Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Febbraio 2010 - Volume XIII - numero 2
M&B Pagine Elettroniche
Fin da Piccoli
Una
delle sfide delle neuroscienze è quella di comprendere a quali
cambiamenti strutturali del cervello corrispondono le nuove
competenze acquisite da un soggetto, o i suoi adattamenti ad una
situazione di patologia del sistema nervoso centrale. Le nuove
tecniche di neuroimaging consentono non solo precise localizzazioni
topografiche delle eventuali lacune settoriali (vedi ad esempio la
dislessia, dove è stata dimostrata una sotto-attivazione di
aree occipito-parientali, temporio-parietali e frontali inferiori
sinistre) ma anche di attribuire a specifiche componenti del cervello
specifiche funzioni acquisite o perdute o “rimediate”. In
generale, quello che sta emergendo – e non sorprende – è
che a spiegare alterazioni di funzioni complesse non siano solo, o
tanto, alterazioni di specifiche, ma alterazioni della connettività
cioè del malfunzionamento della comunicazione corticale.
Questo è sicuramente vero per i disturbi della lettura. Da qui
l’ipotesi che le diverse forme di dislessia siano associate con
alterazioni nelle proprietà della sostanza bianca che assicura
la connessione anatomica tra i nodi di quel network di diverse
funzioni che rende possibile la lettura.
Lo studio qui riportato (Keller T.A., Just M.A. Altering cortical connectivity: remediationinduced changes in the white matter of poor readers. Neuron 2009;64,624-631), utilizzando una tecnologia di neuroimaging chiamata diffusion tension imaging (DTI, di cui l’indicatore fractional anysotropy, o FA, misura appunto l’integrità strutturale della sostanza bianca) indica che un intervento intensivo di riabilitazione alla lettura in bambini con disturbi della stessa (da quanto è dato capire, soprattutto sul versante della comprensione del testo) è in grado di produrre effetti sull’integrità strutturale della sostanza bianca corticale in grado di essere evidenziati da tale tecnica. La ragione per riferire su FDP di uno studio con caratteristiche non immediatamente applicative è sostanzialmente quella di portare argomenti forti e documentati in favore dell’efficacia dimostrabile di interventi precoci (o relativamente precoci come questo) e quindi più in generale all’effetto neurobiologico che più volte è stato postulato come conseguenza dell’esposizione precoce alla lettura.
Si conferma che la lettura dipende non solo dall’attivazione di specifiche aree corticali, ma da una adeguata connessione tra loro, in particolare da alterazioni nelle proprietà strutturali della sostanza bianca che però si dimostrano suscettibili di intervento. Gli stessi autori suggeriscono che simili alterazioni della connettività siano presenti in altri disturbi neurologici quali l’autismo e che anch’essi siano quindi suscettibili di riabilitazione funzionale. E’ evidente che esiste uno spazio per migliorare le competenze relative alla lettura, con interventi che saranno tanto più efficaci quanto più precoci e quanto più i soggetti avranno, per vari motivi, dei deficit da colmare. Ne sappiamo ancora poco, ma con la tecnologia disponibile si potrà rapidamente accrescere la comprensione dei meccanismi che stanno alla base di questi effetti.
Essendo lo studio di carattere eminentemente sperimentale, interessa direttamente i neuropsichiatri e gli psicologi e altre figure professionali quali i logopedisti e alcuni insegnanti direttamente interessati in ricerca e intervento sulle difficoltà specifiche dell’apprendimento e in particolare sulla dislessia. Nel suo significato speculativo più generale, per i motivi su esposti, dovrebbe interessare tutti coloro che si occupano di infanzia.
GT
Clicca http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/Keller.pdf per un ampio sunto dell’articolo
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