Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Settembre 1999 - Volume II - numero 7
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- Vomito ciclico ed emicrania
GH nella sindrome di Turner
Alloicoccus otitis e OME
Fumo materno e malattie dell'orecchio medio
Procubito e SIDS: perché ?
Invaginazione intestinale e vaccinazione contro i rotavirus
Lo pneumococco resistente ai fluorochinoloni
Vitamina A, malaria e broncopneumodisplasia&url=https://www.medicoebambino.com/index.php?id=AV9907_10.html&hashtags=Medico e Bambino,Pagine Elettroniche' target='_blank'>Condividi su Twitter
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GH nella sindrome di Turner
Alloicoccus otitis e OME
Fumo materno e malattie dell'orecchio medio
Procubito e SIDS: perché ?
Invaginazione intestinale e vaccinazione contro i rotavirus
Lo pneumococco resistente ai fluorochinoloni
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Settembre 1999 - Volume II - numero 7
M&B Pagine Elettroniche
Avanzi
Novità,
riflessioni, contributi e proposte,
Sugli
effetti favorevoli, nella malattia di Crohn, degli anticorpi
monoclonali contro il fattore di necrosi tumorale (Infliximab) si è
già parlato nelle Pagine elettroniche di M&B (Appunti di
terapia, febbraio 1999). Come è noto, nella malattia di Crohn
(MC) le fistole entero-cutanee rappresentano una grave complicazione,
molto difficile da trattare. In una ricerca su 94 pazienti (tutti
adulti) con fistole di questo tipo da oltre 3 mesi, è stato
impiegato l'Infliximab, secondo questo schema: 31 pazienti sono
stati trattati con placebo, 31 con 5 mg di Infliximab per chilo di
peso e 32 con Infliximab alla dose di 10 mg/kg. Il farmaco è
stato somministrato per via endovenosa al punto 0, dopo 2 e 6
settimane (N Engl J Med 340, 1398-405, 1999). Il 68% dei
pazienti che ricevevano 5 mg/kg e il 56% di quelli che ricevevano 10
mg/kg hanno risposto al trattamento, contro il 26% dei gruppo placebo
(p=0,002 e 0,02 rispettivamente). In particolare il 55% di quelli
trattati con 5 mg/kg e il 38% di quelli trattati con 10 mg/kg hanno
presentato una chiusura completa di tutte le fistole, contro il 13%
dei pazienti del gruppo placebo (p=0,001 e 0,04 rispettivamente). In
media le fistole si sono chiuse entro 3 mesi. I sintomi collaterali,
attribuibili al trattamento, sono stati la cefalea, gli ascessi, le
infezioni delle vie aeree superiori e la stanchezza. Viene
concluso che l'infliximab è utile nel trattamento delle
fistole in pazienti con malattia di Crohn, anche con il dosaggio più
basso.
Alla
ricerca di un nuovo più efficace vaccino contro i rotavirus,
risulta di grande interesse valutare quale sia l'efficacia conferita
dall'infezione naturale. Approfittando di un'esperienza condotta per
lo studio di un vaccino, sono state valutate l'immunità e
l'efficacia protettiva di una prima infezione da rotavirus G3 (J
Infect Dis 178, 1562-6, 1998). Dall'esame di 391 soggetti, che
costituivano il gruppo controllo, è stato calcolato che
l'efficacia di un episodio iniziale, dovuto al sierotipo G3, è
stata del 91%, nei confronti della prevenzione di un successivo
episodio dovuto allo stesso sierotipo.
Ancora
elementi a conferma dell'importanza dell'equilibrio linfociti Th1
e Th2. Si pensa che il diabete tipo 1 sia mediato dai linfociti T
helper 1 (Th1), mentre l'asma e le altre malattie atopiche siano
caratterizzate da una preminente risposta Th2. In un recente studio
europeo è stato osservato che il rischio di asma è
significativamente diminuito nei bambini con diabete tipo-1 e
viceversa (Lancet 353, 1850, 1999): quando è stato
tenuto conto delle crisi di respiro fischiante nei probandi, nei loro
fratelli e nei controlli è risultato che solo il 27% dei
bambini con diabete mellito tipo-1 ne aveva sofferto, contro il 42%
dei fratelli e il 51% dei controlli. Queste osservazioni offrono una
semplice dimostrazione clinica dell'importanza potenziale
dell'equilibrio fra risposta Th1 e Th2, nel mediare l'evoluzione
clinica nelle due malattie croniche più comuni dell'infanzia.
Gli autori sostengono che una deviazione della risposta immune da Th1
a Th2 può essere considerata come una via promettente per la
prevenzione del diabete.
Molti
studi recenti indicano che le infezioni da micobatteri e da virus
possono ridurre i livelli di IgE o sopprimere l'atopia, inducendo
le rispose di tipo Th1. Le reazioni, tipo ipersensibilità
ritardata, come la reazione intradermo alla tubercolina, riflettono
una risposta tipo 1, mentre la produzione di IgE riflette una
risposta Th-2. Una risposta Th-2 può essere soppressa da una
risposta Th-1 ? La risposta a questa domanda scaturisce da
un'esperienza condotta in soggetti con tubercolosi malattia, prima
e dopo il trattamento antitubercolare (Lancet 353, 2030-2,
1999). E' stato osservato che la malattia da Mycobacterium
tuberculosis ha una prevalente risposta di tipo IgE; ma la
concentrazione di IgE diminuisce dopo un trattamento efficace della
tbc: da un livello medio di IgE di 457 kU/L si passa a 175 kU/L.
Viene ritenuto che questa diminuzione sia dovuta a un aumento della
risposta di tipo Th-1, capace di sopprimere la risposta di tipo Th-2.
Il
desiderio di scoprire le cause che nell'ultimo decennio hanno
portato a un aumento della prevalenza dell'asma e delle allergie
nei nostri bambini, è talmente forte che vengono seguite
innumerevoli vie. Una delle più recenti osservazioni tira in
ballo i grassi nella dieta (Lancet 353, 20341-2, 1999):
l'assunzione di alcuni acidi grassi polinsaturi, particolarmente
n-3 e n-6, era stata già da tempo associata allo sviluppo di
malattie atopiche. Tuttavia non si sapeva ancora niente sulla
configurazione di questi acidi grassi, cioè se fosse
prevalentemente di tipo cis o trans. Gli acidi grassi trans si
trovano prevalentemente nel latte e nei latticini, nel grasso degli
animali ruminanti e nei grassi vegetali idrogenati, come le
margarine. In uno studio, che ha coinvolto 155 centri europei è
risultato che esiste un'associazione positiva fra introiti di acidi
grassi trans e prevalenza dei sintomi di asma, di rino-congiuntivite
allergica e di dermatite atopica. In parallelo non è stata mai
riscontrata un'associazione fra introiti di acidi grassi
monoinsaturi (acido oleico per esempio) o polinsaturi in
configurazione cis. La prevalenza di malattie atopiche dopo
assunzione di acidi grassi trans è stata collegata al fatto
che queste sostanze sono i precursori delle prostaglandine e dei
leucotrieni, la cui sintesi è maggiore dopo l'introduzione
di grassi vegetali idrogenati (margarine) che di grassi animali.
Nel corso
di una riaccensione epidemica negli anni 1992-3 vennero esaminati
8.235 bambini di 88 scuole materne e 14 scuole elementari della città
di Quebec, in Canada (Clin Infect Dis 28, 840-6, 1999) per
determinare la capacità dei medici a porre diagnosi di
pertosse. Solo il 12-14% dei bambini con pertosse fu diagnosticato
dai medici (soprattutto "general practitioner", ma anche
pediatri). La bassa incidenza della malattia nei 15 anni precedenti
l'epidemia, suggerisce che la maggioranza dei medici pratici avesse
ormai poca esperienza con la pertosse, per cui può non aver
preso in considerazione questa diagnosi o essere rimasta incerta
sull'esatto riconoscimento. D'altra parte, dato che la copertura
vaccinale fra questi bambini era molto alta, i medici avranno
probabilmente sovrastimato l'efficacia del vaccino, ritenendo
erroneamente che la pertosse non sia possibile in un bambino
vaccinato, anche se egli presenti i segni tipici della malattia. La
descrizione di questa situazione ricorda da vicino quanto sta
avvenendo in molte parti d'Italia, dove però si ammalano i
bambini di 8 o più anni, quelli sfuggiti alla
vaccinazione negli anni in cui era disponibile solo il vaccino a
cellule intere. I bambini vaccinati regolarmente col vaccino
acellulare nel nostro Paese non sembrano ammalarsi, almeno di forme
conclamate. Va ricordato d'altra parte che nel Progetto pertosse
italiano e svedese (1992-3) fu usato un vaccino a cellule intere,
proprio di produzione canadese, che dimostrò una scarsissima
efficacia (intorno al 40%): a parte la difficoltà incontrata
dai medici canadesi per la diagnosi di pertosse, non potrebbe anche
darsi che il vaccino usato abbia funzionato poco, per cui erano
presenti forme di lieve entità di difficile riconoscimento ?
Il
reflusso gastro-esofageo (RGE) è un'evenienza frequentissima
nei lattanti dei primi mesi: fortunatamente nella maggior parte dei
casi, esso non causa malattia. Solo in una piccola parte dei bambini
esso può dare esofagite, aspirazione polmonare, problemi
alimentari e, ancor più di rado, insufficienza a crescere.
Nonostante l'evidente benignità, il RGE determina ansietà
nei genitori, per cui il pediatra è obbligato a tenerne conto:
egli ispessisce i cibi, modifica la posizione del lattante, usa
antiacidi, procinetici e farmaci che sopprimono l'acidità.
Qualche dubbio sull'utilità della cisapride nella cura del
RGE non complicato era già sorta nel passato, ma ora questo
punto di vista è stato avvalorato da uno studio in doppio
cieco (J Pediatr 134, 287-92 e 262-4, 1999). 95 pazienti in
età inferiore ai 36 mesi, con RGE, sono stati suddivisi in due
gruppi per uno studio in doppio cieco: uno riceveva il placebo e
l'altro 0,2mg/kg per 4 volte al giorno di cisapride. La cisapride
non ha modificato i sintomi dei bambini con RGE non complicato;
l'unica modificazione ha riguardato il tempo di esposizione
dell'esofago all'acidità. Viene proposta la denominazione
di “allegro rigurgitatore”.
Per molti
pediatri italiani, il vomito ciclico fa parte della sindrome
periodica, un quadro clinico caratterizzato anche da cinetosi,
dolori notturni agli arti inferiori e, infine, dall'emicrania. Gli
studiosi statunitensi lo stanno scoprendo solo oggi (morbo celiaco
docet). Dall'esame di 214 bambini con la sindrome del vomito
ciclico è risultato che nell'82% di essi la sindrome del
vomito ciclico era collegata all'emicrania, sia in base alla storia
familiare, che in base al quadro clinico, che è evoluto in
emicrania (J Pediatr 134, 533-5, 567-72, 1999). Molto spesso è
risultata evidente l'associazione con il dolore addominale e con la
risposta ai farmaci anti-emicrania.
L'insufficienza
crescere e quindi la bassa statura dei pazienti con sindrome di
Turner rappresentano uno dei principali aspetti della malattia. Fino
a una decina di anni fa queste pazienti erano trattate con
oxandrolone o con steroidi a basso dosaggio. Più di recente è
stato visto che l'ormone della crescita (GH) migliora la velocità
di crescita e, si sperava, l'altezza finale. Oggi, a distanza di
10-13 anni dall'inizio del trattamento, è possibile
esprimere un giudizio definitivo (Arch Dis Child 80, 36-41e 221-5, 1999). Dallo studio di 485 soggetti trattati è
risultato che se il trattamento (30-42 IU/metro quadro, in 6-7
iniezioni per settimana di GH, associato a basse dosi di estrogeni)
veniva iniziato prima della pubertà, l'altezza finale
aumentava di 5 cm o più di quella aspettata. L'altezza
finale è risultata correlata con la durata del trattamento,
con la dose totale ricevuta e con la risposta che è stata
ottenuta nel primo anno di trattamento. La suddivisione della dose
giornaliera in due parti non è risultata importante ai fini
dell'altezza finale raggiunta.
Tutti
sappiamo che i germi in causa nell'otite media acuta sono loStreptococcus pneumoniae, lo Streptococcus pyogenes,Haemophilus influenzae e la Moraxella catarrhalis, ma
che in oltre la metà dei casi, pur essendo presenti i segni
della flogosi, non vengono isolati batteri. In questi casi sono stati
spesso ritrovati virus di tipo diverso, ma rimane ancora una buona
fetta di otiti medie acute, senza l'identificazione di un agente
infettivo responsabile. In 12 casi di otite media cronica con
versamento (OME), che, come sappiamo, fa seguito a un'otite media
acuta, più o meno sintomatica, oltre alle culture classiche,
sono state usate le più moderne tecniche di estrazione del
DNA, di amplificazione con la PCR e di analisi della popolazione
batterica (Lancet 354, 386-9, 1999). In 6 dei 12 campioni è
stato ritrovato un batterio gram positivo (l'Alloiococcus
otitis), che non era stato isolato con la cultura: spesso questo
agente era presente insieme ad altri batteri. Ma chi è
l'Alloiococcus otitis ? Si tratta di batterio a-emolitico, che
si riteneva responsabile di qualche raro caso di meningite purulenta,
ma niente di più. Per concludere: i pazienti sono pochi,
l'Alloiococcus otitis è ancora un batterio poco
conosciuto, la sua ricerca con le sofisticate tecniche usate dagli
autori è difficile e complicata: tutti questi fattori rendono
indispensabile di allargare la casistica prima di essere sicuri che
un nuovo agente infettivo debba essere preso in considerazione nelle
otiti medie acute e in quelle croniche con versamento.
Già
si sapeva che esistono stretti legami fra il fumo della madre in
gravidanza e la successiva morbilità del figlio; si dubitava
che esistessero anche legami con le malattie dell'orecchio medio, ma
non ne eravamo completamente sicuri e tanto meno ne conoscevamo
l'estensione. Dall'Australia ci giunge la notizia che questo rapporto
esiste e che è relativamente frequente (Pediatrics 104, p.
e16, 1999). Per questo studio sono state coinvolte 8.556 donne
durante la gravidanza; i loro figli vennero controllati fino all'età
di 5 anni. Le infezioni acute dell'orecchio si dimostrarono associate
al fumo in gravidanza, ma quello che è maggiormente
dimostrativo è che questo rapporto è direttamente
proporzionale al numero di sigarette fumate: quando sono fumate da 1
a 9 sigarette il rischio è aumentato di 1,6 volte, quando sono
fumate da 10 a 19 sigarette il rischio passa a 2,6 e quando sono
fumate più di 20 sigarette per giorno il rischio sale ancora
fino al 3,3. Questa associazione sono indipendente da ogni altro
fattore di rischio: dal fumo della madre durante i primi anni di vita
del bambino, dall'età e dal sesso del bambino,
dall'allattamento al seno, dall'età della madre,
dall'educazione della madre, dall'impiego della madre e del padre
quando il bambino ha 5 anni, dallo stato socioeconomico della
famiglia, dalla frequenza all'asilo nido e alla scuola materna e dal
numero di fratelli o di bambini che sono presenti nella famiglia. Il
fumo della madre in gravidanza contribuisce quindi alla morbilità
del bambino e fornisce un'altra forte ragione perché le donne
vengano incoraggiate a non fumare durante la gravidanza.
Che la
posizione prona sia collegata a un aumento del rischio della sindrome
della morte improvvisa (SIDS) è ormai nozione comune a tutti:
ne è stata data notizia su tutti i mezzi d'informazione. Ma
perché questa posizione aumenta il rischio ? La risposta è
difficile e fino a oggi non erano state proposte spiegazioni
convincenti. Ne arriva una nuova, che ha tutte le probabilità
di essere quella buona, dall'Australia, il Paese che per primo
collegò la posizione prona nel sonno alla SIDS,
(Pediatrics 104, 263-9, 1999).Gli autori sostengono che il
meccanismo più importante e potenzialmente letale è
l'attivazione del chemoriflesso laringeo: questo riflesso è
attivato dalla stimolazione diretta da parte dei liquidi della mucosa
laringea esso porta a una complessa serie di risposte, fra le quali
l'apnea e la bradicardia. Il riflesso è in rapporto con l'età
ed è tipico del lattante. L'ipotesi degli autori è che
i meccanismi protettivi della pervietà delle vie aeree (la
deglutizione e il risveglio), che proteggono il laringe dalla
stimolazione, diminuiscano in posizione prona, in confronto a quanto
avviene in posizione supina. Questa ipotesi affascinante è
stata dimostrata in 10 lattanti, nati a termine, che sono stati
reclutati col consenso dei genitori e del comitato etico: in questi
sono state fatte 164 introduzioni di 0,4 mL di acqua
nell'oro-faringe. Con questa tecnica sono state evocate risposte
protettive nel 95% delle volte come deglutizione e nel 54% delle
volte come risveglio. E' stata riscontrata una significativa
riduzione di questi meccanismi protettivi quando il lattante era in
posizione prona in confronto a quando era in posizione supina. Questa
dimostrazione nella sua semplicità ricorda un po' l'uovo di
Colombo.
Ormai
sembrava che la vaccinazione contro i rotavirus, nonostante alcune
remore iniziali, fosse entrata a vele spiegate fra le vaccinazioni
consigliate nei bambini. In USA il 31 agosto 1998 un vaccino
antirotavirus tetravalente (RotaShield, della Wyeth Laboratories) è
entrato in commercio per la vaccinazione nel primo anno di vita.
L'Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) e l'Accademia
Americana di Pediatria, insieme all'Accademia Americana dei Medici di
Famiglia avevano raccomandato l'uso di routine per il vaccino contro
i rotavirus nei lattanti sani. Ma fra il primo settembre 1998 e il 7
luglio 1999, 15 casi d'invaginazione intestinale (InvI) sono comparsi
fra i bambini che erano stati vaccinati con questa nuova
preparazione, per cui è stato consigliato di sospendere la
vaccinazione. I casi sono stati segnalati all'Adverse Event Reporting
System (VAERS), un sistema di sorveglianza passivo, sostenuto dalla
Food and Drug Administration; a questo sistema VAERS, grossolano
quanto si vuole, ma tempestivo e fortemente informativo, vengono
notificati tutti gli eventi avversi ai farmaci, e quindi anche ai
vaccini, che Aziende farmaceutiche, personale addetto all'assistenza,
ma anche i soggetti vaccinati e le loro famiglie, possano rilevare.
In 13 su 15 (87%) l'InvI si sviluppò dopo la prima delle 3
dosi di vaccino e in 12 (80%) i sintomi si svilupparono entro una
settimana da una qualsiasi delle dosi di vaccino contro i rotavirus.
8 dei 15 pazienti richiesero un intervento chirurgico e a uno venne
eseguita una resezione di 18 cm dell'ileo distale e del colon
prossimale. Tutti i bambini guarirono. L'età media di questi
15 bambini fu di 3 mesi (limiti da 2 a 11 mesi). Delle 15
notificazioni, 14 avvennero spontaneamente (è qui la forza del
VAERS !) e una fu identificata attraverso la sorveglianza dopo
l'entrata in commercio (MMWR 48, 577-81, 1999).
L'incidenza
dell'ospedalizzazione per InvI fra i bambini non vaccinati in età
inferiore ai 12 mesi fu di 51 casi su 100.000 bambini/anno: è
interessante rilevare che nella InvI, diciamo spontanea, l'età
media è di 7 mesi (da 5 a 9 mesi), un'età più
avanzata di qualche mese in confronto a quanto avviene nella II
post-vaccinazione. Si pensa che siano state somministrate 1,5 milioni
di dosi di vaccino. L'incidenza della InvI fra i soggetti vaccinati è
stata calcolata in 125 casi/100.000 lattanti per anno.
La
cosa più grave è che già negli studi, prima di
concedere la licenza dell'entrata in commercio del vaccino, si erano
già verificati 5 casi di InvI su 10.054 soggetti vaccinati,
contro un solo caso nel 4.633 controlli: una differenza che, per la
limitatezza dei numeri, è risultata non statisticamente
significativa. Sulla base di questi rilievi fu permessa infatti
l'immissione in commercio del vaccino e l'InvI venne compresa fra le
reazioni contrarie potenziali, ricordate sulla scheda informativa.
L'ACIP (MMWR, 48, n. RR-2, 1999) ne aveva comunque
raccomandato la sorveglianza, dopo l'entrata in commercio. In un
giudizio generale sull'incidenza della InvI nei vaccinati contro i
rotavirus si afferma che con molta probabilità il numero dei
casi coinvolti è molto superiore a quelli effettivamente
notificati.
Quali
provvedimenti sono stati presi in USA ?
Per
prima cosa è stata organizzata una completa ricerca in molti
Stati degli USA, per stabilire la reale entità
dell'associazione. Il CDC (Centers for Diseases Control and
Prevention ) di Atlanta raccomanda per ora di posticipare la
somministrazione del vaccino, nei bambini che avrebbero dovuto
riceverlo prima del novembre 1999, inclusi quelli che ne avevano già
iniziata la serie. I genitori e chi ha cura della salute dei bambini
che hanno di recente ricevuto il vaccino, debbono immediatamente
entrare in contatto con i propri medici curanti se il bambino
sviluppi i sintomi caratteristici della InvI. Una diagnosi precoce
può aumentare infatti la probabilità che l'InvI possa
essere trattata con successo senza ricorrere alla chirurgia.
Fortunatamente
questa volta i bambini italiani sono fuori della burrasca e così
la Sanità italiana. Per una volta di più attendere e
vedere quale sia l'esperienza di altri Paesi nell'applicazione di un
nuovo farmaco, ha conseguenze favorevoli per la salute della
popolazione in generale. Questa volta il passo falso è stato
compiuto dalla Sanità pubblica USA e i Paesi europei ne sono
rimasti fuori. E' proprio il contrario di quanto è avvenuto
con la talidomide, quando ben 5.000 bambini europei furono colpiti
dalla grave sindrome, mentre gli USA riuscirono a starne fuori,
grazie allora Ministro della Sanità USA, una dottoressa che
amava andare con i piedi di piombo.
Il
fenomeno della ridotta sensibilità e della resistenza alla
penicillina e agli altri b-lattamici, da parte dello pneumococco (P)
è ormai conosciuto da tutti: è fortunatamente un
fenomeno che sfiora appena l'Italia, ma che in alcuni Paesi assume
dimensioni allarmati. In questi Paesi, per la cura della malattie
gravi da Streptococcus pneumoniae, si è ricorsi ad altri
antibiotici: in Canada i fluorochinoloni sono stati i farmaci più
usati a questo scopo. Ma "non c'è rosa senza spine":
sono passati solo alcuni anni e già sono comparsi ceppi di P
resistenti. Dal 1988 al 1997, quando la loro prescrizione è
passata da 0,8 a 5,5 per soggetto, l'incidenza della resistenza è
passata da 0 all'1,7% nel 1997 e nel 1998 (p<0,01). Anche se la
prescrizione dei fluorochinoloni è abbastanza rara in
pediatria (salvo che nella cura della fibrosi cistica), il fenomeno
resistenza è talmente importante, che la sua comparsa verso
qualche antibiotico, è sempre di grande interesse per tutti.
"Quando suona la campana, suona anche per te".
Da anni
si sa che la somministrazione di un supplemento di vitamina A in
bambini africani riduce nettamente l'incidenza della letalità
per morbillo. Ma la deficienza di micronutrienti può
ostacolare l'insorgenza e lo sviluppo dell'immunità e quindi
il decorso di altre malattie importanti, come la malaria: fra i
micronutrienti più spesso ridotti in concentrazione fra questi
bambini, la vitamina A assume un ruolo fondamentale, in quanto essa è
essenziale per lo sviluppo di una funzione immune normale. A 520
bambini Papua della Nuova Guinea è stato offerto un
supplemento di vitamina A (200.000 U per bocca, ogni 3 mesi nei
bambini in età superiore all'anno e 100.000 ogni 3 mesi per i
più piccini) per anni. Sulla base dei risultati ottenuti
appare evidente che la supplementazione di vitamina A può
essere una strategia di basso costo per ridurre la morbilità
da Plasmodium falciparum fra i bambini dei primi anni. La spesa in
Italia, calcolando un 50% di riduzione sul prezzo di farmacia,
sarebbe di lire 2.000 per anno per bambino.
Un
supplemento di vitamina A può ridurre il rischio di malattia
polmonare cronica e di sepsi nei nati con peso molto basso (NPMB);
d'altra parte questi neonati (con peso <1.000 g) hanno basse
concentrazioni di vitamina A nel plasma e nei tessuti. E' stato
osservato che la somministrazione di 5.000 UI di vitamina A 3 volte
alla settimana, per 4 settimane, in uno studio multicentrico su 807
NPMB correggeva i reperti biochimici di deficit di vitamina A e
diminuiva leggermente il rischio di malattia polmonare cronica
(N Engl J Med 340, 1962-8, 1999).
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