Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Febbraio 2001 - Volume IV - numero 2
Stampa
Commenti
Condividi via mail
- Gli esantemi varicellosi in bambini vaccinati contro la varicella sono dovuti al virus selvaggio
Edema cerebrale nella chetoacidosi diabetica
La circolazione dei virus polio attenuati del vaccino Sabin
L'uso del caffè nel primo trimestre di gravidanza aumenta il rischio di aborti
Sulle modalità di diffusione interumana del virus dell'epatite C
Letalità più elevata nell'ipopituitarismo&url=https://www.medicoebambino.com/index.php?id=AV0102_10.html&hashtags=Medico e Bambino,Pagine Elettroniche' target='_blank'>Condividi su Twitter
- Gli esantemi varicellosi in bambini vaccinati contro la varicella sono dovuti al virus selvaggio
Edema cerebrale nella chetoacidosi diabetica
La circolazione dei virus polio attenuati del vaccino Sabin
L'uso del caffè nel primo trimestre di gravidanza aumenta il rischio di aborti
Sulle modalità di diffusione interumana del virus dell'epatite C
Letalità più elevata nell'ipopituitarismo class='share-popup' target='_blank'>Condividi su Facebook
-
Scarica in formato PDF
Febbraio 2001 - Volume IV - numero 2
M&B Pagine Elettroniche
Avanzi
Novità,
riflessioni, contributi e proposte,
Già
si sapeva che il tessuto adiposo umano esprime e libera la citochina
proinfiammatoria IL-6, capace d'indurre processi infiammatori
generali di basso grado (cioè non sintomatici) in soggetti
adulti con eccesso di grasso. In uno studio sui bambini obesi, senza
segni di malattia, sono stati studiati la concentrazione di proteina
C reattiva (PCR) nel siero e la conta dei globuli bianchi (Visser
M: et al, Pediatrics 2001, 107 p.e.13) per controllare questo
fenomeno nei bambini e negli adolescenti. A questo scopo sono stati
esaminati 3.512 soggetti sani obesi da 8 a 16 anni di età.
Un'elevazione della PCR fu osservata nel 7,1% dei maschi e nel 6,1%
delle femmine: anche il numero dei globuli bianchi risultò più
elevato. Non è chiaro ancora quali possano essere a lungo
andare gli effetti di questo continuo stimolo infiammatorio, ma non è
possibile escludere che esso possa rappresentare un rischio per
future complicanze. Per ora è possibile utilizzare questo
interssante rilievo nei correnti problemi diagnostici, analogamente a
quando abbiamo fatto per il livello di aminotransferasi
(transaminasi) che abbiamo visto aumentate nel corso dell'obesità
del bambino, per una steatosi epatica e non per eventi epatitici.
In uno
screening, eseguito in Svezia, con la ricerca, in 690 bambini, degli
anticorpi IgA anti-gliadina e anti-endomisio, sono stati riscontrati
6 bambini positivi ad ambedue le prove e 7 bambini positivi per gli
anti-endomisio e negativi per l'antigliadina (Carlsson AK et al.,
Pediatrics 2001. 107:42-5). In 12 di questi venne eseguita una
biopsia digiunale, che risultò positiva in 8 casi. Gli autori
concludono che la prevalenza della malattia è dell'1%, ma può
salire al 2% (cioè un caso su 50) se venga considerata anche
la frequenza delle forme silenti. La malattia celiaca risulta quindi
l'affezione cronica più comune. I valori di questa ricerca
sono sovrapponibili a quelli ottenuti dagli studiosi italiani.
Nonostante
il miglioramento delle conoscenze e la disponibilità di una
prova affidabile, come il dosaggio degli elettroliti nel sudore,
capita spesso che ci sia un ritardo nella diagnosi di FC, ritenuto
responsabile di malnutrizione, di complicanze polmonari e perfino di
morte. Per questo in molte parti del mondo, comprese alcune Regioni
d'Italia, viene eseguito lo screening neonatale per la ricerca del
tripsinogeno immuno-reattivo, insieme alla ricerca delle mutazioni
del DNA. Su 650.341 neonati è stata riscontrata un'incidenza
di FC di 1 caso su 3.938 soggetti (Farrell PM et al., Pediatrics
2001, 107:1-13). A un controllo a distanza dei soggetti con FC è
risultato evidente che gli indici antropometrici di accrescimento
sono nettamente migliori nei soggetti nei quali sia stata posta la
diagnosi mediante screening, nei quali cioè i provvedimenti
terapeutici siano stati iniziati più precocemente.
La
polmonite da Pneumocystis carinii è un'affezione molto
comune, e spesso fatale, in pazienti, che siano stati infettati con
il virus dell'immunodeficienza umana (HIV). Prima dell'introduzione
della profilassi con trimetoprim-sulfametossazolo (TS), la polmonite
in questi soggetti raggiungeva il 62% e arrivava alll'80% in chi
aveva i linfociti CD4 al di sotto dei 200 per mmc. La
chemioprofilassi si è dimostrata molto efficace e viene
raccomandata in tutti i pazienti quando il livello delle cellule CD4
risulti inferiore alle 200 per mmc. Ma quanto durare nella
preevenzione? Le risposte sono giunte puntuali. La prima, a opera di
autori spagnoli (Lopez Bernaldo de Quiros JC et al, N Engl J Med
2001, 344:159-67), ritiene che il TS possa essere sospeso quando
il numero delle cellule CD4 sia tornato alle 200 o più per mmc
per più di 3 mesi; l'altra, a opera di autori europei, fra i
quali anche italiani (Ledergerber B et al, N Engl J Med 2001,
344:168-74), giunge a conclusioni analoghe: viene consigliato di
sospendere il TS in pazienti che abbiano ottenuto una risposta
immunologica con il trattamento antiretrovirale, cioè che
abbiano raggiunto e superato un numero di cellule CD4 superiore a 200
per mmc, senza stabilirne la durata. Un'ulteriore buona notizia per i
pazienti che presentino un'infezione da HIV in evoluzione.
La
mucopolisaccaridosi I (MI) è una malattia da accumulo
liposomiale, causata dalla deficienza della a-L-iduronidasi, un
enzima che rompe la molecola dell'acido a-L-iduronico in eparan
solfato e dermatan solfato. La deficienza dell'enzima è
responsabile di uno spettro di malattie che vanno dalla sindrome di
Hurler (grave), alla sindrome di Hurler-Scheie (di gravità
intermedia) fino alla sindrome di Scheie, di grado lieve. In queste
condizioni patologiche il trattamento con a-L-iduronidasi umana
ricombinante riduce l'accumulo nei lisosomi del fegato e migliora
alcune delle manifestazioni cliniche della malattia (Kakkis ED et
al - N Engl J Med 2001, 344:182-8).
Circa il
15% dei bambini, vaccinati contro la varicella con virus vivo
attenuato, sviluppano una varicella, da mesi ad anni dopo la
vaccinazione. Fino a oggi si pensava che si trattasse di una
manifestazione legata alla reviviscenza del virus del vaccino, ma è
stato ormai di sicuro dimostrato che si tratta di una manifestazione
dovuta al virus selvaggio (Larussa P et al, Pediatr Infectg Dis J
2000, 19:1037-9): in 57 bambini vaccinati, che presentavano
successivamente varicella, venne in tutti isolato un ceppo di VVZ
selvaggio. Quando era presente una reviviscenza del virus vivo
attenuato, costituente del vaccino, la manifestazione clinica
caratteristica era l'herpes zoster.
L'edema
cerebrale è una rara ma gravissima e spesso letale
complicazione della chetoacidosi diabetica. Fra le situazioni che
rappresentano un fattore di rischio vengono ricordati la pressione
arteriosa basale di CO2 bassa e alti livelli serici di azoto
ureico:il trattamento con bicarbonato, usato per combattere
l'acidosi, aggrava questo rischio (Glaser N et al., N Engl J Med
2001, 344:264-9). I commentatori (Dunger DB e Edge JA, N Engl
J Med 2001, 344:302-3) concordano con la conclusione che
l'insorgenza di edema cerebrale in corso di cheto-acidosi diabetica
non ha spesso un'origine iatrogena, come comunemente si ritiene. Il
rischio risulta legato anche alla durata e alla gravità della
chetoacidosi e può essere in parte legato alle risposte
biologiche individuali.
I virus
polio attenuati, introdotti nell'intestino del bambino con la
vaccinazione, vengono eliminati largamente con le feci per parecchie
settimane. Alcuni di essi, dopo aver riacquistata la neurovirulenza
ed essersi diffusi nell'ambiente, possono indurre casi di polio
paralitica, se la copertura vaccinale della popolazione sia inferiore
ai limiti considerati sufficienti (oltre il 90%). Questo è
quanto è avvenuto in Egitto molti anni fa ed è stato
reso noto solo di recente (MMWR 2001, 50:41-2): nel rapporto vengono
descritti 32 casi di polio paralitica (da virus vaccinico tipo 2) che
si aggiungono ai 19 casi, sempre da tipo 2 vaccinico, verificatisi
nella Repubblica Domenica e Haiti nel 2000. Una bassa circolazione di
virus polio neurovirulento, di origine vaccinica (tipo 3), era stata
descritta di recente in Giappone (Yoshida H et al - Lancet 2000,
356:1461-3), non accompagnata da casi di polio paralitica per
l'alta copertura vaccinale di quelle popolazioni. Cosa imparare da
queste gravi esperienze ? Principalmente due cose: tenere alta il più
possibile la copertura vaccinale e passare il prima possibile alle 4
dosi di IPV.
Già
era risultato da studi epidemiologici un certo rapporto fra un
abbondante di consumo di caffè, e quindi di caffeina durante
la gravidanza, e un aumentato rischio di aborto. Per confermare
questa ipotesi è stato condotto uno studio in Svezia su 562
donne che avevano avuto un aborto spontaneo fra la 6° e la 12°
settimana di gestazione, contro 953 donne che non avevano avuto
aborto, considerate come controlli (Cnattingius S et al, N Engl J
Med 2000, 343:1839-45). Fra le donne non fumatrici avvennero più
aborti spontanei quando veniva ingerita una quantità di
caffeina fra 100 mg e 299 mg al giorno (odds ratio 1,3); ma quando la
caffeina ingerita era di 300-499 mg al giorno l'odds ratio salì
a1,4, finché con una dose superiore a 500 mg al giorno l'odds
ratio raggiunge il 2,2. Fra le donne fumatrici l'aumento nell'uso
della caffeina non risultò associato a un aumento nel rischio
di aborti.
In un
certo numero di casi di epatite C, non risulta evidente la modalità
di trasmissione del virus (HCV): non sono state praticate
trasfusioni, non sono stati usati derivati del sangue, non è
stato fatto uso di droghe pesanti per via venosa. Una via
relativamente frequente è quella che proviene da un personale
di assistenza infetto a pazienti suscettibili durante le cure
mediche: abbiamo letto spesso di chirurghi positivi causa di
infezioni nei pazienti operati. Ora viene riportata un'altra via: un
paziente infetto trasmette il virus all'anestesista e questo a 5
pazienti che dopo, settimane successive, sono entrati in contatto con
lui: il virus in gioco era sempre lo stesso (Ross RS et al, N Engl
J Med 2000, 343:1851-4). L'anestesista era risultato negativo per
la ricerca degli anticorpi anti-HCV, circa 8 settimane prima che il
primo paziente venisse sottoposto all'intervento, il 28 aprile 1998;
i sintomi dell'epatite acuta insorsero nell'anestesista sei settimane
dopo questa operazione. Poiché l'RNA virale usualmente compare
in circolo entro la prima settimana dall'infezione, l'HCV era
probabilmente presente nel sangue dell'anestesista nelle settimane
successive, per cui egli risultava in grado di diffondere l'infezione
già nella prima settimana del maggio 1998; poichè il
periodo d'incubazione va da 6 a 18 settimane, c'è stato tutto
il tempo perché l'anestesista infettasse 5 pazienti
suscettibili. L'unica condizione che ha permesso l'acquisizione e la
diffusione dell'infezione del virus è stata la presenza di una
ferita sulla sua mano destra. Per l'altissima concentrazione del
virus nel primo paziente e nell'anestesista, che di norma non usava i
guanti in sala operatoria, può essere che una frazione di
microlitro di sangue o meglio di secrezione dalla ferita abbiano
permesso il passaggio dell'infezione dal primo paziente
all'anestesista e da questo agli altri 5 spggetti. I pericoli delle
secrezioni dalle ferite già si conoscevano bene per quanto
riguarda il virus dell'epatite B.
Già
in precedenti ricerche era stato osservato che i pazienti con
ipopituitarisnmo presentano un aumento della letalità, in
confronto a soggetti di controllo: rimaneva da chiarire quali fossero
le cause, responsabili di questo fenomeno. 1.014 soggetti con
ipopituitarismo da cause diverse furono seguiti da gennaio 1992 al
gennaio 2000 (Tomlinson JM et al, Lancet 2001, 357:425-31).
Vennero riscontrate 181 morti, contro le 96,7 aspettate, con un
p<0,0001. L'eccesso di letalità risultò dovuto a
malattie vascolari e dell'apparato respiratorio. La minore età
alla diagnosi di ipopituitarismo, il sesso femminile e la presenza di
un craniofaringioma furono i principali fattori di rischio.
Deficienze specifiche dell'asse endocrino, a eccezione della
deficienza, non trattata, di gonadotropine, sono mostrarono di avere
un ruolo.
Vuoi citare questo contributo?