggio intermedio-basso, ovvero 2, 3 o 4, e con RADT negativo, il ricorso all’esame colturale, soprattutto quando eseguito dopo arricchimento secondo Todd-Hewitt, consente di recuperare i possibili falsi negativi al RADT. Migliorare l’appropriatezza della diagnosi di faringite batterica favorisce la razionalizzazione dell’intervento terapeutico con antibiotico, evitando proprio “l’effetto mitragliatrice” proposto dal dott. Neri, ovvero: terapia antibiotica a tutte le faringiti acute, salvo sospensione dopo 48 ore, in caso di insuccesso. È ovvio che, anche in un caso in cui l’algoritmo diagnostico-terapeutico contestato abbia fornito una probabilità post-test vicina al 100%, sarà possibile una falsa positività e di conseguenza un’inutile terapia antibiotica Si tratterà verosimilmente di quei bambini in cui coesistevano fin dall’inizio, un’infezione virale ed una condizione di portatore sano di streptococco. Se dunque la perplessità residua rimane quella che l’errore diagnostico è ineliminabile, io dico: ognuno di noi, in scienza e coscienza, è libero di aderire o non aderire, nella sua pratica quotidiana, alle raccomandazioni minimaliste presenti nelle importanti linee guida scozzesi SIGN (4). Queste Linee Guida, così come non ritengono sufficientemente dimostrata l’efficacia preventiva della terapia antibiotica nel RAA e ritengono infinitesima, dati alla mano, la probabilità di sviluppo di tale complicanza nei paesi industrializzati, così evitano di raccomandare qualsiasi approfondimento diagnostico, consigliando l’antibiotico solo nei bambini con l’evidenza di un decorso ingravescente. La posizione del SIGN è tuttora isolata nel panorama internazionale.


Bibliografia

1. McIsaac WJ, Goel V, To T. et al. The validity of a sore throat score in family practice. Can Med Ass J 2000;163:811-5.
2. McIsaac WJ, Kellner JD, Aufricht P, et al. Empirical validation of guidelines for the management of pharyngitis in children and adults. JAMA 2004;291:1587-95.
3. Buzzetti R, Bergamini M, Bussi R, et al. Svelare lo Streptococco, rapidamente. Area Pediatrica 2006;7:47-55.
4. Scottish Intercollegiate Guidelines Network (SIGN). Management of sore throat and indications for tonsillectomy, 1999. http://www.sign.ac.uk/guidelines/fulltext/34/index.html



Marcello Bergamini

Pediatra di famiglia, Ferrara
giovedì 21/08/2008 08:48
Focus, Giugno 2008
Test celiachia 3
Alberto Neri (Medico e Bambino 2008;27:353-4), in una lettera sottilmente ma chiaramente paradossale e provocatoria, invita, con buona ragione, alla moderazione nell’eccessiva e incondizionata aderenza a screening e algoritmi. Poche pagine, e un focus è dedicato al test rapido per la diagnosi della celiachia, quasi – addirittura – un “fai da te”.
Leggendo i testi, tuttavia, affiorano alcuni dubbi. Già il dover, in pratica, disporre di un dosaggio delle IgA seriche contemporaneo al test ne riduce il vantaggio nei confronti della diagnostica bioumorale di routine. Vien poi da domandarsi se sia ben precisato il tasso minimo delle stesse IgA, affidabile per un giudizio di validità. Non è, inoltre, chiaro quale sia il reale impatto del deficit di IgA nella popolazione infantile. Reggiani: “La non trascurabile probabilità di trovarsi di fronte a un difetto di IgA non è nulla (nel senso – parrebbe – “abbastanza probabile”)”. Maki e Korponay-Szabò: “Non è stato riscontrato alcun soggetto con deficit di IgA”. Va anche detto che, nel secondo lavoro citato, quasi di sfuggita, si riferisce di “una variazione aggiornata del test rapido che elimina il problema del difetto di IgA. Questo nuovo test contiene una linea di controllo che mostra anche un dosaggio delle IgA totali”.
Per un impiego routinario del test sarebbe pertanto opportuno attendere che sia perfezionata e universalmente disponibile quest’ultima versione del test.




Liborio Serafini

Busto Arsizio (Varese)
venerdì 22/08/2008 12:18
Focus, Giugno 2008
Test celiachia 2
Un breve commento personale sul test rapido per la celiachia attualmente commercializzato in Italia.
Va benissimo, sicuramente utile, ma attenzione a non trasformarlo in un esame routinario, cioè da eseguire sempre nel corso della visita indipendentemente dal motivo e soprattutto svincolato dall’esame obiettivo, dalla clinica del paziente e dalla sua storia evolutiva.
Tutto questo per 2 motivi sostanziali:
Etico: Il test, per quello che ne conosco, è a carico del paziente; pertanto non è, a mio parere, corretto eseguire un atto medico per il quale non vi sia una necessità o un dubbio forte e ben documentato.
Timore che il test rapido, soprattutto se usato come screening, finisca per “non fare pensare” il medico alla celiachia, ai suoi svariati sintomi di comparsa e alle patologie ad essa associate. La necessità quindi di non svincolarlo dal mantenere il più possibile elevato il grado di formazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di famiglia a riguardo della malattia celiaca. È fuori dubbio che dove questo è presente la celiachia viene trovata con il classico prelievo venoso. Ergo: “chi conosce, trova”.
Infine una semplice proposta: si potrebbe iniziare ad adottare il test rapido come screening laddove i casi di celiachia trovati risultino minori di quelli attesi.




Roberto Cionini

Pediatra di famiglia, Sassuolo (Modena)
venerdì 22/08/2008 12:16
Focus, Giugno 2008
Test celiachia
Ho letto con attenzione il focus sul test rapido per individuare i celiaci ma sinceramente non ne comprendo l’utilità nella nostra concreta situazione italiana (forse in altre latitudini). Infatti non si tratta di una malattia acuta per cui è necessaria una diagnosi rapida: se vedo un bambino nel mio ambulatorio il lunedì e mi viene il sospetto che possa essere celiaco che differenza c’è fra il saperlo subito (ammesso che non abbia un deficit di IgA e che io sia diventato abile nella esecuzione e nella lettura del test) e il saperlo il giovedì o il venerdì di quella stessa settimana quando mi arriva la risposta dal laboratorio cui lo ho inviato?
Nella nostra realtà di Cesena è stato messo a punto un percorso concordato fra ospedale e territorio per seguire nel tempo il bambino celiaco con ottimi risultati. Per quanto riguarda lo screening, che potrebbe essere un ambito di utilizzo del test rapido, mi sembra che i dubbi superino ancora le certezze per cui conviene attendere.





Arturo Alberti

Pediatra di Famiglia, Cesena
venerdì 22/08/2008 12:15
Documenti, Settembre 2008
Pacchetto Sicurezza
Sono molto contento della partecipazione attiva dell'ACP nella questione del pregiudizio contro rom e sinti, siano essi italiani o stranieri.

Sarebbe ora di dimostrare con seria ricerca che le responsabilità per le precarie condizioni di salute dei bambini rom e sinti sono molto più delle istituzioni e dei media che dei loro genitori.



Cordiali saluti,


Lorenzo Monasta
monasta@burlo.trieste.it
IRCCS Burlo Garofolo
mercoledì 10/09/2008 10:10
Documenti, Settembre 2008
Pacchetto Sicurezza
La decisione di "Medico e Bambino" di pubblicare l'importante testo onora ancora di più i suoi lettori, fragili e spesso controcorrente né più e né meno dei bambini e di come il documento potrebbe apparire. Ma i pediatri non possono abdicare, a qualunque condizione, al ruolo di "advocacy" dei bambini e dunque la gravità, questa sì globale, del momento storico che viviamo vale bene l'occasione per scendere in campo, come si sta facendo. Ci ascolteranno "in alto"? Forse un po' di più se si potrà aprire un forum permanente su "Medico e Bambino", come si sta facendo. Coraggio.



Paolo Paolucci
paolo.paolucci@unimore.it
Univ. Modena e Reggio Emilia
mercoledì 10/09/2008 10:06
Editoriali, Aprile 2008
Il futuro del SSN
Vorrei partecipare alla riflessione sul futuro del nostro SSN che Giorgio Tamburlini ha proposto.
Quello che proverò a dire è molto strettamente legato alla mia personale esperienza professionale e politica di questi non pochi anni ormai di lavoro e d’impegno.
La prima considerazione immediata e anche un po’ brutale è questa: partiamo dai bilanci, partiamo dalla loro trasparenza, dalla loro comprensibilità e giudichiamo su quanto viene investito e su che cosa, da qui valutiamo efficienza, appropriatezza, efficacia.
Il nostro becero aziendalismo meridionale (e non solo) ha contribuito a produrre in questi anni un peggioramento delle condizioni di salute della popolazione (ad es. in Campania) (obesità nei bambini, speranza di vita, mortalità evitabile, mortalità specifica per tumori) a fronte di una lievitazione di spese e costi. Ora ci troviamo di fronte alla necessità del rientro, affrontato con ragionieristico impegno (senza offesa per i ragionieri) e con commissari che calano a frotte sulla nostra regione con piglio autoritario ed efficientistico.
I bilanci della sanità sono difficilmente leggibili e credo, in mancanza di contabilità analitica, molto grossolanamente controllabili dagli stessi manager-commissari.
Se è però vero che nel 2007 il 47,5% dei bilanci sono ascrivibili a beni e servizi e alla spesa ospedaliera accreditata, quindi ad appalti, acquisti, …., specialistica e altra assistenza convenzionata (Oasi 2007 - Cergas Bocconi), se è vero che la spesa per la diagnostica e terapia tende a crescere per varie ragioni (offerta e domanda di sempre più raffinate e costose tecnologie, di farmaci “intelligenti”,…), se è vero che l’invecchiamento della popolazione tende a far crescere i costi assistenziali in generale, non posso che pensare che il futuro del SSN sia un futuro con risorse sempre più limitate e sempre più indirizzate ai bisogni di pochi (benestanti, anziani) rispetto alla popolazione in generale. Se questa prospettiva poi si applica alle regioni meridionali ed alla mia (Campania) in particolare, l’aziendalismo condito con l’incombente federalismo fiscale, produrrà con gli attuali paradigmi interpretativi, razionamento ed abbandono assistenziale per molti (disabili, anziani poveri, tossicodipendenti, malati mentali ecc.).
Allora ripartiamo dai bilanci, ripartiamo dall’efficienza, dall’appropriatezza e dall’efficacia.
Prima di ripartire però dobbiamo tentare di superare l’attuale paradigma fatto di domanda, offerta, valutazione di procedure al massimo, in cui i manager (compresi gli assessori al ramo) hanno più il ruolo di direttori di un supermercato (attenzione alle merci, al magazzino, agli acquisti, alla scadenza di prodotti) che non di tecnici attenti soprattutto alla governance della salute.
La governance della salute è però possibile in presenza di alcune condizioni imprescindibili (a parte un livello di tollerabile presenza per il sistema delle lobby affaristiche):
1) la presenza di un sistema consapevole di sanità pubblica in cui la valutazione dei risultati di salute sia elemento chiave per le decisioni e le valutazioni
2) un sistema di programmazione partecipata e definizione trasparente delle priorità di salute ai diversi livelli territoriali
3) in ultimo ma solo perché architrave di un nuovo paradigma, la rinnovata centralità degli esseri umani all’interno del sistema salute.

Tutti e tre questi elementi hanno bisogno di qualche ulteriore esplicitazione.
Il primo elemento, la necessità di un rinnovato sistema di salute pubblica:
a che serve l’epidemiologia se non a orientare, valutare, a ridurre in qualche modo razionale i gradi di libertà delle decisioni della politica e degli affari?
quale è oggi il ruolo degli osservatori, delle agenzie regionali, nell’orientare le politiche sanitarie e soprattutto i relativi bilanci?
Mi pare che siamo lontani da una trasparente valutazione e da un coerente sistema decisionale. I profili di comunità e poi?
Il secondo elemento, molto collegato al primo, la mancanza di una trasparente definizione delle priorità a diversi livelli territoriali: qui siamo, dal mio punto di vista campano e meridionale, all’anno zero, alla gestione da supermercato del sistema salute, nonostante i recenti “esercizi programmatori” dei Piani di Zona e dei Programmi delle Attività Territoriali.
Il terzo elemento, la necessità di un nuovo antropocentrismo della salute richiederebbe un’ampia trattazione che va al di questo intervento di riflessione e anche al di là delle mie personali capacità. Ma qualche elemento cercherò di darlo.
Partiamo dalle catene causali della salute e dai determinati riconosciuti: biologici, genetici, sanitari, sociali, ambientali. Partiamo anche dall’equità nella salute (definita come l’assenza di differenze nella salute associate sistematicamente - significativamente e persistentemente - al vantaggio/svantaggio sociale in termini di ricchezza, potere o prestigio), considerando che gli attuali differenziali sociali della salute sono obiettivi che se superati migliorerebbero la salute media in modo assolutamente significativo.
Fatto questo decidiamo quali poste vanno messe nel bilancio generale della salute, quanto deve essere destinato (non sprecato ma investito) al sistema sanitario, quanto al sistema sociale, quanto a quello educativo, quanto a quello dell’ambiente, per migliorare la condizione di salute di tutti i cittadini e investire nel capitale umano.
La condizione di salute di tutti i cittadini sta al centro e l’appropriatezza e l’efficacia orientano gli investimenti, che non sono per esempio sanitari per il sociale (ricoveri ospedalieri per bambini o anziani con disagio sociale), sanitari per l’ambiente (cure per le malattie respiratorie vs interventi per la mobilità o dosaggi della diossina vs bonifica ambientale) ecc.
Senza un cambiamento radicale del paradigma interpretativo, l’attuale sistema non potrà che fallire per mancanza di risorse, preda delle pressioni del mercato che orientano i bilanci della sanità più di quanto non facciano attualmente le priorità condivise di salute, l’appropriatezza e la valutazione dei risultati.



Giuseppe Cirillo

Pediatra, Napoli
venerdì 26/09/2008 15:47
Editoriali, Novembre 2008
Cornaglia Ferraris e il SSN
Questo intervento di Cornaglia Ferraris arriva a proposito del suo libro “La Casta Bianca”, di un editoriale dell’anno scorso (“dalla parte della casta”, e di una successiva piccola disputa epistolare tra me e il dott. Marinelli pubblicata più di recente su M&B.
L’editoriale in questione, il mio, criticava non tanto il contenuto del libro (sul quale anzi dichiaravo di concordare), quanto la larga recensione che aveva avuto su Repubblica e che, a mio modo di leggere, concorreva più o meno surrettiziamente, a portare acqua all’idea che il SSN non vada, e che dunque il privato debba venire in suo soccorso, o meglio in sua sostituzione. Così come mi dichiaravo d’accordo sul contenuto del libro, cioè sui suoi cedimenti al principio di “aziendalizzazione” (e semmai preoccupato dei suoi effetti, forse non consapevolmente ricercati, di delegittimazione del SSN, che inevitabilmente portano acqua al mulino dello spazio pre-destinato al “privato”), mi ritrovo ora d’accordo su quanto dice qui Cornaglia Ferraris a proposito della “appropriatezza” diffusamente violata, attraverso il DRG gonfiati, i ricoveri inappropriati, la erogazione di prestazioni non necessarie, tutti effetti di una aziendalizzazione mal vissuta, mali che M&B ha sempre denunciato, e che sono espressione di una, ammettiamolo, diffusa, degenerazione dell’etica professionale, peraltro indotta, perpetrata, voluta, coltivata dalla vera CASTA, quella che su SSN ci vive e ci mangia, quella della POLITICA, che svende il SSN al privato (vedi le più di 1000 strutture convenzionate della Sicilia o l’ammazzamento dell’assessore alla Sanità calabrese); al privato contro il quale, ancora, non ho nulla, ma che, figuriamoci, (e leggiamo un poco i giornali, please) da questa inappropriatezza non sembra proprio possa esser considerato esente.
Non è il caso che io continui la polemica. Ma non posso fare a meno di pubblicizzare invece, ringraziando Giorgio Tamburlini che me l’ha fatta pervenire, questa dichiarazione pubblica del nostro Presidente del Consiglio, dichiarazione che non conoscevo e che credo pochi conoscessero.

“Il Governo è consapevole della necessità di una riforma del sistema sanitario nazionale, non ci devono essere pregiudizi ideologici tra sanità pubblica e sanità privata. La sanità è un servizio pubblico che deve essere garantito a tutti, si tratta di una grande conquista di libertà, un servizio che può essere fornito sia dal pubblico che dal privato”.
Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione del nuovo Policlinico San Donato. La filosofia della riforma, per Berlusconi, è quella di garantire la libertà di scelta del medico, la libertà di scelta di dove andare a farsi curare, e che il pagamento al Servizio sanitario nazionale sia a prestazione. Questi per il premier sono “punti imprescindibili”. Berlusconi ha poi invitato gli imprenditori a investire nel settore della sanità che “non è rischioso. Secondo l’Onu, il Pil in questo settore aumenterà del 50% nei prossimi 8 anni grazie all’aumento della vita media. Gli imprenditori potranno avere grandi soddisfazioni. Solo la collaborazione tra pubblico e privato può migliorare il sistema sanitario nazionale. Per questo - ha annunciato il premier - possiamo anche pensare a esenzioni fiscali per chi investe nella sanità, esenzioni che potrebbero valere nei primi anni di attività”, ha spiegato. “La sanità è un grande problema del Paese, è necessario migliorare il sistema sanitario nazionale che in alcune regioni d’Italia, come la Lombardia, è d’eccellenza mentre la situazione è disastrosa in altre regioni con pessimi servizi - ha continuato - e anche disavanzi giganteschi. Tutto ciò ha costretto il Governo a commissariare la sanità in alcune regioni italiani, in particolare al Sud”.

Mi basta così. C’è un disegno dichiarato, aperto, pubblico. Mi domando se e come potrà mai esser possibile, in termini meramente economici che una struttura privatistica (ma convenzionata, investire nella quale promette di essere di “grande soddisfazione per gli imprenditori), che dunque darà buoni utili, possa dare ai malati del Paese il servizio di “assistenza totale” di cui tutti gli italiani hanno bisogno. Questo sarà domani il SSN di cui il mio ricordo va così fiero.
E l’opposizione è d’accordo? C’è un’opposizione? O siete d’accordo tutti?

PS. Rubo dall’editoriale di Tamburlini dell’anno scorso (M&B 2008;27:210-1) sull’ “incerto avvenire del SSN l’incipit, che non è altro che la dichiarazione che ha accompagnato l’istituzione del SSN inglese. Il nuovo Servizio Sanitario Nazionale inizia il 5 luglio 1948. Esso fornirà i servizi medici, odontoiatrici e infermieristici. Ognuno, ricco o povero, donna o bambino lo può usare. Non ci sono pagamenti da fare, se non per qualche prestazione speciale. Non ci sono iscrizioni da fare all’assicurazione. Non è una forma di carità. Tutti noi stiamo pagando per questo, attraverso le tasse.



Franco Panizon

Dipartimento di Scienze dello Sviluppo dell'Università di Trieste, IRCCS "Burlo Garofolo"
mercoledì 10/06/2009 16:37
Editoriali, Novembre 2008
Casta Bianca
Leggo con attenzione i commenti di Marinelli all'editoriale di Panizon e mi permetto di intervenire quale autore del libro "La Casta Bianca" (Mondadori).
Parola chiave del libro è: "appropriatezza".
Manipolando il significato di tale parola nella pratica applicazione quotidiana, il pediatra si trova davanti a sfide scientifiche e etiche mai prima così rilevanti e pericolose.
Sappiamo che il mercato e le sue pressioni commerciali inducono ad una inappropriatezza diagnostica e terapeutica dal livello più generalista a quello ultra specialistico. Sappiamo che il sistema premiante di benefit turistico alberghieri, carriere e DRG non è costruito per selezionare competenze e merito professionale né rigore morale.
Sappiamo che le spese di tutto ciò vengono pagate dalla crescente insostenibilità di un servizio pubblico gratuito, universalistico e scientificamente solido.
Pediatri anziani come Panizon e quasi altrettanto anziani come me sanno quanto sia migliorata l'assistenza pediatrica, quanti siano gli strumenti in più a disposizione. Poi sanno anche che tali strumenti sono utilizzati con grandi sprechi e rischi.
Sanno che c'è una bella differenza tra i cameroni degli anni 60 con i bambini contenuti a letto e le madri "fuori" e le camere con bagno del Mayer, letto per la madre e vista sul parco (ma perché le madri durante la visita vanno sempre "fuori"?).
Sanno, però, che il numero di TAC inutili fatte a bambini comporta un rischio di tumore cerebrale da adulti pari ad una percentuale crescente. Quanto crescente? Forse dipende dalla medicina difensiva e dal timore d'essere denunciati?
Leggere La Casta Bianca significa star male, come chiunque sta quando va a scoprire il peggio di una malattia: la cancrena.
Mettere il dito nelle piaghe del sistema sanitario serve? il SSN, ormai SSR (regionale), o se preferite SSF (federale) ha poco più di trent'anni, è giovane, vigoroso, capace. Lo paghiamo tutti i giorni con fior di milioni grazie alle tasse (per chi le paga) e ticket (per chi non è esente). Ci teniamo moltissimo e lo vogliamo conservare sano, robusto, capace ed efficace.
Se, nel fare diagnosi sulle diverse piaghe e ulcere che lo affliggono possiamo esprimere qualche disaccordo, la cosa fa parte della storia della medicina e perfino della fiaba, visto che non sono d'accordo nemmeno la Civetta e il Corvo sul capezzale di Pinocchio. Tuttavia da sempre è abile il medico capace di mettere il dito sulla piaga, evitando di coprirla col pannicello caldo perché non si veda, confidando in una improbabile guarigione.
La gestione partitica e affaristica, commerciale e corrotta del SSN attuale rappresenta un rischio molto elevato di perdita del ruolo sociale del pediatra e del medico curante. Il rischio è evidente. I genitori perdono fiducia, preferiscono la medicina alternativa, si fidano del farm,acista quanto del pediatra di famiglia, a rischio d'essere un prescrittore commerciale di farmaci o latti artificiali.
Evidenti anche l'opportunismo di troppi e l'inedia di tanti. Parlarne è già qualcosa e sino a che Medico e Bambino avrà spazi e desiderio di farlo, sarà certamente positivo.




Paolo Cornaglia Ferraris
camici.pigiami@gmail.com
camici & pigiami ONLUS
giovedì 07/05/2009 18:31
Editoriali, Novembre 2008
Cornaglia Ferraris e il SSN
La lettera del dott. Marinelli, destinata al blog, è finita nella posta comune (per il cartaceo) e ha avuto una risposta che, a ripensarci, non era poi soddisfacente. La mia difesa del SSN non era comunque manifestazione di “buonismo” (né, se ci fosse stato del “cattivismo”, il SSN si sarebbe sentito scosso per questo). Io cercavo solo di vedere i fatti, cioè la qualità “materiale” dell’assistenza, che per la mia esperienza (limitata) non è nemmeno confrontabile con quella erogata anche solo vent’anni fa: ma è molto migliore, in efficacia, in professionalità, in organizzazione, in albergaggio. Non parlo solo della pediatria; parlo di tutto il sistema. Certo non è tutto oro quel che riluce; e io so di vivere in una Regione “virtuosa”, con un bilancio in pareggio, e so che non tutte le regioni lo sono, e mi spavento e non mi so spiegare i buchi di bilancio mostruosi, per esempio del Lazio, dove l’assistenza pubblica non è il massimo e dove deve aver prevalso una specie di populismo marrazziano alla “mi manda RAI tre”, ma non basta a spiegare la profondità del buco. Ancora una volta mi trovo perplesso di fronte ai disastri della devolution. E tuttavia trovo -ma posso sbagliare- che le carenze, che certamente esistono nel sistema e che si manifestano innanzi tutto nelle diseguaglianze tra Regioni, sono dovute innanzi tutto all’occupazione politica del sistema, e conseguentemente dalla degenerazione affaristica che ne deriva. La salute è un affare. La salute è commesse. La salute è mazzette. La salute è sottobanco. Sì, forse Cornaglia Ferraris ha una parte di ragione; ma la malattia del sistema viene da fuori del sistema; viene dalla politica, e dunque è incorreggibile se -ma sarebbe un miracolo- la politica non correggerà se stessa. E il sistema va piuttosto difeso che perseguito.
La malattia -la politica- corrompe in parte lo spirito del personale che lavora nel SSN; mina dall’interno la struttura e l’efficienza del sistema attraverso i principi della aziendalizzazione, della politicizzazione e del burocratismo cieco: e lo corrode dal di fuori attraverso il meccanismo del convenzionamento delle strutture private (perché così “indispensabile”? così invadente? così rampante? e tanto più rampante quanto meno sono in ordine i conti del SSN?).
Ancora una volta non sono soddisfatto della mia risposta. Una buona occasione per avere altri interventi.




Franco Panizon


mercoledì 24/12/2008 10:26
Editoriali, Novembre 2008
Io sto con Cornaglia Ferraris
Caro prof. Panizon, il suo editoriale in “difesa della casta” dice cose di buon senso e ne comprendo lo spirito, ma io sto con Cornaglia Ferraris.
Il buonismo non serve; è verissimo che la forza del sistema pubblico sta soprattutto nei principi generali, ma non si può negare che sia profondamente malato, e certamente non per colpa di chi ne denuncia i tanti mali, di cui ciascuno di noi, in piccolo o in grande, in alto o in basso, è più o meno (molto molto più o molto molto meno) responsabile. Non possiamo autoassolverci. Non è solo la “politica” a essere responsabile del degrado che c’è, è innegabile e va denunciato anche al costo di passare per scandalisti o demagoghi.
E il sistema castale dell’Università, ancora solido arrogante e inattaccabile? E i concorsi ospedalieri (ne so qualcosa di persona)?
Vogliamo cominciare a dire chiaramente (stiamo cominciando a farlo) che i pediatri di famiglia (ben guidati dal loro sindacato) cominciano a somigliare un po’ troppo ai piloti dell’Alitalia?




Italo Marinelli


mercoledì 10/12/2008 10:18

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