Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Agosto 2008 - Volume XI - numero 26

M&B Pagine Elettroniche

Presentazioni PPT


LE MADRI GOGO (TANZANIA):
ESEMPIO DI UNA PROFICUA COLLABORAZIONE TRA PEDIATRA E ANTROPOLOGO
Mara Mabilia
Antropologa sociale e medica, Università di Padova


Le cose che dirò sono frutto di tre anni di ricerca antropologica, dal 1989 al 1992, svolti come parte del progetto pediatrico del CUAMM Medici per l'Africa, presso l'Ospedale governativo di Dodoma, in Kenia, e in tutto il relativo distretto. Il problema principale di salute era con ogni evidenza quello della malnutrizione, che veniva gestito da pediatri italiani, assistiti da personale sanitario locale.
La situazione nutrizionale, nell'area di Dodoma, non differiva da quella della statistica nazionale: una prevalenza di circa 50-60% di malnutrizione moderata, con 6-7% di malnutrizione severa; questa ha raggiunto un picco di 8-9% nel '89-'90.

Mentre nei primi 6 mesi di vita lo stato nutrizionale medio di questi bambini appare accettabile, dopo il sesto mese, per il venir meno dell'allattamento al seno, la curva della mediana del peso si flette, con un graduale peggioramento delle condizioni generali del bambino, fino al marasma o al kwashiorkor.
L'esperienza dei pediatri suggeriva l'esistenza di problemi, di regole e di forze complesse, in larga parte lontane dalla stretta competenza medica: dalla assunzione di cibi indigeribili come integratori al latte materno, alle precarie condizioni igieniche in cui vivono madre e bambino; dalla diversa frequenza, intensità e durata dell'allattamento al seno, alle regole tradizionali che governano il processi di divezzamento, e alle qualità attribuite al latte; dall'unica mammella che ogni mamma sistematicamente ed esclusivamente offre al suo bambino alla diversa disponibilità delle donne a parlare del concepimento o della velocità di crescita dal figlio; tutto questo indicava la presenza e il potere di dinamiche occulte che in qualche modo interagiscono sia con la crescita del bambino che con le possibilità di un intervento medico.
Di fatto, gli operatori di salute cominciavano a riconoscere l'esistenza di una zona d'ombra, non immediatamente percepibile, ma che indirettamente si manifestava nel momento in cui tutta l'attenzione del medico veniva concentrata sul compito di salvare la vita del bambino, e che in qualche modo si opponeva a questo sforzo.

La mia ricerca antropologica era coinvolta in quest'area conoscitiva, e si proponeva di scoprire quali elementi culturali e di organizzazione sociale interagissero con i metodi di alimentazione, e quali ne potessero essere le conseguenze sullo sviluppo e sulla salute del bambino. Per questo motivo la diade madre-bambino durante l'intero periodo dell'allattamento, dai 24 ai 30 mesi, ha costituito il mio principale punto di riferimento.
Ho programmato di entrare nella mia ricerca per gradi, avendo bene in testa quanto un evento così strettamente legato alla fisiologia femminile come l'allattamento sia in realtà carico di complessi valori simbolici e culturali. Non venivo forse da un'area culturale in cui il rifiuto dell'alimentazione al seno era stato un segno di conquista nella battaglia per l'emancipazione femminile?


In questa ricerca ero stata preceduta, tra i Wagogo, in Africa Orientale, da studiosi come Rigby e Thiele, la lettura delle cui opere mi è stata di grande aiuto, così come quella di manuali medici che mi hanno aiutato a comprendere la fisiologia dell'allattamento e la insostituibilità del latte materno.
La mia reazione è stata in parte di sconforto, nel vedere come una donna possa essere vista essenzialmente o principalmente come nutrice, e come il costo in salute di questo durissimo compito, in un mondo in cui essere allattato al seno è condizione assoluta per la sopravvivenza, e in cui la donna passa da una gravidanza all'altra e da un allattamento all'altro, sia così poco considerato. Senza contare tutto ciò che, in Africa, oltre alle gravidanze e all'allattamento è sulle spalle della donna: dal procurare il cibo a raccogliere la legna per il fuoco, dal portare a casa l'acqua, alla cura della famiglia; in un mondo di povertà, di violenza e di insicurezza, di cui fa parte anche il rischio di morte per parto, 300 volte superiore a quello di una donna bianca in Occidente.
Il mio contatto con la realtà del villaggio mi ha permesso di valutare come in Africa la diade madre-bambino sia ben lontana da quella “nicchia ecologica” di cui parla la letteratura medica, e di meditare sul rapporto tra cultura e natura, così instabile nella storia dell'uomo.
Dare il latte, il proprio latte, per produrre un bambino sano in cui proiettare se stessa, induce la donna a sviluppare una serie di pensieri sulla qualità del proprio latte, da cui dipende la crescita del proprio bambino, e dunque sulla sua stessa qualità di madre; che è sottoposta a una serie di tabu del post-partum, tra cui l'astinenza totale dal sesso durante il periodo dell'allattamento, per garantire –ancora - una buona qualità del latte e una buona crescita del bambino, altrettante misure di controllo, in ultima analisi -e ancora - della buona qualità di madre.

È stato così che il mio studio sulla malnutrizione del bambino mi ha portato ad accettare che non è possibile comprendere le complesse e composite dinamiche dell'allattamento al seno senza interrogarsi sui differenti ruoli che ciascuno è chiamato ad assumere nel corso della sua esistenza, senza conoscere i modelli sui quali si fonda la sopravvivenza di una comunità, e senza tener conto, last but not least, del significato e dei ruoli del genere femminile.
Tutto questo è troppo e troppo poco: svolgere in questa sede e in una ventina di minuti il complesso contesto di cui è intessuta la società di un villaggio africano per mettere nel giusto fuoco il ruolo della donna-madre è praticamente impossibile. Ma forse ho detto abbastanza per far vagamente intendere come sia difficile, certo più per un medico che per un antropologo, entrare in contatto, col proprio sapere, con le proprie presunzioni e con le proprie rigidità, in un mondo con saperi, presunzioni e rigidità altrettanto forti ma diverse.

Giusto per dare un assaggio di queste difficoltà dirò qualcosa di concreto sul mio ruolo di interprete o di “mediatore culturale” tra queste mamme e i pediatri del Cuamm.
L'allattamento al seno è quasi esclusivo per i primi 6 mesi e poi progressivamente ridotto a poca cosa, anche se continua fina a tutto il secondo anno e oltre, integrato da una dieta qualitativamente assai povera, costituita quasi esclusivamente da farina di miglio. Ora, fintanto che il latte materno costituisce la parte maggiore della dieta, tutto va abbastanza bene; ma via via che il seno si svuota mentre le esigenze alimentari aumentano, il piccolo va incontro a uno scadimento nutrizionale che, oltre a incidere sul peso e sulla statura, compromette seriamente le capacità di risposta immunitaria, facilita il recidivare delle malattie anche banali e ne aggrava l'andamento. Ognuna di queste malattie, massimamente quando si tratta di infezioni a carico dell'intestino, compromette ulteriormente lo stato nutrizionale e l'equilibrio biologico del piccolo.

Come fare per migliorare la qualità delle aggiunte di pappa, che - così io credevo- erano guidate da antiche abitudini? In realtà, parlando con le madri, o le suocere di queste giovani mamme, mi sono resa conto che le cose non stavano come io pensavo: le madri e le suocere criticavano invece molto il modo frettoloso e approssimato col quale le aggiunte venivano preparate, cuocendo l'impasto di acqua e farina. Al loro tempo, per preparare la pappa dei bambini, i semi venivano fatti germogliare, e poi pestati assieme ai germogli, e alla farina venivano aggiunte piccole e meno piccole quantità di condimenti vegetali ricchi di vitamine e di micronutrienti che miglioravano alquanto le qualità nutritive, oltre che l'aspetto e l'edibilità del pasto. È bastata questa informazione ai nostri pediatri, oltre che l'alleanza con le donne più anziane guadagnata sul campo, per far rivivere le vecchie abitudini, e per introdurre nella dieta consistenti miglioramenti con immediati riflessi sulla salute e sulla crescita dei bambini.


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M. Mabilia. Le madri Gogo (Tanzania):
esempio di una proficua collaborazione tra pediatra e antropologo. Medico e Bambino pagine elettroniche 2008;11(26) https://www.medicoebambino.com/?id=PPT0826_30.html