Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Aprile 2011 - Volume XIV - numero 4
M&B Pagine Elettroniche
Casi indimenticabili
Sarà
stato qualcosa che ha mangiato...
UO
Pediatria, Ospedale Boldrini, Thiene (Vicenza)
Quando
ho visto Renato nel mio nuovo ambulatorio non sapevo di averlo
già incontrato prima. Tendenzialmente le mie sono tutte
prime visite: ho iniziato da qualche mese l’ambulatorio
allergologico e solo da qualche mese prima a lavorare nel mio
nuovo ospedale, per la prima volta come specialista.
Renato
viene portato per una classica dermatite atopica in fase di
miglioramento. È ottobre e non sono presenti lesioni
attive, ma solo esiti ipocromici post-infiammatori. D’altra
parte il piccolo è giustamente in terapia con un
cortisonico topico.
Di
non comune c’è il terrore della madre nei confronti
dell’allergia al latte: quando mi parla della dermatite del
figlio si percepisce nettamente che lei la reputa una diretta
conseguenza dell’allergia alimentare. Di fatto questa idea
dev’essere stata per forza indotta dai colleghi che mi
hanno preceduta. Al piccolo, infatti, proprio a seguito della
comparsa della dermatite, era stato prescritto da subito un
multi-RAST alimenti; non aveva mai presentato reazioni immediate
da cibi, ma visto le positività (anche modeste) a latte,
uovo, nocciola e mela, era stato subito posto a dieta priva di
questi alimenti. Ovviamente la dieta non è servita e non è
stata neppure spiegata la terapia topica della dermatite, al
contrario, varie altre visite eseguite da vari specialisti
allergologi (ogni volta diversi!) hanno rinforzato il messaggio
ripetendo le prove allergologiche (in questo caso i prick test) e
confermando la dieta.
Adesso
Renato ha 3 anni e, nonostante i suoi prick continuino a essere
positivi, uovo e latte sono stati parzialmente reintrodotti nella
dieta (assume derivati dell’uovo ma anche frittata; assume
piccole quantità di formaggio, ma mai il latte in quanto
tale).
Per
la madre, comunque, il piccolo continua a essere gravemente
allergico (anche se nel frattempo ha continuato a non presentare
alcun sintomo di reattività immediata). È così
ossessionata da questa allergia che io non riesco neppure a
parlare della terapia topica. D’altra parte come spiegarle
che di fatto la dermatite dipende da un difetto di barriera dato
dalla carenza di filaggrina e non ha un’eziologia
allergica? Forse non è neppure il caso. Per questo la
assecondo un po’ cercando di insistere sulla necessità
di reintrodurre il latte tramite un test di scatenamento.
La
mamma però si allarma nel sentir parlare di test di
scatenamento (seppure nella realtà è certamente
più sicuro dei suoi tentativi domestici). “Si
figuri -mi dice- che qualche mese fa, Renato è stato anche
ricoverato da voi per una grave reazione allergica: si era
gonfiato tutto e si era riempito di chiazze rosse. Inoltre aveva
iniziato a zoppicare e non voleva più camminare. Anche gli
altri specialisti mi hanno detto che si tratta di una cosa assai
strana e di continuare a evitare il latte”. E così
facendo tira fuori la nostra lettera di dimissione.
Quando
finalmente vedo la lettera, mi torna esattamente in mente di
averlo già visto durante il ricovero. Erano i miei primi
giorni di lavoro e il piccolo presentava lesioni cutanee
purpuriche e palpabili a componente emorragica associate a edema
perioculare e delle estremità, più petecchie al
cavo orale. Viste le ottime condizioni generali del piccolo,
disturbato solo da lievi mialgie e artralgie, era stata posta la
diagnosi di edema emorragico acuto del lattante. Infatti nel giro
di uno-due giorni le lesioni si erano attenuate spontaneamente
per poi recedere completamente. Gli esami ovviamente avevano
dimostrato solo lieve aumento di VES e PCR, piastrinosi e aumento
del dimertest. Tutti gli altri esami erano nella norma. Eravamo
stati molto fieri di noi stessi per la diagnosi (visto la rarità
del quadro) e ricordo certissimamente di aver spiegato alla madre
che si trattava di una vasculite leucocitoclastica benigna: la
genesi allergologica era stata esclusa.
Ciononostante,
i genitori avevano capito (o avevano voluto capire) il contrario
e avevano fatto un po’ di dottor-shopping per accertarsi
della cosa.
Come
ho fatto io, con la mia faccia giovane, a convincere i genitori
sulla certezza della nostra primitiva diagnosi? Semplice,
ricorrendo alla “bibbia”: ho aperto il Nelson sul
capitolo delle vasculiti e, subito sotto la descrizione della
porpora di Schönlein-Henoch, ho mostrato loro l’immagine
precisa delle lesioni che aveva presentato il loro figlio. Ho
ribadito quindi l’estraneità dell’allergia al
latte sulla genesi di questo raro ma ben definito quadro clinico.
Questo
caso rimane per me indimenticabile perché ancora una
volta ho potuto constatare come tutte le lesioni dermatologiche
vengano in prima istanza attribuite a reazioni a cibi, in
particolare all’allergia, e di come sia difficile togliere
questa idea dalla testa delle persone. |
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