Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Maggio 1999 - Volume II - numero 5

Maggio 1999 - Volume II - numero 5

M&B Pagine Elettroniche

Avanzi

Novità, riflessioni, contributi e proposte,
a cura di Giorgio Bartolozzi


La verità sull'importanza clinica della penicillino-resistenza del pneumococco
Tutto il mondo segue con ansia lo sviluppo delle conoscenze sulla resistenza dello pneumococco alle penicilline. Sappiamo che questo fenomeno per ora non colpisce l'Italia che abbastanza di rado, mentre in altri Paesi (come Spagna, Francia e Ungheria) esso è fortemente presente. Tuttavia notizie rassicuranti sull'importanza clinica di questi ceppi resistenti giungono da molte parti. L'ultima pubblicazione (Pediatrics 103, 409-13, 1999) riguarda 274 bambini dell'America del Sud: i fattori di rischio sono stati identificati nell'uso, nei tre mesi precedenti, di penicillina o ampicillina; tuttavia i bambini che avevano malattie invasive da pneumococchi altamente resistenti, non a localizzazione meningea, risposero altrettanto bene alla terapia con penicillina e ampicillina dei bambini che erano colpiti da ceppi suscettibili a questi antibiotici. Dallo studio risulta inoltre che bambini con meningite da pneumococco è meno facile che siano infettati da ceppi altamente resistenti. Viene concluso che la suscettibilità alla penicillina non sembra, forse, così importante come le segnalazioni degli ultimi anni sembravano suggerire. Queste notizie relativamente tranquillizzanti vanno prese con lo stesso senso di equilibrio critico con le quali sinora abbiamo preso quelle preoccupanti che ci vengono specialmente da oltre frontiera; non dimenticando che almeno un caso di polmonite pneumococcica mortale malgrado ogni terapia antibiotica è stata descritta negli Stati Uniti e che il fenomeno della resistenza del pneumococco alle beta-lattamine, e quello più raro, ma assai più grave, della poliresistenza variano molto da Paese a Paese; sicché, per ora, quello che succede in America del Sud non è eguale a quello che succede in Spagna. Queste notizie, se da un lato ci rassicurano, dall'altro ci debbono spingere all'uso sempre più oculato di antibiotici, nella pratica clinica. Sia le Cassandre che i faciloni hanno argomenti su cui riflettere.

Il taglio cesareo per la prevenzione della trasmissione verticale dell'HIV
E' ormai sicuro che la trasmissione dell'HIV avvenga in vicinanza del parto: lo hanno dimostrato esperienze di prevenzione mediante il taglio cesareo programmato e più di recente mediante il trattamento con farmaci. Due pubblicazioni (una a cura di ostetrici europei e una a cura di pediatri di tutto il mondo) gettano nuova luce su questo punto, essenziale nella lotta contro la trasmissione verticale dell'HIV-1 (ogni anno nel mondo 2,3 milioni di donne danno alla luce un bambino). Sul numero di Lancet del 27 marzo 1999 (353, 1030-1 e 1035-9, 1999) è riportata un'estesa esperienza, derivata dall'European Mode of Delivery Collaboration, alla quale ha partecipato un gran numero di ospedali e cliniche italiani. Su 170 neonati, nati con taglio cesareo da donne HIV-positive, solo 3 (1,8%) sono risultati infetti, mentre su 200 nati da un parto praticato per le vie naturali, 21 (in pratica il 10,5%) sono risultati HIV-positivi. Durante la gravidanza le donne erano state trattate, in ambedue i gruppi, con terapia antivirale: la percentuale delle donne trattate era stata un po' superiore fra quelle sottoposte a taglio cesareo (69,7%) rispetto a quelle che hanno partorito per le vie naturali (58,2%). Viene concluso che vi sono prove che il taglio cesareo elettivo abbassa il rischio di trasmissione madre-figlio dell'infezione da HIV, senza che vi sia un aumentato rischio di complicazioni per la madre. Contemporaneamente sul New England Journal of Medicine (340, 977-87 e 1032-3, 1999) del primo aprile 1999 è comparso uno studio al quale ha largamente partecipato il Registro italiano per l'infezione da HIV nei bambini, curato da M De Martino, PA Tovo, L Galli e da molti altri pediatri italiani: si tratta di una meta-analisi di 15 studi prospettici di coorte, per un complesso di 8.533 coppie madre-bambino. I risultati sottolineano una volta di più che il taglio cesareo programmato riduce il rischio di trasmissione dell'HIV-1 dalla madre al bambino, indipendentemente dal trattamento con zidovudina.

Trovata la chiave della suscettibilità alle malattie invasive da meningococco
Da sempre ognuno di noi si è domandato perché solo alcuni soggetti presentino sepsi o meningite da meningococco, mentre i ceppi patogeni di Neisseria meningitidis si ritrovano, come commensali senza conseguenze, in circa l'1% della popolazione. Sebbene alcuni ceppi siano più virulenti di altri, questa caratteristica non è sufficiente per spiegare da sola la bassa incidenza delle malattie invasive nei portatori. Già nel passato gli studi erano stati rivolti alle variazioni fisiologiche o patologiche nell'immunità dell'ospite, come un elemento fondamentale per determinare la suscettibilità alla malattia meningococcica. E già nel passato è stata data importanza alle deficienze dei componenti terminali della cascata del complemento e alla properdina. Di recente è stata data importanza alla lectina legante il mannosio (MBL), un'opsonina plasmatica che inizia una delle vie dell'attivazione del complemento (Lancet 353, 1049-53, 1999). E' stata studiata la frequenza delle varianti del gene della MBL in 194 pazienti e in 272 controlli. La proporzione dei pazienti omozigoti per gli alleli varianti della MBL è stata più alta fra i soggetti con malattia meningococcica che fra i controlli. Viene concluso che le varianti della MBL sono determinanti critici della suscettibilità alla malattia meningococcica e che queste varianti sono le responsabili di circa un terzo di tutti i casi di malattia. Probabilmente esistono altre deficienze dell'immunità innata, che rimangono ancora da definire.
Il problema del difetto delle proteine leganti il mannano come substrato costituzionale di sensibilità alle infezioni, è stato individuato, più di venti anni fa, con metodo originale, da un grande pediatra inglese, Soothill, ed è stato ripreso, negli ultimi dieci anni, con metodi di complessa biologia molecolare. Si tratta di un difetto comune, a livello eterozigote (a questo livello la sua importanza è dubbia e riguarda semmai patologie minori). E' naturalmente assai meno frequente a livello omozigote, ma risulta essere molto importante nella cronicizzazione dell' epatite.

Tentativo di prevenzione della displasia broncopolmonare del prematuro con cortisonici inalati
La displasia broncopolmonare (DBP) è un'affezione cronica del polmone che avviene soprattutto nei nati da parto prematuro, che hanno richiesto, per l'insufficienza respiratoria, la somministrazione di ossigeno e un sostegno ventilatorio. La DBP è una manifestazione multifattoriale, conseguente a una lesione polmonare acuta e cronica, caratterizzata da infiammazione, fibrosi e dalle conseguenze del rimodellamento polmonare. La somministrazione di cortisonici per via generale è risultata utile, ma esistono ancora molte perplessità per le conseguenze spiacevoli sulla crescita e sullo sviluppo sia del polmone che di altri organi. Per questa ragione è stata intrapresa un'esperienza con beclometasone per via inalatoria (in dosi calanti da 40 a 5 microgrammi al giorno per 4 settimane) in 253 neonati (123 trattati con beclometasone e 130 con placebo) in età fra 3 e 14 giorni, nati con un peso uguale o inferiore a 1.250 g, posti in trattamento ventilatorio (New Engl J Med 340, 1005-1\0 e 1036-8, 1999). Il beclometazone, anche quando somministrato per via inalatoria precocemente, non previene la DBP ma permette di ridurre l'impiego dei cortisonici per via generale e del sostegno ventilatorio.

Una nuova indicazione del vaccino contro l'epatite A
Già nel maggio 1995, presso l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) furono stabilite le più importanti indicazioni del vaccino contro l'epatite A: l'8 aprile del corrente anno il dottor Alfonso Mele ha organizzato, sempre presso l'ISS, una nuova riunione per discutere su una nuova indicazione, secondo gli studi da lui stesso eseguiti e pubblicati sulla prestigiosa rivista Lancet (353, 1136-9, 1999). In questa ricerca il vaccino contro l'epatite A è stato impiegato nei conviventi di soggetti, che erano stati ricoverati per la stessa malattia, allo scopo di prevenirne la comparsa. Il vaccino Havrix (da 720 e 1440 ELISA unità) si è dimostrato altamente efficace nel prevenire l'infezione da virus dell'epatite A anche in soggetti che erano già stati esposti al virus. Questa nuova indicazione apre la possibilità di prevenire o almeno di limitare la diffusione delle fiammate epidemiche che compaiono anno dopo anno in varie parti d'Italia (l'ultima di pochi anni fa in Puglia), e costituisce una risposta chiara per il singolo pediatra, nel singolo caso, di fronte all'eterna domanda "che fare?" di fronte a un caso in famiglia.

L'uso del mebendazolo in gravidanza comporta un rischio per il prodotto del concepimento?
Viene calcolato che nel mondo (specialmente nel Terzo mondo) vi siano almeno 44 milioni di donne in stato di gravidanza, infettate da parassiti intestinali: queste infestazioni sono spesso causa di anemia da carenza di ferro. Oggi abbiamo molti farmaci utili nella cura di queste parassitosi: il mebendazolo e l'albendazolo rappresentano in questo campo vere e proprie pietre miliari. Tuttavia, fino a oggi, mancano dati sicuri concernenti la sicurezza dell'uso di queste sostanze nelle donne in gravidanza. Per chiarire definitivamente il rischio per l'embrione e per il feto è stato intrapreso, a Ceylon, un vasto studio su 5.275 donne, trattate in gravidanza con mebendazolo, contro 1.737 controlli (Lancet 353, 1145-9, 1999). Queste le conclusioni: il trattamento con mebendazolo durante la gravidanza non si è associato a un aumento significativo dei difetti congeniti principali; tuttavia gli autori considerano ugualmente prudente evitarne l'uso nel primo trimestre.

I bifenili policlorinati in gravidanza come causa di difetti dello sviluppo intellettivo
 Da tempo si sa che i bifenili policlorinati (PCB), la diossina e i dibenzo-furani, quando presenti nell'ambiente in discrete concentrazioni, hanno gravi conseguenze neurotossiche nell'uomo. In particolare i PCB, utilizzati nella preparazione di molte apparecchiature elettriche, sono molto diffusi nell'ambiente e sono i più studiati. L'uomo si espone all'ingestione dei PCB e delle diossine con gli alimenti come la carne, il latte, i formaggi e i pesci. La loro emivita è lunghissima, perché viene calcolata intorno ai 10 anni. Il feto umano è esposto all'azione tossica dei PCB (NEJM 335, 783-9, 1996) per il passaggio di queste sostanze attraverso la placenta, ma il bambino può esserne interessato anche dopo la nascita per il passaggio di queste sostanze nel latte materno. La contaminazione del latte materno da parte dei PCB è risultata più alta in Olanda che in ogni altra parte del mondo: gli studi degli ultimi anni hanno dimostrato che l'esposizione prenatale ai PCB e alle diossine determina numerosi effetto tossici sul feto, come il basso peso alla nascita, lo scarso accrescimento post-natale, lo scarso sviluppo psicomotorio a 3 mesi e infine cattive condizioni neurologiche alla nascita e a 18 mesi. Mancava una ricerca accurata sulle conseguenze a maggior distanza di tempo: una recente pubblicazione ha studiato i possibili effetti dell'esposizione ambientale ai PCB e alle diossine sullo sviluppo cognitivo a 42 mesi di età (J Pediatr134, 7-9 e 33-41, 1999). Da queste ricerche è risultato che l'esposizione in utero a concentrazioni "ambientali" di PCB si associa a uno scarso sviluppo cognitivo dei bambini in età prescolare. I figli di madri, esposte alle concentrazioni più elevate, sono risultati i più a rischio. Il rischio è risultato particolarmente alto per lo sviluppo del cervello in epoca fetale, piuttosto che nelle età successive, quando l'esposizione avviene attraverso il latte materno. Vi ricordate che (si dice) l'Impero romano sia andato in malora per colpa delle tubature al piombo e della strisciante e diffusa encefalopatia che ne conseguiva? Non succederà anche a noi con i policlorinati?

Rischio di recidiva di malformazioni in donne con difetti congeniti
Capita che la nascita di bambini con difetti congeniti avvenga più spesso in alcune famiglie, piuttosto che in altre: questo è dovuto non solo a fattori genetici, ma anche a fattori ambientali. Sebbene esistano già alcuni studi che documentano un'aumentata tendenza delle donne con malformazioni di dare alla luce bambini con difetti simili, sono pochi gli studi che valutano il rischio di difetti analoghi o dissimili nei figli di queste donne. Una ricerca norvegese su 500.000 donne seguite dalla nascita fino all'età adulta, ha permesso di valutare come i difetti presenti alla nascita influiscano sulla sopravvivenza, sullo sviluppo e sulla gravidanza, nonché sul rischio di difetti (simili o dissimili) nei figli di queste donne (NEJM 340, 1057-62 e 1108, 1999). Delle 500.000 donne studiate, ben 8.192 avevano difetti congeniti. L'80% di esse era sopravvissuto all'età di 15 anni, in confronto al 98% della popolazione senza difetti alla nascita. Fra le sopravvissute, il 53% aveva avuto almeno un figlio prima dell'età di 30 anni, contro il 67% della popolazione in generale. E' risultato inoltre che i soggetti con malformazioni congenite hanno un significativo maggiore rischio di avere figli con difetti, in confronto al resto della popolazione (rischio relativo di 1,6). Questo rischio aumentato era confinato interamente al difetto specifico, presentato dalla madre. Al contrario non c'era stato un aumento del rischio di avere figli con tipi differenti di difetto. Viene concluso che le donne che hanno malformazioni congenite hanno un maggior rischio di avere figli con lo stesso difetto, e questo orienta verso l'idea che alla base di molti (la maggior parte?) dei difetti malformativi ci sia uno specifico rischio genetico, sia pure a bassa penetranza. In questo senso sembra muoversi la teratologia odierna, seguendo dunque sentieri alquanto diversi da quelli di venti o trent'anni fa, in cui le cause erano ricercate prevalentemente in fattori estrinseci. Come sempre, probabilmente la verità sta in mezzo, come dimostrano le malformazioni prevenibili con acido folico, che hanno però, come substato prevalente, un difetto enzimatico relativo di folato-reduttasi nelle madri.

Basso livello di zinco nel plasma di bambini con fibrosi cistica
Durante i periodi di rapida crescita sono necessari alti livelli di zinco nel plasma, soprattutto nei primi anni di vita. Già sono stati eseguiti studi che hanno riscontrato variazioni nella concentrazione di zinco nei bambini con fibrosi cistica (FC), ma mancava ancora una ricerca decisiva in tal senso. In 48 soggetti con FC, prima dell'inizio del trattamento con enzimi pancreatici, cioè poco dopo il compimento del primo mese di vita, è stato riscontrato con una discreta frequenza (29%) che i livelli di zinco si situavano al di sotto dei valori normali (J Pediatr 133, 761-4, 1998). Dopo l'inizio della somministrazione di enzimi pancreatici il livello di zinco aumentò per portarsi ai valori normali. Viene ritenuto che sia la steatorrea la responsabile di elevate perdite di zinco dall'intestino e quindi dei bassi livelli plasmatici; gli enzimi pancreatici riducendo le perdite di grassi con le feci, migliorano indirettamente l'assorbimento dello zinco. Gli autori concludono affermando che nei lattanti con FC la situazione dei micronutrienti deve tenuta sempre nella dovuta considerazione.

Iperattività/deficit di attenzione: Ritalin versus Adderall
In tutto il mondo, USA in prima fila, il trattamento della sindrome iperattività/deficit di attenzione (IDA) si basa su due componenti, ritenute ugualmente essenziali, un trattamento intensivo comportamentale e un trattamento farmacologico, quasi sempre con Ritalin (methylphenidate) alla dose di 10-17,5 mg due volte al giorno (ore 7,45 e ore 12,15). In Italia, il Ritalin non è in commercio per cui i pediatri che ne vogliono fare uso, sono costretti a suggerire ai genitori dei pazienti di andarlo a comperare fuori Italia; d'altra parte sideve dire che il problema nel trattam,eto farmacologico della sindrome da iperattività ha trovato da noi pochissimo ascolto. Di recente un'alternativa al Ritalin è rappresentata dall'Adderall (una mescolanza racemica di d- e l-amfetamina), che viene somministrato alla dose di 7,5-12 mg, due volte al giorno alle stesse ore (Pediatrics - electronic pages, 103, e43, aprile 1999). Per confrontare un farmaco con l'altro sono stati studiati 25 bambini (età media 9,6 anni), che sono stati suddivisi in due gruppi e trattati per 24 giorni, con una somministrazione alterna dei farmaci, ogni 5 giorni. Ambedue i farmaci sono risultati superiori al placebo, perché in grado di determinare "drammatici" miglioramenti sia sui comportamenti negativi, che sulla produttività scolastica che sul comportamento nei confronti degli insegnati e dei genitori. L'Adderall è risultato alle dosi sopra riportate più efficace del Ritalin: le dosi più basse di Adderall producono effetti uguali a quelli osservati con le dosi più alte di Ritalin. Gli effetti collaterali clinicamente significativi, di ambedue i farmaci sono scarsi e confrontabili. Il 25% dei partecipanti allo studio non ha risposto al trattamento farmacologico. Viene concluso che l'Adderall è almeno efficace come il Ritalin e trova un'indicazione precisa in quei bambini nei quali gli effetti del Ritalin scompaiono rapidamente: per l'Adderall viene consigliata la dose di 7,5 mg due volte al giorno. L'Adderall è stato di recente approvato dalla Food and Drug Administration per il suo uso nella IDA. Gli autori si propongono di eseguire un'altra ricerca per confrontare gli effetti dell'Adderall con quelli di un altro farmaco, ugualmente attivo, la dexedrine. Due altre complete rasssegne sull'argomento sono comparse di recente sul N Engl J Med (340, 40-6 e780-8, 1999). Questo sposta assai poco la situazione italiana, dove né l'Adderall, né il Ritalin sono in commercio. Da noi è utilizzabile un terzo farmaco, con caratteristiche in parte diverse, la pemolina. E' opportuno che le prescrizioni comunque siano ben meditate, tenendo ben conto del ruolo soltanto sintomatico di questi farmaci e della necessità di non seguire l'esempio degli Stati Uniti, dove si è fatto e si continua a fare un abuso di queste sostanze

Fasciite necrotizzante in corso di varicella: la sua insorgenza può essere facilitata dall'ibuprofene?
Fra il 1993 e il 1995 anche in USA è stato notato un aumento dei casi di fasciite necrotizzante (FN) in bambini, peraltro sani, con varicella. In uno studio è stato osservato che in 19 di questi soggetti era stato somministrato ibuprofen, prima del ricovero (Pediatrics 103, 783-90, 1999). Dopo aver controllato il sesso, l'età e il tipo di streptococco gruppo A, è risultato che più facilmente i casi con FN avevano ricevuto ibuprofen prima dell'ospedalizzazione: nella maggioranza dei casi l'ibuprofen era stato iniziato dopo la comparsa dei sintomi dell'infezione secondaria. Era più facile che bambini che avevano FN complicata da insufficienza renale e/o sindrome dello shock tossico avessero usato ibuprofen. D'altra parte, i bambini con FN complicata avevano anche i livelli più elevati di febbre e una durata media superiore dei sintomi secondari prima dell'ammissione. Gli autori concludono che sono necessari ulteriori studi per stabilire se l'ibuprofene giochi un ruolo causale nello sviluppo della FN e delle sue complicanze durante la varicella. Tuttavia alla fine della pubblicazione viene raccomandato che i pediatri, che hanno in cura bambini con varicella trattati con FANS, esercitino un'accurata sorveglianza per identificare precocemente lo sviluppo di infezioni secondarie; in attesa di ulteriori infromazioni sul ruolo dell'ibuprofen, viene raccomandato inoltre ai clinici l'uso del paracetamolo (acetaminofen secondo gli americani).

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G. Bartolozzi. Il taglio cesareo per la prevenzione della trasmissione verticale dell'HIV
Trovata la chiave della suscettibilità alle malattie invasive da meningococco
Tentativo di prevenzione della displasia broncopolmonare del prematuro con cortisonici inalati
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Rischio di recidiva di malformazioni in donne con difetti congeniti
Basso livello di zinco nel plasma di bambini con fibrosi cistica
Iperattività/deficit di attenzione: Ritalin versus Adderall
Fasciite necrotizzante in corso di varicella: la sua insorgenza può essere facilitata dall'ibuprofene?'>La verità sull'importanza clinica della penicillino-resistenza del pneumococco
Il taglio cesareo per la prevenzione della trasmissione verticale dell'HIV
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Basso livello di zinco nel plasma di bambini con fibrosi cistica
Iperattività/deficit di attenzione: Ritalin versus Adderall
Fasciite necrotizzante in corso di varicella: la sua insorgenza può essere facilitata dall'ibuprofene?. Medico e Bambino pagine elettroniche 1999;2(5) https://www.medicoebambino.com/?id=AV9905_10.html