Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Maggio 1999 - Volume II - numero 5
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- Il taglio cesareo per la prevenzione della trasmissione verticale dell'HIV
Trovata la chiave della suscettibilità alle malattie invasive da meningococco
Tentativo di prevenzione della displasia broncopolmonare del prematuro con cortisonici inalati
Una nuova indicazione del vaccino contro l'epatite A
L'uso del mebendazolo in gravidanza comporta un rischio per il prodotto del concepimento?
I bifenili policlorinati in gravidanza come causa di difetti dello sviluppo intellettivo
Rischio di recidiva di malformazioni in donne con difetti congeniti
Basso livello di zinco nel plasma di bambini con fibrosi cistica
Iperattività/deficit di attenzione: Ritalin versus Adderall
Fasciite necrotizzante in corso di varicella: la sua insorgenza può essere facilitata dall'ibuprofene?&url=https://www.medicoebambino.com/index.php?id=AV9905_10.html&hashtags=Medico e Bambino,Pagine Elettroniche' target='_blank'>Condividi su Twitter
- Il taglio cesareo per la prevenzione della trasmissione verticale dell'HIV
Trovata la chiave della suscettibilità alle malattie invasive da meningococco
Tentativo di prevenzione della displasia broncopolmonare del prematuro con cortisonici inalati
Una nuova indicazione del vaccino contro l'epatite A
L'uso del mebendazolo in gravidanza comporta un rischio per il prodotto del concepimento?
I bifenili policlorinati in gravidanza come causa di difetti dello sviluppo intellettivo
Rischio di recidiva di malformazioni in donne con difetti congeniti
Basso livello di zinco nel plasma di bambini con fibrosi cistica
Iperattività/deficit di attenzione: Ritalin versus Adderall
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Maggio 1999 - Volume II - numero 5
M&B Pagine Elettroniche
Avanzi
Novità,
riflessioni, contributi e proposte,
Tutto il
mondo segue con ansia lo sviluppo delle conoscenze sulla resistenza
dello pneumococco alle penicilline. Sappiamo che questo fenomeno per
ora non colpisce l'Italia che abbastanza di rado, mentre in altri
Paesi (come Spagna, Francia e Ungheria) esso è fortemente
presente. Tuttavia notizie rassicuranti sull'importanza clinica di
questi ceppi resistenti giungono da molte parti. L'ultima
pubblicazione (Pediatrics 103, 409-13, 1999) riguarda
274 bambini dell'America del Sud: i fattori di rischio sono stati
identificati nell'uso, nei tre mesi precedenti, di penicillina o
ampicillina; tuttavia i bambini che avevano malattie invasive da
pneumococchi altamente resistenti, non a localizzazione meningea,
risposero altrettanto bene alla terapia con penicillina e ampicillina
dei bambini che erano colpiti da ceppi suscettibili a questi
antibiotici. Dallo studio risulta inoltre che bambini con meningite
da pneumococco è meno facile che siano infettati da ceppi
altamente resistenti. Viene concluso che la suscettibilità
alla penicillina non sembra, forse, così importante come le
segnalazioni degli ultimi anni sembravano suggerire. Queste notizie
relativamente tranquillizzanti vanno prese con lo stesso senso di
equilibrio critico con le quali sinora abbiamo preso quelle
preoccupanti che ci vengono specialmente da oltre frontiera; non
dimenticando che almeno un caso di polmonite pneumococcica mortale
malgrado ogni terapia antibiotica è stata descritta negli
Stati Uniti e che il fenomeno della resistenza del pneumococco alle
beta-lattamine, e quello più raro, ma assai più grave,
della poliresistenza variano molto da Paese a Paese; sicché,
per ora, quello che succede in America del Sud non è eguale a
quello che succede in Spagna. Queste notizie, se da un lato ci
rassicurano, dall'altro ci debbono spingere all'uso sempre più
oculato di antibiotici, nella pratica clinica. Sia le Cassandre che i
faciloni hanno argomenti su cui riflettere.
E' ormai
sicuro che la trasmissione dell'HIV avvenga in vicinanza del parto:
lo hanno dimostrato esperienze di prevenzione mediante il taglio
cesareo programmato e più di recente mediante il trattamento
con farmaci. Due pubblicazioni (una a cura di ostetrici europei e una
a cura di pediatri di tutto il mondo) gettano nuova luce su questo
punto, essenziale nella lotta contro la trasmissione verticale
dell'HIV-1 (ogni anno nel mondo 2,3 milioni di donne danno alla luce
un bambino). Sul numero di Lancet del 27 marzo 1999
(353, 1030-1 e 1035-9, 1999) è riportata un'estesa esperienza,
derivata dall'European Mode of Delivery Collaboration, alla quale ha
partecipato un gran numero di ospedali e cliniche italiani. Su 170
neonati, nati con taglio cesareo da donne HIV-positive, solo 3 (1,8%)
sono risultati infetti, mentre su 200 nati da un parto praticato per
le vie naturali, 21 (in pratica il 10,5%) sono risultati
HIV-positivi. Durante la gravidanza le donne erano state trattate, in
ambedue i gruppi, con terapia antivirale: la percentuale delle donne
trattate era stata un po' superiore fra quelle sottoposte a taglio
cesareo (69,7%) rispetto a quelle che hanno partorito per le vie
naturali (58,2%). Viene concluso che vi sono prove che il taglio
cesareo elettivo abbassa il rischio di trasmissione madre-figlio
dell'infezione da HIV, senza che vi sia un aumentato rischio di
complicazioni per la madre. Contemporaneamente sul New England
Journal of Medicine (340, 977-87 e 1032-3, 1999) del primo
aprile 1999 è comparso uno studio al quale ha largamente
partecipato il Registro italiano per l'infezione da HIV nei bambini,
curato da M De Martino, PA Tovo, L Galli e da molti altri pediatri
italiani: si tratta di una meta-analisi di 15 studi prospettici di
coorte, per un complesso di 8.533 coppie madre-bambino. I risultati
sottolineano una volta di più che il taglio cesareo
programmato riduce il rischio di trasmissione dell'HIV-1 dalla madre
al bambino, indipendentemente dal trattamento con zidovudina.
Da sempre
ognuno di noi si è domandato perché solo alcuni
soggetti presentino sepsi o meningite da meningococco, mentre i ceppi
patogeni di Neisseria meningitidis si ritrovano, come
commensali senza conseguenze, in circa l'1% della popolazione.
Sebbene alcuni ceppi siano più virulenti di altri, questa
caratteristica non è sufficiente per spiegare da sola la bassa
incidenza delle malattie invasive nei portatori. Già nel
passato gli studi erano stati rivolti alle variazioni fisiologiche o
patologiche nell'immunità dell'ospite, come un elemento
fondamentale per determinare la suscettibilità alla malattia
meningococcica. E già nel passato è stata data
importanza alle deficienze dei componenti terminali della cascata del
complemento e alla properdina. Di recente è stata data
importanza alla lectina legante il mannosio (MBL), un'opsonina
plasmatica che inizia una delle vie dell'attivazione del complemento
(Lancet 353, 1049-53, 1999). E' stata studiata la
frequenza delle varianti del gene della MBL in 194 pazienti e in 272
controlli. La proporzione dei pazienti omozigoti per gli alleli
varianti della MBL è stata più alta fra i soggetti con
malattia meningococcica che fra i controlli. Viene concluso che le
varianti della MBL sono determinanti critici della suscettibilità
alla malattia meningococcica e che queste varianti sono le
responsabili di circa un terzo di tutti i casi di malattia.
Probabilmente esistono altre deficienze dell'immunità innata,
che rimangono ancora da definire.
Il
problema del difetto delle proteine leganti il mannano come substrato
costituzionale di sensibilità alle infezioni, è stato
individuato, più di venti anni fa, con metodo originale, da un
grande pediatra inglese, Soothill, ed è stato ripreso, negli
ultimi dieci anni, con metodi di complessa biologia molecolare. Si
tratta di un difetto comune, a livello eterozigote (a questo livello
la sua importanza è dubbia e riguarda semmai patologie
minori). E' naturalmente assai meno frequente a livello omozigote, ma
risulta essere molto importante nella cronicizzazione dell' epatite.
La
displasia broncopolmonare (DBP) è un'affezione cronica del
polmone che avviene soprattutto nei nati da parto prematuro, che
hanno richiesto, per l'insufficienza respiratoria, la
somministrazione di ossigeno e un sostegno ventilatorio. La DBP è
una manifestazione multifattoriale, conseguente a una lesione
polmonare acuta e cronica, caratterizzata da infiammazione, fibrosi e
dalle conseguenze del rimodellamento polmonare. La somministrazione
di cortisonici per via generale è risultata utile, ma esistono
ancora molte perplessità per le conseguenze spiacevoli sulla
crescita e sullo sviluppo sia del polmone che di altri organi. Per
questa ragione è stata intrapresa un'esperienza con
beclometasone per via inalatoria (in dosi calanti da 40 a 5
microgrammi al giorno per 4 settimane) in 253 neonati (123 trattati
con beclometasone e 130 con placebo) in età fra 3 e 14 giorni,
nati con un peso uguale o inferiore a 1.250 g, posti in trattamento
ventilatorio (New Engl J Med 340, 1005-1\0 e 1036-8,
1999). Il beclometazone, anche quando somministrato per via
inalatoria precocemente, non previene la DBP ma permette di ridurre
l'impiego dei cortisonici per via generale e del sostegno
ventilatorio.
Già
nel maggio 1995, presso l'Istituto Superiore di Sanità (ISS)
furono stabilite le più importanti indicazioni del vaccino
contro l'epatite A: l'8 aprile del corrente anno il dottor Alfonso
Mele ha organizzato, sempre presso l'ISS, una nuova riunione per
discutere su una nuova indicazione, secondo gli studi da lui stesso
eseguiti e pubblicati sulla prestigiosa rivista Lancet
(353, 1136-9, 1999). In questa ricerca il vaccino contro
l'epatite A è stato impiegato nei conviventi di soggetti, che
erano stati ricoverati per la stessa malattia, allo scopo di
prevenirne la comparsa. Il vaccino Havrix (da 720 e 1440 ELISA unità)
si è dimostrato altamente efficace nel prevenire l'infezione
da virus dell'epatite A anche in soggetti che erano già stati
esposti al virus. Questa nuova indicazione apre la possibilità
di prevenire o almeno di limitare la diffusione delle fiammate
epidemiche che compaiono anno dopo anno in varie parti d'Italia
(l'ultima di pochi anni fa in Puglia), e costituisce una risposta
chiara per il singolo pediatra, nel singolo caso, di fronte
all'eterna domanda "che fare?" di fronte a un caso in
famiglia.
Viene
calcolato che nel mondo (specialmente nel Terzo mondo) vi siano
almeno 44 milioni di donne in stato di gravidanza, infettate da
parassiti intestinali: queste infestazioni sono spesso causa di
anemia da carenza di ferro. Oggi abbiamo molti farmaci utili nella
cura di queste parassitosi: il mebendazolo e l'albendazolo
rappresentano in questo campo vere e proprie pietre miliari.
Tuttavia, fino a oggi, mancano dati sicuri concernenti la sicurezza
dell'uso di queste sostanze nelle donne in gravidanza. Per chiarire
definitivamente il rischio per l'embrione e per il feto è
stato intrapreso, a Ceylon, un vasto studio su 5.275 donne, trattate
in gravidanza con mebendazolo, contro 1.737 controlli
(Lancet 353, 1145-9, 1999). Queste le conclusioni: il
trattamento con mebendazolo durante la gravidanza non si è
associato a un aumento significativo dei difetti congeniti
principali; tuttavia gli autori considerano ugualmente prudente
evitarne l'uso nel primo trimestre.
Da
tempo si sa che i bifenili policlorinati (PCB), la diossina e i
dibenzo-furani, quando presenti nell'ambiente in discrete
concentrazioni, hanno gravi conseguenze neurotossiche nell'uomo. In
particolare i PCB, utilizzati nella preparazione di molte
apparecchiature elettriche, sono molto diffusi nell'ambiente e sono i
più studiati. L'uomo si espone all'ingestione dei PCB e delle
diossine con gli alimenti come la carne, il latte, i formaggi e i
pesci. La loro emivita è lunghissima, perché viene
calcolata intorno ai 10 anni. Il feto umano è esposto
all'azione tossica dei PCB (NEJM 335, 783-9, 1996) per
il passaggio di queste sostanze attraverso la placenta, ma il bambino
può esserne interessato anche dopo la nascita per il passaggio
di queste sostanze nel latte materno. La contaminazione del latte
materno da parte dei PCB è risultata più alta in Olanda
che in ogni altra parte del mondo: gli studi degli ultimi anni hanno
dimostrato che l'esposizione prenatale ai PCB e alle diossine
determina numerosi effetto tossici sul feto, come il basso peso alla
nascita, lo scarso accrescimento post-natale, lo scarso sviluppo
psicomotorio a 3 mesi e infine cattive condizioni neurologiche alla
nascita e a 18 mesi. Mancava una ricerca accurata sulle conseguenze a
maggior distanza di tempo: una recente pubblicazione ha studiato i
possibili effetti dell'esposizione ambientale ai PCB e alle diossine
sullo sviluppo cognitivo a 42 mesi di età (J Pediatr134, 7-9 e 33-41, 1999). Da queste ricerche è
risultato che l'esposizione in utero a concentrazioni "ambientali"
di PCB si associa a uno scarso sviluppo cognitivo dei bambini in età
prescolare. I figli di madri, esposte alle concentrazioni più
elevate, sono risultati i più a rischio. Il rischio è
risultato particolarmente alto per lo sviluppo del cervello in epoca
fetale, piuttosto che nelle età successive, quando
l'esposizione avviene attraverso il latte materno. Vi ricordate che
(si dice) l'Impero romano sia andato in malora per colpa delle
tubature al piombo e della strisciante e diffusa encefalopatia che ne
conseguiva? Non succederà anche a noi con i policlorinati?
Capita
che la nascita di bambini con difetti congeniti avvenga più
spesso in alcune famiglie, piuttosto che in altre: questo è
dovuto non solo a fattori genetici, ma anche a fattori ambientali.
Sebbene esistano già alcuni studi che documentano un'aumentata
tendenza delle donne con malformazioni di dare alla luce bambini con
difetti simili, sono pochi gli studi che valutano il rischio di
difetti analoghi o dissimili nei figli di queste donne. Una ricerca
norvegese su 500.000 donne seguite dalla nascita fino all'età
adulta, ha permesso di valutare come i difetti presenti alla nascita
influiscano sulla sopravvivenza, sullo sviluppo e sulla gravidanza,
nonché sul rischio di difetti (simili o dissimili) nei figli
di queste donne (NEJM 340, 1057-62 e 1108, 1999). Delle
500.000 donne studiate, ben 8.192 avevano difetti congeniti. L'80% di
esse era sopravvissuto all'età di 15 anni, in confronto al 98%
della popolazione senza difetti alla nascita. Fra le sopravvissute,
il 53% aveva avuto almeno un figlio prima dell'età di 30 anni,
contro il 67% della popolazione in generale. E' risultato inoltre che
i soggetti con malformazioni congenite hanno un significativo
maggiore rischio di avere figli con difetti, in confronto al resto
della popolazione (rischio relativo di 1,6). Questo rischio aumentato
era confinato interamente al difetto specifico, presentato dalla
madre. Al contrario non c'era stato un aumento del rischio di avere
figli con tipi differenti di difetto. Viene concluso che le donne che
hanno malformazioni congenite hanno un maggior rischio di avere figli
con lo stesso difetto, e questo orienta verso l'idea che alla base di
molti (la maggior parte?) dei difetti malformativi ci sia uno
specifico rischio genetico, sia pure a bassa penetranza. In questo
senso sembra muoversi la teratologia odierna, seguendo dunque
sentieri alquanto diversi da quelli di venti o trent'anni fa, in cui
le cause erano ricercate prevalentemente in fattori estrinseci. Come
sempre, probabilmente la verità sta in mezzo, come dimostrano
le malformazioni prevenibili con acido folico, che hanno però,
come substato prevalente, un difetto enzimatico relativo di
folato-reduttasi nelle madri.
Durante i
periodi di rapida crescita sono necessari alti livelli di zinco nel
plasma, soprattutto nei primi anni di vita. Già sono stati
eseguiti studi che hanno riscontrato variazioni nella concentrazione
di zinco nei bambini con fibrosi cistica (FC), ma mancava ancora una
ricerca decisiva in tal senso. In 48 soggetti con FC, prima
dell'inizio del trattamento con enzimi pancreatici, cioè poco
dopo il compimento del primo mese di vita, è stato riscontrato
con una discreta frequenza (29%) che i livelli di zinco si situavano
al di sotto dei valori normali (J Pediatr 133, 761-4,
1998). Dopo l'inizio della somministrazione di enzimi pancreatici il
livello di zinco aumentò per portarsi ai valori normali. Viene
ritenuto che sia la steatorrea la responsabile di elevate perdite di
zinco dall'intestino e quindi dei bassi livelli plasmatici; gli
enzimi pancreatici riducendo le perdite di grassi con le feci,
migliorano indirettamente l'assorbimento dello zinco. Gli autori
concludono affermando che nei lattanti con FC la situazione dei
micronutrienti deve tenuta sempre nella dovuta considerazione.
In tutto
il mondo, USA in prima fila, il trattamento della sindrome
iperattività/deficit di attenzione (IDA) si basa su due
componenti, ritenute ugualmente essenziali, un trattamento intensivo
comportamentale e un trattamento farmacologico, quasi sempre con
Ritalin (methylphenidate) alla dose di 10-17,5 mg due volte al giorno
(ore 7,45 e ore 12,15). In Italia, il Ritalin non è in
commercio per cui i pediatri che ne vogliono fare uso, sono costretti
a suggerire ai genitori dei pazienti di andarlo a comperare fuori
Italia; d'altra parte sideve dire che il problema nel trattam,eto
farmacologico della sindrome da iperattività ha trovato da noi
pochissimo ascolto. Di recente un'alternativa al Ritalin è
rappresentata dall'Adderall (una mescolanza racemica di d- e
l-amfetamina), che viene somministrato alla dose di 7,5-12 mg, due
volte al giorno alle stesse ore (Pediatrics - electronic
pages, 103, e43, aprile 1999). Per confrontare un farmaco
con l'altro sono stati studiati 25 bambini (età media 9,6
anni), che sono stati suddivisi in due gruppi e trattati per 24
giorni, con una somministrazione alterna dei farmaci, ogni 5 giorni.
Ambedue i farmaci sono risultati superiori al placebo, perché
in grado di determinare "drammatici" miglioramenti sia sui
comportamenti negativi, che sulla produttività scolastica che
sul comportamento nei confronti degli insegnati e dei genitori.
L'Adderall è risultato alle dosi sopra riportate più
efficace del Ritalin: le dosi più basse di Adderall producono
effetti uguali a quelli osservati con le dosi più alte di
Ritalin. Gli effetti collaterali clinicamente significativi, di
ambedue i farmaci sono scarsi e confrontabili. Il 25% dei
partecipanti allo studio non ha risposto al trattamento
farmacologico. Viene concluso che l'Adderall è almeno efficace
come il Ritalin e trova un'indicazione precisa in quei bambini nei
quali gli effetti del Ritalin scompaiono rapidamente: per l'Adderall
viene consigliata la dose di 7,5 mg due volte al giorno. L'Adderall è
stato di recente approvato dalla Food and Drug Administration per il
suo uso nella IDA. Gli autori si propongono di eseguire un'altra
ricerca per confrontare gli effetti dell'Adderall con quelli di un
altro farmaco, ugualmente attivo, la dexedrine. Due altre complete
rasssegne sull'argomento sono comparse di recente sul N Engl J
Med (340, 40-6 e780-8, 1999). Questo sposta assai poco
la situazione italiana, dove né l'Adderall, né il
Ritalin sono in commercio. Da noi è utilizzabile un terzo
farmaco, con caratteristiche in parte diverse, la pemolina. E'
opportuno che le prescrizioni comunque siano ben meditate, tenendo
ben conto del ruolo soltanto sintomatico di questi farmaci e della
necessità di non seguire l'esempio degli Stati Uniti, dove si
è fatto e si continua a fare un abuso di queste sostanze
Fasciite
necrotizzante in corso di varicella: la sua insorgenza può
essere facilitata dall'ibuprofene?
Fra il
1993 e il 1995 anche in USA è stato notato un aumento dei casi
di fasciite necrotizzante (FN) in bambini, peraltro sani, con
varicella. In uno studio è stato osservato che in 19 di questi
soggetti era stato somministrato ibuprofen, prima del ricovero
(Pediatrics 103, 783-90, 1999). Dopo aver controllato
il sesso, l'età e il tipo di streptococco gruppo A, è
risultato che più facilmente i casi con FN avevano ricevuto
ibuprofen prima dell'ospedalizzazione: nella maggioranza dei casi
l'ibuprofen era stato iniziato dopo la comparsa dei sintomi
dell'infezione secondaria. Era più facile che bambini che
avevano FN complicata da insufficienza renale e/o sindrome dello
shock tossico avessero usato ibuprofen. D'altra parte, i bambini con
FN complicata avevano anche i livelli più elevati di febbre e
una durata media superiore dei sintomi secondari prima
dell'ammissione. Gli autori concludono che sono necessari ulteriori
studi per stabilire se l'ibuprofene giochi un ruolo causale nello
sviluppo della FN e delle sue complicanze durante la varicella.
Tuttavia alla fine della pubblicazione viene raccomandato che i
pediatri, che hanno in cura bambini con varicella trattati con FANS,
esercitino un'accurata sorveglianza per identificare precocemente lo
sviluppo di infezioni secondarie; in attesa di ulteriori infromazioni
sul ruolo dell'ibuprofen, viene raccomandato inoltre ai clinici l'uso
del paracetamolo (acetaminofen secondo gli americani).
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