Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Maggio 2009 - Volume XII - numero 5
M&B Pagine Elettroniche
Pediatria per l'ospedale
Avvelenamento
da monossido di carbonio (prima parte)
Membro
della Commissione Nazionale Vaccini
Indirizzo
per corrispondenza: bartolozzi@unifi.it
Spesso
commettiamo l’errore di considerare l’avvelenamento da
monossido di carbonio (CO) solo nella forma acuta, gravissima e
letale, mentre trascuriamo i più numerosi avvelenamenti
cronici, che si manifestano con quadri clinici diversi, spesso
poco tipici e sempre di difficile riconoscimento. Capita, come
avviene in medicina per altre condizioni, che situazioni del genere
siano riconosciute solo da chi ne abbia già visto anche un
solo caso. Lo scopo di questo scritto risiede proprio nel tentativo
di aumentarne le conoscenze e quindi la diagnosi e il relativo
trattamento.
Una
decina di anni fa su Medico e Bambino, pagine elettroniche (fascicolo
di novembre 1999), è stato trattato questo argomento, ma è
venuto il momento di presentare le nuove conoscenze. La pubblicazione
di un lavoro sull’argomento ne offre l’occasione: LK
Weaver. Carbon monoxide poisoning. N Engl J Med 2009,
360:1217-25
Una donna
di 39 anni ha da molti mesi una storia di stanchezza, mal di testa e
perdita di memoria. Non era stata fatta nessuna diagnosi precisa.
Durante un periodo di peggioramento, la paziente chiama un amico, che
arriva al suo domicilio e la trova in stato semicomatoso, tanto
da chiamare il pronto intervento. Alla donna viene somministrato
dell’ossigeno e viene portata al Dipartimento di Emergenza,
dove è vigile e cosciente e all’esame obiettivo presenta
segni di sofferenza non-focale. Tuttavia il suo livello di
carbossiemoglobina è del 18%.
Come va
trattata ?
Qual è
la sua prognosi ?
Il
problema clinico
L’avvelenamento
da monossido di carbonio (CO) è comune: ogni anno negli Stati
Uniti sono eseguite più di 50.000 visite al Dipartimento di
Emergenza per questo problema. 66 morti in Italia nel 2001 e 240 nel
2002, di cui 5 in età inferiore ai 18 anni (Classificazione
analitica 986, ISTAT, Cause di morte, ultimi dati a disposizione). Le
fonti dell’avvelenamento possono essere diverse:
- Forni difettosi
- inadeguata ventilazione delle sorgenti di calore
- Scarichi di motori
- Altro
I
sintomi dell’avvelenamento da CO non sono specifici.
Nelle
esposizioni lievi si ritrovano: cefalea, mialgia, vertigini o
sofferenze neuro-psicologiche.
Nelle
esposizioni gravi si ritrovano: stato confusionale, perdita di
conoscenza o morte (vedi Figura 1).
Nei
pazienti con esposizioni subcliniche l’avvelenamento può
essere riconosciuto solo dopo una manifestazione acuta o per la
scoperta casuale di una fuga di CO.
Figura
1. Spettro di sintomi ed effetti dell' esposizione al monossido
di carbonio, secondo i livelli e la durata dell’esposizione. In
tutti gli umani, sono presenti piccole quantità di CO,
importanti per molte funzioni fisiologiche, inclusa la
neuro-trasmissione. L’esposizione esogena a quantità di
CO al di sopra dei livelli fisiologici può determinare una
risposta protettiva e adattiva, ma l’esposizione a livelli più
alti determina sempre effetti tossici. Gli effetti tossici causano
infiammazione, seguita da ipossia, sebbene ci sia incertezza riguardo
all’ampiezza dell’esposizione al CO, oltre la quale
insorga l’infiammazione (come indicato nelle lineette della
figura 1). I sintomi e i segni dell’avvelenamento da CO sono
fortemente variabili, dipendendo dall’intensità e dalla
durata dell’esposizione.

In
quantità fisiologiche, la funzione endogena del CO agisce come
un neurotrasmettitore. A bassi livelli il CO può modulare
favorevolmente l’infiammazione, l’apoptosi e la
proliferazione cellulare, e può stimolare la biogenesi
mitocondriale. Ma quando l’esposizione al CO aumenta, insorge
l’avvelenamento.
Il CO
causa ipossia perché si forma carbossiemoglobina e si sposta
la curva della dissociazione dell’ossiemoglobina a sinistra
(Figura 2, in alto a sinistra). L’affinità
del CO per l’emoglobina è più di 200 volte
superiore a quella dell’ossigeno, per cui avviene la formazione
di carbossiemoglobina anche in presenza di relativamente piccole
quantità di CO. Il CO aumenta i livelli di eme citosolico,
portando allo stress ossidativo (attraverso il legame con la proteina
eme delle piastrine e la citocromo c ossidasi), per cui s’interrompe
la respirazione cellulare e si causa la produzione di ossigeno
reattivo, che porta alla necrosi neuronale e all’apoptosi.
L’alterazione della respirazione cellulare porta, come
risposta, allo stress, inclusa l’attivazione del fattore 1α,
ipossia-inducibile, che porta alla protezione o alla lesione del
sistema nervoso e del cuore, a seconda della dose di CO, per mezzo
della regolazione dei geni. L’esposizione al CO causa anche
infiammazione attraverso molte vie, che sono indipendenti
dall’ipossia, con conseguente danno neurologico e cardiaco.
L’esposizione
prolungata, subacuta al CO per più di 24 ore generalmente
avviene in modo intermittente e può durare settimane, ma anche
anni. L’incidenza dell’esposizione prolungata è
sconosciuta. I sintomi dell’avvelenamento cronico differiscono
profondamente da quelli dell’avvelenamento acuto e possono
includere:
- stanchezza cronica,
- condizioni affettive
- stress emotivi
- deficit di memoria
- difficoltà a lavorare
- disturbi del sonno
- vertigini
- neuropatia
- parestesie
- infezioni ricorrenti
- policitemia
- dolori addominali
- diarrea.
I
pazienti comunemente hanno sequele neuropsicologiche dopo
l’avvelenamento da CO: in uno studio il 46% di pazienti
avvelenati aveva sequele nelle 6 settimane dopo l’avvelenamento
e il 45% aveva sequele affettive. Altri esiti includono disturbi
nella deambulazione, neuropatia periferica, perdita di udito e
alterazioni vestibolari, demenza o psicosi, che può essere
permanente.
La
risonanza magnetica (RM) cerebrale può rilevare reperti
alterati dopo un avvelenamento da CO (Figura 3).
Sono state descritte lesioni dei gangli della base e atrofia
dell’ippocampo o di altre strutture anni dopo l’avvelenamento;
nessuna di queste lesioni è specifica però
dell’avvelenamento da CO.
Trattamento
a breve termine
Per prima
cosa il personale medico che vede inizialmente il paziente deve
somministrare ossigeno normobarico al 100%, per mezzo di una maschera
facciale; inoltre i pazienti intossicati vanno trasportati a un
Dipartimento di Emergenza per la valutazione.
La
somministrazione di ossigeno normobarico, sicura e poco costosa, deve
essere adottata finchè il livello della carbossiemoglobina non
sia sceso al di sotto del 5%.
La
valutazione del paziente avvelenato deve riguardare essenzialmente
l’adeguatezza della ventilazione e della perfusione, l’esame
neurologico e la storia dell’esposizione (durata, causa ed
eventuale avvelenamento di altre persone).

Il
monossido di carbonio si diffonde rapidamente nel sangue dai polmoni
e causa lesioni e risposte adattive, che continuano anche dopo che i
livelli di carbossiemoglobina sono tornati al normalità. Il CO
causa ipossiemia per la formazione di carbossiemoglobina e per lo
spostamento a sinistra della curva di dissociazione
dell’ossiemoglobina. Il CO si lega all’eme e alla
citocromo c ossidasi (CCO) in modo da disturbare la funzione
mitocondriale: in tal modo contribuisce all’ipossia. L’ipossia
cerebrale innalza i livelli di aminoacidi eccitatori, aumentando i
livelli di nitriti del cervello e causando successivamente lesioni.
L’ipossia del cervello causa stress ossidativi, necrosi e
apoptosi, contribuendo all’infiammazione e alle lesioni. Il CO
causa inoltre infiammazione, aumentando i livelli di eme citosolico e
di proteina eme-ossigenasi-1 (HO-1) con conseguenti stress ossidativi
intracellulari. Il CO si lega alle proteine eme delle piastrine,
causando la liberazione di ossido nitrico (·NO). L’eccesso
di ·NO determina perossinitrito (ONOO-), alterando la funzione
mitocondriale, che contribuisce all’ipossia. Il CO causa
aggregazione delle piastrine ai neutrofili e degranulazione dei
neutrofili, interessando la liberazione o la produzione di
mieloperossidasi (MPO), proteasi e ossigeno reattivo, che causa
stress ossidativo, per ossidazione dei lipidi e apoptosi. Le proteasi
interagiscono con la xantino deidrogenasi (XD) nelle cellule
endoteliali, formando xantino-ossidasi (XO), che inibisce i
meccanismi endogeni che cercano di limitare i danni dello stress
ossidativo. I prodotti della lipidi-perossidazione formano legami con
la proteina base della mielina, alterandone la struttura e quindi
inducendo una risposta immunologica linfocitaria, e aumentano
l’attivazione e l‘attività della microglia,
causando conseguenze neuropatologiche. Infine il CO induce risposte
cellulari allo stress, come l’attivazione del fattore 1α
inducibile dall’ipossia (HIF-1α) che può indurre
regolazione dei geni. La regolazione dei geni può essere
protettiva e può determinare lesioni, a seconda della dose di
CO e della presenza di fattori dell’ospite, che rimangono
largamente sconosciuti.
NMDA
= N-metil-D-aspartato
nNOS
= neuronale ossido nitrico sintasi
La
determinazione dei gas nel sangue arterioso fornisce informazioni
sull’adeguatezza degli scambi gassosi, sulla presenza di
acidosi metabolica e sulla carbossiemoglobina: questa dovrebbe essere
richiesta nei pazienti avvelenati, quando fosse clinicamente
indicata.
La
determinazione della sola carbossiemoglobina deve essere considerata
tuttavia come sufficiente a scopo diagnostico.
I livelli
di carbossiemoglobina dipendono da numerosi fattori:
- Dimensione dell’esposizione
- Grado della ventilazione alveolare
- Volume ematico
- Attività metabolica
- Livello di CO nell’ambiente
- Durata dell’esposizione (soprattutto)
Un
livello di carbossiemoglobina superiore al 3% in un non fumatore o al
10% in un fumatore conferma l’esposizione al CO, ma il valore
della prova non si correla con la presenza o assenza di sintomi
iniziali o con la prognosi, che viene attribuita più agli
aspetti infiammatori dell’avvelenamento che all’ipossia.
L’avvelenamento
da CO può scatenare un’angina e causare lesioni del
cuore, anche in persone senza problemi coronarici. D’altra
parte pazienti avvelenati da CO debbono essere studiati da un punto
di vista cardiovascolare e vanno valutati gli enzimi del cuore. Se è
presente un interessamento cardiaco, è indicato un consulto
con un cardiologo.
In caso
di avvelenamento intenzionale da CO, vanno fatte ricerche anche per
la dimostrazione di alcol, benzodiazepine, narcotici, anfetamine e
altri agenti.
Nelle
figure viene mostrato il danno cerebrale da monossido di carbonio,
osservato nei pazienti avvelenati con sequele. Le immagini sono state
ottenute con l’uso di un apparecchio 3-T MR altamente
sensibile, non disponibile ovunque, secondo protocolli specifici; nel
quadro A e B sono mostrate le strie delle fibre della sostanza bianca
di un volontario sano di 22 anni, mentre nel quadro C e D sono
mostrate le fibre della sostanza bianca di un soggetto della stessa
età con una storia di avvelenamento da CO. I quadri E e F
mostrano rispettivamente le immagini coronariche dell’ippocampo
di un volontario sano e di un paziente dopo l'avvelenamento da CO. In
un paziente è stata trovata (quadro F, frecce) atrofia
dell’ippocampo, lesioni del globus pallido (quadro G, frecce) e
delle strutture sottocorticali (quadro H, frecce). Il risultato della
funzione auditiva alla RM dopo l' avvelenamento da CO in un paziente
con una precedente acutezza auditiva normale, mostra una normale
attivazione dopo stimolazione auditiva all’orecchio destro
(quadro I, frecce) e nessuna attivazione della funziona auditiva a
sinistra (quadro J). Questo reperto è caratteristico di un
processo auditivo, normale da un lato (destro in questo caso) e
soppresso dal lato opposto, presumibilmente in relazione con la
lesione cerebrale da avvelenamento da ossido di carbonio.

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