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MEDICO E BAMBINO - ultimi commenti

Medico e Bambino - Tutti i commenti
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Oltre lo specchio Giugno 2009
Cos'è cambiato disponibile
F. Panizon
Appunti di Terapia Ottobre 2009
La sindrome nefrosica disponibile
G. Bartolozzi
Il commento Marzo 2010
Vi ricordate della vaccinazione per il virus H1N1? disponibile
F. Marchetti
Articolo speciale Febbraio 2010
Imparare dall'errore disponibile
G. Bertolini
Lettere Marzo 2010
Obesità disponibile
Contributi Originali - Ricerca Marzo 2010
Screening per minori adottati o recentemente immigrati da Paesi a rischio? Un’esperienza su 100 casi disponibile
F. De Franco, F. Colonna, E. Miorin, I. Robieux, E. Moretto, P. Aragona, L. Lubrano
Editoriali Giugno 2010
La pediatria italiana e la pediatria di famiglia disponibile
F. Panizon
Newsletter pediatrica Settembre 2010
La sorveglianza della letteratura per il pediatra
L'applicazione di poche, semplici regole per la gestione del bambino con gastroenterite acuta è fattibile e migliora l'esito della malattia
disponibile
Associazione Culturale Pediatri ACP, IRCCS “Burlo Garofolo” Trieste, Centro per la Salute del Bambino
Editoriali Settembre 2010
Spetta a noi disponibile
F. Panizon
Editoriali Ottobre 2010
Sviluppo del gusto nel bambino: tra genetica e ambiente disponibile
P. Gasparini
Oltre lo specchio, Giugno 2009
Le riflessioni dei vegliardi trovano eco immediata nei coetanei
“Cos’è cambiato” di Franco Panizon mi ha suscitato, oltre ad una ondata si simpatia, una folla di pensieri insieme all’immagine del giornale che ha registrato puntualmente i tanti cambiamenti della Pediatria, organo ufficiale di informazione di un vero e proprio Movimento che rivendicava il diritto-dovere dei Pediatri di occuparsi dei bambini a tutto tondo, in controcanto alla “Accademia Pediatrica” occupata prevalentemente in temi rigorosamente scientifici. Movimento nato al Nord che ha trovato al Sud una grossa risonanza (Nord chiama Sud). Ho vivo dentro di me il ricordo di uno dei bellissimi Congressi della ACP a Matera e dell’affettuosa accoglienza di quella gente in risposta alle nostre proposte rivolte alla salute dei loro figli. E mi viene in mente Gigi Capotorti, il pediatra salernitano che lasciò la Università di Roma e andò primario in un ospedale a Crotone prima a Tarquinia poi e fu pediatra attento alla salute del bambino, lavorando in Ospedale e nel territorio e comunicando ai tanti giovani che gli erano intorno la cultura di una Pediatria nuova, conscia della propria responsabilità, aperta ai tanti problemi che affliggono la nostra Società, desiderosa di promuovere lo sviluppo, la salute e il benessere bambini, ivi compreso il gusto della vita. E ricordo il Convegno a Benevento dove, sempre nell’atmosfera suggestiva di antiche vestigia, si accese una disputa appassionata sull’etica di certa pediatria: Capotorti presentava l’adattamento in Italia di un metodo americano che valutava il rapporto tra ambiente familiare e sviluppo a distanza del bambino e si scatenò.
Un’accesa disputa: giovani pediatri napoletani confutavano il diritto dei pediatri di entrare nella intimità della famiglia, e ne nacque una vivacissima discussione sulla parola “consigli”.
Fu duro dimostrare che non si aveva la pretesa di diffondere il Verbo, ma si sosteneva il dovere di comunicare informazione. E tutti sentimmo che si stava parlando dell’aspetto più interessante del nostro lavoro, ed anche della nostra filosofia di vita. Poi qualcuno (Tamburlini) altrove introdusse il tema “ Il bambino e la città” e quello ancora più scottante dei bambini figli di immigrati. E sempre sentimmo che questi temi ci appartenevano. L’orizzonte si allargava, andava fuori casa e incontrava l’Africa, l’America Latina. E poi ancora più universale il tema del bambino e i libri, del bambino e la musica.
Qualcuno tornava a riflettere sul proprio lavoro di routine e di come si poteva migliorare e ci fu l’incontro con gli psicologi, i neuropsichiatri, i neuropsicofisiologi. Si parlò di bisogno di counselling e se ne fece esperienza. Si organizzarono congressi di Neuropsichiatria Infantile rivolta ai pediatri. I disabili fu un argomento speciale e sorsero Associazioni di genitori che promossero ricerche interessanti (Luchino) ma soprattutto garantirono ai bambini il diritto alla vita.
E per ultimo la genialità della Rubrica “Oltre lo specchio” che ammonisce: “ricordati che sei un uomo anche se fai il pediatra… Che il bambino è un bambino anche se lo chiami paziente… che la mamma è una mamma anche se la chiami utente… che c’è qualcosa di là dei tuoi sensi… che niente finisce dove sembra che finisca… che niente è proprio uguale a quello che sembra”.


Fernanda Di Tullio
redazione@medicoebambino.com
Pediatra, Roma
lunedì 05/07/2010 15:10
Oltre lo specchio, Giugno 2009
Cos'è cambiato
Caro Franco,
ho letto, era da tanto che non lo facevo, un pezzo di “Medico e Bambino” (anzi due), parlo di “Cos’è cambiato”, la tua autobiografia pediatrica (2009;28:332-7 e 2009;28:401-5), e mi salgono alcune riflessioni che voglio passarti.
1. Una storia utile oltre che edificante. Serve a farci riflettere, invita e aiuta a farci vedere tutto il buono che ci è attorno e che noi evitiamo di cogliere. Proprio così, evitiamo, e con rabbia sbagliata. Un’analisi della pediatria vista con realismo e saggezza, di cui condivido spirito e storia. Scritta poi in un italiano godibile; più bella, letteraria la prima parte: la sarda, la ferrarese, la pavese; com’è giusto che sia: all’eroismo si addice l’epos i (buoni) risultati non ne hanno bisogno.
2. Manca però alla storia, secondo me, una parola importante, non compare mai: la parola "protocollo". Il concetto di protocollo ha cambiato un po’ la medicina, il modo di pensare la medicina; ha costituito un miglioramento effettivo a saperlo maneggiare. Non si poteva più ignorarlo (non si doveva); certo non bisognava restarne incatenati, ma si poteva superarlo solo con consapevolezze e motivazioni adeguate.
3. Questi specializzandi di ora, tu scrivi, sono "nu babbà": (passami il gergo, sono di origine napoletana); ma, di questo non scrivi, non so se c’è abbastanza cura a formarli in maniera che non siano solo dei formidabili tecnici. Che l’imparare a essere dei buoni cittadini, cittadini del mondo intendo, non è tempo sprecato, non è distrazione ma aggiunge un tot di professionalità al loro buon operare. Ho sempre pensato (certo questo non vale per l’otite acuta) che per curare un bambino con una debilitante e annosa artrite reumatoide l’aver letto e apprezzato “I promessi sposi” possa costituire vantaggio.


Pasquale Alcaro

Soverato (Catanzaro)
martedì 12/01/2010 09:52
Appunti di Terapia, Ottobre 2009
Re:
Gent. Dottor Amato,

sono andato a rileggere la pubblicazione sulla sindrome nefrosica alla quale lei allude e ho cercato il riferimento alla vitamina E. Delle due citazioni riportate, una mi sembra risponda bene alla sua domanda.
Le allego il riassunto, sufficientemente lungo, comunque lei può ricercare facilmente il lavoro originale completo.

La saluto cordialmente,

Giorgio Bartolozzi

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Pediatr Nephrol 1999;13:649-52

Vitamin E treatment of focal segmental glomerulosclerosis: results of an open-label study.
Tahzib M, Frank R, Gauthier B, Valderrama E, Trachtman H.

Division of Nephrology, Schneider Children's Hospital of Long Island Jewish Medical Center, Long Island Campus of the Albert Einstein College of Medicine, New Hyde Park, NY 11040, USA.

Experimental data indicate that excessive production of reactive oxygen molecules contributes to progressive renal injury and that treatment with antioxidants attenuates this damage. Therefore, we investigated whether vitamin E supplementation could ameliorate renal disease and reduce proteinuria in children with a variety of kidney disorders. Vitamin E, 200 IU twice daily, was administered orally to 11 children with focal segmental glomerulosclerosis (FSGS) (group A) and 9 patients with miscellaneous kidney diseases (group B) [Henoch-Schönlein purpura nephritis (n=3), urinary tract anomalies (n=2), non-specific immune complex glomerulonephritis (n=2), IgA nephropathy (n=1), and reflux nephropathy (n=1)]. The duration of vitamin E treatment, when no other therapy was introduced, was 2.9+/-0.4 months. Proteinuria was determined by measuring the protein:creatinine ratio (mg/mg) in an early morning urine specimen. In children with FSGS, administration of vitamin E lowered the protein:creatinine ratio in 10 of 11 patients from 9. 7+/-5.1 to 4.1+/-1.1 (P<0.005). In contrast, among children with miscellaneous renal diseases, vitamin E had no beneficial impact on urinary protein excretion-protein:creatinine ratio 2.5+/-1.0 pre versus 2.4+/-1.2 post antioxidant. Vitamin E supplementation had no effect on glomerular filtration rate, serum albumin, or cholesterol concentration in either group of patients. These findings suggest that reactive oxygen molecules may play a more-prominent role in causing renal injury in patients with FSGS than in other kidney disorders. Antioxidant therapy may be a useful adjunct in the treatment of children with FSGS and proteinuria that is refractory to standard medical management.



Giorgio Bartolozzi

Membro della Commissione Nazionale Vaccini, Università di Firenze
venerdì 29/01/2010 11:41
Appunti di Terapia, Ottobre 2009
La sindrome nefrosica
A un certo punto, nel trattamento della sindrome nefrosica steroido-resistente, compare la dizione "vitamina E" di cui però non si rinviene traccia nella ulteriore lettura dell'articolo sui "tre regimi terapeutici" ecc.
Mi intriga conoscerne il ruolo eventuale, se pure ne è contemplato. Grato per la risposta, con i miei più cordiali saluti,



Giorgio Amato
gamato@infcom.it
abbonato
mercoledì 20/01/2010 18:08
Il punto su, Febbraio 2010
Re: Terapia prenatale del sequestro broncopolmonare
Le lesioni solide malformative polmonari ad evoluzione sfavorevole, cioè con comparsa di idrope fetale, possono beneficiare di uno shunting fetale, e nei casi più gravi vi è anche l’indicazione alla chirurgia fetale.
La presenza di un vaso arterioso, a diretta dipendenza dal tronco aortico, è il segno ecografico evidente della presenza di una sequestrazione polmonare.
Il trattamento fetale laser che viene descritto in letteratura rappresenta un ottimo approccio salvavita.
Tre i commenti e le raccomandazioni da aggiungere:
1. la metodica laser descritta ha la funzione di limitare la storia naturale della malformazione, riducendo la compressione che la lesione provoca sulla cava e sull’ esofago, responsabile dell’insorgenza dell’idrope;
2. il trattamento fetale non esclude il monitoraggio della lesione in epoca postnatale. Spesso, accanto ad un vaso arterioso di maggiori dimensioni, ve ne sono altri di più piccola taglia, non visibili in ecografia prenatale e pertanto non aggredibili in gravidanza con la metodica sopracitata;
3. la lesione deve essere asportata chirurgicamente. Auspicabile è la chirurgia entro l’anno di vita previa esecuzione di un controllo TAC postnatale (dopo i 3 mesi di vita).
Il follow-up postnatale con solo ecodoppler non è sufficiente ad escludere la persistenza di vasi supplementari, di piccole dimensioni, sufficienti a intrattenere la vascolarizzazione del tessuto sequestrato.



Francesca Gobbo1, Gloria Pelizzo2, Jürgen Schleef2
francescagobbo@hotmail.com
1Scuola di Specializzazione, Chirurgia Pediatrica, IRCCS G. Gaslini, Università di Genova 2Dipartimento di Chirurgia Pediatrica, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste
giovedì 01/04/2010 14:56
Il punto su, Febbraio 2010
Terapia prenatale del sequestro broncopolmonare grave associato a idrope e idrotorace
A integrazione dell’ottima review delle malformazioni polmonari congenite di Gobbo et al. vorrei segnalare che nei casi di sequestro broncopolmonare (BPS) intralobare associati a idrope (cioè ad alto rischio di evoluzione sfavorevole), oltre all’intervento di derivazione toraco amniotico e all’intervento prenatale in utero (tipo EXIT), esiste un trattamento prenatale mini-invasivo di coagulazione con laser dell’arteria che irrora il BPS, descritto recentemente e che ha dato ottimi risultati in circa il 70% dei casi(1-4). L’intervento viene eseguito con una blanda sedazione della madre e dopo la curarizzazione e sedazione del feto attraverso iniezione in vena ombelicale; viene inserito un ago di piccole dimensioni (18-G), sotto guida ecoscopica, nell’arteria che irrora il BPS, attraverso il quale viene inserita una fibra di 0,6mm per la terapia laser. L’esito del trattamento viene poi valutato con ecodoppler e confermato a distanza di 24 ore. Tale intervento ha una bassa invasività, è ottimamente sopportato dalla madre e comporta una breve ospedalizzazione di 24h, salvo complicanze.
Sto seguendo un caso di BPS con idrope e idrotorace, diagnosticato in utero a 24 sett. dai colleghi della Clinica Ostetrica di Careggi a Firenze, che ho indirizzato a Leiden in Olanda (Dep. of Obstetrics, Leiden University Medical Centre) a 25 sett. di e.g. e a cui tale procedura ha consentito la regressione della lesione polmonare, la normalizzazione delle condizioni fetali e un parto spontaneo a termine di gravidanza.
Attualmente la neonata ha 3 settimane di vita, gode di buona salute e abbiamo programmato una TC con mdc intorno ai 3 mesi di vita per una valutazione più approfondita dei residui di lesione e la successiva valutazione dei tempi e modi della eventuale resezione. Il caso sarà oggetto di una più dettagliata descrizione in futuro.

Bibliografia
1.Witlox R, Lopriore E, Walter FJ et al. Single-needle laser treatment with drainage of hydrothorax in fetal bronchopulmonary sequestration with hydrops. Ultrasound Obstet Gynecol 2009;34:355-7.
2. Oepkes D, Devlieger R, Lopriore E et al. Successful ultrasound-guided laser treatment of fetal hydrops caused by pulmonary sequestration. Ultrasound Obstet Gynecol 2007;29:457-9.
3. Ruano R, de A Pimenta EJ, Marques da Silva M et al. Percutaneous intrauterine laser ablation of the abnormal vessel in pulmonary sequestration with hydrops at 29 weeks’ gestation. J Ultrasound Med 2007;26:1235-41.
4. Bermudez C, Perez-Wulff J, Bufalino G et al. Percutaneous ultrasound-guided sclerotherapy for complicated fetal intralobar bronchopulmonary sequestration. Ultrasound Obstet Gynecol 2007;29:586-9.



Gherardo Rapisardi
gherardo.rapisardi@asf.toscana.it
UO di Pediatria e Neonatologia, Ospedale S.M. Annunziata, Bagno a Ripoli (FI)
mercoledì 24/02/2010 22:26
La pagina gialla, Gennaio 2010
Sedazione procedurale senza anestesisti
Ho avuto modo di leggere il contributo della Pagina Gialla di gennaio di Medico e Bambino (2010;29:11-2) “Sedazione procedurale in autonomia dagli anestesisti: si può, si deve”.
Sono un Anestesista Rianimatore dell’Azienda ospedaliera di Ferrara e sono il referente aziendale per le pratiche anestesiologiche effettuate fuori dai blocchi operatori, dette NORA (Non Operating Room Anesthesia). Sono assolutamente d’accordo che le opportunità diagnostiche e terapeutiche offerte dalla moderna endoscopia siano in continua e rapida evoluzione, e che si debbano associare a un’adeguata sedazione per aumentarne l’adesione da parte di coorti sempre più numerose di utenti. Nella mia esperienza, tuttavia, in accordo con altri professionisti più autorevoli di me, ho la percezione di una non adeguata consapevolezza da parte dei colleghi committenti del rischio clinico che fuori dalla sala operatoria è a nostro avviso più elevato che in sala operatoria. A dispetto dei potenziali rischi, purtroppo, la mortalità e la morbilità correlate sono riferite raramente dalla letteratura e purtroppo in modo incompleto.
È indubbio che i riferimenti fondamentali debbano essere la conoscenza e il rispetto delle linee guida, senza manipolazioni adattative o deroghe sulla valutazione clinica dei piccoli pazienti e delle loro vie respiratorie ad altri professionisti, sul numero e competenze del personale necessario all’esecuzione dell’esame, sull’appropriatezza e adeguatezza delle strutture di sistema con idonei locali per la procedura e il risveglio, attrezzature e documenti aziendali condivisi.
Il modello di analogo-sedazione dovrebbe misurare in modo obiettivo in scala numerica tutte le manifestazioni avverse sia da insufficiente sedazione che quelle di un eccessivo approfondimento, assicurando una procedura di buona qualità, mantenendo la sedazione in un range ideale.
A differenza degli adulti, per i quali è spesso sufficiente una sedazione moderata, nei pazienti pediatrici le procedure diagnostiche invasive devono essere effettuate in sedazione profonda o in anestesia generale. A tale livello di alterazione della coscienza il monitoraggio clinico e strumentale deve essere completo per intercettare precocemente qualunque alterazione cardio-respiratoria, effettuato da una persona deputata a questo esclusivo compito e non impegnata nella procedura endoscopica. È evidente che tale figura, anche se non un anestesista, deve possedere non un semplice attestato ACLS o equipollente, ma proprio le competenze di un “intensivista” che sappia gestire con disinvoltura eventi farmaco-dinamici avversi o peggio complicazioni derivanti dalla procedura stessa, anche se infrequenti. Non va peraltro omesso che anche la FDA autorizza l’uso di farmaci come propofol e fentanyl solamente a queste figure professionali.
L’autorevole lavoro, da Lei recensito, (Rex DK, et al. Gastroenterology 2009;137:1229) non è specifico per la popolazione pediatrica e sostiene una tesi che altrettanto autorevoli altri Autori non condividono, affermando invece che:
1. in tutte le sedi in cui si praticano delle sedazioni accadono eventi avversi (± 1,4%) anche gravi con decessi, lesioni cerebrali post-anossiche (± 0,03%), o con conseguenti ricoveri non programmati anche utilizzando i farmaci in modo appropriato;
2. oltre alle condizioni di fragilità del paziente si devono segnalare le possibili carenze nelle competenze del personale coinvolto, che più è inesperto e più è disponibile a rischiare;
3. nella maggior parte dei casi è individuabile una inadeguatezza del sistema nella gestione del rischio clinico.
L’attenzione che noi poniamo nei confronti dei nostri piccoli utenti (± 50 pz/anno) ci porta a preferire ancora la loro gestione nella sala operatoria della chirurgia pediatrica, d’accordo con gli endoscopisti, con personale esperto in pediatria. Con tali numeri noi non riteniamo utile una discussione sui costi, anche tenendo presenti i necessari ribaltamenti, né tale argomento ha finora dato adito, almeno finora, a discussioni di budget dipartimentale pediatrico. Non riteniamo utile in questa sede una discussione sulle nostre preferenze farmacologiche (midazolam, propofol, remifentanil) perché ogni professionista deve coltivare e migliorare le proprie conoscenze.



Guido Caggese

UO Anestesia e Rianimazione Ospedaliera, Ferrara
venerdì 12/03/2010 10:39
Il commento, Marzo 2010

Caro Farnetani,

permettimi di dare una risposta molto banale al tuo quesito sulla mancata presenza dei pediatri italiani nei mass media e le mancate prese di posizione sulle questioni sollevate dall'arrivo della nuova pandemia.
I pediatri italiani (ma potrei scrivere analogamente dei medici di medicina generale) non hanno fatto sentire la loro voce semplicemente per mancanza di argomenti.
Se una cosa è emersa con chiarezza dagli avvenimenti appena trascorsi è la generale e diffusa mancanza di preparazione sulla materia, sia perché le informazioni non sono state trasmesse sia per mancanza di un approfondimento personale.
Illuminante in questo senso un articolo pubblicato su Eurosurveillance sulle fonti delle conoscenze riguardanti la pandemia da parte dei medici greci, interpellati mediante un sondaggio. Al primo posto sono risultati essere i mass media e, molto distanziati, letteratura scientifica e convegni medici.
I medici italiani, come i medici greci e probabilmente quelli di altri Paesi, non avrebbero potuto fornire punti di vista personali che non riflettessero quelli già ripresi dai media e per questo, opportunamente e pilatescamente, si sono astenuti.


Stefano Prandoni
prandot@libero.it

martedì 22/06/2010 14:54
Il commento, Marzo 2010
H1N1, pediatri e mass media
Fa bene l’amico e collega Federico Marchetti a invitarci a ricordare la vaccinazione per il virus H1N1 (Medico e Bambino marzo 2010) perché tale esperienza rappresenta un modello di comunicazione in medicina che va utilizzato per trarre linee metodologiche da utilizzare in futuro.
Il punto su cui riflettere è il rapporto fra pediatri e media.
Quando Marchetti dice che i media «… da qualcuno dovevano prendere informazioni…» ha indicato il centro del problema. Non andiamo a cercare grandi manovratori dietro i media o macchinazioni basate su teoremi. La realtà è più semplice: i media prendono informazioni da chi vuole o è in grado di fornirle. Le istituzioni, le associazioni, le industrie, hanno gli uffici stampa che servono a divulgare le notizie che interessano loro, ma a nessun giornalista sono sufficienti, perché l’articolo o il servizio è interessante quando ci sono più voci, soprattutto voci discordanti. Un esempio è la tradizione giornalistica del Corriere della Sera di affiancare gli articoli o le opinioni di persone che hanno idee contrarie, in modo che il lettore possa fare una propria valutazione. Noi medici siamo particolarmente avvantaggiati nel veicolare le nostre idee perché la salute è l’argomento che interessa maggiormente i lettori, e precede i temi di cronaca locale, tradizionale punto di forza dei media. I pediatri hanno una duplice possibilità di accesso ai media: parlare di temi di salute e avere una forte presenza locale, rappresentata, nei centri più piccoli, dal pediatra di famiglia, a livello intercomunale e/o provinciale dai pediatri ospedalieri e a livello regionale dai pediatri universitari. È una ramificazione perfetta che se venisse sfruttata potrebbe dare una notevole possibilità di veicolare le informazioni utili alla salute di bambini e adolescenti, infatti lettori e ascoltatori vogliono sapere cosa pensano i loro pediatri di riferimento.
Il problema è che quando i giornalisti cercano di intervistare i pediatri, nella quasi totalità dei casi avviene che o si negano o cercano di rispondere aggirando il problema, cioè eludendo la domanda. Il caso che segue è significativo e rappresenta una spiegazione di quanto affermato da Marchetti. Alla fine di ottobre 2009, mentre gli articoli sulla pandemia sembravano bollettini di guerra, fui contattato da un giornalista di una sede regionale della RAI che intendeva realizzare un servizio sulla vaccinazione H1N1 portando, con lo stile che dicevo in precedenza, un pediatra a favore e uno contrario alla vaccinazione di massa. Per chiarezza specifico che io fin dal mese di agosto avevo dichiarato ai media che la vaccinazione andava riservata solo alle categorie a rischio, ma non potevo essere intervistato perché non appartenevo a quella regione, per cui il pubblico si sarebbe disorientato. Gli indicai, come mi aveva chiesto, dieci nomi di colleghi che sapevo essere contrari alla vaccinazione di massa. Nonostante che questi colleghi, in occasione di vari congressi, si fossero apertamente dichiarati contrari alla vaccinazione di massa, nessuno volle essere intervistato, perché tutti dissero che si rifacevano alle linee guida della loro regione, in particolare la responsabile regionale di un’associazione di pediatri, contraria alla vaccinazione di massa, rispose al giornalista che lei parlava solo in ambulatorio ai propri pazienti. Se questi colleghi si fossero fatti intervistare, sarebbero stati quel «qualcuno» a cui si riferiva Federico. Invece il risultato fu che il giornalista si fece l’idea che tutti i pediatri della propria regione fossero a favore della vaccinazione di massa, pertanto che era giusto sostenere l’iniziativa perché si trattava di una pratica opportuna. Per completare il quadro ricordo che l’unico esponente disposto a parlare fu un rappresentante di un movimento contro tutte le vaccinazioni. Ecco come si crea la disinformazione.
Ricordiamo anche che ormai da anni, a metà settembre, viene lanciato l’allarme che l’influenza sarà “peggiore” dell’anno precedente, con un copione che si ripete puntuale, anche se, come è noto, non si può prevedere con tale anticipo l’andamento dell’epidemia che è condizionata sia dalla capacità infettante del virus sia dalla possibilità di trasmissione legata ai fattori meteorologici. Viene previsto anche il numero, in media 5 milioni di ammalati. In attesa di questa grande epidemia si raccomanda di vaccinarsi prima possibile. Questo copione si è ripetuto per anni e puntualmente l’epidemia è stata nettamente più lieve di quella annunciata. Ma anche in questa situazione pochissimi pediatri hanno parlato attraverso i media. Quello che è avvenuto nel periodo agosto-dicembre 2010 è stata la replica amplificata di un modello ripetuto da anni, con la costante dell’assenza della voce dei pediatri, non per disinteresse da parte dei giornalisti, ma per mancanza di comunicazione e risposta da parte dei pediatri.



Italo Farnetani
italo.farnetani@unimib.it
Pediatra e giornalista
venerdì 02/04/2010 12:34
Articolo speciale, Febbraio 2010
Imparare dall'errore
L’articolo “Imparare dall’errore” su MeB di febbraio 2010 è stato per me una lieta sorpresa. È ormai tempo che venga riconosciuta l’importanza di questo aspetto dell’attività clinica nella pratica professionale quotidiana. L’errore medico è inevitabile e va usato come fonte di conoscenza (1). È un patrimonio da tutelare e mettere a frutto, sistematizzando la capacità di imparare a capire come si verificano gli errori, per poterne commettere sempre meno (2). Dalla pubblicazione di “To Err is Human” (3) è stata fatta molta strada in questa direzione anche se, a onor del vero, tutto questo è successo soprattutto fuori d’Italia e in ambito ospedaliero (4). Eppure l’errore medico è frequente non solo in ospedale, ma anche nell’ambulatorio degli adulti e probabilmente ancor più dei bambini (5), anche se i dati sono ancora scarsi. Ho particolarmente apprezzato l’impostazione di etica individuale dell’articolo, scritto da un epidemiologo che sembra un filosofo, in particolare quando ricorda che il modello trionfalistico di una medicina che ha la “pillola” giusta per qualsiasi malattia è un modello perdente e al di fuori della realtà. Come medici dovremmo tenerlo presente nella pratica di ogni giorno. Ben vengano quindi articoli come questo per diffondere la cultura di “error friendliness” e l’abitudine all’”incident reporting”. Ma non basta diffondere, è necessario fare anche formazione sulla cultura del rischio clinico e della sicurezza e sull’approccio probabilistico, dovrei dire bayesiano, al processo diagnostico. Nella formazione pre-, post-laurea e post-specializzazione c’è molto da modificare in tal senso. Comunque qualcosa si muove: a marzo 2010 è stato pubblicato sul sito del Ministero della Salute un Manuale di Formazione sul rischio clinico nell’ambulatorio del MMG e del PdF (6), realizzato da un gruppo misto di tecnici, medici ed esperti, che vorrebbe essere un primo tentativo di diffondere i principi della cultura della sicurezza anche negli ambulatori sul territorio, con un approccio pragmatico, attraverso casi clinici pratici e raccomandazioni per l’uso quotidiano.


1. Popper KR. The Logic of Scientific Discovery, Routledge, 1959
2. Reason J. Human error: models and management. BMJ 2000;320:768-70.
3. Kohn L, Corrigan J, Donaldson M. To Err is Human: building a safer health system. Washington, DC: National Academy Press, 1999.
4. Brennen TA, et al. Incidence of adverse events and negligence in hospidalized patients. Results of the Harvard Medical Practice Study I. New Engl J Med 1991;324:370-6.
5. Miller MR, et al. Error management:Medication errors in paediatric care: a systematic review of epidemiology and an evaluation of evidence supporting reduction strategy recommendations. Quality and Safety in Health Care 2007;16:116-26.
6. http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1232_allegato.pdf



Laura Reali
laurareali@laurareali.it
Pediatra di famiglia, Roma
martedì 06/04/2010 09:54
Controversie, Marzo 2010
Re: Meno carie per tutti?

La contestazione rivolta al nostro articolo soffre a nostro giudizio di un’antica patologia, quella di catalogare l’importanza delle “evidenze” a proprio uso e consumo, a sostegno cioè delle proprie idee o convinzioni, anche se nella massima buona fede.
Accade così (ed è veramente curioso!) che la “scarsa evidenza scientifica dei documenti presi in esame per la formulazione delle LG” venga etichettata come “pretesto” mentre le “tangibili evidenze pratiche” dovrebbero prevalere e costituire prove inoppugnabili.
Ci spiace deludere il nostro appassionato contestatore, ma da vari decenni ormai tutto il mondo scientifico concorda invece nell’assegnare un basso livello di evidenza a tutte le (peraltro corrette) osservazioni da lui portate. Egli infatti esprime delle osservazioni interessanti ma non decisive. Ad esempio, “in alcuni Paesi, sospesa la fluoroprofilassi sistemica, si è assistito, nei 5 anni successivi, a un’importante recrudescenza della patologia cariosa”; “in alcuni Paesi dove viene applicata la fluoro profilassi sistemica, si assiste a una minor percentuale di carie”: trattasi di studi ecologici, forse privi di gruppo di controllo e generalmente considerati di scarso valore probatorio - non abbiamo la referenza bibliografica (che ci piacerebbe consultare) per poterlo affermare con certezza. Potremmo ribattere che in alcune regioni i bambini hanno bassa incidenza di carie, anche senza assumere il fluoro, ma non per questo concluderemo che il fluoro sia inutile; non possiamo infatti dimenticare l’importanza della genetica, dell’ambiente, dell’alimentazione, dell’educazione, ecc. Ecco perché servono studi ben disegnati e ben condotti e non bastano le osservazioni preliminari di gruppi più o meno soggetti alla carie, per trarre conclusioni corrette dal punto di vista eziologico.
Ancora: “in zone dove l’utilizzo di acqua a elevato contenuto in fluoro è diffuso si assiste a elevate percentuali di fluorosi, ma la carie è una patologia quasi sconosciuta” è pure un’affermazione basata su un’osservazione di tipo ecologico, che andrebbe confermata con studi osservazionali o sperimentali più adeguati; e comunque propone un inquietante interrogativo sul bilancio rischi/benefici (fluorosi vs carie…) e confermerebbe l’opportunità di una corretta e precisa anamnesi prima di intraprendere un’eventuale supplementazione di fluoro per via sistemica.
Quanto al fatto che “la presenza del fluoro nel cavo orale… può avvenire solo sciogliendo una compressa o somministrando gocce o masticando gomme, in quanto l’uso del dentifricio al fluoro limita l’effetto topico al solo periodo dell’igiene… ecc.” o che “il fluoro per via sistemica segue un percorso ben preciso che va a finire a vantaggio del dente” con innegabili vantaggi sulla carie, si tratta di affermazioni di tutto rispetto, ma prive di qualsiasi fondamento scientifico finché non saranno confortate da prove solide: continuiamo ad attendere i risultati di studi sperimentali che confermino che, dati due gruppi di bambini, uno trattato con fluoro per via sistemica, l’altro no, il primo mostri vantaggi misurabili e indiscutibili. Si tratta di studi non impossibili da condurre, ne sono stati condotti di ben più complicati e per patologie ben più impegnative!
La difficoltà di eseguire una corretta igiene orale da parte di bambini fino a 5 anni è abbastanza ovvia, come è ovvio che un bambino di 3 anni non riesce a lavarsi con cura da solo o non si soffia correttamente il naso se non viene aiutato dal genitore. L’igiene orale è un compito e una responsabilità del genitore che deve prendersi cura di questo come di altri aspetti di igiene e prevenzione dei propri figli: i pediatri italiani sono abituati a fornire e rinforzare periodicamente queste elementari ma importanti norme igieniche che non possono essere omesse o trascurate in virtù della “pastiglietta”.
Appaiono infine poco opportune altre note del nostro interlocutore. Se “il contenuto di fluoro di molte acque autorizzate al commercio supera o è pari alle dosi di assunzione raccomandate per la fluoroprofilassi sistemica”, verrebbe casomai da chiedersi se negli assuntori di queste acque la fluoroprofilassi sistemica non possa addirittura costituire intervento inutile o dannoso (aumentato rischio di fluorosi).
Anche il richiamo al vaccino antinfluenzale sembra parecchio “scivoloso” in un momento in cui si stanno fornendo delle evidenze robuste sulla scarsa utilità del vaccino stesso (si vedano le vecchie e nuove revisioni Cochrane).
Purtroppo non abbiamo familiari o parenti dentisti. Non sarà invece che il nostro interlocutore avrà qualche vantaggio dalla commercializzazione del fluoro?



Mattia Doria1, Roberto Buzzetti2
robuzze@gmail.com
1Pediatra di famiglia, Chioggia (Venezia); 2Epidemiologo, Rimini
venerdì 09/04/2010 11:53
Controversie, Marzo 2010
Meno carie per tutti?
Premetto che la mia “contestazione” ha tutta l’intenzione di intaccare la sostanza delle affermazioni dei dottori Doria e Buzzetti i quali, con il pretesto della scarsa evidenza scientifica dei documenti presi in esame per la formulazione delle LG, dimenticano altre tangibili evidenze pratiche che passo, in parte, a elencare (Medico e Bambino 2010;29:161-4).
In alcuni Paesi, sospesa la fluoroporfilassi sistemica, si è assistito, nei 5 anni successivi, a una importante recrudescenza della patologia cariosa (Australia, alcuni Paesi Scandinavi).
In alcuni Paesi dove viene applicata la fluoro profilassi sistemica, si assiste a una minor percentuale di carie.
In zone dove l’utilizzo di acqua a elevato contenuto in fluoro è diffuso si assiste a elevate percentuali di fluorosi, ma la carie è una patologia quasi sconosciuta (zone sarde, calabresi, vesuviane, catanesi).
La presenza del fluoro nel cavo orale (topica), che viene ritenuta dagli Autori più opportuna, può avvenire solo sciogliendo una compressa o somministrando gocce o masticando gomme, in quanto l’uso del dentifricio al fluoro limita l’effetto topico al solo periodo dell’igiene, in quanto il fluoro viene poi espulso con il risciacquo del cavo orale; quindi fluoro topico sì, se poi viene deglutito?!
Conoscono gli Autori bambini di età compresa fra 0 e 5 anni in grado di assolvere a una corretta igiene orale? Io so che neppure gli adulti riescono a condurla correttamente e per il tempo necessario.
Il contenuto di fluoro di molte acque autorizzate al commercio supera o è pari alle dosi di assunzione raccomandate per la fluoroprofilassi sistemica; quindi che facciamo?
In virtù di una presunta loro pericolosità ipotizzata dagli Autori le togliamo dal commercio?
Che il latte materno protegga da tutto è risaputo, ma siamo certi che un’indagine così difficile da portare a termine con il fluoro sia risultata così semplice e probante con il latte materno?!
Che il fluoro per via sistemica segua un percorso ben preciso che va a finire a vantaggio del dente è noto, che questo percorso non abbia alcun effetto sulla carie si può negare?
Non è mai stato facile dettare LG o codificare comportamenti generali, non solo in medicina ma in ogni altro settore; invece è sempre stato facile contestare. Lo abbiamo vissuto anche recentemente con le vaccinazioni.
Morti per influenza e complicanze alla stessa legate, tanti; per il vaccino e la pericolosità degli eccipienti… quanti?
Non sarà che in famiglia i nostri Autori si ritrovano familiari o parenti dentisti?!

Cordialità,



Ivano Bronzetti
ivanobronzetti@milte.it
Direttore Generale Milte Italia
giovedì 08/04/2010 14:29
Lettere, Marzo 2010
Obesity day
Come avevo previsto, dell'obesità non si parla più. 2 grandi studi di prevenzione/terapia di popolazioni a rischio elevato, bambine afro-americane, il GEMS Memphis e il GEMS Stanford, si sono chiusi con valutazioni negative dei loro splendidi risultati (Robinson TN, et al. e Kleges RC, et al. Arch Pediatr Adolesc Med. Nov 2010). I paesi dell'OCSE stanno definendo 3 progetti vincenti, capaci di dare risultati in poco tempo con meno di 1 euro a persona, sulla prevenzione nei Paesi poveri, dove obesità e comorbilità crescono senza che ci siano i mezzi per affrontarle (Cecchini M, Sassi F, Lauer JA, Lee YY, Guajardo-Barron V, Chisholm D. Tackling of unhealthy diets, physical inactivity, and obesity: health effects and cost-effectiveness. Lancet 2010;376:1775-84). Speriamo che almeno queste 3 strategie, affidate al governo, possano partire anche da noi. Mentre aspettiamo l'avvio delle strategie di comunità, cosa fare di quelle sul singolo individuo?

Rita Tanas
tanas.rita@tin.it
Pediatra, Ferrara
mercoledì 15/12/2010 17:34
Lettere, Marzo 2010
Obesità e PdF
La nuova situazione economica italiana e i tagli che si stanno attuando, purtroppo, rallenteranno ulteriormente un percorso di miglioramento ambientale di sostegno alla prevenzione dell'obesità. La mia Regione, per esempio, attualmente non si ineressa all'obesità e preferisce mirare alla cura degli Eating Disorder, che spesso sono da essa e dalla dieta scatenati o a essa associati. Non mi resta che sperare, e ringrazio i PdF di Reggio Emilia per l'impegno e il commento, che tutti i pediatri comincino o continuino a fare la loro parte, che ha un ruolo fondamentale. Se vogliamo che i nostri piccoli obesi diventino normopeso saremo sempre delusi e avviliti, se pensiamo che anche mantenere il peso o BMI percentile stabile con uno stile di vita un pochino più attivo di "tutta la famiglia" negli anni è un regalo di salute e benessere enorme, allora possiamo fare molto e otterremo molto.

Rita Tanas
tanas.rita@tin.it
Az Ospedaliero-Universitaria Divisione Pediatrica di Ferrara
giovedì 10/06/2010 07:58
Lettere, Marzo 2010
Obesità e PdF
Abbiamo seguito con vivo interesse i contributi di Rita Tanas e Franco Panizon, nei numeri di marzo e aprile di Medico e Bambino, sul complesso tema dell’obesità. Già Marina Vignolo in “Gestire il soprappeso nel bambino” (Il Pensiero Scientifico Editore 2008) segnala quanto i pediatri di famiglia poco si impegnino nel contrastare il soprappeso e l’obesità infantile presso i propri ambulatori, mentre i centri specialistici di secondo e terzo livello non riescono a far fronte alla quantità di richieste.
Non essendo in grado di produrre alcun giudizio su questa situazione, desideriamo contribuire, come suggerito da Panizon, con le nostre esperienze.

Tanas afferma giustamente che ci sono programmi di terapia dell’obesità di provata efficacia segnalando l’ultima metanalisi Cochrane e la systematic review della USPSTF. Tuttavia, Luttikhuis scrive chiaramente che il successo delle terapie è misurato su tempi eccessivamente brevi senza pertanto valutare il possibile e probabile rebound; il revisore invita, quindi, all’esecuzione di studi meglio disegnati. La task force americana, come sempre in maniera rigorosa, affermò nel non lontano 2005 che era inutile effettuare uno screening della popolazione infantile per l’obesità perché mancavano terapie efficaci. Oggi, invece, afferma che questo screening può essere fatto in quanto è presente qualche evidenza di efficacia. Anche in questa revisione, se leggiamo con attenzione, i pochi interventi validati per le cure primarie, sono sempre inficiati dalla breve durata del follow-up, mentre gli interventi terapeutici più significativi hanno richiesto più ore/settimana di impegno di professionisti addestrati (psicologi, medici, nurse) per molti mesi con l’eventuale impiego di farmaci: un approccio improponibile nelle Cure Primarie.

È giusto che nelle cure primarie il pediatra si educhi al BMI, lo sappia interpretare, usare e spiegare alla famiglia. E, forse, c’è ancora molto da compiere in questo senso, come confermato anche da una recente indagine su suolo americano (Pediatrics 2010;125:265-72).

Sappiamo per esperienza che la pratica prescrittiva, quando si deve intervenire su una modificazione degli stili di vita e su abitudini radicate, non solo non è efficace, ma diventa un vero e proprio spreco di energie e di tempo: una delusione per il professionista a causa degli scarsi risultati ottenuti, mentre la famiglia si distanzia dal medico. Cambiare il nostro modo di agire, spogliarci della nostra medicina basata sulla capacità di persuasione, offrire alla famiglia la disponibilità a discutere e a costruire un intervento condiviso, dove i genitori e il bambino investono le proprie energie nel cambiamento, è una sfida che i pediatri di Reggio Emilia si sono proposti di affrontare anche attraverso un percorso formativo specifico. Questo modello di approccio motivazionale, segnalato anche nella bibliografia dell’articolo firmato da Tanas, non si insegna nelle Scuole di Specializzazione in Pediatria dove, sottolineiamo, non si insegnano nemmeno le abilità e le competenze di un pediatra delle Cure Primarie. Crediamo che questo sia un punto fondamentale che meriti molta riflessione.

Tanas accenna alla fine del suo interessante articolo, che l’impegno del pediatra deve essere affiancato da una serie di iniziative legislative e “ambientali” che favoriscano quegli stili di vita che i pediatri nei propri ambulatori propongono. Il built environment è un tema continuamente affrontato nei nostri ambulatori, quando, insieme alla famiglia dobbiamo costruire una strategia possibile (Current Opinion in Pediatrics 2010;22:202-7). Ma quanti anni o decenni ci vorranno per una presa di coscienza dei nostri urbanisti e amministratori pubblici su questo tema cruciale?

Non so chi di noi pediatri ha visitato le fiere internazionali dell’alimentazione a Parma (Cibus) o a Milano (Tuttofood). Oltre a conoscere di growth chart e BMI dovremmo imparare a comprendere di più della moderna industria alimentare. Nell’ultimo numero di FOOD, mensile specializzato del settore, leggiamo di ampi margini di miglioramento nei consumi di beverage analcolico con target specifico verso le famiglia (succhi e bevande zuccherate, per parlarci chiaro), e per di più con un assaggio di ciò che avverrà con i tanto decantati fortified food o i functional food (patatine fritte con sale iodato, per esempio) dopo il disastroso risultato ottenuto dai light food. Con la consapevolezza dell’enorme potere persuasivo dell’informazione pubblicitaria rivolta ai bambini dove si spendono miliardi di dollari all’anno riuscendo a modificare anche le capacità percettive dei consumatori di pochi anni di età (Arch Ped Adolesc Med 2007;161:792-7).

Ci impegniamo, e continueremo a farlo, nel confrontarci con i genitori più in difficoltà, con scarse capacità educative e con scarsa alfabetizzazione, famiglie che non sono in grado di riconoscersi nello stato di disagio in cui versano, che non leggono e non si informano e che aspettano la risoluzione dei loro problemi con la medicina prescrittiva a cui sono stati ben abituati. Oltre a invitare a ridurre il consumo di TV, anche se l’offerta di nuovi canali televisivi per la famiglia è in continua ascesa, stiamo proponendo la lettura condivisa in famiglia e a leggere con i bambini, abitudine che è associata a una riduzione del BMI (J Am Diet Assoc 2003;103:1298-305), oltre che a migliorare lo stato di Literacy di tutta la famiglia, base necessaria per ogni moderno intervento di tipo sanitario.

“Un abuso per incuria” come afferma Rita Tanas dovrebbe essere associato, ad esempio, anche al frequente non uso delle cinture di sicurezza in auto per i bambini nonostante l’ampia evidenza del rischio e delle informazioni che quotidianamente offriamo. Colpa, quindi, del pediatra che non si è sentito “buon padre di famiglia” oppure c’è qualcosa d’altro da tenere in conto?

Combattere l’obesità significa riflettere sullo stile di vita occidentale, modello che sta sempre più allontanandosi dalla natura della nostra specie. Giusto, giustissimo l’impegno in prima linea del pediatra di famiglia. Ma non aspettiamoci da questa figura professionale la risoluzione di un problema così complesso od un effetto misurabile a breve o lungo termine sulla intera popolazione pediatrica. Un pensiero non credibile e nemmeno più accettabile. Non possiamo, tuttavia, non concordare con quanto dice Panizon, che consideriamo un punto di riferimento professionale e un caro amico: “Certo, sarà la famiglia a decidere, a capire, a fare” e noi, pediatri dovremo offrire l’opportunità a questa famiglia di mettersi nelle condizioni di poter scegliere nel modo più consapevole possibile, la propria strada da percorrere.



Costantino Panza, Maura Caracalla, Anna Maria Davoli, Annarita Di Buono
costpan@tin.it
Pediatri di famiglia
martedì 01/06/2010 11:29
Lettere, Marzo 2010
Prevenire è meglio che curare
Per il 5 giugno prossimo a Salerno è stata organizzata una giornata di formazione per PdF su Obesità e S.Metabolica. Ci lasceremo ispirare dalle parole del Grande Maestro, Professor Panizon, e, insieme a ciò che comunque si deve sapere sull'argomento, cercheremo di far passare ai colleghi il messaggio che l'educazione delle famiglie alla prevenzione può essere più esaltante rispetto alla frustrazione del tentativo spesso vano, seppure necessario, di curare. Mai come in questo caso l'impegno dei pediatri può incidere sulla società e sulla salute delle prossime generazioni.



Paola Crisafulli
paola.crisafulli@tin.it
FIMP Salerno
lunedì 24/05/2010 22:19
Lettere, Marzo 2010
Obesità
Gli ambulatori dell'obesità infantile, che cercano gli "errori nutrizionali" e così colpevolizzano la famiglia e le poche donne coraggiose che ancora fanno e accudiscono i loro bambini, aumentano i conflitti. Poi consigliano o prescrivono la dieta: sono ambulatori tristi e consapevoli di poter solo fallire. I pediatri che hanno provato a fare la stessa cosa nei loro ambulatori, da soli senza l'aiuto degli specialisti, stanno rifiutando persino il finanziamento delle Regioni che lo hanno previsto, pur di allontanare questa tristezza. Gli specialisti, a loro volta, appena possono passano l'ambulatorio "obesi" all'ultimo pediatra assunto, che non può dir di no! È tempo di fare cose diverse. L'ambulatorio Obesità deve imparare a spogliare le famiglie dalle colpe (che paralizzano) e a gestire e risolvere i conflitti per far nascere nuove alleanze e cosi percorsi fattibili per la vita e persino piacevoli. Lei, prof Panizon, è ancora molto amato e ascoltato da moltissimi pediatri, e penso che possa fare molto e già lo sta facendo, La vorrei nel mio ambulatorio per una mattina...



Rita Tanas
tanas.rita@tin.it
Pediatria Ospedaliera Ferrara
martedì 11/05/2010 08:31
Lettere, Marzo 2010
Re: obesità
Non si può, e a mio avviso non si deve, "restare già contenti" di una soluzione che riguarda un numero limitato di bambini. Certo, io so che ogni persona può fare solo il SUO: ma provi a pensare come sarebbe stato se la campagna contro la SIDS fosse stata accettata solo da 10, 100, 1000 pediatri? Così è per l'obesità: secondo me è un problema doveroso per 15.000 pediatri. Che se non lo sentono non sono nemmeno dei BUONI PEDIATRI.
Cosa Le devo dire? Penso proprio così. Quanto ad aiutarla? Volentieri, ma come? Sono ormai solo un povero vecchio.
Un abbraccio,



Franco Panizon
redazione@medicoebambino.com
Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo, Università di Trieste
lunedì 03/05/2010 14:56
Lettere, Marzo 2010
obesità
Gent Prof Panizon,
volevo solo aggiungere che anch'io ritengo che alla fine noi due la pensiamo proprio alla stessa maniera. L'unica differenza è che Lei può fare programmi per i PdF, io non ho questa autorità e, quindi, cerco di capire, e persino giustificare, i pediatri che non si comportano come vorremmo entrambe e come dovrebbe fare un buon padre di famiglia. Solo così credo di poter cambiare "con" loro un atteggiamento, che non posso accettare, perché fa un numero di danni pazzesco a tanti piccoli innocenti. Far diventare un ragazzino di 13 anni 120 kg, e ne ho visti tanti, ancora legalmente non imputabile delle sue azioni, mi sembra una violenza o almeno un abuso per incuria. Il responsabile della FIMP di Napoli, che ha fatto la formazione a Ferrara con me, sta cercando di far partire un progetto di cura precoce dell'obesità infantile a Napoli o se siamo fortunati in Italia. Io sono già contenta così, se posso lo aiuto... perché non ci da una mano anche Lei?



Rita Tanas
tanas.rita@tin.it
UO Pediatria Ferrara
giovedì 08/04/2010 22:22
Lettere, Febbraio 2010
Pandemie
Trovo largamente condivisibile la risposta del prof. Panizon alla lettera pubblicata nel numero di febbraio (Medico e Bambino 2010;29:81-4), in cui sottolinea come la paura della malattia alimenti da una parte sempre più bisogni e dall’altra crei dipendenza da varie forme di potere. Quello su cui non sono d’accordo è considerare la attuale (non ancora finita) pandemia un evento da ricondurre nell’ambito dei problemi che ordinariamente affollano con i loro bisogni fittizi i nostri studi medici. Cercherò di spiegare il razionale della mia affermazione. Grazie al progresso della scienza medica molte malattie sono state debellate o rese quasi inoffensive, facendo venire in primo piano i pericoli rappresentati dalla sconsiderata gestione delle risorse fisiche e ambientali del nostro pianeta. In tale ambito vanno ricondotti anche i rischi di nuove epidemie potenzialmente pericolose per il genere umano. Nelle ultime due decadi sono state riportate almeno 45 malattie che sono passate dall’animale all’uomo, probabilmente a causa degli squilibri ambientali, del riscaldamento globale e della progressiva urbanizzazione del pianeta. L’intensificazione dei sistemi di allevamento, l’esponenziale aumento dei commerci e degli scambi di animali, in assenza di adeguate misure di sorveglianza che stiano al passo della forte accelerazione impressa allo sfruttamento di questo tipo di risorse, rappresentano oggettivamente una minaccia anche sotto il profilo epidemiologico. La recente pandemia, dovuta ad un riassortimento di virus di diversa origine, suino, aviario e umano, con componenti suine in parte nordamericane e in parte euroasiatiche, pur avendo avuto fino a questo momento un andamento moderato, con esiti molto al di sotto di quelle che erano le paventate attese, non deve farci considerare questo tipo di minacce solo come frutto di politiche spregiudicate di fear mongering. Non dimentichiamo che in parti del mondo a noi solo geograficamente lontane, risulta ancora incombente la minaccia dell’influenza aviaria, i cui casi risultano in aumento (in particolare in Vietnam ed in Egitto) e che rimane gravata da un livello di mortalità molto elevato. L’ipotesi di un rimescolamento dei due virus non appare così remota e ha avuto una conferma sperimentale che getta luci inquietanti sui rischi che tale incrocio potrebbe comportare.
Con questo non voglio auspicare uno stato di allarme continuo, che finirebbe per essere logorante e poco produttivo. Ma ritengo che una attiva vigilanza insieme con una adeguata preparazione debbano costituire elementi decisivi per le politiche sanitarie dei prossimi anni. In fondo è quello che si cerca di realizzare con altri eventi catastrofici come terremoti e uragani. Con la banalizzazione dell’epidemia di suina si sta perdendo l’occasione di iniziare da subito a costruire questo percorso.
Le organizzazioni sanitarie hanno dimostrato in larga parte di essere impreparate a gestire minacce ben più pericolose di quella affrontata fino ad adesso. Elenco quelli che, a mio avviso, sono i punti carenti e su cui sarà opportuno lavorare per realizzare un vero sistema integrato di vigilanza e di preparazione.
Creazione di un sistema di sorveglianza transnazionale di quelle che sono le dinamiche dell’evoluzione genetica dei virus nei passaggi tra specie diverse per identificare precocemente mutazioni e configurazioni genetiche con potenziale pandemico o di virulenza, come auspicato da Ilaria Capua e Giovanni Cattoli (One flu for one health, EJD volume 16 numero 4 Aprile 2010).
L’individuazione di modalità che consentano la rapida trasmissione delle conoscenze che vengono acquisite sul campo da parte di ricercatori di diverse parti del globo. In situazioni in cui si verifica l’emergere di minacce nuove, di cui si ha scarsa esperienza, nuove acquisizioni e scoperte tendono a susseguirsi a ritmo incalzante e i tempi di attesa delle pubblicazioni scientifiche nelle principali riviste internazionali sono troppo lunghi. La piattaforma ideale in questo senso è il web, attraverso portali specificamente dedicati.
La realizzazione di un piano pandemico che non sia preconfezionato e calato dall’alto e che non sia basato solo sulla preparazione di vaccini (spesso tardivi) o sulle scorte dei farmaci (non sempre efficaci). Tale piano deve essere discusso e redatto da un tavolo a cui partecipano tutte le figure coinvolte nella gestione di emergenze, in un ventaglio che vada dai responsabili delle istituzioni ai rappresentanti medici delle ulss, da epidemiologi e virologi ai medici territoriali che si trovano in prima linea. Il piano deve essere costantemente aggiornato e sottoposto a verifica. Utile prevedere a livello locale delle “esercitazioni” periodiche su modello di quelle della protezione civile.
L’istituzione di un sistema internazionale per la produzione di vaccini che non faccia profitti osceni prima che si metta in opera, che non possa permettersi di essere inefficiente nella produzione, che garantisca una equa distribuzione geografica e utilizzi le tecnologie più recenti sotto licenza pubblica. (Revere http://scienceblogs. com/effectmeasure/2010/01/who_prepares_to_don_a_hair_shi.php).
L’acquisizione della fiducia della popolazione in un tempo in cui la gente risulta essere sempre più diffidente e sempre meno crede nelle istituzioni. Questo può essere realizzato riconoscendo l’importanza di cambiare il modo di comunicare con i pazienti individuali e con la gente e l’importanza di essere disponibili ad ascoltare i reali problemi che determinano l’accettazione o il rifiuto degli interventi pubblici. (Larson HJ, Heymann DL. JAMA 2010;303:271-2).
Se l’esperienza di questa pandemia ci fornirà l’occasione per una riflessione e un ripensamento del modo di prepararsi a simili eventi non sarà stata vissuta invano.
Concludo con una frase di Richard Wenzel, professore di malattie infettive alla Virginia University: “la lotta tra l’uomo e gli agenti patogeni fa parte della vita stessa. Non possiamo restare sorpresi ogni volta che un nuovo virus emerge!”.
Dobbiamo invece imparare la lezione della recente pandemia di H1N1 per sviluppare risposte più efficaci di Sanità pubblica.



Stefano Prandoni
prandot@inwind.it
Pediatra di famiglia, Valdagno (Vicenza)
mercoledì 14/04/2010 15:32
Contributi Originali - Ricerca, Marzo 2010
Un buon esempio
In un recente incontro su "Tubercolosi e micobatteriosi in età pediatrica" tenutosi a Milano pressi l'Istituto Sacco a cura dell'AIPO (Associazione dei Pneumologi Ospedalieri) è stata formalizzata la proposta di individuare "Centri" regionali o provinciali di riferimento per la valutazione del bambino immigrato/adottato. Credo che la vostra esperienza dimostri egregiamente come una prima valutazione di questi bambini, per la sua essenzialità e per tante motivazioni di ordine pratico, possa e, a mio avviso, debba essere fatta il più perifericamente possibile, in ospedali di rete o anche da un pediatra di famiglia collegato a un laboratorio di buon livello. La "centropatia" mi preoccupa sempre molto e cose di buon senso si possono fare benissimo senza medaglie o etichette particolari. Complimenti per la Vostra attività.



Italo Marinelli
italomarinelli@gmail.com
Pediatra ospedaliero
lunedì 19/04/2010 16:13
Editoriali, Giugno 2010
Pediatria di famiglia
Gent.mo prof. Panizon,

non è la prima volta che tiptappeggio sulla tastiera per rispondere a un Suo editoriale sul “nostro” MeB (sono abbonato della prima ora); in realtà più che risponderLe dico la mia, stuzzicato dalle Sue argomentazioni sulla Pediatria di famiglia, stuzzicato e motivato dal fatto che io sono un Pdf e ritengo che forse della Pdf un Pdf possa e debba dire qualcosa nel rispetto del ruolo e delle esperienze lavorative di tutti.
Infatti non parlerò, perché non mi compete, di quanti Punti Nascita o Reparti di Pediatria sono stati creati negli anni per rispondere non certamente solo a criteri legati ai bisogni assistenziali che si alimentano proprio di quei ricoveri impropri dei quali Lei parla (infatti non sarà certo un pdf a disporre un ricovero di un bambino) se non degli accessi impropri ai PS (infatti posso portarLe esempi di PS che “sollecitano” la popolazione all’accesso anche per la prescrizione di ricette o che ostacolano l’effettuazione di servizi territoriali filtro), come non parlerò dell’Università, dove la spocchia baronale non è certo finita con il ’68.
Ma io,come ho detto, sono un pdf e guardo alla mia professione e leggendo quanto lei afferma sul “gradimento” del proprio mestiere (quello del gradimento dei propri utenti è legato alla scelta del proprio pediatra che cambiano se insoddisfatti) penso che sia dovuto in buona parte alla crescita categoriale nel suo complesso, guidata sia negli aspetti normativi ma anche professionali da una Federazione (la FIMP) che raccoglie la stragrande maggioranza delle adesioni.
Parlo della Federazione nazionale senz’altro ma soprattutto di quelle regionali e provinciali, veri motori di attività di aggiornamento oltre che di scambi esperienziali, cresciute sempre più negli ultimi dieci anni in qualità e quantità e non dico questo pro domo mea o per misconoscenza, ci sono dentro io come tanti altri colleghi fino al collo da mane a sera, fino a un sabato di luglio come ora dove sto ticchettando in risposta al Suo editoriale.
Questo NON ha un Pediatra Ospedaliero e tanto meno un Pediatra Universitario che forse (forse) ha una Società Scientifica che ne spalleggia l’aggiornamento specifico (spesso) ma mai riesce a legare aspetti lavorativi più ampi; anche qua ho competenza in materia essendo iscritto almeno a una mezza dozzina di società scientifiche.
E di questo si sono accorti proprio quei Pediatri Ospedalieri (e Universitari, meno in verità, ci pensi un po’ su sul perché…) che a frotte arrivano sul territorio per coprire le zone carenti create dove a loro conviene con, secondo me, grave nocumento all’Ospedale stesso (perdita di competenze) e anche alla Pdf impedendo un ricambio generazionale tanto opportuno.
Forse escono ammiraggiati da un lavoro più “facile” (ben presto cambiano idea, creda a me che ne incontro vari) con meno stress (forse, ma l’altro mese un collega ex ospedaliero è diventato ex pdf scegliendo più comode ore consultoriali) ma questo è un problema da burn out ospedaliero di cui i Direttori Sanitari dovrebbero prima o poi occuparsi.
Sulle necessità assistenziali non posso che concordare con Lei, ma tenga presente che alcuni aspetti comportano scelte concordate fra tecnici (medici) amministratori e politici, solo così si possono avere risultati: pensa davvero che una Pdf organizzata possa fare concorrenza ad un accesso al PS gratuito 24 ore su 24 per un codice bianco o verde? E perché mai un non-bisogno assistenziale non deve andare al PS ma da un pdf che apra il proprio ambulatorio per un orario analogo? Se è un non-bisogno…..
Sull’uso di antibiotici (sono “in quota FIMP” fra i firmatari delle recenti LG sull’OMA emanate dalla SIP) dei PPI (sono tra i firmatari, in quota FIMP, di un documento ligure che sarà pubblicato sulla rivista di Gastroenterologia Pediatrica a breve, chiaramente il tutto è merito in primis degli amici ospedalieri e universitari della cui amicizia e collaborazione mi onoro) e degli steroidi inalatori che Lei cita come esempi di cattiva prescrizione organizziamo percorsi formativi con i colleghi (a Genova il 98% dei pdf è iscritto FIMP e l’80% frequenta stabilmente i nostri incontri mensili) che può vedere elencati sul sito www.apel-pediatri.it, anche su argomenti “nuovi” che l’Università di oggi non tocca nemmeno di sfuggita (incidenti, dislessia, maltrattamento, inquinamento.…).
E allora, dirà Lei, quali risultati?
Sarebbero migliori se da un lato il datore di lavoro (il SSN) fosse un assiduo controllore dell’operato qualitativo dei Pdf che in fondo considera estranei al sistema perché non dipendenti e perché scarsi ordinatori di spesa complessiva, e se, dall’altro, i colleghi Ospedalieri (spesso con attività privata sul territorio) e Universitari (anch’essi liberi professionisti sul territorio) collaborassero maggiormente con noi sia per gli aspetti educativi sia per abbattere (sono Sue parole che condivido appieno) quella “ gelosia di mestiere, e di appartenenza, e anche una ricerca del potere, che forse fa abbastanza più male che bene”.
Clicco “invio” e apro l’ombrello...



Giorgio Conforti
redazione@medicoebambino.com
FIMP Genova
lunedì 05/07/2010 11:59
Lettere, Maggio 2010
Risposta a Prandoni
Caro Stefano,
dici di non ricordare esposizioni sbilanciate; io ho ricordi diversi. Dato che giustamente i miei ricordi non fanno testo, bisogna ricorrere a documenti scritti.

La Newsletter Fimp del 4 agosto 2009 è molto chiara e fornisce indicazioni precise: riporto alcune affermazioni letterali aggiungendo tra parentesi il mio commento.
[...]
- Dovremo sottolineare che non necessariamente la NI sarà più grave dell’IS (infatti si conoscono già alcuni dati epidemiologici tranquillizzanti rispetto all'allarme generale)
- La raccomandazione a vaccinare bambini e gestanti dovrà superare perplessità riguardanti la sicurezza (a questa data non è ancora disponibile nessun serio studio di sicurezza)
- Le richieste di vaccinarsi potrebbero superare la disponibilità di vaccino (e infatti le "uscite" mediatiche avranno accelerazioni o frenate in base alla disponibilità dello stesso)
[...]
Da queste osservazioni deriva la scelta di FIMP di inviare informazioni il più possibile precise a tutti.

Raccomandazioni per la nuova influenza.
Ogni Regione sta emanando proprie direttive per le priorità della vaccinazione per la NI (Nuova Influenza). È augurabile che i bambini e adolescenti sani da 1 anno a 18 anni (a 26 anni per il Ministro Fazio) siano compresi fra le categorie da vaccinare e vengano presi in considerazione prima delle persone = 65 anni.
Una possibile priorità potrebbe essere:
1) addetti alla Sanità.
2) categorie di grande importanza sociale: pompieri, polizia, altri.
3) categorie a rischio di complicazioni, per situazioni cliniche, di qualsiasi età.
4) bambini e adolescenti sani da 1 a 18 anni.
5) persone = 60 anni.
6) altri (credo che con ciò sia evidente e dimostrato che già all'inizio di agosto la Fimp sia fortemente schierata per la vaccinazione universale).

Raccomandazioni per l’influenza stagionale.
.... Tutti i bambini di età compresa fra 6 mesi e 18 anni dovrebbero essere vaccinati annualmente (tale indicazione è fedelmente riportata nei calendari proposti dalla Fimp)....
Allego anche una dichiarazione (di nuovo letterale) fatta dal supervisore del progetto Fimp sulla Nuova Influenza, prof. Bartolozzi, in uno dei tanti forum sul tema; la dichiarazione credo che sia da considerare pubblica, vista la provenienza da un forum, e ufficiale anche per la Fimp, vista la ufficialità del ruolo e i riscontri nelle ricordate proposte di calendario vaccinale fatte dalla Fimp.
“Ricordiamo inoltre che il nostro obiettivo ultimo di pediatri deve essere quello di ottenere la vaccinazione universale per tutti i bambini sani, anche per la stagionale, come è stato stabilito per la pandemica. Se questo nostro desiderio passasse non ci sarebbe più bisogno di avere della categorie a rischio per patologia, esisterebbe solo un rischio complessivo per età (6 mesi-10 anni per esempio). Quanto è stato deciso per la pandemica dovrebbe essere usato come "grimaldello" per ottenere la vaccinazione universale per la stagionale d'ora innanzi, come negli Stati Uniti.
In fondo già lo scorso anno nel Calendario FIMP era prevista la vaccinazione universale per l'influenza da 1 a 6 anni: si tratta solo di allargare l'indicazione.”

E potrei ricordare dichiarazioni poi sconfessate sulla chiusura delle scuole e ancora tante altre cose, ma sono appena tornato dalle vacanze e mi sento in pace con il mondo, per cui mi interessa di più essere propositivo: perché la Fimp non si apre al dialogo? Ho già fatto questa proposta ai massimi vertici della organizzazione proprio nel pieno del vortice mediatico sulla pandemia offrendo collaborazione presupponendo che potesse essere utile un apporto di idee "alternative". Credevo (e credo) che guardare la realtà da punti di vista diversi potesse essere costruttivo; credevo (e credo) che la dialettica sia la base della conoscenza; purtroppo sono ancora in attesa di una risposta.

Riguardo agli USA:
- non è detto che abbiano ragione loro;
- sono un grande Paese diverso dal nostro.

Spero di averti risposto, cordialmente,



Rosario Cavallo
redazione@medicoebambino.com
Pediatra di famiglia, Salice Salentino (Lecce)
martedì 17/08/2010 12:58
Lettere, Maggio 2010
Società scientifiche e pandemia
Caro Rosario Cavallo,
tu additi le società scientifiche operanti in Italia come (in parte) responsabili della disinformazione riguardo la pandemia di influenza e delle scelte che tu e molti altri ritenete dissennate e causa di sperpero di denaro pubblico e di tradimento della fiducia della popolazione.
Da osservatore attento di tutta la vicenda, non ho ricordi di una esposizione così sbilanciata delle stesse, la cui iniziativa mi è parsa semmai improntata a forse eccessiva prudenza e a molti tentennamenti, con prese di posizione sconfessate magari il giorno successivo.
Forse ti riferisci a documenti, come quello congiunto della FIMP e dei medici igienisti del 13/11/2009 (http://prontosoccorso.eumed.org/area-pubblica/2839/pediatri-igienisti-sicurezza-vaccino-nuova-influenza-a-h1n1/), in cui si cercava in realtà di fare un po’ di chiarezza in mezzo al turbinio di notizie incontrollate e si invitavano gli operatori sanitari ad avere un atteggiamento coerente con il loro ruolo e consapevole delle proprie responsabilità di fronte alla pubblica opinione.
Ma, in attesa di qualche chiarimento da parte tua, vorrei chiederti cosa ne pensi dell'appello rivolto al popolo americano da parte, in questo caso, di tutte le principali società scientifiche americane, come, per citarne una, l'American Academy of Pediatrics, in cui a gennaio del 2010 (quindi a epidemia in larga misura trascorsa) si invitava la popolazione ad avvalersi della vaccinazione per proteggere i singoli e l'intera comunità con queste parole:
“We especially encourage people with underlying health conditions, pregnant women, children, young adults, caretakers of infants, and health care workers to get vaccinated against H1N1. Unlike the seasonal flu, H1N1 has hit children, young people, and adults under age 65 exceptionally hard. That is why we encourage you to get the H1N1 vaccine as soon as possible.
Fighting the flu is a shared responsibility. We ask you to join us in this fight to protect yourself and your community by getting the H1N1 flu vaccine.”
(http://www.cdc.gov/h1n1flu/open_letter_h1n1_vaccine.htm).



Stefano Prandoni
prandot@inwind.it
Pediatra di famiglia
mercoledì 21/07/2010 19:12
Lettere, Maggio 2010
Pandemia influenzale e mass media
La lettera di Farnetani sulla pandemia vista nella prospettiva della (in)capacità di rapportarsi con i Media (Medico e Bambino 2010;29:283) mi induce a una risposta; la scarsa propensione dei pediatri a gestire la comunicazione di massa avrebbe reso parziale l’informazione sull’attesa grande pandemia perché avrebbe privato i mezzi di informazione di un contraddittorio su temi a carattere scientifico che toccava a noi operatori del settore fornire.
Secondo me questo è vero, ma solo in parte; non voglio difendere atteggiamenti pilateschi di chi avrebbe espresso determinate convinzioni in ambiti ristretti rifiutando di difenderle in pubblico, ma questa non è la regola e comunque credo che ci siano responsabilità molto maggiori da rilevare.
C’è stato un momento in cui ci voleva un bel coraggio a esprimere dubbi ed eccezioni rispetto a misure presentate come drammaticamente necessarie da ministri, opinion leader, grandi esperti, Società scientifiche; nonostante ciò, non è che proprio fosse impossibile trovare chi dimostrava di avere quel coraggio e cercava di esaminare la questione col proprio libero pensiero (e questo libero pensiero lo esprimeva coerentemente) e non col filtro dell’ideologia o dell’interesse o della visibilità; basta pensare proprio alla rivista Medico e Bambino, che ha intrapreso questa strada faticosa; ma penso anche ai vari T. Jefferson o L. Grandori che sono stati “scoperti” dai Media (e solo da una parte di questi) soltanto quando il vento è cambiato e ormai il grande flop era evidente.
Ma se quei colleghi indicati da Farnetani hanno la colpa (e anche io credo si tratti di colpa) di non essersi voluti esporre al rischio mediatico remando contro corrente, cosa dire invece delle responsabilità di quelle società scientifiche che dovrebbero per definizione guidare la formazione professionale di noi operatori sanitari e che invece di cercare le verifiche più scrupolose possibili hanno ritenuto meglio dispiegare le vele al vento della maggiore visibilità possibile? Si tratta delle stesse che, come dice senza nominarle lo stesso Farnetani, ... da anni lanciano l’allarme di epidemie di influenza sempre peggiori con un copione che si ripete sempre puntuale... legittimando quindi il sospetto che parlino in difesa di una posizione ideologica piuttosto che pragmaticamente scientifica.
Ecco allora che in una scala di responsabilità, per analizzare i motivi di un’informazione parziale, occorre tirare in ballo sia i Media sia quella parte degli operatori che ha ancora una volta ripetuto lo stesso copione; infatti non è vero, come conclude Farnetani, che c’è stata la replica amplificata di un modello ripetuto da anni, con la costante assenza della voce dei pediatri, perché alcuni pediatri (e sempre gli stessi) sono comparsi in continuazione sugli schermi della comunicazione di massa per riproporre sempre più insistentemente quello stesso copione.
E questo significa che ci sono stati alcuni giornalisti che quello schermo hanno offerto loro e solo a loro.
E ora io mi chiedo: come mai nessun dubbio sulla pandemia è stato manifestato da quelle Società scientifiche?... e ancor di più mi chiedo: come mai ancora adesso nessuno è andato a chiedere loro conferma o smentita delle opinioni riversate da tutti gli schermi sugli italiani pazienti o pediatri che fossero? Come mai continuano a chiedere la vaccinazione antinfluenzale (parlo della stagionale) di tutti i bambini e nessuno riesce a fare in modo che ci sia un confronto scientifico sulle prove di efficacia della stessa? Come mai approvano un ennesimo ulteriormente allargato calendario vaccinale senza cercare un minimo confronto dialettico, ma discutendo solo tra chi ha la stessa opinione, proponendo ancora di più per chi ha già tutto e continuando a non interessarsi al modo di raggiungere i non raggiunti? Come mai nessuno chiede loro informazioni sui vantaggi che certe “nuove” vaccinazioni di massa hanno prodotto sulla salute degli italiani rispetto al dispendio di risorse che hanno richiesto?
Purtroppo, caro Farnetani, la regola è che il rapporto con i Media non rispetta sempre lo schema limpido che hai prospettato: il giornalista cerca la fonte attendibile per diffondere la notizia preoccupandosi di assicurare un buon contraddittorio; le fonti sono sempre scrupolose nel fornire i dati tecnici; il pubblico riceve informazioni attendibili. Purtroppo il circuito può essere meno virtuoso: il giornalista può essere attratto dalla tentazione di dare spazio maggiore alla notizia più “appetitosa”; la fonte può essere distratta da interessi di visibilità o di coerenza ideologica; al pubblico arriva una informazione... come quella che siamo purtroppo abituati a vedere.



Rosario Cavallo
redazione@medicoebambino.com
Pediatra di famiglia, Salice Salentino (Lecce)
lunedì 19/07/2010 17:25
Farmacoriflessioni, Maggio 2010
Ceftriaxone
Abbiamo letto con interesse l’articolo di F. Marchetti1 sull’uso del ceftriaxone in Italia, e condividiamo l’opportunità di attirare l’attenzione su un argomento vitale quale l’utilizzo razionale dei farmaci antibatterici. Concordiamo con le considerazioni dell’autore riguardo ai rischi di un utilizzo errato degli antibiotici (e del ceftriaxone nel caso specifico), riteniamo però utile spostare l’attenzione su un altro aspetto del problema.
L’utilizzo di un antibiotico è per definizione un fattore favorente l’insorgenza di resistenze batteriche allo stesso farmaco e ad altre molecole più o meno correlate. Il rischio è tanto più alto quanto più l’utilizzo è scorretto riguardo a indicazioni, dosaggi e vie di somministrazione. Il diffondersi di ceppi batterici resistenti agli antibiotici rappresenta un problema clinico importante che condiziona in maniera rilevante le opzioni terapeutiche disponibili. Va tenuto presente che la ricerca farmacologica in campo antibatterico è attualmente piuttosto stagnante, con poche molecole nuove all’orizzonte (soprattutto verso i gram negativi). Ne consegue la necessità di tenersi cari gli antibiotici disponibili, ritardando il più possibile la diffusione di ceppi resistenti.
Per venire al caso specifico, l’utilizzo del ceftriaxone (e di tutte le cefalosporine) rappresenta, insieme all’uso dei fluorochinoloni, il primo fattore di rischio per l’insorgenza di Enterobacteriacae produttrici di beta lattamasi a spettro esteso (ESBL)2, enzima che conferisce resistenza a tutte le cefalosporine e che, in molti casi, è associato a resistenza ad altre classi, quali chinoloni, aminoglicosidi, trimethoprim/sulfametossazolo, tetracicline3. È stato dimostrato come la prevalenza di ceppi produttori di ESBL è proporzionale all’utilizzo delle cefalosporine di terza generazione, e come una limitazione al loro utilizzo è in grado di ridurre l’incidenza di ceppi resistenti4.
Non stiamo parlando di uno scenario ipotetico e lontano, ma di una situazione già presente che condiziona le strategie terapeutiche e l’esito di infezioni nosocomiali e comunitarie. In alcune casistiche, ormai datate di qualche anno, sono state registrate percentuali di E. coli o Klebsiella spp produttori di ESBL attorno al 10%5, ed è probabile che negli ultimi anni la percentuale sia in aumento.
Diventa quindi indispensabile uno sforzo comune per migliorare la qualità della nostra prescrizione antibiotica, nel bambino come nell’adulto; in quest’ottica troviamo assolutamente condivisibili e da incoraggiare le proposte fatte da Marchetti, che potrebbero rappresentare un primo passo di un percorso virtuoso dal quale avremmo da guadagnare tutti, pazienti, medici e sistema sanitario.

Bibliografia
1. Marchetti F. Uso del ceftriaxone in Italia: inappropriata e non esente da rischi. Un’occasione per cambiare. Medico e bambino 2010;29:315-6.
2. Zahar JR, Lortholary O, Martin C, Potel G, Plesiat P, Nordmann P. Addressing the challenge of extended-spectrum beta-lactamases. Curr Opin Investig Drugs 2009;10:172-80.
3. Falagas ME, Karageorgopoulos DE. Extended-spectrum beta-lactamase-producing organisms. J Hosp Infect. 2009;73:345-54. Epub 2009 Jul 10.
4. Patterson JE. 426S Antibiotic Utilization: Is There an Effect on Antimicrobial Resistance? Chest 2001;119;426S-30S.
5. Coque TM, Baquero F, Canton R. Increasing prevalence of ESBL-producing Enterobacteriaceae in Europe. Euro Surveill 2008;13(47):pii 19044. Review. Erratum in: Euro Surveill 2008;13(48):pii 19051.



Paolo Della Loggia, Marta Vidus Rosin
redazione@medicoebambino.com
UCO Medicina Clinica, AOU Ospedali Riuniti, Trieste
venerdì 23/07/2010 11:05
La pagina gialla, Giugno 2010
Vera pandemia o bufala?
Secondo i detrattori, la pandemia da H1N1-2009 non ha le carte in regola per essere definita tale e l’OMS avrebbe compiuto una forzatura, modificando i criteri che la definiscono a ridosso della proclamazione. Ma tale ricostruzione è un falso che purtroppo ha avuto eccessiva eco mediatica fino a trovare risonanza in rispettabili riviste scientifiche. Il lavoro di elaborazione del piano di preparazione pandemico, compresa la definizione dei criteri, è iniziato nel 2007 e si è concluso con il testo definivo di febbraio 2009, diversi mesi prima della comparsa del nuovo virus (http://www.who.int/mediacentre/news/statements/2010/letter_bmj_20100608/en/index.html). A essere cambiata è stata solo una tra le decine di pagine presenti sul sito dell’OMS in cui si illustravano, con un occhio rivolto all'influenza aviaria, i rischi di una possibile pandemia devastante, su modello di quella del 1918.

Vincent Racaniello, uno dei più stimati virologi americani, professore alla Columbia University, inizialmente ha espresso posizioni molto caute e ha messo in discussione l’esistenza stessa della pandemia, in quanto sostenuta da un virus non totalmente nuovo. Alla luce delle acquisizioni scientifiche che sono emerse successivamente (analogie strutturali e immunologiche tra il virus attuale e quello del 1918), in un’ intervista rilasciata al CIDRAP ad aprile di quest’anno, ha dichiarato: <Il fatto che lo stagionale H1N1 e il pandemico H1N1 abbiano lo stesso sottotipo nasconde quanto grandi siano le loro differenze. Il sottotipo è una definizione artificiale. L’ H1N1 pandemico è tanto diverso dal precedente stagionale H1N1 come lo è dall’H3N2. Noi dovremmo abituarci all’idea che una pandemia possa essere causata dallo stesso sottotipo>.
(http://www.cidrap.umn.edu//cidrap/content/influenza/swineflu/news/apr2310pandemic-jw.html)

A dimostrazione della benignità del virus, nella Pagina Gialla viene riportato un articolo pubblicato sul NEJM, ad opera di ricercatori di Hong-Kong, che dimostrerebbe la sostanziale analogia tra il virus pandemico e quello stagionale in termini di caratteristiche epidemiologiche. Ma va precisato che si tratta di un lavoro su un campione molto ristretto, che si propone di valutare solo la trasmissibilità del virus e poco può dirci sulla virulenza. Sul New England sono stati pubblicati altri lavori, come una fondamentale rassegna delle conoscenze acquisite fino a quel momento da parte di ricercatori di varia provenienza (http://content.nejm.org/cgi/reprint/362/18/1708.pdf ) o un interessante studio sui casi pediatrici in Argentina (http://content.nejm.org/cgi/reprint/NEJMoa0907673.pdf). In essi viene chiaramente documentata la maggiore pericolosità del virus pandemico. Ma volendo restare al confronto diretto con il virus stagionale, cito un articolo pubblicato su PlosOne in cui emerge che in India, dove i due virus erano presenti in contemporanea, la probabilità di essere ricoverati per influenza pandemica è stata 1,7 volte superiore rispetto alla influenza stagionale e la letalità 6 volte superiore.
(http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0010540?
utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+plosone%2FPLoSONE+%28PLoS+ONE+Alerts%3A+New+Articles%29)

Dai resoconti a livello mondiale risulta che ad essere colpiti duramente sono persone giovani, bambini non solo delle prime età, donne in gravidanza, spesso
privi di fattori di rischio. Questi soggetti vengono sostanzialmente risparmiati dalle influenze stagionali, mentre il loro coinvolgimento costituisce un carattere distintivo di questa come di precedenti pandemie.



Stefano Prandoni
redazione@medicoebambino.com
Pediatra di famiglia
giovedì 19/08/2010 11:45
Lettere, Giugno 2010
Precisazioni su acque minerali e fluoroprofilassi
A proposito del periodo 0-6 mesi: aver scritto nelle LG Italiane “è possibile somministrare” 0,25 mg al giorno e averlo poi riportato nella tabella riassuntiva delle dosi al primo rigo (0-6 mesi), ripetendo lo stesso dosaggio al rigo successivo (6 mesi - 3 anni) mi sembra rischioso visto che “nessuna linea guida internazionale lo prevede” come rimarcano Doria e Buzzetti, che ringrazio per le buone parole.
Mi pare che ciò potrà determinare nelle schede di dimissione ospedaliere neonatali la ricomparsa di prescrizioni di fluoroprofilassi orale “a tappeto” nei primi mesi e oltre.
A proposito di acque minerali vorrei rettificare due passaggi della mia lettera che sono stati sostanzialmente modificati, probabilmente per esigenze editoriali: non avevo scritto che i dati relativi possono essere utili per prescrivere una fluoroprofilassi mediante acqua minerale ricca di fluoro, né che le acque da 1 mg/l a 1,6 mg/l siano più adatte a una fluoroprofilassi mirata.
Sebbene Alcuni Autori abbiano pubblicato che “l’uso abituale di acque minerali con concentrazione di fluoruri compresa fra 0,8 e 1,5 rappresenta un ottimo modo di praticare fluoroprofilassi sistemica”, occorre ricordare il rischio di fluorosi dentale associato all’uso abituale di acque fluorate tanto che il DM 29/12/2003 sulle acque minerali imbottigliate stabilisce che se il valore di fluoruro supera 1,5 mg/l è obbligatoria in etichetta la dicitura “Non opportuno il consumo regolare da parte dei lattanti e bambini di età inferiore a 7 anni”.
Nella lettera avevo invece semplicemente affermato che la tabella pubblicata potesse essere “utile a orientarsi sull’eventuale prescrizione di fluoroprofilassi orale in base a quantità e qualità dell’acqua abitualmente consumata”. In questo senso trovo sacrosante le parole della prof. Strohmenger, che ugualmente ringrazio, quando scrive di intendere “affidare al pediatra l’analisi del problema localmente”, fatto che responsabilizza in caso di eventuali danni da carie o... da fluorosi dentale.
Le LG non sono affatto un “protocollo” rigido da applicare passivamente bensì implicano assolutamente un “adattamento” alla realtà in cui vive il bambino. Il mio attuale comportamento prescrittivo esclude il primo semestre di vita ed è successivamente fondato su un approccio ragionato e personalizzato che include eventualmente la fluoroprofilassi orale e tiene conto degli apporti giornalieri di fluoro provenienti da altre fonti.
Infine, rettifico la sede del mio studio professionale: Terlizzi, in Provincia di Bari.


Antonio Greco Miani
redazione@medicoebambino.com
Pediatra, Terlizzi (Bari)
lunedì 30/08/2010 10:52
Newsletter pediatrica, Settembre 2010
Terapia della gastroenterite

Ho esercitato come pediatra di base per 5 anni a Taranto, lontano dalla mia sede di primario titolare. L'effetto della mia “caduta” mi ha obbligato a venire a patti e a sforzarmi di essere persuasivo. Mi sono rispettosamente "inculturato":
1) è impossibile far accettare alla lettera le regole condivise e codificate. Nel "sentire comune", contro dette regole urta l'istinto di nutrire e dissetare. Il contenuto della flebo disseta e nutre per fede. Lo stesso contenuto, somministrato per bocca e trattenuto, asseta e affama. Così è.
2) dovendo partire dall'allucinazione, creduta realtà e divenuta roccia ferma e concreta verità, ho dovuto costruire su questa. Mi è riuscito allora efficacissimo l'intervento immediato, offrendo in alternanza un cucchiaino di acqua potabile ogni 5 minuti, una scaglia di parmigiano, un cucchiaino di acqua, un pezzettino di carne di prosciutto crudo o di bresaola.... Il ritmo può essere: solido, acqua, acqua. L'acqua può essere sostituita con un succo di carota, mela, arancia. Bastano 3 ore per somministrare 180-360 ml di acqua. Deve ovviamente trattarsi di una fase iniziale della gastroenterite o della malattia invernale con vomito (dal secondo vomito, potendo il primo essere un vomito glaireux da rino-faringite). La famiglia deve disporre di un orologio e di una bilancia. La terapia della diarrea, se il rene funziona, si guida con la bilancia.
Le soluzioni glucosaline OMS sono accettate dal bambino solo quando si è creata una iposodiemia e una fame di sale "da capra". Inizialmente, conviene favorire l'iposodiemia con acqua addolcita con saccarosio. Il saccarosio per semplice idrolisi si scinde in fruttosio e in glucosio: l'intestino riposa (assorbe il glucosio, che è carrier) e gli osmocettori.



Serafino Ciancio
serafinociancio1@libero.it
Ex primario di diritto pubblico in pensione - Iscritto SIP e ACP
venerdì 17/09/2010 11:29
Editoriali, Settembre 2010
Spetta a noi

Leggendo l’articolo del prof. Panizon dell’editoriale del numero di settembre (intitolato “Spetta a noi”, Medico e Bambino 2010;29:417), ne ricavo, come sempre, una serie di sentimenti “forti”: dapprima una sensazione di disagio per il quadro negativo-catastrofico descritto nella parte iniziale, poi la percezione spiacevole si trasforma lentamente in una fiduciosa prospettiva, in una speranza di riscatto, insieme all’accoglienza della giusta esortazione a rimboccarsi le maniche e a fare la propria parte, tutti quanti.
Conoscendo l’enorme dose di umanità e di saggezza del professore, mi sento coinvolta dalle sue parole, e ogni volta mi faccio un esame di coscienza: in genere finisco per assolvermi, almeno in parte. Non attuo praticamente mai la cosiddetta medicina difensiva e sono nella schiera dei prescrittori “blandi”, anche se finisco quasi sempre per dare più farmaci o prodotti alternativi (argomento che da solo meriterebbe una disquisizione) di quanto vorrei. E poi dedico un certo tempo a quella che reputo educazione sanitaria. Forse la mia piccola parte la faccio. Forse.
Il professore incita a fare meglio con meno (frase ormai storica nell’ambiente medico), a promuovere l’autonomia del paziente, a liberarlo dalla nostra presenza… e a non prestarci alle sue richieste improprie. Parole che approvo pienamente, ma nella realtà?
Mi domando spesso infatti quanto sia giusto assecondare le richieste di guarigione dei numerosissimi raffreddori che cerco di “curare” quotidianamente. La maggioranza dei problemi di salute con cui ho a che fare nel mio ambulatorio di pediatra di famiglia, è proprio questa. Quante volte sento ripetere la frase: “Ha raffreddore e tosse da ieri.” oppure “Ha la febbre a 37,2”. La prima domanda che mi pongo è perché sono “costretta” a vedere un bambino con questo tipo di sintomi. Ma regolarmente mi trattengo dall’esporre il mio pensiero (oppure lo faccio in modo troppo “soft”), aumentando il mio senso di frustrazione, e di incongruenza.
In realtà apprendo dalle mamme che al pronto soccorso qualche critica sul loro comportamento iper-protettivo e anticipatorio viene mossa, con il risultato di ottenere lo stupore delle persone che si chiedono perché mai non dovrebbero approfittare dell’opportunità che il reparto pediatrico dell’ospedale del Delta offre loro tramite l’accesso diretto dalle 8.00 alle 15.00 dal lunedì al venerdì. Come è evidente un doppione rispetto ai nostri ambulatori di pediatri di base.
Ora chiedo: è molto diffusa in Italia questa situazione di iper-disponibiltà? Come possiamo biasimare l’atteggiamento di iper-cura quando siamo noi i primi a rendere le persone dipendenti, a non educare all’autonomia?
Indubbiamente un anno fa nel mese di novembre, quando imperversava la “suina”, si sentiva il bisogno di un ampliamento dell’offerta dei servizi. Ma normalmente…?! Non sarebbe auspicabile una migliore organizzazione che miri alla complementarietà delle cure offerte dall’ospedale e dal territorio? In fondo basterebbe poco, a cominciare da una giusta volontà di collaborazione!
Domando anche se nelle realtà privilegiate dove esiste la pediatria di gruppo con infermiera dedicata, questa riesca a funzionare da filtro per le richieste improprie, e a dare i giusti consigli che spesso sono sufficienti per rassicurare e arginare l’ansia eccessiva dei genitori: la comunicazione (ovviamente nel senso del saper comunicare) è fondamentale.
L’ultima parte dell’articolo è come sempre intrisa di grande ottimismo, nell’ottica semplice e “rivoluzionaria” che la collettività tragga vantaggio dall’opera del singolo. Già, se ognuno facesse la sua parte le cose andrebbero meglio per forza.
Quante volte mi sono sentita spronata dalle parole di incitamento del professore! E mi piace molto l’idea che fare le cose secondo coscienza è fonte di soddisfazione.
Sono felice di poter dare con questa lettera un contributo a un possibile auspicabile dibattito.



Leda Guerra
redazione@medicoebambino.com
Pediatra di famiglia, Codigoro (Ferrara)
mercoledì 10/11/2010 10:35
Editoriali, Ottobre 2010
Gli incubi di Alice
La lettura dell’editoriale del dott. Cavallo, nell’ultimo numero di M&B, dischiude un orizzonte fatto di paesaggi bucolici e di limpide visioni. Dopo la tempesta torna il sole e gli incubi peggiori che avevano disorientato Alice nel suo sogno stralunato e popolato di strani personaggi, a volte bizzarri a volte terribili, si dissolvono grazie al provvidenziale risveglio. I membri delle istituzioni sanitarie mondiali sono i cappellai matti mentre i rappresentanti di Big Pharma le spregiudicate regine di cuori che con la minaccia di terribili pestilenze tengono soggiogata l'umanità. Ma ora si torna alla normalità e alle giuste proporzioni da dare agli eventi.
Così la recente pandemia diventa una banale tempesta in un bicchiere d'acqua, l'influenza una tra le tante virosi che provocano al massimo qualche fastidio e, soprattutto, viene scongiurata quella che sarebbe una vera catastrofe: la vaccinazione universale.
Non importa che venga sostenuta da nazioni evolute e non si interroga il dott. Cavallo sulle motivazioni di questa scelta, l’importante è che in Italia prevalga un atteggiamento realistico capace di ridimensionare gli eventi e ricondurli al loro corso naturale.
Ma certo, la pandemia da noi non è praticamente esistita, schiacciata da un’informazione di carattere politico-sanitario che ha profuso il massimo impegno nel minimizzarla e da un rifiuto di buona parte del mondo medico-scientifico di capirne la portata e le implicazioni.
Tant’è che da noi non se ne parla più, mentre negli altri Paesi, tra cui quelli che sostengono la vaccinazione allargata, si sta facendo un grande lavoro di analisi di quanto accaduto,si cerca di capire dove i piani di preparazione hanno fallito e di gettare le basi di una gestione più accorta ed efficace nel futuro. E questo partendo dall’affrontare i problemi alla radice, cioè da quella che rappresenta la potenziale minaccia intrinseca nella natura del virus influenzale.
Che non è un virus tra tanti, come lascerebbe intendere quel 38% dei ritrovamenti, che nulla può dire sulla sua pericolosità, così come non possiamo giudicare la meningite sulla base della sua incidenza nei casi di cefalea con febbre.
È l’unico tra i virus respiratori ad avere un potenziale pandemico, ad avere la capacità di diffusione planetaria con impressionante rapidità. Non dipende da vettori (come la dengue) e al tempo stesso attinge, con possibilità di scambiare materiale genetico, a serbatoi di animali che vivono a stretto contatto con l’uomo.
Grazie alla attenta sorveglianza durante la recente pandemia, sappiamo che gli ospedali hanno registrato numerosi ricoveri in terapia intensiva e decessi di persone anche giovani e sane, legati in maniera preponderante al nuovo virus. Dove erano gli altri virus? Quanti sono finiti in ECMO con virus parainfluenzali?
Gli anziani sono quelli che vengono più colpiti dalle influenze stagionali, quest’anno sono stati in larga misura risparmiati, come testimoniano le statistiche sulla mortalità da tutte le cause elaborate in tempo reale da alcuni Paesi come Australia, Usa ed Inghilterra. Gli altri virus si sono presi un anno sabbatico?

In molti Paesi di area orientale e occidentale si è fatto e si sta facendo uno sforzo di comprensione e di analisi, con numerosi studi pubblicati sull’andamento epidemiologico, sulla sieroprevalenza, sui quadri clinici ed anatomopatologici, sulle caratteristiche di genetica e di citopatologia, che rappresentano un grande bagaglio di conoscenze di cui da noi non vi era traccia alcuna durante la pandemia né vi è stata dopo. Nulla si è capito prima e nulla si capisce adesso.
È questo il ritorno alla normalità che piace al dott. Cavallo?



PRANDONI STEFANO
prandot@inwind.it
pdf, Valdagno
mercoledì 17/11/2010 09:55
ABC, Novembre 2010
Antibiotici e infezioni delle vie respiratorie
Sono un pediatra da poco passato dall’ospedale al territorio e ho letto con molto interesse l’ABC di Marchetti e Panizon sull’uso della terapia antibiotica nelle infezioni delle vie respiratorie1 (tra l’altro ho molto apprezzato la possibilità di scaricare dal sito anche gli articoli più recenti, compresi quelli pubblicati negli ultimi 12 mesi).
Vorrei aggiungere una sola considerazione: la terapia antibiotica, come ogni terapia farmacologica, non è scevra di effetti collaterali. Il lavoro di Shehad et al.2 (pubblicato su Clinical Infectous Disease, la bibbia degli infettivologi americani) mostra come l’utilizzo di antibiotici sitemici è implicato nel 19,3% degli accessi di Pronto Soccorso per reazioni avverse da farmaci. Ovvero come ben 142.505 pazienti americani annualmente debbano ricorrere alle cure di Pronto Soccorso a seguito di reazioni avverse causate dall’utilizzo di antibiotici sistemici. O in altre parole, come sottolinea l’editoriale3 di accompagnamento (di cui anche il titolo è significativo: Antibiotics for the Treatment of Acute Respiratory Tract Infections: Decreasing Benefit, Increasing Risk, and the Irrelevance of Antimicrobial Resistance), vi sia la probabilità di una reazione che necessità la valutazione di Pronto Soccorso ogni 1000 prescrizioni antibiotiche.
Inoltre, come riportato nel lavoro di Neugut et al.4 gli antibiotici sono tra le cause più frequenti di anafilassi, con un tasso di occorenza di 1 per 5000 esposti, e implicati nei casi di maggior gravità, essendo responsabili di circa il 75% dei casi mortali di anafilassi.
Concludo citando l’editoriale3 di Linder: “for most acute respiratory tract infections, antimicrobial resistance is irrelevant. For an individual patient, the risks are greater than the benefits, and the discussion should stop there”.

Bibliografia
1. Marchetti F, Panizon F. Infezioni delle vie respiratorie e antibiotico: sì, no, quando? Medico e Bambino 2010;29:577-84.
2. Shehab N, Patel PR et al. Emergency Department Visit for Antibiotic-Associated Adverse Events. Clinical Infectious Disease 2008;47:735-43.
3. Linder JA. Antibiotics for the Treatment of Acute Respiratory Tract Infections: Decreasing Benefit, Increasing Risk, and the Irrelevance of Antimicrobial Resistance. Clinical Infectious Disease 2008;47:744-6.
4. Neugut AI, Ghatak AT et al. Anaphylaxis in the United States: an investigation into its epidemiology. Arch Intern Med 2001;161:15-21.



Marco G.E. Marinoni
redazione@medicoebambino.com
Pediatra di famiglia, Carnago (Varese)
giovedì 09/12/2010 12:23
Editoriali, Ottobre 2010
Sviluppo del gusto
Caro dottor Gasparini,

nel suo editoriale su M&B, relativo all’articolo sul gusto (1), si chiedeva quale potesse essere la percentuale di bambini che si svezzavano con “estrema facilità”, e ipotizzava alcune cifre derivandole dalla distribuzione dei “taster” per il gene TAS2R38, cioè per la sensibilità all’amaro, e concludendo che nel lattante, forse, “de gustibus”, biologia e genetica dettano legge. Mi è subito venuto da pensare che questa possibilità le fosse stata surrettiziamente ispirata dalla quotidiana esperienza, che tutti abbiamo avuto, di una scontata problematicità nell’avvio e nel mantenimento dello svezzamento, e che non fosse a conoscenza di una modalità diversa di introduzione dei cibi solidi (alimentazione complementare a richiesta) (2) che da diversi anni un folto gruppo di pediatri, sparsi per tutta la penisola, sta praticando con un elevatissimo grado di accettazione e soddisfazione da parte di bambini e mamme. In concreto, aspettando la richiesta attiva da parte del bambino del cibo presente sulla tavola dei genitori, comportamento che si realizza al 90% in un range d’età che va dai cinque ai sette mesi compiuti, accade l’inimmaginabile, e cioè che i bambini gradiscono qualsiasi tipo di cibo e continuano a chiederlo (3,4). All’anno di vita il 90% dei bambini non rifiuta alcuno dei cibi della famiglia e non riceve alcuna pressione da parte dei genitori, e il 10 % di insuccessi dipende più dai dubbi dei genitori e che non dall’atteggiamento del bambino (dati personali non pubblicati). Come sempre ci ripetiamo, evidentemente, e fortunatamente, l’influenza dell’ambiente può molto, e noi pediatri molto possiamo fare per influenzarlo positivamente.


Bibliografia

1. Greco L, Morini G. Lo sviluppo del gusto nel bambino. Spunti conoscitivi rilevanti per la pratica dello svezzamento e in generale delle scelte nutrizionali per il bambino. Medico e Bambino 2010;29:509-13.
2. Piermarini L. Alimentazione complementare a richiesta. Medico e Bambino 2006;25:241-5.
3. Wright CM, Cameron K, Tsiaka M, et al. Is baby-led weaning feasible? When do babies first reach out for and eat finger foods? Maternal and child nutrition DOI:10.1111/j.1740-8709.2010.00274.x.
4. Rapley G. Baby-led Weaning in Maternal and Infant Nutrition and Nurture: Controversies and Challenges. London: Quay Books, 2006.


Lucio Piermarini
redazione@medicoebambino.com
Pediatra di comunità, Terni
venerdì 10/12/2010 12:55

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