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MEDICO E BAMBINO - ultimi commenti

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Casi indimenticabili Novembre 2010
Come una bambola di pezza: sindrome di Werdnig-Hoffmann disponibile
A. Baio
Editoriali Febbraio 2011
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G. Tamburlini
Editoriali Febbraio 2011
Equità disponibile
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Farmacoriflessioni Marzo 2011
Le linee guida della SIP e dell’AAP sull’otite media acuta disponibile
G. Longo
Pagine elettroniche Settembre 2011
Edema emorragico acuto infantile: vaccinazione anti-morbillo, parotite e rosolia come possibile causa scatenante disponibile
C. Ghitti, H. Sangalli, L. Pozzi, V. D’Apolito, E. Rossi, L. Gnecchi, R. Lucchini
Casi indimenticabili Dicembre 2011
Una scossa alla schiena disponibile
I. Leonardi
La pagina gialla, Novembre 2010
Ondansetron
A proposito dello studio di Yilmaz pubblicato nel 2010 e citato nella metanalisi di Howard S. Arch Dis. Child. 2010; 95:945-7 (Pagina Gialla M&B di novembre 2010), da un’analisi “più ravvicinata” emergono dati meno incoraggianti, sull’opportunità di usare l’ondansetron nella gastroenterite (GE) nel bambino.
Le prime perplessità nascono leggendo le premesse dello studio che parla della GE come di “common cause of mortality” (nel “mondo povero”? non è precisato). Inoltre, quale argomento che dovrebbe motivare l’interesse sull’ondansetron, si cita l’uso frequente da parte dei medici di fenotiazine contro il vomito nel bambino, quasi dunque l’ondansetron rappresentasse come antiemetico, un’alternativa a questa classe di farmaci; infine se ne “limita l’uso”, così si dice, alle GE complicate (dal vomito!!).

Ma venendo ai numeri, anche se si riporta un NNT = 2, il beneficio che 1 bambino su 2 avrebbe, dal farmaco rispetto al placebo, consiste nel risparmio di 1 vomito nelle prime 8 ore, e ancora meno se si considerano le 24 ore di terapia.
Infatti, i bambini dei due gruppi farmaco e placebo, che avevano presentato rispettivamente 6 e 7 vomiti, in media, nelle 24 ore precedenti, manifestano un numero medio di vomiti nelle prime 8 ore dalla somministrazione di farmaco o placebo, che varia da 0,39 (farmaco) a 1,33 (placebo). Dopo 24 ore dall’inizio della terapia si passa in media a 0,2 e 1,66 vomiti, rispettivamente nei due gruppi. Dunque il risparmio è di 1 vomito nelle prime 8 ore (da 0,39 a 1,33) e di ½ vomito per le successive 16 ore (da 0,2 a 1,66 sull’intero lasso di tempo di 24 ore, equivale a 1,5 vomiti di differenza fra i due gruppi in 24 ore, con 1 vomito di differenza “già speso” per le prime 8 ore; cioè il modesto beneficio delle prime ore si riduce ulteriormente). Il bambino con GE e la sua famiglia si accorgerebbero di un simile “miglioramento”?
Certo la RAR è vicina al 50% (44,9%) e un NNT = 2, per i due gruppi dopo 8 ore di terapia, dopo 24 ore la RAR è di 61% e di nuovo NNT circa 2, ma se quanto misurato non è presenza/assenza di un evento importante, e si riduce a poco vomito in più o in meno, anche l’NNT può risultare ovviamente poco affidabile.
Quello che emerge molto forte da questo studio mi sembra che sia l’efficacia del placebo/attesa considerato che i bambini dei 2 gruppi avevano presentato 6-7 vomiti nelle 24 ore precedenti l’ingresso nello studio, e in 24-48 ore vanno a 0-1,5 vomiti al giorno, e dunque il problema vomito si risolve in 1-2 giorni (esperienza quotidiana del pediatra di famiglia).
Inoltre il protocollo prevedeva una somministrazione di ORT, con giudizio di adeguatezza dell’idratazione orale forse un po’ arbitrario, a seconda che venisse assunta o meno una certa quantità. Ma, come dice Massimo Fontana, “chi non ha sete non è disidratato e viceversa” e infatti fra i due gruppi non c’è differenza nel grado medio di disidratazione (ma con 1 vomito in più in 8 ore, perché doveva cambiare il grado di idratazione?).
Anche qui come in altri studi il vomito non si mostra un buon parametro per giudicare la gravità della GE (cioè la disidratazione).
Infine anche l’NNT “si alza” quando viene valutato il successo della ORT, considerando insuccessi la flebo e/o il ricovero. In questo caso infatti la RAR scende al 7% e NNT va a 14.
E anche qui il placebo/attesa fanno “un figurone” limitando gl’insuccessi a meno del 20%, contro il 2% di insuccessi con l’ondansetron. E questo differenza di ricoveri/flebo fra i due gruppi, a cosa è dovuta, se il grado di disidratazione non era sostanzialmente diverso?
Aspettiamo comunque, come si dice sulla Pagina Gialla, nuovi studi sull’argomento.



Alberto Neri
redazione@medicoebambino.com
Pediatra di famiglia, Ferrara
martedì 01/02/2011 10:06
Casi indimenticabili, Novembre 2010
Bambola di pezza
Probabilmente si sarebbe potuta tentare la strada della tracheostomia preventiva con ventilazione assistita domiciliare che, pur con svariati problemi etici di accanimento terapeutico, porta avanti il mio caso clinico dalla diagnosi da me posta a meno di due mesi di età a tutt'oggi, epoca in cui la ragazza ha 11 anni; nel mio caso la diagnosi fu da me imposta all'Ospedale che poi fece diagnosi; si presentò allo studio a un mese con areflessia (tra cui Moro assente) e un quadro respiratorio di dispnea in assenza di sibili, che, assieme alla fascicolazione della lingua, mi fece far diagnosi contro tutti; i vari accessi ospedalieri furono però negativi e dovetti telefonare al primario per segnalargli il caso affinché la "visitassero" senza limitarsi a valutare la dispnea (pare che a neonati e lattanti non si pone tanto spesso obbligo di fare l'esame neurologico!); in questo il collega è stato più fortunato trovando invece un pronto appoggio ospedaliero. Una volta posta la diagnosi con biopsia muscolare e valutazione genetica, la risposta terapeutica ospedaliera fu però "lasciamola morire", mentre io ebbi il coraggio di farla valutare altrove; da allora viene seguita a domicilio da equipe infermieristico-anestesiologica dell'Ospedale Santobono di Napoli, con la supervisione del pediatra di base; la famiglia ha trovato nella dottoressa Dolcini e in me un riferimento affettivo da loro ritenuto importante; la piccola ha ricevuto dalla Asl tutti i tipi di assistenza possibile e va avanti, pur con gli attesi problemi respiratori cronici che il caso comporta, nella serenità della famiglia, una serenità compatibile col fatto di sapere che l'esito sarà sempre lo stesso alla fine (la piccola muove solo gli occhi e gorgheggia parole che paiono comprese dalla madre. E' collegata via pc con la scuola ed ha un insegnante di sostegno che va a casa. Il nostro problema è quindi sempre la comunicazione e la presa in carico se possibile globale di ogni singolo caso.

Maurizio Cafiero
mauriziocafiero@interfree.it
Pediatra di Base
mercoledì 02/02/2011 19:25
Editoriali, Febbraio 2011
Connessi con (a) ragione
Credo che anche il punto di vista di un’insegnante e mamma possa portare un contributo a questo dibattito.

È anacronistico pensare che i figli del XXI secolo possano vivere senza il telefonino nel jeans o una connessione che permetta loro di navigare e “incontrarsi” su internet in ogni momento della giornata. Penso però che sia realistica la posizione di chi teme che «la connessione quasi perenne [possa] ridurre i momenti di silenzio comunicativo, in cui vi possa essere spazio per la riflessione». Il vero problema mi sembra infatti la superficialità e passività nell’uso delle nuove tecnologie e dei social network sui quali spesso i ragazzi si limitano a postare frasi e pensieri di altri, a far passare il tempo più che a comunicare davvero. La maggior parte dei miei alunni (10-14 anni) incontra notevoli difficoltà nel motivare le proprie scelte o il proprio punto di vista – la risposta più gettonata è “perché sì/no” - e penso che questo dipenda anche dalla passività con cui fruiscono delle nuove tecnologie, che spesso invadono il loro tempo senza dargli opportunità per riflettere, farsi domande ed elaborare in maniera attiva e autonoma il proprio pensiero.

Quanto dice Frati mi sembra quindi la vera sfida per gli insegnanti di oggi: «fornire gli strumenti culturali per costruirsi un gusto e un’identità, per capire come muoversi sul web», per sviluppare quel minimo di senso critico che li renda adulti consapevoli e responsabili. Senza lasciarsi andare al pessimismo, bisogna però ammettere che si tratta di un compito piuttosto arduo in un Paese che non investe nella scuola, ma piuttosto le taglia i fondi, gli insegnati e anche il tempo.

A mio parere diventa quindi determinante il ruolo delle famiglie. Perché i nostri figli non diventino dipendenti e tantomeno passivi nei confronti delle nuove tecnologie, credo che dobbiamo abituarli fin da piccolissimi ad ampliare il campo delle esperienze, creando in loro interessi alternativi ed assecondandone le passioni, senza cedere alla tentazione di lasciarli in balia delle “babysitter tecnologiche” presenti nelle nostre case; solo così le nuove tecnologie potranno essere per loro strumenti per conoscere, approfondire, comunicare e facilitare lo scambio di esperienze reali.

Nella nostra vita frenetica una scelta educativa di questo tipo non è sempre facile, ma la mia esperienza di mamma mi dimostra che sedersi accanto ai propri figli per leggere loro una fiaba li fa diventare dei piccoli lettori autonomi (e anche critici!) già a 6 anni. Mi sembra che scarrozzarli tra palestre e scuole di musica o di danza, non li avvii solo al multitasking selvaggio a cui siamo tutti condannati, ma permetta di mettersi a suonare il pianoforte ancora con il grembiule addosso piuttosto che correre ad accendere il computer per giocarci appena rientrati a casa. Credo inoltre che scegliere di avere una sola televisione in casa, e non dove mangiamo abitualmente, mi aiuti ad avere un tempo di qualità da trascorre con loro per comunicare e “conoscerci” meglio. Non per questo scoraggio i miei figli ad utilizzare il computer: i miei bambini di 8 e 5 anni lo fanno in modo piuttosto autonomo, per giocare in primo luogo (col permesso e per un periodo limitato), ma anche per fare ricerche, scrivere o disegnare (mentre il piccolo di 3 anni li osserva con molta attenzione!).

Certo i miei figli sono ancora piccoli e temo il periodo in cui avrò tre adolescenti per casa, penso però di fare qualcosa perché fino ad allora imparino a conoscere le potenzialità del web, ma ancor di più mi auguro che stiano già iniziando a sperimentare che solo attraverso la loro intelligenza e la loro sensibilità potranno sfruttarle appieno.


Laura Lenzi
lalenzi@libero.it
Mamma e insegnante (precaria) nella Scuola Secondaria di I grado, Brindisi
giovedì 24/03/2011 12:57
Editoriali, Febbraio 2011
Content is (quasi) the king
Vorrei contribuire al dibattito con un input breve ma per me importante: troppo spesso quando si affrontano temi del genere ci si focalizza (dicendo cose magari anche ragionevoli o addirittura giuste) sulla forma e troppo poco sul contenuto dei mezzi di comunicazione. Un errore - o meglio una miopia - che ho visto applicata in passato alla televisione (e probabilmente decenni fa è stata applicata al telefono e al cinema), poi a Internet, poi alla telefonia mobile, oggi ai social network e domani Dio solo sa a che cosa.

I giovani passano le ore davanti al computer o alle consolle di gioco, è indubbio. Dobbiamo esercitarci sulle strategie da ideare e poi apllicare per fare in modo che queste ore diminuiscano e che i teenager considerino 'meno importanti' questi mezzi di comunicazione nell'ambito del loro relazionarsi? Come volete, anche se potrebbe essere un tentativo vano, condannato in partenza a essere una battaglia da retroguardia.

Ma vogliamo anche sottolineare che è importante lottare perché il contenuto dello stare connessi sia di qualità più elevata? "Content is the king", diceva Bill Gates nel 1996. Altri hanno successivamente messo in discussione questo assioma, ma io credo sia ancora valido. Se un 15enne (o un 40enne) passeggia per prati, boschi, musei e biblioteche tanto meglio. Ma se un 15enne (o un 40enne) sta 10 ore al giorno 'connesso' vogliamo adoperarci perché abbia accesso a contenuti di qualità, perché scambi link che suscitino riflessione, perché goda di entertainment intelligente, perché soprattutto abbia gli strumenti culturali per costruirsi un gusto e un'identità, per capire come muoversi sul Web, come cercare e trovare qualcosa che davvero valga la pena trovare e inoltrare agli amici?

Personalmente farò di tutto perché mia figlia (che oggi ha 4 anni) in futuro coltivi rapporti umani veri e non virtuali, faccia attività fisica e non vegeti davanti a uno schermo, e così via - ci mancherebbe. Ma cercherò anche di fare in modo che sappia sfruttare meglio possibile il meraviglioso strumento che è il Web.

Anche il mestiere di genitore e di educatore deve diventare 2.0, credo.

David Frati
d.frati@pensiero.it
Giornalista, editor di "Pediatria", magazine ufficiale della Società Italiana di Pediatria
martedì 22/03/2011 16:36
Editoriali, Febbraio 2011
Confusioni, strumenti, virtualità, arricchimento, confronti
Un dibattito sui rischi da internet che si sviluppa su web: bellissimo. Che se aspettavamo di parlarne insieme ad un tavolo con una ribolla potevamo anche diventare così vecchi che - non solo facebook - ma pure internet non c'era più.
1. Non sottovaluto la questione sollevata da Giorgio. Anzi, proprio perché è un argomento delicato dovremmo evitare di fare confusione. Un conto sono i danni da cellulare; altro è la permanenza dei ragazzi su internet; altro ancora la dipendenza da videogames. Tre questioni diverse che meriterebbero - forse - tre editoriali diversi.
2. Mischiando cose diverse si rischia di indicare ai lettori un falso problema: il pericolo della pervasività della tecnologia. Al contrario, quella che ci offre la stagione presente è un'opportunità straordinaria, che purtroppo non è sufficientemente nota a medici e dirigenti sanitari: e se facebook fosse anche una piattaforma utile per studi collaborativi? e twitter un formidabile strumento per l'ealerting in epidemiologia?
3. Non è detto che, utilizzando internet, i ragazzi vivano mondi virtuali. Scambiano informazioni, esperienze, opinioni, soluzioni di "compiti a casa" con amici veri, con fidanzate reali o inseguite (comunque non solo sognate, come le mie ai tempi). Questo è un nodo critico (digitale=virtuale) difficile da sciogliere da parte di chi, come me, non è digital born.
4. La comunicazione degli adolescenti (su internet ma non solo) non è detto sia semplificata. E' diversa dalla nostra. Se vogliamo, è più ricca (non a caso si usa l'espressione "enhanced communication"), perché integra testi, video, immagini, file audio...).
5. Alberto Tozzi (nel commento al post di dottprof.com (http://dottprof.com/2011/03/aiuto-il-multitasking/) si augura sia possibile "insegnare (ai ragazzi) come cercare efficacemente le informazioni, come approfondire e non fermarsi a Wikipedia." D'accordo con Alberto, ma attenzione: "insegnare" a patto di essere disposti ad apprendere da chi, in quell'ambito, ne sa almeno quanto noi. A proposito, Giorgio, quanti ragazzi ci sono tra gli esperti del gruppo di lavoro dell'OMS?



Luca De Fiore
gl.defiore@gmail.com
AS Roma
martedì 22/03/2011 16:15
Editoriali, Febbraio 2011
Replica
Oibò, caro De Fiore, quale moto dell’animo ha condotto a tale estrema (“apparentemente retorica”) domanda? La risposta (a questo punto solo “apparentemente” ovvia) è che i pediatri non solo hanno figli e nipoti intorno a sé, ma per il lavoro che fanno restano tra i più accreditati (secondi solo agli insegnanti) osservatori dei cambiamenti del costume nella educazione e sviluppo dei bambini. Entrambi i commenti (dispiace) hanno letto (affrettatamente) nella mia nota una critica (addirittura un “pregiudizio negativo) nei confronti della tecnologia in sé. Non c’è imputazione più lontana dalla realtà, tanto è vero che sto lavorando da mesi ad un progetto di web radio per bimbi. Il punto è che, proprio come dice Tornese nel suo commento, le relazioni tra fenomeni rispondono molto spesso ad una curva ad “U” e si tratta di cogliere il punto oltre il quale l’effetto diventa un controeffetto, cioè si produce una controproduttività. Esiste questo punto per la connettività elettronica? Pare proprio di si, stando a una certa molte di letteratura scientifica, ed alla preoccupazioni che ne discendono a livello internazionale. L’OMS, ad esempio, ha istituito un gruppo di lavoro su famiglia educazione e salute ( di cui sono stato chiamato a far parte), la CE ha recentemente sollecitato (proprio al gruppo con il quale ho lavorato per l’European Child Health Report) una sezione sulla web addiction (cosa che ci siamo rifiutati di fare, proprio perché si tratta di dare un giudizio equilibrato…).
In ogni caso, obiettivo raggiunto, se ne discute…Ma, per favore, senza estrapolazioni e imputazioni e insinuazioni.
PS Caro Tornese, certo, il lavoro citato come spunto era sull’uso dei cellulari da parte delle madri, e poi si parlava di bambini. Quale ingiustificato salto logico…! Ma era un editoriale, quasi un elzeviro, non un articolo di revisione né un digest né una pagina gialla. Usando una metafora primaverile, direi che un fiore che sboccia può far correre il pensiero ad un albero in fiore, anche se quel fiore non darà origine a quell’albero. Non è pensiero cartesiano, è associazione di idee, componente indispensabile della intuizione.



Giorgio Tamburlini
redazione@medicoebambino.com
IRCCS "Burlo Garofolo", Trieste
martedì 22/03/2011 12:14
Editoriali, Febbraio 2011
In medio stat virtus
Non rientro nella “gran parte dei lettori di Medico e Bambino”, e forse sono uno dei pochi esemplari ibridi fra la vecchia e la nuova generazione: non sono nato col computer o con Facebook, ho avuto il mio primo cellulare a “soli” 18 anni quando sono andato a studiare fuori all’università, ma ho iniziato ad utilizzare un computer a 6 anni ed ho cercato di sfruttare le potenzialità di internet quando avevo 17 anni, tanto per le comunicazioni sociali quanto per lo studio e la ricerca. Forse per questo non capirò mai a pieno le angosce dei "grandi" e non sarò mai cosciente a pieno della fusione dei "piccoli" col mondo virtuale...

Anche io, come De Fiore, sono rimasto un po’ confuso dal “pregiudizio negativo nei confronti della tecnologia”, anche perché – a dirla tutta – l’editoriale prende spunto da un articolo che parla dell’uso dei cellulari da parte delle madri, non dei bambini. Forse è proprio una questione di “generazioni” diverse, e di diverso adattamento a quello che la società diventa man mano. Quello che ai tempi della mia infanzia era un’accusa alla cattiva influenza della televisione, ora si è trasformata in un’accusa a internet, ai social network e a quanto vi ronza intorno.

Recentemente Pediatrics ha pubblicato uno studio svizzero sulla salute degli adolescenti e l’intensità dell’uso di internet che mi ha fatto pensare proprio a questo argomento: l’associazione trovata segue la forma di una U, ossia non solo chi utilizza troppo internet, ma anche chi lo utilizza troppo poco o per niente sviluppa problemi psichici e somatici (Bélanger RE et al, A U-shaped association between intensity of internet use and adolescent health, Pediatrics 2011;127:e330-5). “In medio stat virtus”, continuerebbero a commentare i nostri antenati. L’ipotesi degli Autori nella discussione, è che i ragazzi che non usano internet “sono fuori dall’ambiente culturale dei loro pari”: eliminando il fattore confondente socio-economico (cioè chi non ha internet perché non se lo può permettere), restano quelli che non si buttano nelle attività sociali on-line e tendono a isolarsi dal modo attuale di stare “connessi” con gli amici.

Forse è la scoperta dell’acqua calda, ma come sempre, come tutto, il problema risiede nella quantità e nella qualità dell’utilizzo delle cose: dalla televisione ai cellulari, dal computer ai videogiochi, da internet ai social network e quant’altro. Come ha commentato Marchetti: “Il rischio è il modo in cui [la tecnologia] viene utilizzata”. Credo che un ragazzino dei nostri tempi non possa vivere senza cellulare, senza Facebook, a meno di restare “escluso” dalla sua cerchia di amici. Certo esiste un rischio di una “comunicazione spesso indiretta, moltiplicata nel numero degli interlocutori, con un linguaggio nuovo ipersemplificato nella semantica e nel significato”. È triste vedere che i ragazzi sono sempre su Facebook ma non scrivono niente di loro, postano solo link e commentano usando frasi idiote, non comunicano davvero, si illudono di farlo, di stare insieme… ma questo, purtroppo, lo fanno anche i “grandi”. Allora cosa si può fare? Mimare le comunità Amish e tornare ad un integralismo di comunicazioni dirette in un mondo che si muove in altra direzione?

“In medio stat virtus”, ripeto anch’io. E questa deve essere la sfida dei genitori e degli educatori, pediatri inclusi. Non demonizzare, ma aiutare i nostri ragazzi a saper integrare, a fare in modo che internet diventi uno strumento più che il fine. Non togliere la tecnologia ai ragazzi di oggi, ma riempirla di significato, e per fare questo serve la concretezza e l'esperienza che il mondo virtuale non saranno mai in grado di dare. Chi ha sperimentato le gioie della lettura di un libro saprà forse comunicarlo ai propri figli, ai propri nipoti, ai propri pazienti. Se da un lato cerco di regalare ai miei nipoti dei buoni libri in carta e inchiostro per comunicare questo grande tesoro, dall’altro parlo dei libri che leggo sulla mia pagina di Facebook e li condivido con i miei amici, così come loro fanno con me; uso internet per ordinarli così come mi tuffo per pomeriggi interi in una vecchia e reale libreria.

Insegniamo ai nostri piccoli (dando l’esempio) a saper essere connessi col mondo, e non connessi e basta…


Gianluca Tornese
gianluca.tornese@gmail.com
Specializzando, Clinica Pediatrica, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste
lunedì 21/03/2011 22:40
Editoriali, Febbraio 2011
Sei connesso? Sì, tutto il tempo che posso e anche di più
In risposta a quanto scritto da Luca De Fiore, direttore del Pensiero Scientifico Editore.

Condivido in pieno la necessità di un confronto su una tematica così importante e così poco discussa, appunto.
Si può essere genitori ed avere una idea del problema, prima ancora di essere pediatri. Siete entrati nelle case di qualche famiglia che ha almeno un figlio di età dai 10 anni in su? Ed avete parlato con un genitore che, per niente contrario alla "tecnologia", ha favorito l'accesso ad internet e ai socialnetwork pensando che fossero una potenzialità "in più"?. E lo continua a pensare, come genitore e pediatra, ma con alcune riserve, sollevate e a ragione, dall'editoriale di Tamburlini su Medico e Bambino. Scrive Tamburlini: "L’intera gamma della comunicazione interumana, quindi anche con se stessi, si è modificata rispetto a secoli, se non millenni, di storia precedente: da una comunicazione diretta, mediata dal linguaggio e dalla voce, e peraltro ristretta a un numero limitato di persone, a una comunicazione spesso indiretta, moltiplicata nel numero degli interlocutori, con un linguaggio nuovo ipersemplificato nella semantica e nel significato. La connessione quasi perenne con un universo virtuale non può che ridurre i momenti di silenzio comunicativo, in cui vi possa essere spazio per la riflessione. La comunicazione totale è in fondo una sorta di pornografia della comunicazione, e infatti come tale genera dipendenza".

Quel genitore che ha favorito l'accesso ai Social Network si pone ora, alcune riflessioni che nascono dalle seguenti considerazioni: a) la comunicazione rischia di essere di fatto virtuale e superficiale, con un distacco reale dalla lettura di libri, forse anche dallo studio; b) non è un problema di cinema che non ci sono o di palestre o di campi di calcio o di basket. Anche lì la comunicazione e la ricerca di film rischia di essere necessariamente in linea con un sapere comunicativo che appartiene al linguaggio dei socialnetwork; c) la comunicazione telefonica "diretta" non è più una necessità (così come quella di incontrarsi), gli spazi comunicativi familiari si riducono perchè facebook è in connessione continua ("dipendenza", appunto, guai a stare un giorno senza computer nascosto da un genitore che cerca soluzioni punitive e a torto).

Venendo ai pediatri credo che sono necessariamente preoccupati ed anche non preparati per rispondere a domande e perplessità di molti genitori. Inevitabile? Forse, ma difficile pensare che il problema non vada discusso con uno spirito critico, di pensiero che và oltre una "condivisione" un pò di moda di quello che è il sistema di comunicazione di oggi. Le opportunità negate ai bambini ed agli adolescenti non c'entrano nulla. Sono pieni a volte, almeno mediamente, di occasioni ed opportunità. E lo spirito dell'editoriale di Tamburlini non è certo quello di pensare che la tecnologia sia un rischio. Il rischio è il modo in cui viene utilizzata. Essere connessi al meglio deve appartenere ad un mondo fatto di piaceri, di gioie, di modalità nuove di scrittura, di mille potensialità in più, ma anche ad una realtà che non deve essere mistificata e distorta. E questo è il pensiero di un pediatra che riflette, di un genitore preoccupato e di una rivista che ha l'obiettivo appunto di aprire (per prima) un dibattito.



Federico Marchetti
marchetti@burlo.trieste.it
Genitore, Pediatra e Direttore della rivista Medico e Bambino
lunedì 21/03/2011 17:47
Editoriali, Febbraio 2011
I pediatri conoscono i bambini?
Tutti - o quasi - la considerano la migliore rivista di Pediatria italiana: indipendente, affidabile, puntuale. Ma un editoriale uscito sull'ultimo numero di Medico e Bambino ha lasciato perplesso più di un lettore: "Sei connesso?" La domanda la porge uno dei più noti pediatri italiani, Giorgio Tamburlini, per molti anni direttore scientifico del famoso ospedale per bambini di Trieste, e consulente dell'Organizzazione mondiale della sanità.

Nel mirino dell'autore sono le "centinaia di bambini" che - a suo dire - navigano su Facebook o giocano al cellulare. Critiche fondate, se è vero che moltissimi studi hanno confermato quanto sia pericoloso eccedere con i videogame (soprattutto quelli a contenuto violento) o quali rischi si corrano a stare al cellulare troppo a lungo.

Ma, come sottolinea un commento sul blog Dottprof.com, la sensazione è che quella pubblicata da Medico e Bambino sia una critica fortemente condizionata da un pregiudizio negativo nei confronti della tecnologia; cellulari, computer, Facebook, giochi elettronici: un'analisi superficiale rischia di lasciare il tempo che trova e di confondere le idee invece di rivelarsi costruttiva.

La domanda del titolo è solo apparentemente retorica: i pediatri conoscono i bambini? Soprattutto, seguono i cambiamenti che continuamente cambiano il mondo degli adolescenti? E' Facebook il nemico o sono le palestre che mancano, i cinema che chiudono, i trasporti disastrati che impediscono ai ragazzi delle grandi città di incontrarsi dopo la scuola? Non sarebbe male se anche i pediatri si confrontassero su questi argomenti, in un dialogo che coinvolgesse i ragazzi, i genitori, gli insegnanti...

Fonte: De Fiore L. Aiuto, il multitasking! DottProf 14/03/2011. Link: http://dottprof.com/2011/03/aiuto-il-multitasking/


Luca De Fiore
redazione@medicoebambino.com
Il Pensiero Scientifico Editore
lunedì 21/03/2011 17:07
Editoriali, Febbraio 2011
Equità
Mi riferisco all’editoriale “Equità”. Esordisce con “MeB non è una Rivista politica...”. Ma chi l’ha mai detto che questa rivista non debba seguire una sua personale precisa linea politica (peraltro da me condivisibile) e che ogni attimo della nostra quotidianità non sia leggibile in chiave “politica”? Nessuna scusa è dovuta a chicchessia... vivaddio, che qualcosa o qualcuno nell’omertoso, ipocrita, amorfo sistema italiano se ne distacchi e ne prenda le distanze! Siamo assieme, con voi... andiamo avanti così...

Cordialmente,


Giorgio Amato
redazione@medicoebambino.com
Pediatra, Palermo
venerdì 25/03/2011 14:36
Farmacoriflessioni, Marzo 2011
OMA e Otoiatri
Condivido pienamente quanto riportato da Longo. Molto spesso, però, è l'Otoiatra che gestisce, non sempre con raziocinio ,la diagnosi e la terapia dell'OMA.



P.L. Giorgi
profgiorgi@libero.it
abbonato M&B
domenica 27/03/2011 16:50
Aggiornamento, Febbraio 2011
Parassitosi da zecche
Abbiamo avuto modo di leggere l’aggiornamento sulla parassitosi da zecche pubblicato a febbraio, trovandolo confondente e, contrariamente a quanto abituati da Medico e Bambino, di scarsa rilevanza pratica (1).

Per prima cosa ci domandiamo perché complicare il discorso dell’estrazione della zecca con considerazioni in merito all’uso di fili chirurgici, o della trazione, dato che da quando abbiamo imparato a estrarre l’acaro ruotandone il corpo non è mai capitato che l’ipostoma rimanesse conficcato nella cute del bambino, come troviamo anche in letteratura (2). Ancora più incomprensibile è l’invito dato dagli Autori di inviare l’acaro al laboratorio per capirne il tempo di permanenza sul soggetto. Uno spreco di energie, tempo (e denaro) oggettivamente esagerato rispetto a un problema (malattia di Lyme) di così modeste dimensioni specie se rapportato alla numerosità e frequenza con la quale ci vengono portati i bambini per questo problema. Oltre tutto, almeno oggi, e almeno dalle nostre parti, la grande maggioranza dei genitori si accorgono della zecca immediatamente e comunque sono in grado di risalire con ragionevole certezza al tempo trascorso dal possibile contatto (“dopo la gita”). Infine, perché la zecca raggiunga le dimensioni sufficienti a favorire il rigurgito di sangue e quindi l’infezione è necessario un tempo che va dalle 24 alle 48 ore, generalmente mai inferiore alle 36 (3).

In questo modo, se dovessimo seguire alla lettera le indicazioni dell’articolo, dovremmo mandare tutte le zecche ad analizzare e attivare una sierologia per la ricerca delle IgM specifiche nella gran parte dei casi che si presentano giornalmente al Pronto Soccorso e negli ambulatori pediatrici, senza che questo modifichi di nulla il nostro atteggiamento. Infatti non sarebbe consigliato avviare alcun trattamento antibiotico in assenza di sintomatologia clinica suggestiva di infezione, come del resto sottolineato degli Autori stessi.

Il nostro approccio in PS a Trieste consiste già da anni, semplicemente, nell’estrarre per rotazione la zecca e medicare la cute interessata. Si avverte poi il paziente di segnare su calendario la data e di controllare se compare un eritema migrante entro 30-40 giorni dal contatto. Nel caso questo avvenisse, si raccomanda di rivolgersi al pediatra di famiglia che richiederà la conferma sierologica con il dosaggio IgM e IgG per malattia di Lyme e, al tempo stesso, prescriverà l’antibiotico.

In tanti anni non abbiamo mai avuto motivo per riconsiderare nella parassitosi da zecche questo semplice e facilmente percorribile protocollo, che rimane, come è sempre stato, per tutti noi medici astanti, un problema clinico di facile gestione e di scarsa preoccupazione.


Bibliografia

(1) Dutto M, Cinco M. Parassitosi da zecche in pediatria: trattamento e prevenzione. Medico e Bambino 2011;30:88-93.

(2) Pitches DW. Removal of ticks: review of the literature. Euro Survell 2006;11

(3) Wormers GP. Early Lyme disease. N Engl J Med 2006;354:2794-801




Cecilia Geraci, Lorenzo Calligaris
redazione@medicoebambino.com
Clinica Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Università di Trieste
lunedì 18/07/2011 12:48
Pagine elettroniche, Settembre 2011
Post hoc, propter hoc?
Bell'inquadramento del caso, ma a parte lo stretto rapporto temporale, non vedo nessun altro accertamento che metta in rapporto la vaccinazione con la patologia in questione.
Wakefield (senza volere accostare gli Autori al medico inglese) per poter dimostrare l'associazione del vaccino MMR all'autismo, con prove false, dimostrò la persistenza del virus a livello intestinale.
Qui non mi pare ci sia nessun riscontro e l'unico rapporto tra patologia e vaccino è il rapporto temporale, un po' poco fin dai tempi dei Romani.



SEMPRINI GIOVANNI GIULIANO
giannisemprini@alice.it
APEL Liguria
martedì 13/09/2011 09:31
Il punto su, Settembre 2010
segnalazione bibliografica
ci ho messo un anno a fare questo commento per motivi vari che vorrei discutere col Prof Panizon ma non conosco il suo indirizzo e-mail.Il commento è comunque questo:vi è sfuggito il lavoro fatto nel mio reparto in collaborazione con Raffele Iorio di Napoli e l'anatomo patologo di Messina:Pier Antonio Nicotina.Mi verebbe da fare una battuta per ridere su federalismo,Unità d'Italia e Regno delle Due Sicilie: ma Trento e Trieste forse sono fuori dall'Italia?Chiedo scusa se non vi ho fatto ridere.Comunque il lavoro è stato pubblicato su Journal of Hepatology 47 (2007) 732–735
Case report
Is exchange transfusion a possible treatment
for neonatal hemochromatosis?q
Giuseppina Timpani1, Francesca Foti1, Antonino Nicolo` 1, Pier Antonio Nicotina2,
Emanuele Nicastro3, Raffaele Iorio3,*
1Neonatal Intensive Care Unit, Ospedali Riuniti, Reggio Calabria, Italy
2Department of Pathology, University of Messina, Messina, Italy
3Department of Pediatrics, University of Naples ‘‘Federico II’’, Via Sergio Pansini, 5, 80131 Naples, Italy.
Un anno fa abbiamo incoraggiato la madre ad avviare una terza gravidanza sottoponendola a infusione con gammaglobuline g1/Kg/W dalla 18° settimana,ma questo caso è ancora in via di pubblicazione,lo abbiamo solo segnalato al prossimo convegno SIN.Cari saluti e un bacio al prof Panizon che ritengo mio maestro dai tempi di Catanzro ancor prima di Copanello...e che spero goda buona salute Pina Timpani

Giuseppina Timpani
pinatimpaniçvirgilio.it
Responsabile TIN Reggio Calabria
lunedì 19/09/2011 05:32
Lettere, Novembre 2011
OMA... che passione!
È interessante la discussione innescata dalla lettera apparsa nell'ultimo numero a firma mia e di altri componenti del gruppo multidisciplinare che ha redatto la LG italiana sull'OMA.

Vorrei contribuire con una domanda ed alcune mie osservazioni.

La domanda.
I colleghi Della Giustina e Cavallo hanno letto il testo integrale della LG? Dalla lettura dei loro commenti, soprattutto quello del dott. Della Giustina, pare di no...

Le osservazioni.
Parto dalla perplessità espressa rispetto al frazionamento della dose di amoxicillina in 2 dosi giornaliere: prima di esprimere giudizi su una raccomandazione di una LG sarebbe (o meglio, è) buona norma andare a leggere la LG integrale (il dott. Cavallo ha letto addirittura tutta la LG americana sulla polmonite... in inglese!) per analizzare i razionali a supporto delle varie raccomandazioni e verificarne le evidenze riportate a supporto. Nel nostro caso (i.e. amoxicillina BID vs TID) vi si scoprirebbe qualcosa di interessante, a cui rimando, a sostegno di una valutazione ragionata sulla possibilità di utilizzare (quando, in che casi...) la somministrazione dell'amoxicillina in 2 dosi giornaliere che, per motivi redazionali, non è stato possibile argomentare nella nostra lettera.

Seconda questione. Rispetto al cefaclor il dott. Della Giustina mette in evidenza il titolo del lavoro di Stefani et al. 2008 (citato nella nostra lettera a supporto della raccomandazione che pone il cefaclor come seconda scelta nei casi in cui è indicato il trattamento con amoxicillina) sottolineando che si tratta di un lavoro sul cefditoren: è facile rilevare tra le righe una malcelata provocazione e una palese accusa di incongruenza del riferimento bibliografico. È evidente che il dott. Della Giustina si è limitato alla semplicistica a lettura del titolo del lavoro senza avere la "pazienza" di andare a leggere il testo integrale dell'articolo: non sono certo io che devo ricordare che per valutare la congruenza di un lavoro riportato a supporto di una raccomandazione non ci si può fermare al titolo o all'abstract ma, se si vuole esprimere un giudizio di merito, si deve andare a leggere il testo integrale dell'articolo. Se il dott. Della Giustina l'avesse fatto, o se solo avesse letto il testo della LG relativa alla terapia, avrebbe potuto scoprire che nell'analizzare il profilo farmacocinetico e farmacodinamico del cefditoren e della sua efficacia su pneumococco, emofilo, moraxella (etc) viene fatto un confronto analitico con varie altre molecole disponibili: i dati riportati fanno emergere il possibile ruolo del cefaclor.

Mi spiace, invece, rilevare che nessuno dei due colleghi si sia espresso sulla questione della diagnosi che rappresenta il vero punto problematico della gestione dell'OMA: più ci si avvicina ad una diagnosi certa di OMA, ovvero più si riduce il livello dell'incertezza diagnostica, e più razionale e ragionevole è l'uso dell'antibiotico e l'approccio ad una consapevole vigile attesa.
Usare l'otoscopio pneumatico migliora l'accuratezza e riduce l'incertezza diagnostica: provare per credere!

Chi volessere leggere la LG italiana sull'OMA e verificare di persona le raccomandazioni e le argomentazioni a supporto corredate di evidenze scientifiche può farlo accendo al seguente link: http://www.sipps.it/pdf/lineeguida/otite.pdf

Mattia Doria
Pediatra di famiglia, Chioggia (Ve)

Mattia Doria
mattia.doria@gmail.com
Pediatra d famiglia
sabato 03/12/2011 00:17
Lettere, Novembre 2011
linee guida sull'OMA
Condivido tutte le considerazioni fatte dal collega Della Giustina sulle tre dosi di amoxicillina, sul cefaclor e sul clavulanato.
Riguardo la somministrazione della amoxicillina però, leggendo le (chilometriche) LG americane sulla gestione della polmonite, trovo scritto a pag. 53 che:

"The half-life of amoxicillin inmiddle ear fluid was documented to be 4–6 hours, compared with 1 hour in serum, providing supporting evidence for twicedaily dosing for acute otitis media. Similar prospective, comparative data supporting a recommendation for twice-daily dosing have not been collected for documented pneumococcal pneumonia in children [191]. To achieve the appropriate amoxicillin exposure in lung infected by relatively resistant pneumococci (MICs of 2.0 lg/mL), a high total daily dose (90 mg/kg/day) in 3 equally divided portions is predicted to achieve a clinical and microbiologic cure in about 90% of children treated, compared with only 65% of children treated with the same total daily dose divided into 2 equal doses [192]. However, for fully susceptible strains, a dosage of 90 mg/kg/day in 2 divided portions, as indicated for otitis media, is likely to be successful"

In pratica nell'orecchio medio la emivita sarebbe molto più lunga che nel siero (e pare di capire nel polmone, organo eccezionalmente irrorato), per cui nell'orecchio ci sarebbe una persistenza maggiore del farmaco che assicurerebbe il successo anche con due somministrazioni\die mentre nel polmone la rapida rimozione richiede una maggiore attenzione nel rispetto di una somministrazione più frequente.
Ero abituato a pensare diversamente; mi sembra comunque troppo presto per cambiare abitudini ma forse la questione merita di essere approfondita.


CAVALLO ROSARIO
rosario.cavallo.2qkp@alice.it
pediatra di famiglia
lunedì 21/11/2011 19:37
Lettere, Novembre 2011
La terapia dell'Otite Media Acuta
Ho letto con vivo interesse nel numero di Novembre la Lettera inviata da Colleghi a nome del Gruppo multidisciplinare che ha elaborato le Linee Guida dell'OMA; e sottolineo “con vivo interesse” essendo io pediatra di famiglia e quindi molto coinvolto nell'argomento. Mi limiterei ad affrontare e condividere alcune “raccomandazioni” espresse dal Gruppo che, se condivise, cambierebbero da oggi la pratica prescrittiva di noi pediatri di famiglia. L'indicare infatti l'uso dell'amoxicillina (o amoxi/clavulanato che sia...) in due dosi giornaliere invece che in tre dosi cui io ero e sono (e personalmente “sarò”) abituato, equivarrebbe a suggerire che d'ora in avanti non ci sarebbe più spazio nella nostra pratica terapeutica nelle patologie respiratori per le tre dosi: se già per lo SBEA ne diamo due, dandone due dosi anche per lo pneumococco, in pratica, considerate le patologie respiratorie cui abbiamo a che fare, significherebbe due dosi di amoxi per tutto. Ma lo pneumococco non mi pare sia lo SBEA, se parliamo di farmacocinetica. Uno studio condotto su bambini con infezione polmonare da pneumococco (Fonseca et al 2003) ha descritto la farmacocinetica dell'amoxicillina somministrata a 50 mg/kg/die sia in due che in tre dosi/die. In caso di uno pneumo a resistenza intermedia (MIC 4 micr/ml) la concentrazione plasmatica di amoxi rimane sopra il livello di MIC per lo pneumo per 4 ore, da cui si evince che per curare lo pneumo si deve dare l'amoxi ogni 8 ore perchè se si dà ogni 12 ore non c'è una sufficiente concentrazione nel plasma per rimanere sopra il livello MIC per il 50% del tempo tra le due dosi, in questo caso di 6 ore; e ovviamente l'aggiunta di clavulanato non cambia la farmacocinetica (teniamo presente che il tempo sopra MIC calcolato nel plasma è uguale a quello calcolato nell'orecchio medio).

Concludo infine con una nota sull'uso del cefaclor, uso su cui, nella mia precedente Lettera al prof Longo, avevo espresso le mie perplessità. Il Gruppo multidisciplinare nella Lettera scrive testualmente “Alla luce di recenti dati microbiologici rappresentativi della realtà italiana, l’indicazionenella linea guida dell’uso della amoxicillina trova come valida alternativa tra le cefalosporine orali il cefaclor nelle forme con sintomi lievi proprio per le caratteristiche microbiologiche e farmacologiche di questo derivato cefemico disponibile in Italia”. Il riferimento bibliografico riportato però si riferisce a un lavoro di StefaniS, Mezzatesta ML, Fadda G et al riguardante l'uso del cefditoren che non è il cefaclor bensì altra cefalosporina (III generazione).

Infine l'affermazione anche "L’associazione amoxi-clavulanato trova giustificazione nelle forme di OMA con sintomigravi a causa della possibile alterazione dei patogeni responsabili dell’OMA dopo vaccinazione antipneumococcica su larga scala", almeno per quanto riguarda i dati della mia regione, in costante monitoraggio, non mi pare ci sia un significativo aumento degli emofili non tipizzabili produttori di betalattamasi (credo che solo a questo germe ci si possa riferire, in quanto lo pneumococco non è produttore di betalattamasi e quindi un'eventuale resistenza la si supera non aggiungendo il clavulanato ma aumentando la dose della stessa amoxicillina). Se vi sono però dati italiani diversi da quelli dell' Emilia Romagna, siamo tutti interessati a conoscerli e a modificare eventualmente le nostra abitudini prescrittive aggiungendo il clavulanato all'amoxicillina.




Auro Della Giustina
aurodella@alice.it
Pediatra di Famiglia, Fornovo Taro - PR
venerdì 18/11/2011 14:39
Il commento, Dicembre 2011
La pediatria di famiglia e il gradimento
Non sono molto d'accordo sull'articolo citato. Innanzitutto per evitare sospetti di autoreferenzialità (per altro molto fondati) sarebbe stato opportuno descrivere materiali e metodi della ricerca in modo più dettagliato, per es. come, da chi, con che modalità venivano fatte le domande, chi rispondeva, a voce o per iscritto, ecc.
Anche la valutazione dei presunti risultati è opinabile, per es.: pochi cambiano pls? Non necessariamente ne sono soddisfatti, il fatto è che non ce n'è di disponibili!
Un dato poi che darebbe una valutazione abbastanza attendibile dell'efficienza del servizio e che non viene mai valutato pur essendo molto facilmente accessibile è: quanti codici bianchi accedono al PS nei giorni feriali? con quale pls sono iscritti?
Anche il commento del Calia mi lascia perplessa. Lamenta il fatto che con l'avvento della pediatria di base non si siano eliminate tutte le figure mediche già esistenti sul territorio che si occupavano di bambini, magari con un'annosa esperienza alle spalle. In effetti si poteva mandarle in miniera... Il monopolio è nemico della libertà... Ci sarebbe molto altro da osservare come per esempio una valutazione costo beneficio, etc ma lascio perdere.

Marinello
biancafermi@hotmail.com

martedì 20/12/2011 13:55
Casi indimenticabili, Dicembre 2011
prima di dopo ...continua
Per chi volesse sapere come è andata a finire il nostro caso simile a quello della dott.ssa Leonardi che avevo precedentemente commentato, dicendo che prima di dopo è meglio cercare un processo espansivo o infiammatorio...
nel nostro caso non c'era un processo espansivo, ma un processo infiammatorio a carico dei muscoli, in assenza di alterazioni EMG e di alterazioni enzimi muscolari e in assenza delle lesioni tipiche cutanee che precedono , concomitano la fascite eosinofila. E tanto per deliziarci interessamento anche delle mani che non si ha mai...
Come dire: la medicina è un'opinione?

clotilde alizzi
cl.ali@tiscali.it
clinica pediatrica palermo
mercoledì 25/01/2012 17:49
Casi indimenticabili, Dicembre 2011
prima di dopo...
Ho letto tutto d'un fiato questo articolo, per una situazione simile ma alla fine differente. Ancora non conosciamo la diagnosi.
Penso che le bandierine rosse devono essere accese sempre anche se sembra eccessivo. Ritengo che in una situazione simile aver fatto la RMN anche se poi non ci ha fornito le informazioni che cercavamo (e per fortuna per la bimba non c'era nessun processo occupante spazio, né altro, proprio altro) sia stato importante per quello che qui viene citato: "prima che sia troppo troppo tardi". Io amo dire: "prima di dopo..."
Grazie

ALIZZI CLOTILDE
cl.ali@tiscali.it
Clinica Pediatrica Palermo
mercoledì 21/12/2011 15:54

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