Febbraio 2001 - Volume IV - numero 2

M&B Pagine Elettroniche

Avanzi

Novità, riflessioni, contributi e proposte,
a cura di Giorgio Bartolozzi

I processi infiammatori nei bambini obesi
Già si sapeva che il tessuto adiposo umano esprime e libera la citochina proinfiammatoria IL-6, capace d'indurre processi infiammatori generali di basso grado (cioè non sintomatici) in soggetti adulti con eccesso di grasso. In uno studio sui bambini obesi, senza segni di malattia, sono stati studiati la concentrazione di proteina C reattiva (PCR) nel siero e la conta dei globuli bianchi (Visser M: et al, Pediatrics 2001, 107 p.e.13) per controllare questo fenomeno nei bambini e negli adolescenti. A questo scopo sono stati esaminati 3.512 soggetti sani obesi da 8 a 16 anni di età. Un'elevazione della PCR fu osservata nel 7,1% dei maschi e nel 6,1% delle femmine: anche il numero dei globuli bianchi risultò più elevato. Non è chiaro ancora quali possano essere a lungo andare gli effetti di questo continuo stimolo infiammatorio, ma non è possibile escludere che esso possa rappresentare un rischio per future complicanze. Per ora è possibile utilizzare questo interssante rilievo nei correnti problemi diagnostici, analogamente a quando abbiamo fatto per il livello di aminotransferasi (transaminasi) che abbiamo visto aumentate nel corso dell'obesità del bambino, per una steatosi epatica e non per eventi epatitici.

Sempre in aumento la prevalenza della celiachia
In uno screening, eseguito in Svezia, con la ricerca, in 690 bambini, degli anticorpi IgA anti-gliadina e anti-endomisio, sono stati riscontrati 6 bambini positivi ad ambedue le prove e 7 bambini positivi per gli anti-endomisio e negativi per l'antigliadina (Carlsson AK et al., Pediatrics 2001. 107:42-5). In 12 di questi venne eseguita una biopsia digiunale, che risultò positiva in 8 casi. Gli autori concludono che la prevalenza della malattia è dell'1%, ma può salire al 2% (cioè un caso su 50) se venga considerata anche la frequenza delle forme silenti. La malattia celiaca risulta quindi l'affezione cronica più comune. I valori di questa ricerca sono sovrapponibili a quelli ottenuti dagli studiosi italiani.

Lo screening neonatale per la fibrosi cistica è utile
Nonostante il miglioramento delle conoscenze e la disponibilità di una prova affidabile, come il dosaggio degli elettroliti nel sudore, capita spesso che ci sia un ritardo nella diagnosi di FC, ritenuto responsabile di malnutrizione, di complicanze polmonari e perfino di morte. Per questo in molte parti del mondo, comprese alcune Regioni d'Italia, viene eseguito lo screening neonatale per la ricerca del tripsinogeno immuno-reattivo, insieme alla ricerca delle mutazioni del DNA. Su 650.341 neonati è stata riscontrata un'incidenza di FC di 1 caso su 3.938 soggetti (Farrell PM et al., Pediatrics 2001, 107:1-13). A un controllo a distanza dei soggetti con FC è risultato evidente che gli indici antropometrici di accrescimento sono nettamente migliori nei soggetti nei quali sia stata posta la diagnosi mediante screening, nei quali cioè i provvedimenti terapeutici siano stati iniziati più precocemente.

Cessazione della profilassi verso la Pneumocystis carinii in pazienti con infezione da HIV
La polmonite da Pneumocystis carinii è un'affezione molto comune, e spesso fatale, in pazienti, che siano stati infettati con il virus dell'immunodeficienza umana (HIV). Prima dell'introduzione della profilassi con trimetoprim-sulfametossazolo (TS), la polmonite in questi soggetti raggiungeva il 62% e arrivava alll'80% in chi aveva i linfociti CD4 al di sotto dei 200 per mmc. La chemioprofilassi si è dimostrata molto efficace e viene raccomandata in tutti i pazienti quando il livello delle cellule CD4 risulti inferiore alle 200 per mmc. Ma quanto durare nella preevenzione? Le risposte sono giunte puntuali. La prima, a opera di autori spagnoli (Lopez Bernaldo de Quiros JC et al, N Engl J Med 2001, 344:159-67), ritiene che il TS possa essere sospeso quando il numero delle cellule CD4 sia tornato alle 200 o più per mmc per più di 3 mesi; l'altra, a opera di autori europei, fra i quali anche italiani (Ledergerber B et al, N Engl J Med 2001, 344:168-74), giunge a conclusioni analoghe: viene consigliato di sospendere il TS in pazienti che abbiano ottenuto una risposta immunologica con il trattamento antiretrovirale, cioè che abbiano raggiunto e superato un numero di cellule CD4 superiore a 200 per mmc, senza stabilirne la durata. Un'ulteriore buona notizia per i pazienti che presentino un'infezione da HIV in evoluzione.

Il trattamento della mucopolisaccaridosi I con l'enzima mancante
La mucopolisaccaridosi I (MI) è una malattia da accumulo liposomiale, causata dalla deficienza della a-L-iduronidasi, un enzima che rompe la molecola dell'acido a-L-iduronico in eparan solfato e dermatan solfato. La deficienza dell'enzima è responsabile di uno spettro di malattie che vanno dalla sindrome di Hurler (grave), alla sindrome di Hurler-Scheie (di gravità intermedia) fino alla sindrome di Scheie, di grado lieve. In queste condizioni patologiche il trattamento con a-L-iduronidasi umana ricombinante riduce l'accumulo nei lisosomi del fegato e migliora alcune delle manifestazioni cliniche della malattia (Kakkis ED et al - N Engl J Med 2001, 344:182-8).

Gli esantemi varicellosi in bambini vaccinati contro la varicella sono dovuti al virus selvaggio
Circa il 15% dei bambini, vaccinati contro la varicella con virus vivo attenuato, sviluppano una varicella, da mesi ad anni dopo la vaccinazione. Fino a oggi si pensava che si trattasse di una manifestazione legata alla reviviscenza del virus del vaccino, ma è stato ormai di sicuro dimostrato che si tratta di una manifestazione dovuta al virus selvaggio (Larussa P et al, Pediatr Infectg Dis J 2000, 19:1037-9): in 57 bambini vaccinati, che presentavano successivamente varicella, venne in tutti isolato un ceppo di VVZ selvaggio. Quando era presente una reviviscenza del virus vivo attenuato, costituente del vaccino, la manifestazione clinica caratteristica era l'herpes zoster.

Edema cerebrale nella chetoacidosi diabetica
L'edema cerebrale è una rara ma gravissima e spesso letale complicazione della chetoacidosi diabetica. Fra le situazioni che rappresentano un fattore di rischio vengono ricordati la pressione arteriosa basale di CO2 bassa e alti livelli serici di azoto ureico:il trattamento con bicarbonato, usato per combattere l'acidosi, aggrava questo rischio (Glaser N et al., N Engl J Med 2001, 344:264-9). I commentatori (Dunger DB e Edge JA, N Engl J Med 2001, 344:302-3) concordano con la conclusione che l'insorgenza di edema cerebrale in corso di cheto-acidosi diabetica non ha spesso un'origine iatrogena, come comunemente si ritiene. Il rischio risulta legato anche alla durata e alla gravità della chetoacidosi e può essere in parte legato alle risposte biologiche individuali.

La circolazione dei virus polio attenuati del vaccino Sabin
I virus polio attenuati, introdotti nell'intestino del bambino con la vaccinazione, vengono eliminati largamente con le feci per parecchie settimane. Alcuni di essi, dopo aver riacquistata la neurovirulenza ed essersi diffusi nell'ambiente, possono indurre casi di polio paralitica, se la copertura vaccinale della popolazione sia inferiore ai limiti considerati sufficienti (oltre il 90%). Questo è quanto è avvenuto in Egitto molti anni fa ed è stato reso noto solo di recente (MMWR 2001, 50:41-2): nel rapporto vengono descritti 32 casi di polio paralitica (da virus vaccinico tipo 2) che si aggiungono ai 19 casi, sempre da tipo 2 vaccinico, verificatisi nella Repubblica Domenica e Haiti nel 2000. Una bassa circolazione di virus polio neurovirulento, di origine vaccinica (tipo 3), era stata descritta di recente in Giappone (Yoshida H et al - Lancet 2000, 356:1461-3), non accompagnata da casi di polio paralitica per l'alta copertura vaccinale di quelle popolazioni. Cosa imparare da queste gravi esperienze ? Principalmente due cose: tenere alta il più possibile la copertura vaccinale e passare il prima possibile alle 4 dosi di IPV.

L'uso del caffè nel primo trimestre di gravidanza aumenta il rischio di aborti
Già era risultato da studi epidemiologici un certo rapporto fra un abbondante di consumo di caffè, e quindi di caffeina durante la gravidanza, e un aumentato rischio di aborto. Per confermare questa ipotesi è stato condotto uno studio in Svezia su 562 donne che avevano avuto un aborto spontaneo fra la 6° e la 12° settimana di gestazione, contro 953 donne che non avevano avuto aborto, considerate come controlli (Cnattingius S et al, N Engl J Med 2000, 343:1839-45). Fra le donne non fumatrici avvennero più aborti spontanei quando veniva ingerita una quantità di caffeina fra 100 mg e 299 mg al giorno (odds ratio 1,3); ma quando la caffeina ingerita era di 300-499 mg al giorno l'odds ratio salì a1,4, finché con una dose superiore a 500 mg al giorno l'odds ratio raggiunge il 2,2. Fra le donne fumatrici l'aumento nell'uso della caffeina non risultò associato a un aumento nel rischio di aborti.

Sulle modalità di diffusione interumana del virus dell'epatite C
In un certo numero di casi di epatite C, non risulta evidente la modalità di trasmissione del virus (HCV): non sono state praticate trasfusioni, non sono stati usati derivati del sangue, non è stato fatto uso di droghe pesanti per via venosa. Una via relativamente frequente è quella che proviene da un personale di assistenza infetto a pazienti suscettibili durante le cure mediche: abbiamo letto spesso di chirurghi positivi causa di infezioni nei pazienti operati. Ora viene riportata un'altra via: un paziente infetto trasmette il virus all'anestesista e questo a 5 pazienti che dopo, settimane successive, sono entrati in contatto con lui: il virus in gioco era sempre lo stesso (Ross RS et al, N Engl J Med 2000, 343:1851-4). L'anestesista era risultato negativo per la ricerca degli anticorpi anti-HCV, circa 8 settimane prima che il primo paziente venisse sottoposto all'intervento, il 28 aprile 1998; i sintomi dell'epatite acuta insorsero nell'anestesista sei settimane dopo questa operazione. Poiché l'RNA virale usualmente compare in circolo entro la prima settimana dall'infezione, l'HCV era probabilmente presente nel sangue dell'anestesista nelle settimane successive, per cui egli risultava in grado di diffondere l'infezione già nella prima settimana del maggio 1998; poichè il periodo d'incubazione va da 6 a 18 settimane, c'è stato tutto il tempo perché l'anestesista infettasse 5 pazienti suscettibili. L'unica condizione che ha permesso l'acquisizione e la diffusione dell'infezione del virus è stata la presenza di una ferita sulla sua mano destra. Per l'altissima concentrazione del virus nel primo paziente e nell'anestesista, che di norma non usava i guanti in sala operatoria, può essere che una frazione di microlitro di sangue o meglio di secrezione dalla ferita abbiano permesso il passaggio dell'infezione dal primo paziente all'anestesista e da questo agli altri 5 spggetti. I pericoli delle secrezioni dalle ferite già si conoscevano bene per quanto riguarda il virus dell'epatite B.

Letalità più elevata nell'ipopituitarismo
Già in precedenti ricerche era stato osservato che i pazienti con ipopituitarisnmo presentano un aumento della letalità, in confronto a soggetti di controllo: rimaneva da chiarire quali fossero le cause, responsabili di questo fenomeno. 1.014 soggetti con ipopituitarismo da cause diverse furono seguiti da gennaio 1992 al gennaio 2000 (Tomlinson JM et al, Lancet 2001, 357:425-31). Vennero riscontrate 181 morti, contro le 96,7 aspettate, con un p<0,0001. L'eccesso di letalità risultò dovuto a malattie vascolari e dell'apparato respiratorio. La minore età alla diagnosi di ipopituitarismo, il sesso femminile e la presenza di un craniofaringioma furono i principali fattori di rischio. Deficienze specifiche dell'asse endocrino, a eccezione della deficienza, non trattata, di gonadotropine, sono mostrarono di avere un ruolo.

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G. Bartolozzi. Gli esantemi varicellosi in bambini vaccinati contro la varicella sono dovuti al virus selvaggio
Edema cerebrale nella chetoacidosi diabetica
La circolazione dei virus polio attenuati del vaccino Sabin
L'uso del caffè nel primo trimestre di gravidanza aumenta il rischio di aborti
Sulle modalità di diffusione interumana del virus dell'epatite C
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Sempre in aumento la prevalenza della celiachia
Lo screening neonatale per la fibrosi cistica è utile
Cessazione della profilassi verso la Pneumocystis carinii in pazienti con infezione da HIV
Il trattamento della mucopolisaccaridosi I con l'enzima mancante
Gli esantemi varicellosi in bambini vaccinati contro la varicella sono dovuti al virus selvaggio
Edema cerebrale nella chetoacidosi diabetica
La circolazione dei virus polio attenuati del vaccino Sabin
L'uso del caffè nel primo trimestre di gravidanza aumenta il rischio di aborti
Sulle modalità di diffusione interumana del virus dell'epatite C
Letalità più elevata nell'ipopituitarismo. Medico e Bambino pagine elettroniche 2001;4(2) https://www.medicoebambino.com/?id=AV0102_10.html