Dicembre 1998 - Volume I - numero 10

M&B Pagine Elettroniche

Avanzi

Novità, riflessioni, contributi e proposte,
a cura di Giorgio Bartolozzi

La diagnosi di malattie reumatiche col computer
Il computer è entrato da anni prepotentemente nella maggior parte delle attività di assistenza; esso si è dimostrato utilissimo in questi campi specifici:
a) ricerca della letteratura
b) monitoraggio dei pazienti
c) prescrizione di farmaci
d) metodologie diagnostiche e terapeutiche (algoritmi)
e) sviluppo di protocolli e di linee guida
f) preparazione di strategie cliniche individualizzate, sulla base di programmi, preparati da esperti.
In questo ultimo campo di applicazione va ricordato che da anni sono in circolazione programmi utilissimi per la diagnosi nel campo della genetica e per l'individuazione delle preparazioni, causa di avvelenamenti, partendo dalla conoscenza della grandezza, del peso, della forma, del colore e di altre caratteristiche di una compressa o di una capsula sconosciuta, rinvenuta accanto al soggetto in preda all'avvelenamento.

Tabella
Criteri per la diagnosi di forma sistemica

Criteri maggiori
Criteri minori
  1. Età del paziente all'inizio dei sintomi < ai 16 anni
  2. Febbre giornaliera intermittente, con puntate, spesso bigiornaliere fino a 39°-40° C e cadute al di sotto dei 37°C, per oltre 2 settimane
  3. Esantema fugace al tronco, agli arti e al volto
  4. Possibile comparsa di artrite dopo 6 settimane o più
  1. Artralgia o dolori generalizzati
  2. Rigidità articolare
  3. Linfoadenopatia
  4. Epatomegalia
  5. Splenomegalia
  6. Pericardite (ECO o ECG)
  7. Pericardite all'esame obiettivo
  8. Miocardite
  9. Pleurite
  10. Conta dei GB > 20.000/mmc
  11. Conta delle piastrine > 600.000/ mmc

Diagnosi definitiva
Diagnosi probabile
Diagnosi possibile
Diagnosi differenziali
4 criteri maggiori
#1, #2, #3,e 2 criteri minori
#1+un altro criterio e tre criteri minori
-Infezioni
-Tumori solidi o liquidi
Accertamenti richiesti
Accertamenti richiesti
Accertamenti richiesti
.
nessuno
nessuno
nessuno

A questi si è di recente aggiunto un programma (Pediatrics, 102, e 48, ottobre 1998) che aiuta il clinico nel porre diagnosi di malattie reumatiche. Belu H. Athreya, che noi italiani conosciamo per un libro di semeiotica pediatrica, edito dalla Masson, e per numerose pubblicazioni nel campo delle malattie reumatologiche ne è l'autore. Il programma AI/RHEUM, già in circolazione da anni, è stato completamente rivisto e rinnovato, con l'introduzione di 5 nuove malattie.
Il programma prende in considerazione 54 malattie reumatiche, più o meno comuni: per ciascuna di queste enumera i criteri maggiori e minori, i criteri differenziali e così via. Come esempio, vengono riportate nella Tabella le caratteristiche della forma sistemica dell'artrite idiopatica giovanile (secondo la nuova nomenclatura, s'intende, sotto questo nome, la vecchia malattia di Still).

Leptina e anoressia da altitudine
La leptina è un mediatore essenziale nella regolazione dell'omeostasi energetica e dell'appetito. Il termine "leptina" deriva dal greco leptos che significa magro. Di norma la leptina, formata dagli adipociti, segnala al centro della sazietà, localizzato nell'ipotalamo, il volume dei depositi di grasso, per limitarne o ridurne l'accumulo: esiste infatti un fine sistema di feedback negativo fra adipociti e ipotalamo, per cui a un aumento del livello di leptina corrisponde una diminuzione dell'appetito e un aumento delle spese energetiche. Tuttavia nel sangue dei bambini e degli adulti obesi, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, ritroviamo alti livelli di leptina. Escluso che si tratti di una leptina modificata nella sua struttura chimica o nella sua funzione, si ritiene che sia in gioco una ridotta sensibilità alla leptina dei meccanismi centrali ipotalamici, che regolano gli introiti di cibo e la spesa energetica, per cui i segnali partiti dagli adipociti, non attivano i meccanismi centrali di regolazione e quindi non riducono, come di norma, l'appetito e non aumentano le spese energetiche.
Le conoscenze, accumulate con gli studi sulla leptina, hanno aperto nuovi orizzonti e hanno fornito spiegazioni per fenomeni non altrimenti comprensibili.
La perdita dell'appetito è un sintomo comune del mal di montagna. La perdita di peso, dovuta alle aumentate spese energetiche e al ridotto introito di cibi, è comune nelle esposizioni prolungate ad altezze superiori ai 5.000 metri. La perdita di grasso è responsabile del 74% di questa perdita di peso. Di recente è stato studiato quale fosse, ad altezze elevate, l'effetto dell'ipossia ipobarica sulle concentrazioni di leptina (Lancet 352, 1119-20, 1998). In 20 montanari, dopo un'ascesa a 4.559 metri, la concentrazione di leptina si elevò nel sangue da 1.22 a 2.06, 22 ore dopo l'ascensione. Questo innalzamento non fu reversibile dopo l'esposizione per un'ora ad aria arricchita di ossigeno al 33% e fu più pronunziato nei soggetti che avevano perso l'appetito.
Viene concluso che in alcuni soggetti con perdita di appetito, alle grandi altitudini, si hanno le più alte concentrazioni di leptina. Quindi la leptina può giocare un ruolo nell'alterazione della regolazione neuroendocrina della omeostasi energitica ad elevata altiduine, portando di conseguenza a una perdita dell'appetito, ad aumentate spese energetiche e quindi a perdita di peso.

Encefalopatia spongiforme, originata da un gatto
Ormai da anni si parla dell'encefalopatia spongiforme, una malattia che comprende disordini neurologici dei mammiferi, sia di tipo ereditario che acquisito. La malattia è caratterizzata dalla conversione della proteina cellulare prione (PrP) in una proteina isoforme insolubile e resistente alla proteasi (PrPres). Nell'encefalopatia spongiforme umana (ESU) sono stati identificati 4 tipi di PrPres, identificati a seconda della dimensione e del rapporto glicoforme:
a) il tipo 1 e il tipo-2 di PrPres sono associati con la malattia di Creutzfeldt-Jacob (CJD)
b) il tipo 3 con la CJD iatrogena e
c) il tipo 4 con le varianti CJD
Vi sono prove che la variante CJV è causata prevalentemente da un ceppo di prioni dell'encefalopatia spongiforme bovina (BSE). Di recente il ceppo BSE è stato identificato in 3 gatti con encefalopatia spongiforme felina (FSE), una malattia da prioni, comparsa nel Regno Uniti nel 1990.
Di recente autori italiani hanno riportato (Lancet 352, 116-7, 1998) la comparsa contemporanea di una forma sporadica di CJD in un uomo di 60 anni e nel suo gatto di 7 anni, colpito da un nuova varietà di FSE.
Questo studio dimostra un'associazione spazio-temporale fra una malattia da prioni dell'uomo e del suo gatto. L'aspetto clinico del gatto era differente da quello in precedenza riscontrato in altri gatti con FSE, caratterizzato da inizio graduale delle modificazioni comportamentali, seguito da disfunzione della locomozione e atassia. Le ricerche hanno permesso di concludere che lo stesso tipo di agente della CJD sporadica ha interessato l'uomo e il suo gatto. Non è stato possibile accertare se vi è stata una trasmissione orizzontale in un senso o nell'altro, se l'infezione deriva da una fonte comune non conosciuta o se sia in gioco l'insorgenza di due forme sporadiche indipendenti.

Aspirato gastrico in ambulatorio per la diagnosi di tubercolosi del bambino
L'aumento della tubercolosi del bambino riscontrato in alcuni Paesi ha costretto molti servizi a semplificare le tecniche di diagnosi. Un elemento molto importante per la diagnosi iniziale di TBC è l'aspirato gastrico, essenziale in età pediatrica, perché i bambini non sanno sputare e inghiottono di norma il loro escreato. Per ottenere questo prelievo, fino a oggi era necessario il ricovero del paziente in ospedale. Per vedere se era possibile eseguire l'aspirato gastrico anche in soggetti visti nell'ambulatorio dell'ospedale, è stata condotta un'indagine su 80 bambini con TBC, confrontando i risultati dei campioni raccolti secondo due modalità (Pediatrics 102, e40, ottobre 1998). La raccolta del campione veniva ottenuta a digiuno, al mattino, mediante l'inserzione di un tubo di silastic, passato per via nasale, in generale senza sedazione. In tal modo venivano aspirati 5 mL di secrezioni gastriche. Se l'aspirazione non dava esito a contenuto gastrico, venivano istillati 10-20 mL di acqua distillata sterile, che veniva poco dopo aspirata. I campioni venivano immediatamente inviati in laboratorio, sottoposti a trattamenti standard e seminati in terreni liquidi adatti (Middlebrook 7H-10 o Loewenstein-Jensen) per essere esaminati a distanza, col metodo Bactec radiometrico.
Complessivamente il Mycobacterium tuberculosis fu isolato dall'aspirato gastrico in 33 casi (41%); nei pazienti ricoverati gli aspirati gastrici sono risultati più spesso positivi che in quelli prelevati in ambulatorio (48% contro 37%), ma questa differenza non è risultata statisticamente significativa. La più alta percentuale di positività fra i bambini ricoverati è probabilmente da collegare al maggior numero di ospedalizzazioni fra i bambini tubercolosi-sintomatici, con aumentata carica batterica.
E' probabile che con questa facilitazione nell'esecuzione del prelievo, possa aumentare il ricorso all'aspirato gastrico nella diagnosi definitiva di TBC polmonare. In effetti questo importante mezzo diagnostico è sottoutilizzato nella pratica pediatrica: in California è stato riportato che su 2.778 bambini sotto i 5 anni con tubercolosi, meno del 30% aveva praticato un aspirato gastrico. Va tenuto presente che l'isolamento dell'agente patogeno permette di valutare con precisione la presenza o meno di un ceppo resistente, in un momento nel quale la presenza dei ceppi resistenti è in sicura crescita. Studi recenti hanno dimostrato che la resistenza del Mycobacterium tuberculosis per l'isoniazide ha superato la soglia del 4%: il riconoscimento precoce di un tale fenomeno permette di adottare sistemi di trattamento alternativi, che escludano la isoniazide. La possibilità di eseguire sul ceppo isolato indagini molecolari permette di venire a capo di ricerche epidemiologiche, in associazione alle metodiche classiche. Da non sottovalutare che con questa metodica si ottiene anche una notevole riduzione di costi nella cura di un soggetto con TBC.

Caratteristiche genetiche e sindrome del QT lungo
La sindrome del QT lungo è una situazione familiare, caratterizzata dalla ripolarizzazione ventricolare prolungata all'ECG, e da un tendenza alla sincope, alla tachiacrdia ventricolare polimorfica e alla sindrome della morte improvvisa del lattante. La sindrome del QT lungo è determinata da una mutazione nei geni dei canali cardiaci del potassio e del gene del canale del sodio. Fino a oggi non era chiaro se il genotipo poteva o meno influenzare il decorso clinico della malattia. In una ricerca alla quale hanno largamente collaborato ricercatori italiani di Milano, di Pavia e di Perugia sono stati studiati 541 membri su 1378 di 38 famiglie (NEJM 339, 960-5, 1998). E' risultato che il genotipo dei pazienti con sindrome del QT lungo influisce sul decorso clinico: il rischio di soffeenza cardiaca è significativamente più elevato tra i soggetti con mutazioni ai loci LQT1 e LQT2, che tra quelli con mutazioni del lucus LQT3. Una volta di più l'aumento delle conoscenze nel campo della biologia molecolare aiuta a comprendere le diverse forme cliniche di una stessa malattia. Non basta più stabilire la diagnosi clinica, è spesso necessario per personalizzare la prognosi e il trattamento, conoscere le diverse mutazioni.

Il "ponte del miocardio", come causa di morte improvvisa
Fra le diverse anomalie del miocardico, il ponte miocardico è un'evenienza abbastanza rara: si tratta di un'anomalia legata alla presenza di fibre muscolari che passano al di sopra di un'arteria coronaria, determinandone la compressione durante la sistole: il ponte miocardico è una delle cause di morte improvvisa. Il riconoscimento preciso di una situazione del genere è impossibile con i mezzi non cruenti a disposizione (ECG, ECO, ECO Doppler); ma con la coronarografia è possibile metterlo in evidenza. Di 36 bambini con miocardiopatia ipertrofica, 10 (28%) aveva un ponte miocardico con compressione della coronaria anteriore discendente sinistra, della durata pari al 50% della durata della sistole (NEJM 339, 1201-9, 1998). I pazienti con il ponte avevano una più elevata incidenza di dolore toracico, di arresto cardiaco, con successiva rianimazione e di tachicardia ventricolare. All'esercizio fisico i pazienti con ponte miocardico hanno mostrato un sottoslivellamento del tratto ST. Fra i bambini esaminati solo il 67% non ha mostrato, nei 5 anni successivi alla diagnosi, exitus o arresto cardiaco con successiva rianimazione.

Gli herpesvirus sono sempre di più: siamo all'HHV 8
Ai vecchi 5 herpesvirus (herpes simplex 1 e 2, citomegalovirus, virus di Epstein Barr e virus varicella-zoster) una decina di anni fa si affiancarono gli herpesvirus 6 e 7 (HHV 6 e 7), responsabili dell'exanthema subitum (da alcuni chiamato purtroppo ancora "sesta malattia", anche senza sapere bene quali siano le prime 5). Più di recente è stato identificato l'herpesvirus tipo 8 (HHV 8), che è risultato all'origine di alcune forme di sarcoma di Kaposi, in pazienti affetti da HIV. Tutti i virus erpetici hanno la caratteristica di avere, dopo una fase iniziale invasiva, una fase di eclisse, durante la quale, ognuno in una cellula o in un tessuto diverso, sopravvivono in modo silente, pronti a riemergere in situazioni particolari, quasi sempre legate a un abbassamento delle difese cellulari dell'ospite o a situazioni locali favorenti (vedi l'herpes simplex recidivante, l'herpes zoster, le riaccensioni del CMV in corso di gravidanza e così via). Ne consegue che i virus erpetici sono quelli che più spesso vengono trasmessi al ricevente, in occasione di trapianti di organo o di tessuti (trapianto di rene per esempio). Qualcosa del genere è stato descritto anche per l'HHV 8 (NEJM 339, 1358-63 e 1391-3, 1998): in 220 soggetti, sottoposti a trapianto renale sono stati studiati gli anticorpi anti-HHV 8. La sieroprevalenza è passata, dopo il trapianto, da 6,4% al 17,7% a distanza di un anno. Purtroppo in due dei pazienti che avevano sieroconvertito si è sviluppato un sarcoma di Kaposi entro 26 mesi dal trapianto. La terapia immuno-soppressiva che accompagna e segue il trapianto ha indubbiamente giocato un ruolo (simile all'infezione da HIV) nei trapiantati. La ricerca degli anticorpi anti-HHV 8 nei donatori dei reni ha dimostrato la loro sieropositività: i pazienti che avevano ricevuto il rene da soggetti negativi non sono andati incontro a sieroconversione. La conclusione è che la positivita per l'HHV 8 nel donatore rappresenta un fattore di rischio per il sarcoma di Kaposi nel ricevente.

Trasmissione nosocomiale, da bambino a bambino, dell'HIV
Lo sapevamo che prima o poi sarebbe accaduto che il virus dell'immunodeficienza umana sarebbe potuto passare da un bambino a un altro in occasione di un ricovero (Lancet 352, 1520, 1998). Un bambino, figlio di genitori HIV-negativi, si è ammalato all'età di 2 anni di LLA, per cui è stato tratatto con farmaci e con 12 trasfusioni di sangue, assolutamente negativo. A 5 anni egli risultà HIV positivo e presentò alcuni segni d'immunodeficienza. Il paziente era stato trattato in una unità di terapia oncologica, dove vengono curati anche bambini con infezione da HIV (pensate che siamo a Copenhagen, in Danimarca e non a Roccacannuccia !). Dalla storia è risultato che, mentre faceva il trattamento oncologico, era stato in corsia con 4 bambini con HIV, rispettivamente per 15, 3, 1 e 3 giorni. Dal confronto del profilo genetico dell'HIV del bambino con 3 dei 4 affetti da HIV, è risultato che è molto probabile che l'infezione sia stata passata, in qualche modo, dal bambino HIV positivo, che ha soggiornato in corsia per 15 giorni. Il presente caso è indubbiamente un'eccezione che conferma la regola che invita a tenere assolutamente separati, durante il ricovero, i soggetti HIV-positivi dagli altri pazienti.

Diabete mellito e Fibrosi cistica
Chi ha lavorato in Servizi per pazienti affetti da Fibrosi cistica (FC), sa che con una certa frequenza si riscontrano soggetti che presentano intolleranza al glucosio, se non, più di rado, un vero e proprio diabete mellito (DM). L'inizio del trattamento con insulina riesce a correggere il quadro del DM che, ormai è stato accertato, sfugge alle ben conosciute classificazioni di diabete mellito tipo I (insulino-dipendente) e tipo II (non insulino-dipendente). Il DM della FC colpisce adolescenti magri fra i 18 e i 21 anni, il sesso femminile è prevalente, più spesso i soggetti colpiti sono omozigoti per la DF508: un dato caratteristico è che la cheto-acidosi è rara, come le complicazioni macrovascolari. Mancano infine gli indicatori immunologici e i tipici profili HLA-DR, caratteristici del diabete tipo I. In una Consensus Conference del febbraio 1998 sono state riviste le caratteristiche del DM in corso di FC e questo tipo di diabete è stato definitivamente differenziato da tutte le altre forme (J Pediatr 133, 10-7, 1998). La frequenza è dell'1% nei soggetti con FC al di sotto dei 10 anni e ben dell'8% nei pazienti di 18 anni o più. La secrezione complessiva delle isole (glucagone compreso) è risultata deficiente in soggetti con CF che avevano una grave insufficienza esocrina del pancreas. Solo la somatostatina è risultata aumentata, ma, si sa, essa viene prodotta anche al di fuori delle isole pacreatiche (cellule d).

Aumento dell'incidenza dei nati pretermine
Nelle pagine gialle del fascicolo di ottobre 1998 di Medico & Bambino già era stata richiamata l'attenzione sulla sempre maggiore frequenza delle gravidanze multiple (NEJM 339, 573-7 e 624-5, 1998). Le gravidanze multiple portano ovviamente a nascite multiple e le nascite multiple sono spesso pretermine, con peso dei neonati prevalentemente basso. Una recente pubblicazione esamina cosa è successo a questo proposito, negli ultimi 20 anni in Canada (NEJM 339, 1434-9, 1998). E' risultato che le nascite pretermine sono aumentate dal 6,3% dei nati vivi nel periodo 1981-3 fino al 6,8% per il periodo 1992-4, con un incremento relativo del 9%. Viene commentato che le nascite pretermine sono in larga parte da attribuire a variazioni nella frequenza delle nascite multiple (larga applicazione delle tecniche FIVET), negli interventi di ostetricia e nell'uso di valutazioni dell'età gestazionale, basate sulle tecniche ultrasonografiche. Ricordiamoci che ogni nato pretermine con peso inferiore al chilogrammo viene a costare alla sanità pubblica circa 400 milioni e che, con frequenza diversa da centro a centro, si ha fra questi neonati una letalità relativamente elevata e talvolta la permanenza di esiti, soprattutto di tipo neurologico, che possono perdurare per tutta la vita.

Andamento nel tempo della mortalità per difetti congeniti
Tutti i pediatri sanno che nel mondo si sta assistendo a una riduzione progressiva della mortalità infantile, soprattutto per una caduta dei tassi di mortalità per malattie infettive e per condizioni morbose di origine perinatale. I difetti congeniti rimangono ancor oggi la causa di morte più difficilmente comprimibile, per cui percentualmente essi tendono ad aumentare: per esempio in USA sono passati dal 14,5% della mortalità infantile al 22,2% (MMWR 47, 773-77, 1998). Ma quando vengano esaminat i valori assoluti è stata notata un'evidente diminuzione, valutabile a circa il 34,2%. Le diminuzioni più evidenti sono state riscontrate nei difetti cardio-vascolari (-44,3%), nei difetti del sistema nervoso centrale (53,1%), nei difetti dell'apparato digerente (-71,9%). I difetti cromosomici e quelli a carico dell'apparato respiratorio, sono al contrario aumentati, rispettivamente del 26,8% e del 42,2%. Viene concluso che, mentre per alcune condizioni (legate all'ereditarietà) poco c'è da fare, molto può essere ancora fatto, con l'interessamento di tutti nei confronti della povertà, dellìignoranza e delle difficoltà di accesso di alcuni gruppi di popolazione ai servizi di Salute pubblica.
In Italia, paragonando i dati del 1985 con quelli del 1994, si assiste a un fenomeno simile: mentre la mortalità infantile si abbassa dal 10,55 al 6,58 per mille nati vivi, la percentule dei morti nel primo anno per malformazioni congenite passa dal 23,14% al 26,49% sul totale dei morti, anche se il numero assoluto passa da 1.409 morti per malformazioni congenite nel 1985 a 929 morti per la stessa causa nel 1994 (diminuzione del 34%), riduzione che non è attribuibile in toto alla riduzione del numero dei nati (da 589.233 del 1985 a 521.345 del 1994, con una diminuzione dell'11,6%).

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G. Bartolozzi. Trasmissione nosocomiale, da bambino a bambino, dell'HIV
Diabete mellito e Fibrosi cistica
Aumento dell'incidenza dei nati pretermine
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Leptina e anoressia da altitudine
Encefalopatia spongiforme, originata da un gatto
Aspirato gastrico in ambulatorio per la diagnosi di tubercolosi del bambino
Caratteristiche genetiche e sindrome del QT lungo
Il "ponte del miocardio", come causa di morte improvvisa
Gli herpesvirus sono sempre di più: siamo all'HHV 8
Trasmissione nosocomiale, da bambino a bambino, dell'HIV
Diabete mellito e Fibrosi cistica
Aumento dell'incidenza dei nati pretermine
Andamento nel tempo della mortalità per difetti congeniti. Medico e Bambino pagine elettroniche 1998;1(10) https://www.medicoebambino.com/?id=AV9810_10.html