Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Settembre 1999 - Volume II - numero 7
M&B Pagine Elettroniche
Il punto su
L'infezione
perinatale da HIV in Italia
Dipartimento
di Pediatria, Università di Firenze e Cattedra di Terapia
Pediatrica, Università di Chieti
Anche in
età pediatrica l'infezione da virus dell'immunodeficienza
umana (“human immunodeficiency virus” o HIV) è divenuta
negli ultimi 15 anni una condizione rilevante in molti Paesi,
soprattutto in quelli in via di sviluppo, ma anche in quelli
industrializzati, tra cui l'Italia. In questi ultimi, l'impiego
di sangue o emoderivati ottenuti da donatori sottoposti
sistematicamente a screening per l'HIV ha da molti anni azzerato la
trasmissione del virus attraverso la via trasfusionale.
Conseguentemente, l'unica modalità di trasmissione
dell'infezione in pediatria è ora rappresentata dalla
trasmissione da madre a figlio. Il passaggio del virus può
avvenire in epoca intrauterina, al momento del parto e anche
successivamente alla nascita, attraverso l'allattamento materno.
L'assenza di marcatori virali nei primi due giorni di vita in oltre
il 60% dei bambini e le recenti evidenze riguardo l'effetto
protettivo del parto cesareo elettivo (1,2), suggeriscono che
l'infezione avviene in epoca peripartum in due terzi dei casi. A
conferma di ciò si aggiunge la dimostrata efficacia della
prevenzione farmacologica attuata con la somministrazione della
zidovudina alla madre dalla 14-34° settimana di gravidanza e
durante il parto per via endovenosa, e al neonato per sei settimane.
I risultati, infatti, del trial denominato AIDS Clinical Trial Group
(ACTG) 076, pubblicati nel 1994 dimostravano che la zidovudina versus
placebo abbatteva il tasso di trasmissione da oltre il 20 all'8%
circa (3). La combinazione, inoltre, della profilassi con zidovudina
e del parto cesareo elettivo, riduce ulteriormente il tasso di
trasmissione al 3-5% (2,4). Ne consegue che tali strategie preventive
(che si sono aggiunte all'esclusione dell'allattamento materno),
isolatamente o combinate, sono state sempre più frequentemente
applicate negli ultimi 3 anni in tutti i paesi industrializzati.
In Italia
i dati del Registro Italiano per l'Infezione da HIV in Pediatria
dimostrano che dal 1994 si è verificato un sempre più
largo utilizzo della profilassi con farmaci antiretrovirali in
gravidanza, tanto che nel 1998 oltre l'80% dei bambini era nato da
madri trattate in gravidanza, mentre il parto cesareo elettivo
costituisce dal 1997 la modalità di parto più frequente
fino a superare il 60% nel 1998. L'abbattimento delle infezioni
perinatali da HIV costituisce un dato epidemiologicamente molto
confortante che potrebbe indurre a sperare in una più che
consistente riduzione delle infezioni pediatriche.
Rimangono
peraltro, alcune questioni aperte. In Italia, dai dati del Registro
Italiano per l'Infezione da HIV in Pediatria e dai dati dello
studio di prevalenza sui neonati, si stima che ogni anno nascano
circa 500 bambini da madre HIV-positiva. Dal 1995 il numero delle
nascite appariva in lieve decremento. Purtuttavia, è
prevedibile che le migliorate condizioni cliniche delle donne
HIV-positive a seguito delle nuove terapie antiretrovirali aggressive
e la fiducia nell'efficacia della prevenzione determinino un
incremento sensibile delle nascite da madre HIV-positiva, così
come già si è verificato nel 1998 nel Centro di
Riferimento Regionale per l'AIDS Pediatrico presso la Clinica
Pediatrica III dell'Università di Firenze. Un numero sempre
maggiore di nascite da madre HIV-positiva si sta verificando,
inoltre, in donne extra-comunitarie o provenienti da paesi a elevata
endemia, quali paesi africani, sudamericani o asiatici. In questi
casi la scarsa integrazione sociale e i problemi linguistici rendono
spesso problematica l'informazione e quindi difficilmente attuabili
l'esecuzione del test per l'HIV in gravidanza, la profilassi
farmacologica e il parto cesareo elettivo. Sono, inoltre, più
frequenti i casi di bambini provenienti da aree endemiche
diagnosticati come affetti da HIV tardivamente (nella prima o seconda
infanzia). In secondo luogo, i bambini che contraggono l'infezione
nonostante la terapia in gravidanza sembrano avere un decorso clinico
particolarmente severo, probabilmente per l'acquisizione
dell'infezione in un'epoca precoce della gestazione o per
l'acquisizione di varianti virali multiresistenti alle terapie
antiretrovirali attualmente in uso (5).
Complessivamente,
quindi, non è prevedibile che il numero dei bambini con
infezione da HIV, seguiti presso i centri specialistici, sia in
diminuzione nell'immediato futuro, anche per l'incremento della
sopravvivenza correlato con l'utilizzo delle terapie
antiretrovirali combinate.
Particolare
attenzione deve poi essere dedicata al follow-up dei bambini nati da
madre trattata con antiretrovirali in gravidanza. La sicurezza
d'impiego della zidovudina in gravidanza è stata infatti
dimostrata a breve e medio termine. Peraltro, la convinzione diffusa,
ma non attualmente adeguatamente supportata da dati scientifici, che
nel caso di donne già trattate con terapie combinate
precedentemente alla gravidanza, la sola zidovudina potrebbe essere
inadeguata nel prevenire la trasmissione, ha dato adito all'utilizzo
nella donna gravida delle più diverse combinazioni
terapeutiche, solo teoricamente più attive nel controllare la
replicazione del virus nella madre, quando sia ipotizzabile o
dimostrata in vitro una resistenza alla zidovudina. La sicurezza di
impiego per il prodotto del concepimento degli altri farmaci
antiretrovirali non è peraltro sufficientemente documentata,
come deve essere ricordato in un corretto counselling alla donna
gravida. Solo recentemente compaiono le prime segnalazioni sugli
effetti collaterali delle terapie antiretrovirali combinate (due
inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa) o altamente
aggressive (due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa e
un inibitore delle proteasi) sul neonato. Tali segnalazioni
[prematurità, epatite, miopatie mitocondriali ed encefalopatia
progressiva, emorragia cerebrale (6)] sono peraltro sporadiche e
pertanto non chiaramente correlabili con l'utilizzo di uno o più
farmaci. L'attento follow-up dei bambini, anche se non infetti per
l'HIV, nati da madre HIV-positiva trattata in gravidanza e la
raccolta dei dati inerenti gli effetti collaterali in ampi studi
multicentrici costituirà un ulteriore, importante lavoro per i
centri di riferimento nel prossimo futuro.
Bibliografia
1. The
European Collaborative Study. Risk factors for mother-to-child
transmission of HIV-1 - Lancet 339, 1007-12, 1992
2. The
International Perinatal HIV Group. The mode of delivery and the risk
of vertical transmission of human immunodeficiency virus type 1. A
meta-analysis of 15 prospective cohort studies - N
Engl J Med 340, 977-87. 1999
3. Connor
EM, Sperling RS, Gelber R et al. - Reduction of maternal-infant
transmission of human immunodeficiency virus type 1 with zidovudine
treatment. - N Engl J Med 331, 1173-80, 1994
4. Galli
L, Mannelli F, Azzari C et al. - Combined cesarean section and
antiretroviral treatment in pregnancy as a strategy in preventing
mother-to-infant HIV-1 transmission - Int J Immunopathol Pharmacol10, Suppl: 236, abstract 1997
5. de
Martino M, Tovo P-A, Galli L et al. - Rapid disease progression in
HIV-1 perinatally infected children born to mothers receiving
zidovudine monotherapy during pregnancy. AIDS [accepted]
6.
Blanche S, Rouzioux C, Mandelbrot L, et al. - Zidovudine-lamivudine
for prevention of mother to child HIV-1 transmission - The 6th
Conference on Retrovirus and Opportunistic Infections, Chicago, Il.
January 31st-February 4th, 1999; abstract 267
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