Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
M&B Pagine Elettroniche
Editoriali sui contributi originali
commento
a:
Dislessia:
indagine epidemiologica in una Scuola Elementare di Palermo
U.O. di
Neuropsichiatria Infantile Trieste
L'articolo
ha il pregio di tentare una sensibilizzazione del pediatra di
famiglia nei confronti dei disturbi specifici dell'apprendimento,
affrontando il problema della dislessia.
Questa
sensibilizzazione è indispensabile in quanto tuttora accade
talvolta di poter diagnosticare il problema tardivamente (talvolta
addirittura durante la frequenza della scuola media!) quando il
bambino è ormai stato esposto abbondantemente allo stress
derivante dalla sua particolare condizione. E' un evento classico
che, ad esempio, al bambino dislessico sia stata chiesta
ripetutamente ed erroneamente la lettura in classe ad alta voce come
"stimolo per migliorare" ottenendo soltanto di far
diminuire la sua autostima ed il suo desiderio di affrontare lo
studio.
Nel testo
si dice che la pediatria di famiglia e la Scuola devono porsi oggi
come principale "fattore di protezione dell'infanzia", ma
questo è davvero possibile attraverso la diagnosi in
terzo-quarta elementare? Il primo scopo sarebbe quello di tentare una
(ri)abilitazione in grado di far superare al bambino, almeno in
parte, le proprie difficoltà. Sfortunatamente, gli sforzi di
chi si occupa di riabilitazione non sempre sono coronati dal successo
e quando lo sono, il successo è parziale o addirittura
trascurabile ai fini della valutazione scolastica standard. La stessa
dimostrazione scientifica della validità dei metodi
riabilitativi è oggetto di discussione. Alcune recenti
revisioni della letteratura affermano che si possono ottenere
significativi progressi nella correttezza ed alcuni, incerti,
progressi nella velocità di lettura mentre manca la
dimostrazione di un effetto significativo sulla capacità di
comprensione del testo, l'elemento fondamentale per cui si legge. Per
chi non crede alle possibilità della riabilitazione, oppure
ritiene che i progressi ottenibili non siano sufficienti alla piena
integrazione del bambino nella sua classe e quindi nella società,
la diagnosi è importante per promuovere quelle strategie di
by-pass che rendono accessibili gli apprendimenti e motivante la
partecipazione alla vita scolastica di bambini peraltro normalmente
dotati e perfettamente consapevoli delle proprie difficoltà.
Non bisogna dimenticare che la dislessia, benchè nota da molto
tempo come eventualità, è stata dichiarata "malattia"
(con tanto di prevalenza diversa a secondo del contesto linguistico)
solo in seguito all'estensione dell'obbligo scolastico, che è
avvenuto in tempi diversi nei diversi paesi. Si potrebbe affermare
quindi provocatoriamente che la "dislessia" è una
condizione secondaria alla scuola dell'obbligo. Nel nostro paese,
dove si afferma che si dovrebbe fornire non il minimo ma il massimo
dell'istruzione possibile in ragione delle capacità della
persona, la palla ritorna alla scuola. Le "strategie di by-pass"
proposte dagli esperti (come ad esempio quella di far registrare su
nastro i testi informativi, di evitare la lettura ad alta voce allo
scopo di migliorare la comprensione del testo, di valutare la
produzione orale dell'alunno piuttosto di quella scritta) dovrebbero
valere quanto una prescrizione di lenti correttive o di un
apparecchio acustico ma non sempre le cose vanno così.
Lo
screening proposto dallo studio è dunque un primo passo verso
una migliore consapevolezza del problema da parte del pediatra di
famiglia, sebbene sia interessante più come dichiarazione
d'intenti in quanto, purtroppo, non descrive a sufficienza i test
utilizzati e non chiarisce il destino di quei 16 bambini su 25 che,
pur incontrando significative difficoltà di lettura (ci si
augura che lo screening sia stato fatto con prove standardizzate),
non sono stati considerati dislessici.
Ma il
ruolo del pediatra di famiglia è davvero quello della diagnosi
in terza o quarta elementare?
Personalmente
ritengo di no, e ne elenco le ragioni:
1) alla
scuola sono stati forniti da anni gli stumenti per una prima ipotesi
diagnostica,
2) la
verifica di questa ipotesi richiede un approfondimento testologico
che si basi su strumenti standardizzati, somministrati
individualmente da personale esperto e che comprendono, per
definizione, la valutazione del livello intellettivo (alla portata
dello psicologo o del neuropsichiatra infantile),
3) la
scuola ha la possibilità di consigliare l'accesso alle
strutture territoriali di diagnosi e riabilitazione e di rivolgersi a
queste stesse strutture per un parere anche senza il consenso della
famiglia
4) per
l'accesso a queste strutture non è necessaria la prescrizione
del pediatra di famiglia.
Queste
considerazioni non indicano, a mio avviso, che il ruolo del pediatra
di famiglia sia secondario ed infatti è opportuno che egli sia
a conoscenza di quali sono le necessità del suo paziente e di
quali sono gli interventi più opportuni. Il fatto è
che, a livello di terza e quarta elementare la diagnosi è
intempestiva.
L'italiano
è una lingua piuttosto "trasparente" a livello di
codice grafemico (ovvero la corrispondenza tra suoni linguistici,
cioè i fonemi, ed i grafemi è quasi costante): per
questo motivo la maggior parte dei bambini con dislessia deve le
proprie difficoltà a sottili disturbi linguistici ed ha
presentato in epoca prescolare alcune difficoltà di
linguaggio. E' appunto a questo livello che la funzione del pediatra
di famiglia diventa insostituibile. Non è durante il secondo
ciclo della scuola elementare ma in età prescolare che il
pediatra deve tenere nella dovuta considerazione l'anamnesi familiare
positiva per difficoltà di apprendimento, la presenza di un
ritardo semplice di linguaggio (anche se apparentemente risolto),
persistenti difficoltà a pronunciare correttamente le parole
"difficili" dopo i 5 anni e, soprattutto la compresenza di
questi tre elementi. Identificare i casi "a rischio" e
proporre una valutazione dei prerequisiti per l'apprendimento nelle
sedi opportune significa fare un'opera di prevenzione che ha maggiori
probabilità di risultare veramente utile.
Risposta
dell'autore all'editoriale di A. Scabar.
Il
commento di Scabar è giusto. Scabar ha saputo cogliere in
maniera veramente egregia il senso di questo lavoro, che ha i suoi
pregi e i suoi difetti.
Il
Pediatra di famiglia, a mio giudizio, dovrebbe allargare la sue
conoscenze e dovrebbe iniziare a lavorare in collaborazione con gli
insegnanti, non solo nel campo della dislessia, ma anche nel campo
dell'ADHD, nel campo della prevenzione, in tutti quei campi cioè
in cui occorre la collaborazione di più professionalità.
Il
Pediatra di Famiglia può avere un ruolo importante nel campo
della Dislessia, sia nella prevenzione in età prescolare, come
afferma Scabar, ma anche in età scolare con lo scopo
principale di fare capire agli insegnanti che "se un bambino non
apprende" in terza e in quarta elementare " può
avere un problema diverso dal non averne voglia" (G.Stella). E
questo già rappresenta un primo passo importante, considerato
il fatto che le conoscenze su questo argomento, nell'ambito
scolastico, sono minime e molto spesso nulle.
Il nostro
lavoro non ha avuto nessuna pretesa di fare diagnosi e terapia. Ha
avuto solo lo scopo di fare un screening su una popolazione
scolastica di terza e quarta elementare, in ragazzi in cui i disturbi
di lettoscrittura non sono più dovuti ad un ritardo semplice,
ma a deficit specifici nel meccanismo di riconoscimento dei simboli.
Come
tutti gli screening, anche questo ha avuto i suoi falsi positivi: i
ragazzi segnalati dagli insegnanti e da noi esclusi (questi erano
tutti bambini, comunque, che avevano fatto solo qualche errore di
ortografia, che avevano capito il testo di lettura e che conducevano,
in conclusione, una vita scolastica normale, senza difficoltà
e senza frustrazioni .
I test
sono standardizzati, tranne i test di lettura e di scrittura che sono
stati brani tratti da libri per ragazzi. Questi test sono stati
utilizzati da Francesco Ciotti in molti lavori eseguiti a
Cesena. Abbiamo avuto modo di discutere con lui due nostri casi
durante un corso interattivo che abbiamo tenuto a Palermo nel giugno
scorso.
Altro
pregio importante di questo lavoro: avere introdotto il concetto di
Dislessia nella mente degli insegnanti della Scuola in cui abbiamo
lavorato.
Questo
lavoro difetti, comunque, ne ha tanti, derivanti tutti dalla scarsa
eperienza e dal timore di non avere fatto le cose per bene (Molti
falsi negativi? Molti falsi positivi? )....................ma "
un viaggio di mille miglia inizia con un passo" ( Mao Tse Tung).
Grazie a
tutti. Grazie a Scabar .
Letture
consigliate:
D.
Brizzolara, G Stella. La dislessia evolutiva, pp. 411- 437. In:
Manuale di neuropsicologia dell'età evolutiva (a cura di G.
Sabbadini), Zanichelli 1999
C.
Cornoldi.I disturbi dell'apprendimento, aspetti psicologici e
neuropsicologici. Il Mulino, 1992
Penge R.,
Diomede L. Dal linguaggio orale al linguaggio scritto. L'acquisizione
di lettura e scrittura nei bambini con disturbo specifico di
linguaggio. Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, Vol 59, pp
545-556, 1992
PE
Tressoldi, G. Sartori. Neuropsicologia della scrittura in età
evolutiva, pp 443 - 449
In:
Manuale di neuropsicologia dell'età evolutiva (a cura di G.
Sabbadini), Zanichelli 1999
P.E.
Tressoldi, I. Lonciari, C. Vio. Treatment of Specific Developmental
Reading Disorders, Derived from Single- and Dual-route Models.
Journal of Learning Disabilities, Volume 33, number 3, 200, pp
278-285
Vuoi citare questo contributo?