Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Novembre 2010 - Volume XIII - numero 9

M&B Pagine Elettroniche

Casi indimenticabili

Come una bambola di pezza: sindrome di Werdnig-Hoffmann
Antonino Baio
Pediatra di famiglia, Dolo (Venezia)


Questo caso resterà nella mia memoria sia per l’evoluzione rapida e fatale della malattia che ha colpito Filippo (nome di fantasia) e anche per il cruccio di aver forse sbagliato qualcosa nella comunicazione con la madre del mio piccolo paziente.
Filippo è secondogenito, nato a termine a fine novembre con parto cesareo da gravidanza decorsa con problemi di diabete gestazionale. Anamnesi familiare negativa. Il primo incontro è per il primo bilancio di salute, richiesto molto presto da una madre oltremodo ansiosa: il bimbo cresce, riflessi motorio nella norma, mi limito ai soliti consigli del caso. Dopo sette giorni chiama la madre per una probabile ipogalattia (l’ansia è palpabile); ribadisco le raccomandazioni dell’alimentazione a richiesta, della pesata settimanale (il bambino è cresciuto bene) e mio malgrado pressato dalla madre do indicazione per un latte adattato. Silenzio per qualche giorno, quando vedo Filippo in ambulatorio per un banale raffreddore e per rassicurare la madre preoccupata perché “si avvicinano le feste natalizie e non sa a chi dovrà rivolgersi se dovessero esserci problemi”; la crescita va bene (la mamma ha smesso di allattare), i riflessi sono adeguati, il torace è ok, solo un po’ di raffreddore. Dico che l’unico problema potrebbe essere un viraggio verso la bronchiolite e istruisco la madre sui segni di sospetto (cosa che faccio sempre, in particolar modo se ho già visto bronchioliti in quel periodo) e do il numero della Collega che mi sostituirà.

Il 31 dicembre Filippo viene visto dalla mia sostituta e ricoverato per una bronchiolite! Il 7 gennaio la madre mi chiama, mi racconta dell’accaduto, del ricovero e che Filippo dimesso verrà rivisto a giorni in ospedale dai colleghi che avevano deciso per la prosecuzione della terapia a casa. Mi telefona il lunedì successivo dicendo che ha ancora un po’ di tosse e che in ospedale le hanno consigliato di stimolare Filippo perché è un po’ pigro e di farlo riascoltare.
Fisso un appuntamento: la madre depone Filippo sul lettino, respira bene, ma è praticamente immobile, con una “postura a rana” e alla manovra di Landau di sospensione ventrale ciondola come una “bambola di pezza”. Ho di fronte a me un classico lattante ipotonico. Esplicito alla madre che il quadro è ben più importante di una semplice “pigrizia” e riesco a programmare per il ricovero presso la Clinica Pediatrica di Padova. Eseguono prelievo per esame del DNA e biopsia muscolare e prospettano alla madre una molto probabile atrofia muscolare spinale o sindrome di Werdnig-Hoffmann, fornendo tutte le notizie del caso. La madre mi comunica ciò piangendo al telefono e fisso un appuntamento per rimuovere i punti di sutura dove avevano eseguito la biopsia.

Filippo è accompagnato dalla madre, dalla nonna e dal fratello di 5 anni, immobile. La permanenza in ambulatorio si protrae ben oltre il tempo necessario a rimuovere i punti, perché la madre mi incalza con domande relative alla malattia del figlio, chiedendo di Centri più specializzati o di medici-riabilitatori che fanno miracoli, come le ha detto la vicina e anche il cugino e via dicendo. Ribadisco i concetti e la prognosi già espressi dai Colleghi della Clinica: che per la certezza bisognerà attendere la risposta degli esami ma che la clinica lascia pochi dubbi. Ci lasciamo tra le lacrime della madre e della nonna e l’innocente incoscienza del fratello.
Quella è l’ultima volta che vedo Filippo. Sentirò la madre per alcune prescrizioni, avvertendo al telefono un certo distacco, quasi un fastidio. A fine febbraio non ricevendo più alcuna notizia faccio una capatina in Clinica e chi segue Filippo mi conferma la diagnosi e quando io racconto di questa freddezza della madre mi dicono che la madre ha intenzione di revocarmi come medico del figlio perché “ho parlato della malattia di Filippo in presenza del fratello”. Filippo verrà poi preso in carico dalla Collega che lo aveva ricoverato la prima volta per la bronchiolite, la progressione della malattia con difficoltà dell’alimentazione con delle broncopolmoniti ab ingestis e un’insufficienza respiratoria che lo porterà alla morte a fine maggio.
La diagnosi era purtroppo anche sin tropo facile, ma ancora oggi mi chiedo se e cosa ho sbagliato nella comunicazione di una situazione tragica e senza, purtroppo, via d’uscita.




Vuoi citare questo contributo?

A. Baio. Come una bambola di pezza: sindrome di Werdnig-Hoffmann. Medico e Bambino pagine elettroniche 2010;13(9) https://www.medicoebambino.com/?id=IND1009_10.html