Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Dicembre 1998 - Volume I - numero 10
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Trasmissione nosocomiale, da bambino a bambino, dell'HIV
Diabete mellito e Fibrosi cistica
Aumento dell'incidenza dei nati pretermine
Andamento nel tempo della mortalità per difetti congeniti - Medico e Bambino&body=%0ALa diagnosi di malattie reumatiche col computer
Leptina e anoressia da altitudine
Encefalopatia spongiforme, originata da un gatto
Aspirato gastrico in ambulatorio per la diagnosi di tubercolosi del bambino
Caratteristiche genetiche e sindrome del QT lungo
Il 'ponte del miocardio', come causa di morte improvvisa
Gli herpesvirus sono sempre di più: siamo all'HHV 8
Trasmissione nosocomiale, da bambino a bambino, dell'HIV
Diabete mellito e Fibrosi cistica
Aumento dell'incidenza dei nati pretermine
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Dicembre 1998 - Volume I - numero 10
M&B Pagine Elettroniche
Avanzi
Novità,
riflessioni, contributi e proposte,
Il
computer è entrato da anni prepotentemente nella maggior parte
delle attività di assistenza; esso si è dimostrato
utilissimo in questi campi specifici:
a)
ricerca della letteratura
b)
monitoraggio dei pazienti
c)
prescrizione di farmaci
d)
metodologie diagnostiche e terapeutiche (algoritmi)
e)
sviluppo di protocolli e di linee guida
f)
preparazione di strategie cliniche individualizzate, sulla base di
programmi, preparati da esperti.
In questo
ultimo campo di applicazione va ricordato che da anni sono in
circolazione programmi utilissimi per la diagnosi nel campo della
genetica e per l'individuazione delle preparazioni, causa di
avvelenamenti, partendo dalla conoscenza della grandezza, del peso,
della forma, del colore e di altre caratteristiche di una compressa o
di una capsula sconosciuta, rinvenuta accanto al soggetto in preda
all'avvelenamento.
Tabella
Criteri
per la diagnosi di forma sistemica
| |
Criteri
maggiori | Criteri
minori |
|
|
Diagnosi
definitiva | Diagnosi
probabile | Diagnosi
possibile | Diagnosi
differenziali |
4
criteri maggiori | #1,
#2, #3,e 2 criteri minori | #1+un
altro criterio e tre criteri minori | -Infezioni
-Tumori
solidi o liquidi |
Accertamenti
richiesti | Accertamenti
richiesti | Accertamenti
richiesti | . |
nessuno | nessuno | nessuno |
A questi
si è di recente aggiunto un programma (Pediatrics, 102,
e 48, ottobre 1998) che aiuta il clinico nel porre diagnosi di
malattie reumatiche. Belu H. Athreya, che noi italiani conosciamo per
un libro di semeiotica pediatrica, edito dalla Masson, e per numerose
pubblicazioni nel campo delle malattie reumatologiche ne è
l'autore. Il programma AI/RHEUM, già in circolazione da anni,
è stato completamente rivisto e rinnovato, con l'introduzione
di 5 nuove malattie.
Il
programma prende in considerazione 54 malattie reumatiche, più
o meno comuni: per ciascuna di queste enumera i criteri maggiori e
minori, i criteri differenziali e così via. Come esempio,
vengono riportate nella Tabella le caratteristiche della forma
sistemica dell'artrite idiopatica giovanile (secondo la nuova
nomenclatura, s'intende, sotto questo nome, la vecchia malattia di
Still).
La
leptina è un mediatore essenziale nella regolazione
dell'omeostasi energetica e dell'appetito. Il termine "leptina"
deriva dal greco leptos che significa magro. Di norma la
leptina, formata dagli adipociti, segnala al centro della sazietà,
localizzato nell'ipotalamo, il volume dei depositi di grasso, per
limitarne o ridurne l'accumulo: esiste infatti un fine sistema di
feedback negativo fra adipociti e ipotalamo, per cui a un aumento del
livello di leptina corrisponde una diminuzione dell'appetito e un
aumento delle spese energetiche. Tuttavia nel sangue dei bambini e
degli adulti obesi, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto
aspettare, ritroviamo alti livelli di leptina. Escluso che si tratti
di una leptina modificata nella sua struttura chimica o nella sua
funzione, si ritiene che sia in gioco una ridotta sensibilità
alla leptina dei meccanismi centrali ipotalamici, che regolano gli
introiti di cibo e la spesa energetica, per cui i segnali partiti
dagli adipociti, non attivano i meccanismi centrali di regolazione e
quindi non riducono, come di norma, l'appetito e non aumentano le
spese energetiche.
Le
conoscenze, accumulate con gli studi sulla leptina, hanno aperto
nuovi orizzonti e hanno fornito spiegazioni per fenomeni non
altrimenti comprensibili.
La
perdita dell'appetito è un sintomo comune del mal di montagna.
La perdita di peso, dovuta alle aumentate spese energetiche e al
ridotto introito di cibi, è comune nelle esposizioni
prolungate ad altezze superiori ai 5.000 metri. La perdita di grasso
è responsabile del 74% di questa perdita di peso. Di recente è
stato studiato quale fosse, ad altezze elevate, l'effetto
dell'ipossia ipobarica sulle concentrazioni di leptina (Lancet 352,
1119-20, 1998). In 20 montanari, dopo un'ascesa a 4.559 metri, la
concentrazione di leptina si elevò nel sangue da 1.22 a 2.06,
22 ore dopo l'ascensione. Questo innalzamento non fu reversibile dopo
l'esposizione per un'ora ad aria arricchita di ossigeno al 33% e fu
più pronunziato nei soggetti che avevano perso l'appetito.
Viene
concluso che in alcuni soggetti con perdita di appetito, alle grandi
altitudini, si hanno le più alte concentrazioni di leptina.
Quindi la leptina può giocare un ruolo nell'alterazione della
regolazione neuroendocrina della omeostasi energitica ad elevata
altiduine, portando di conseguenza a una perdita dell'appetito, ad
aumentate spese energetiche e quindi a perdita di peso.
Ormai da
anni si parla dell'encefalopatia spongiforme, una malattia che
comprende disordini neurologici dei mammiferi, sia di tipo ereditario
che acquisito. La malattia è caratterizzata dalla conversione
della proteina cellulare prione (PrP) in una proteina isoforme
insolubile e resistente alla proteasi (PrPres). Nell'encefalopatia
spongiforme umana (ESU) sono stati identificati 4 tipi di PrPres,
identificati a seconda della dimensione e del rapporto glicoforme:
a) il
tipo 1 e il tipo-2 di PrPres sono associati con la malattia di
Creutzfeldt-Jacob (CJD)
b) il
tipo 3 con la CJD iatrogena e
c) il
tipo 4 con le varianti CJD
Vi sono
prove che la variante CJV è causata prevalentemente da un
ceppo di prioni dell'encefalopatia spongiforme bovina (BSE). Di
recente il ceppo BSE è stato identificato in 3 gatti con
encefalopatia spongiforme felina (FSE), una malattia da prioni,
comparsa nel Regno Uniti nel 1990.
Di
recente autori italiani hanno riportato (Lancet 352, 116-7, 1998) la
comparsa contemporanea di una forma sporadica di CJD in un uomo di 60
anni e nel suo gatto di 7 anni, colpito da un nuova varietà di
FSE.
Questo
studio dimostra un'associazione spazio-temporale fra una malattia da
prioni dell'uomo e del suo gatto. L'aspetto clinico del gatto era
differente da quello in precedenza riscontrato in altri gatti con
FSE, caratterizzato da inizio graduale delle modificazioni
comportamentali, seguito da disfunzione della locomozione e atassia.
Le ricerche hanno permesso di concludere che lo stesso tipo di agente
della CJD sporadica ha interessato l'uomo e il suo gatto. Non è
stato possibile accertare se vi è stata una trasmissione
orizzontale in un senso o nell'altro, se l'infezione deriva da una
fonte comune non conosciuta o se sia in gioco l'insorgenza di due
forme sporadiche indipendenti.
L'aumento
della tubercolosi del bambino riscontrato in alcuni Paesi ha
costretto molti servizi a semplificare le tecniche di diagnosi. Un
elemento molto importante per la diagnosi iniziale di TBC è
l'aspirato gastrico, essenziale in età pediatrica, perché
i bambini non sanno sputare e inghiottono di norma il loro escreato.
Per ottenere questo prelievo, fino a oggi era necessario il ricovero
del paziente in ospedale. Per vedere se era possibile eseguire
l'aspirato gastrico anche in soggetti visti nell'ambulatorio
dell'ospedale, è stata condotta un'indagine su 80 bambini con
TBC, confrontando i risultati dei campioni raccolti secondo due
modalità (Pediatrics 102, e40, ottobre 1998). La
raccolta del campione veniva ottenuta a digiuno, al mattino, mediante
l'inserzione di un tubo di silastic, passato per via nasale, in
generale senza sedazione. In tal modo venivano aspirati 5 mL di
secrezioni gastriche. Se l'aspirazione non dava esito a contenuto
gastrico, venivano istillati 10-20 mL di acqua distillata sterile,
che veniva poco dopo aspirata. I campioni venivano immediatamente
inviati in laboratorio, sottoposti a trattamenti standard e seminati
in terreni liquidi adatti (Middlebrook 7H-10 o Loewenstein-Jensen)
per essere esaminati a distanza, col metodo Bactec radiometrico.
Complessivamente
il Mycobacterium tuberculosis fu isolato dall'aspirato
gastrico in 33 casi (41%); nei pazienti ricoverati gli aspirati
gastrici sono risultati più spesso positivi che in quelli
prelevati in ambulatorio (48% contro 37%), ma questa differenza non è
risultata statisticamente significativa. La più alta
percentuale di positività fra i bambini ricoverati è
probabilmente da collegare al maggior numero di ospedalizzazioni fra
i bambini tubercolosi-sintomatici, con aumentata carica batterica.
E'
probabile che con questa facilitazione nell'esecuzione del prelievo,
possa aumentare il ricorso all'aspirato gastrico nella diagnosi
definitiva di TBC polmonare. In effetti questo importante mezzo
diagnostico è sottoutilizzato nella pratica pediatrica: in
California è stato riportato che su 2.778 bambini sotto i 5
anni con tubercolosi, meno del 30% aveva praticato un aspirato
gastrico. Va tenuto presente che l'isolamento dell'agente patogeno
permette di valutare con precisione la presenza o meno di un ceppo
resistente, in un momento nel quale la presenza dei ceppi resistenti
è in sicura crescita. Studi recenti hanno dimostrato che la
resistenza del Mycobacterium tuberculosis per l'isoniazide ha
superato la soglia del 4%: il riconoscimento precoce di un tale
fenomeno permette di adottare sistemi di trattamento alternativi, che
escludano la isoniazide. La possibilità di eseguire sul ceppo
isolato indagini molecolari permette di venire a capo di ricerche
epidemiologiche, in associazione alle metodiche classiche. Da non
sottovalutare che con questa metodica si ottiene anche una notevole
riduzione di costi nella cura di un soggetto con TBC.
La
sindrome del QT lungo è una situazione familiare,
caratterizzata dalla ripolarizzazione ventricolare prolungata
all'ECG, e da un tendenza alla sincope, alla tachiacrdia ventricolare
polimorfica e alla sindrome della morte improvvisa del lattante. La
sindrome del QT lungo è determinata da una mutazione nei geni
dei canali cardiaci del potassio e del gene del canale del sodio.
Fino a oggi non era chiaro se il genotipo poteva o meno influenzare
il decorso clinico della malattia. In una ricerca alla quale hanno
largamente collaborato ricercatori italiani di Milano, di Pavia e di
Perugia sono stati studiati 541 membri su 1378 di 38 famiglie
(NEJM 339, 960-5, 1998). E' risultato che il genotipo dei
pazienti con sindrome del QT lungo influisce sul decorso clinico: il
rischio di soffeenza cardiaca è significativamente più
elevato tra i soggetti con mutazioni ai loci LQT1 e LQT2, che tra
quelli con mutazioni del lucus LQT3. Una volta di più
l'aumento delle conoscenze nel campo della biologia molecolare aiuta
a comprendere le diverse forme cliniche di una stessa malattia. Non
basta più stabilire la diagnosi clinica, è spesso
necessario per personalizzare la prognosi e il trattamento, conoscere
le diverse mutazioni.
Fra le
diverse anomalie del miocardico, il ponte miocardico è
un'evenienza abbastanza rara: si tratta di un'anomalia legata alla
presenza di fibre muscolari che passano al di sopra di un'arteria
coronaria, determinandone la compressione durante la sistole: il
ponte miocardico è una delle cause di morte improvvisa. Il
riconoscimento preciso di una situazione del genere è
impossibile con i mezzi non cruenti a disposizione (ECG, ECO, ECO
Doppler); ma con la coronarografia è possibile metterlo in
evidenza. Di 36 bambini con miocardiopatia ipertrofica, 10 (28%)
aveva un ponte miocardico con compressione della coronaria anteriore
discendente sinistra, della durata pari al 50% della durata della
sistole (NEJM 339, 1201-9, 1998). I pazienti con il ponte
avevano una più elevata incidenza di dolore toracico, di
arresto cardiaco, con successiva rianimazione e di tachicardia
ventricolare. All'esercizio fisico i pazienti con ponte miocardico
hanno mostrato un sottoslivellamento del tratto ST. Fra i bambini
esaminati solo il 67% non ha mostrato, nei 5 anni successivi alla
diagnosi, exitus o arresto cardiaco con successiva
rianimazione.
Ai vecchi
5 herpesvirus (herpes simplex 1 e 2, citomegalovirus, virus di
Epstein Barr e virus varicella-zoster) una decina di anni fa si
affiancarono gli herpesvirus 6 e 7 (HHV 6 e 7), responsabili
dell'exanthema subitum (da alcuni chiamato purtroppo ancora
"sesta malattia", anche senza sapere bene quali siano le
prime 5). Più di recente è stato identificato
l'herpesvirus tipo 8 (HHV 8), che è risultato all'origine di
alcune forme di sarcoma di Kaposi, in pazienti affetti da HIV. Tutti
i virus erpetici hanno la caratteristica di avere, dopo una fase
iniziale invasiva, una fase di eclisse, durante la quale, ognuno in
una cellula o in un tessuto diverso, sopravvivono in modo silente,
pronti a riemergere in situazioni particolari, quasi sempre legate a
un abbassamento delle difese cellulari dell'ospite o a situazioni
locali favorenti (vedi l'herpes simplex recidivante,
l'herpes zoster, le riaccensioni del CMV in corso di
gravidanza e così via). Ne consegue che i virus erpetici sono
quelli che più spesso vengono trasmessi al ricevente, in
occasione di trapianti di organo o di tessuti (trapianto di rene per
esempio). Qualcosa del genere è stato descritto anche per
l'HHV 8 (NEJM 339, 1358-63 e 1391-3, 1998): in 220 soggetti,
sottoposti a trapianto renale sono stati studiati gli anticorpi
anti-HHV 8. La sieroprevalenza è passata, dopo il trapianto,
da 6,4% al 17,7% a distanza di un anno. Purtroppo in due dei pazienti
che avevano sieroconvertito si è sviluppato un sarcoma di
Kaposi entro 26 mesi dal trapianto. La terapia immuno-soppressiva che
accompagna e segue il trapianto ha indubbiamente giocato un ruolo
(simile all'infezione da HIV) nei trapiantati. La ricerca degli
anticorpi anti-HHV 8 nei donatori dei reni ha dimostrato la loro
sieropositività: i pazienti che avevano ricevuto il rene da
soggetti negativi non sono andati incontro a sieroconversione. La
conclusione è che la positivita per l'HHV 8 nel donatore
rappresenta un fattore di rischio per il sarcoma di Kaposi nel
ricevente.
Lo
sapevamo che prima o poi sarebbe accaduto che il virus
dell'immunodeficienza umana sarebbe potuto passare da un bambino a un
altro in occasione di un ricovero (Lancet 352, 1520, 1998). Un
bambino, figlio di genitori HIV-negativi, si è ammalato
all'età di 2 anni di LLA, per cui è stato tratatto con
farmaci e con 12 trasfusioni di sangue, assolutamente negativo. A 5
anni egli risultà HIV positivo e presentò alcuni segni
d'immunodeficienza. Il paziente era stato trattato in una unità
di terapia oncologica, dove vengono curati anche bambini con
infezione da HIV (pensate che siamo a Copenhagen, in Danimarca e non
a Roccacannuccia !). Dalla storia è risultato che, mentre
faceva il trattamento oncologico, era stato in corsia con 4 bambini
con HIV, rispettivamente per 15, 3, 1 e 3 giorni. Dal confronto del
profilo genetico dell'HIV del bambino con 3 dei 4 affetti da HIV, è
risultato che è molto probabile che l'infezione sia stata
passata, in qualche modo, dal bambino HIV positivo, che ha
soggiornato in corsia per 15 giorni. Il presente caso è
indubbiamente un'eccezione che conferma la regola che invita a
tenere assolutamente separati, durante il ricovero, i soggetti
HIV-positivi dagli altri pazienti.
Chi ha
lavorato in Servizi per pazienti affetti da Fibrosi cistica (FC), sa
che con una certa frequenza si riscontrano soggetti che presentano
intolleranza al glucosio, se non, più di rado, un vero e
proprio diabete mellito (DM). L'inizio del trattamento con insulina
riesce a correggere il quadro del DM che, ormai è stato
accertato, sfugge alle ben conosciute classificazioni di diabete
mellito tipo I (insulino-dipendente) e tipo II (non
insulino-dipendente). Il DM della FC colpisce adolescenti magri fra i
18 e i 21 anni, il sesso femminile è prevalente, più
spesso i soggetti colpiti sono omozigoti per la DF508: un dato
caratteristico è che la cheto-acidosi è rara, come le
complicazioni macrovascolari. Mancano infine gli indicatori
immunologici e i tipici profili HLA-DR, caratteristici del diabete
tipo I. In una Consensus Conference del febbraio 1998 sono state
riviste le caratteristiche del DM in corso di FC e questo tipo di
diabete è stato definitivamente differenziato da tutte le
altre forme (J Pediatr 133, 10-7, 1998). La frequenza è
dell'1% nei soggetti con FC al di sotto dei 10 anni e ben dell'8% nei
pazienti di 18 anni o più. La secrezione complessiva delle
isole (glucagone compreso) è risultata deficiente in soggetti
con CF che avevano una grave insufficienza esocrina del pancreas.
Solo la somatostatina è risultata aumentata, ma, si sa, essa
viene prodotta anche al di fuori delle isole pacreatiche (cellule d).
Nelle
pagine gialle del fascicolo di ottobre 1998 di Medico &
Bambino già era stata richiamata l'attenzione sulla sempre
maggiore frequenza delle gravidanze multiple (NEJM 339, 573-7
e 624-5, 1998). Le gravidanze multiple portano ovviamente a nascite
multiple e le nascite multiple sono spesso pretermine, con peso dei
neonati prevalentemente basso. Una recente pubblicazione esamina cosa
è successo a questo proposito, negli ultimi 20 anni in Canada
(NEJM 339, 1434-9, 1998). E' risultato che le nascite
pretermine sono aumentate dal 6,3% dei nati vivi nel periodo 1981-3
fino al 6,8% per il periodo 1992-4, con un incremento relativo del
9%. Viene commentato che le nascite pretermine sono in larga parte da
attribuire a variazioni nella frequenza delle nascite multiple (larga
applicazione delle tecniche FIVET), negli interventi di ostetricia e
nell'uso di valutazioni dell'età gestazionale, basate sulle
tecniche ultrasonografiche. Ricordiamoci che ogni nato pretermine con
peso inferiore al chilogrammo viene a costare alla sanità
pubblica circa 400 milioni e che, con frequenza diversa da centro a
centro, si ha fra questi neonati una letalità relativamente
elevata e talvolta la permanenza di esiti, soprattutto di tipo
neurologico, che possono perdurare per tutta la vita.
Tutti i
pediatri sanno che nel mondo si sta assistendo a una riduzione
progressiva della mortalità infantile, soprattutto per una
caduta dei tassi di mortalità per malattie infettive e per
condizioni morbose di origine perinatale. I difetti congeniti
rimangono ancor oggi la causa di morte più difficilmente
comprimibile, per cui percentualmente essi tendono ad aumentare: per
esempio in USA sono passati dal 14,5% della mortalità
infantile al 22,2% (MMWR 47, 773-77, 1998). Ma quando vengano
esaminat i valori assoluti è stata notata un'evidente
diminuzione, valutabile a circa il 34,2%. Le diminuzioni più
evidenti sono state riscontrate nei difetti cardio-vascolari
(-44,3%), nei difetti del sistema nervoso centrale (53,1%), nei
difetti dell'apparato digerente (-71,9%). I difetti cromosomici e
quelli a carico dell'apparato respiratorio, sono al contrario
aumentati, rispettivamente del 26,8% e del 42,2%. Viene concluso che,
mentre per alcune condizioni (legate all'ereditarietà) poco
c'è da fare, molto può essere ancora fatto, con
l'interessamento di tutti nei confronti della povertà,
dellìignoranza e delle difficoltà di accesso di alcuni
gruppi di popolazione ai servizi di Salute pubblica.
In
Italia, paragonando i dati del 1985 con quelli del 1994, si assiste a
un fenomeno simile: mentre la mortalità infantile si abbassa
dal 10,55 al 6,58 per mille nati vivi, la percentule dei morti nel
primo anno per malformazioni congenite passa dal 23,14% al 26,49% sul
totale dei morti, anche se il numero assoluto passa da 1.409 morti
per malformazioni congenite nel 1985 a 929 morti per la stessa causa
nel 1994 (diminuzione del 34%), riduzione che non è
attribuibile in toto alla riduzione del numero dei nati (da 589.233
del 1985 a 521.345 del 1994, con una diminuzione dell'11,6%).
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