Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Novembre 2009 - Volume XII - numero 9
M&B Pagine Elettroniche
Casi indimenticabili
Due
lesioni ossee
Pediatra,
Milano
Il
dolore nei bambini mi mette sempre a disagio, soprattutto se non
riesco rapidamente a capirne l’origine.
Con
B., un bambino di 7 anni, la cosa era resa più difficile
dal suo carattere timido e poco comunicativo. Fin dall’inizio
di questa storia è sempre venuto con il papà, che
me l’ha portato per una semplice sindrome influenzale ma
intanto mi ha segnalato un dolore ricorrente al ginocchio: al
momento della visita però non aveva dolore, il ginocchio
era magro e asciutto come l’altro, nessun problema.
Dopo
due settimane ci risentiamo, il dolore non è continuo ma
quando c’è è molto forte, lo sveglia di notte
e lo fa zoppicare, anche questa volta non c’è nulla
di obiettivo ma vorrei vederci chiaro e lo mando in PS per fare
una radiografia e intanto prescrivo ibuprofene. La radiografia è
negativa, l’ibuprofene funziona ma solo in modo temporaneo
e dopo 10 giorni B. è di nuovo in PS dove fa anche degli
esami, normali.
Dopo
un’altra settimana va al Pronto Soccorso di un altro
ospedale, dove c’è un reparto di ortopedia
pediatrica e viene sospettata un’artrite dell’anca,
il dolore al ginocchio sarebbe irradiato, fa un’ecografia
che documenta un minimo versamento con ispessimento sinoviale, la
VES è 20. Gli ortopedici lo fanno tornare più volte
e io, mentre fornisco ricette di antinfiammatori, raccolgo a
posteriori il racconto del padre e cerco di mettere ordine nelle
diverse ipotesi che via via vengono fatte da colleghi sempre
diversi, che alla fine lo “scaricano”,dicendo di
andare da un reumatologo.
Non
mi sembra una idea sensata e aspetto. Vedo per una volta B. per
una tonsillite e non si parla di dolore alla gamba…ma poi
torna peggio di prima, ormai B. zoppica e una domenica torna al
PS dell’ospedale vicino, viene proposto il ricovero, il
padre non vuole, ma quando mi telefona il lunedì lo
convinco, la storia dura da 3 mesi e bisogna venirne a capo. Per
una settimana sembra che l’ipotesi dominante sia un’artrite
da clamidia o Mycoplasma, ci sono anticorpi per entrambi, ma la
terapia antibiotica non sembra dare risultati. Viene dimesso e
rientra in DH per una RM. Dopo 2 giorni la collega dell’ospedale
telefona a me per dirmi che il radiologo descrive una lesione
ossea suggestiva di Sarcoma di Ewing al collo del femore. Mi
chiede se voglio essere presente quando lo comunicheranno alla
famiglia.
Mi
sembra urgente che lo sappiano, anche senza la mia presenza, io
sono comunque disponibile in qualsiasi momento abbiano bisogno di
me per i successivi passaggi che prevedono un invio urgente al
reparto di oncologia ossea di un altro ospedale milanese. Infatti
il padre mi telefona quasi subito e più tardi viene a
portarmi la RM, ammetto che è uno shock, l’osso è
completamente alterato nella sua struttura e nella mia totale
inesperienza mi fa un effetto poco diverso da quello che deve
aver fatto ai genitori. La mattina dopo vado anch’io alla
consulenza ortopedica, sono un po’ più fredda e
posso fare le domande che immagino anche i genitori vorrebbero
fare mano a mano che il collega prende visione delle “prove”
e molto limpidamente spiega che la Risonanza non dice nulla sulla
natura della lesione, che è necessaria una TAC e che può
farla il giorno dopo da loro e solo allora si potrà fare
una diagnosi e un programma e comunque per qualunque ipotesi ci
sarà una adeguata terapia. Scendiamo a prenotare la TAC,
ci vorrebbero degli esami, li ha quasi tutti, possibile che non
si possa fare a meno dell’unico che manca?
L’impiegata
allo sportello gentilmente ci manda direttamente dal radiologo
che parla con me e da l’OK, abbiamo delle facce tese,
chiede ai genitori se può vedere intanto la risonanza, se
la guarda bene e dice delle parole memorabili: “penso che
potremo rivedere la diagnosi al ribasso, comunque ci vediamo
domani”. Nessuno vuole attaccarsi troppo a questo filo di
speranza ma io mi sento molto meglio, finalmente siamo appoggiati
al posto giusto. La sera dopo il padre di B. viene in studio con
la nuova diagnosi: è un osteoma osteoide! Sì,
certo, è da operare, ma guarirà senza problemi.
Dopo 3 settimane B. viene operato, un magico tubicino porta
dentro l’osso uno strumento che rimuove tutta la parte
malata, il dolore sparisce e resta solo una piccola cicatrice
cutanea. C’è anche chi dice che l’osteoma può
risolversi da solo e soprattutto a livello del collo del femore
si è rischiato con l’intervento, ma io credo che il
dolore andasse davvero risolto e che chi ha accettato questa
responsabilità e questo rischio ha fatto bene.
Passano
2 mesi e mi capita un’altra bambina, R., con un dolore
osseo, stessa storia, il dolore non è continuo ma spesso è
notturno, non zoppica e alla visita non si vede nulla. Con lei
però sono più fortunata, la radiografia parla
subito chiaro, c’è una lesione tondeggiante erosiva
alla diafisi femorale. Con i genitori butto subito lì
l’ipotesi dell’osteoma osteoide, che è
benigno, ma non nascondo che ci sono altre ipotesi e che bisogna
muoversi senza tergiversare. Questa volta so bene dove mandarla e
R. viene ricoverata, i suoi esami non sono così normali,
viene fatta una biopsia ossea e la diagnosi questa volta è
di granuloma eosinofilo. Già dopo la biopsia il dolore
sparisce. Anche lei è stata operata e sta bene. |
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