Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Giugno 2009 - Volume XII - numero 6
M&B Pagine Elettroniche
Pediatria per l'ospedale
Avvelenamento
da monossido di carbonio (seconda parte)
Membro
della Commissione Nazionale Vaccini
Indirizzo
per corrispondenza: bartolozzi@unifi.it
Spesso
commettiamo l’errore di considerare l’avvelenamento da
monossido di carbonio (CO) solo per la forma acuta, gravissima e
letale, mentre trascuriamo i più numerosi avvelenamenti
cronici, che si manifestano con quadri clinici diversi, spesso poco
tipici e sempre di difficile riconoscimento. Capita, come avviene in
medicina per altre condizioni, che situazioni del genere siano
riconosciute solo da chi ne abbia già visto anche un solo
caso. Lo scopo di questo scritto risiede proprio nel tentativo di
aumentarne le conoscenze e quindi la diagnosi e il relativo
trattamento.
Già
diversi anni fa su Medico e Bambino, pagine elettroniche, è
stato trattato questo argomento, ma è venuto il momento di
riprenderlo e di esporre le nuove conoscenze. La pubblicazione di un
lavoro sull’argomento ne offre l’occasione:
LK
Weaver. Carbon monoxide poisoning. N
Engl J Med 2009; 360:1217-25
Il
problema clinico
Uso
della terapia iperbarica
La camera
iperbarica viene definita come la respirazione
di ossigeno al 100% in un ambiente con pressione superiore a
1,4 atmosfere. I medici che usano i livelli di carbossiemoglobina
come criterio per usare la camera iperbarica, devono considerare che
i livelli, presenti al momento in cui il paziente arriva al
Dipartimento di Emergenza, possono essere sottostimati in confronto a
quelli iniziali. Infatti l’eliminazione della
carbossiemoglobina avviene, con il passare del tempo, anche sotto
l’azione dell’ossigeno somministrato dal personale
dell’emergenza, prima di arrivare al Pronto soccorso.
Il ruolo
dell’ossigeno iperbarico nell’avvelenamento da monossido
di carbonio (CO) rimane controverso, anche se vi sono ormai prove di
un suo reale beneficio. La terapia con ossigeno iperbarico, infatti,
alza la tensione di ossigeno nelle arterie e nei tessuti, promuovendo
l’eliminazione del CO e aumentando la produzione di adenosin
trifosfato, che riduce lo stress ossidativo e l’infiammazione.
In uno
studio in doppio cieco è stato osservato che l’incidenza
delle sequele cognitive nei pazienti che erano stati sottoposti a tre
sessioni di camera iperbarica (una sessione iniziale di 150 minuti,
seguita da due sessioni di 120 minuti ciascuna, separate da un
intervallo di 6-12 ore, entro 24 ore dall’avvelenamento da CO),
era più bassa (25% contro 46%, con P=0,007 e P=0,03 dopo
aggiustamento) in confronto a pazienti non trattati con la camera
iperbarica. Inoltre l’uso della camera iperbarica ha ridotto
l’incidenza delle sequele cognitive a 12 mesi di distanza (18%
versus 33% con P=0,04).
Una
revisione Cochrane, che considera 6 pubblicazioni, non conferma l’uso
della camera iperbarica per pazienti con avvelenamento da CO, anche
se le conclusioni della review sono controverse.
Trattamento
di lunga durata
I
pazienti con avvelenamento da CO necessitano di un adeguato
follow-up. Spesso il ricovero è complicato da esiti, che
possono persistere dopo la dimissione, o svilupparsi a distanza di
qualche settimana dall’avvelenamento, con la possibilità
di rimanere permanenti. L’esperienza clinica suggerisce che
pazienti con sequele debbano ricevere un trattamento dei loro sintomi
da parte di personale specializzato nel versante cognitivo,
psichiatrico, della parola, occupazionale e della riabilitazione
fisica.
Pazienti
con cefalea persistente possono richiedere l’intervento di uno
specialista delle cefalee.
Prevenzione
Livelli
di carbossiemoglobina del 3% o superiori possono essere dannosi per
gruppi ad alto rischio come anziani, donne in gravidanza, feti,
lattanti e pazienti con malattie cardiovascolari o respiratorie.
L’avvelenamento
accidentale da CO è prevenibile. Sono disponibili allarmi che
segnalano livelli di CO che corrispondo a livelli di
carbossiemoglobina superiori al 10%.
L’evitare
la produzione di CO entro le mura domestiche e il richiedere
controlli periodici del funzionamento dei bruciatori e dello scarico
dei gas di combustione possono prevenire molti casi di avvelenamento
da CO.
Aree
d’incertezza
Sequele
Sebbene
ormai sia chiaro che l’avvelenamento da CO può causare
molti problemi neurologici e neuropsichiatrici, l’incidenza
delle sequele non è completamente conosciuta. Studi
prospettici su pazienti trattati con ossigeno normobarico mostrano
che il 34% riferisce sintomi, come mal di testa o problemi di memoria
dopo 4 settimane e il 46% ha sequele neuropsichiatriche dopo 6
settimane dall’avvelenamento. Tuttavia, per alcuni limiti
metodologici delle esperienze sinora condotti, non sappiamo con
certezza fra tutti i pazienti avvelenati, quanti abbiano sequele.
Il
comportamento iniziale del paziente non predice la qualità
della prognosi successiva, anche se alcune variabili al momento
dell’avvelenamento possono essere indicativi. Per esempio, in
pazienti di 36 anni o più, esposti al CO per almeno 24 ore,
non trattati con la camera iperbarica, o che avevano alterazioni
cerebellari iniziali, il rischio di sequele cognitive a 6 settimane
dall’avvelenamento, è superiore in confronto a quello di
pazienti che non avevano queste caratteristiche. Inoltre nei pazienti
con vertigini prima dell’ammissione in ospedale o cefalea al
momento del ricovero è maggiore il rischio per piccoli
problemi neurologici un mese dopo l’avvelenamento. Livelli
elevati degli indicatori dell’infiammazione possono predire il
rischio di sequele.
Dopo 6
anni dall’avvelenamento il 19% dei pazienti aveva problemi
cognitivi e la valutazione neurologica nel 37% dei casi non risultava
normale.
Non si sa
se nei pazienti con avvelenamento da CO il rischio di un precoce
declino cognitivo o di malattia di Alzheimer sia maggiore oppure no.
Variabilità
fra i pazienti
Bambini
esposti al CO divengono sintomatici più precocemente e
guariscono più velocemente rispetto agli adulti perché
hanno un minore volume di sangue e un’aumentata ventilazione
per unità di massa corporea in confronto all’adulto.
Il feto
nel grembo materno è altamente suscettibile al CO. Il periodo
di tempo richiesto per eliminare il CO dal sangue è prolungato
nel feto, in confronto a quello dell’adulto; l’avvelenamento
da CO e l’ipossia della madre contribuiscono all’ipossia
del feto. La mortalità del feto supera il 50% in caso di grave
avvelenamento. La terapia con ossigeno iperbarico va presa in
considerazione in donne in gravidanza con avvelenamento da CO, in
particolare qualora il feto mostri segni di sofferenza.
Terapia
con ossigeno iperbarico
Non è
chiaro quali pazienti debbano ricevere la terapia con ossigeno
iperbarico. Ulteriori incertezze riguardano la pressione ottimale
nella camera iperbarica e l’intervallo massimo del suo utilizzo
dopo l’avvelenamento, allo scopo di avere ancora effetti
favorevoli. Alcuni clinici non usano la camera iperbarica quando
siano passate più di 24 ore dall’avvelenamento.
Altre
terapie
Si è
già parlato del ruolo dell’infiammazione nelle lesioni
tissutali dell’avvelenato da CO. Ma non si sa ancora se la
terapia antinfiammatoria o altri interventi neuroprotettivi (come
l’ipotermia) abbiano un ruolo nel trattamento e possano
migliorare la prognosi dell’avvelenato da CO.
Linee
guida
La
Undersea and Hyperbaric Medical Society raccomanda l’uso
della camera iperbarica in caso di:
- Pazienti con gravi avvelenamenti da CO, con stato d’incoscienza transitorio o prolungato, alterati segni neurologici, alterazioni cardiovascolari o grave acidosi;
- Pazienti di 36 anni o più;
- Esposizione al CO per più di 24 ore (incluse le esposizioni intermittenti);
- Livelli di carbossiemoglobina del 25% o più.
Raccomandazioni
cliniche del Subcommittee of the American College of Emergency
Physicians indicano che l’ossigeno iperbarico è “una
scelta terapeutica per soggetti avvelenati da CO, che non può
essere indicata in senso assoluto. […] Nessuna variabile
clinica, compreso il livello di carbossiemoglobina, identifica un
sottogruppo nel quale sia più facile ottenere un beneficio o
causare un pericolo”.
L’Autore
dell’articolo del NEJM invece propende in modo deciso
per un’estensione del trattamento con camera iperbarica nei
pazienti con avvelenamento da CO, sulla base di studi biochimici, di
studi in animali e di una rigorosa prova clinica.
Conclusioni
e raccomandazioni
Pazienti
che abbiano un avvelenamento da CO debbono essere trattati
immediatamente con ossigeno normobarico (a una percentuale più
alta possibile) che accelera l’escrezione del CO e l’origine
del CO va immediatamente identificata e rimossa.
L’avvelenamento
da CO può determinare sequele permanenti e i medici che
valutano un soggetto avvelenato debbono considerare la terapia
iperbarica. Nei trattati con ossigeno iperbarico, la percentuale di
sequele cognitive è del 25% a 6 settimane, mentre è del
46% in quelli che hanno ricevuto ossigeno normobarico.
I
pazienti debbono essere educati o ridurre il rischio di esposizione
al CO, incluse le attività di combustione all’interno
delle mura domestiche e facendo controlli periodici ai bruciatori
domestici. I pazienti debbono inoltre essere invogliati a comperare,
istallare e prestare attenzione agli allarmi per il CO.
La
pubblicazione è corredata da 55 citazioni bibliografiche,
riportate secondo le indicazioni dell’Index Medicus.
L’autore
ha ricevuto borse di studio dal CDC e dalla Deserte Foundation. Non
dichiara alcun conflitto d’interesse per questo articolo.
Ringrazia alcuni medici per la fornitura delle immagini di RM e per
l’assistenza nella stesura del manoscritto.
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