Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Novembre 2001 - Volume IV - numero 9

M&B Pagine Elettroniche

Avanzi

Novità, riflessioni, contributi e proposte,
a cura di Giorgio Bartolozzi
L'antitrombina III ad alte dosi nella sepsi grave
Ormai sappiamo con sicurezza che in corso di sepsi grave e di shock settico si verifica un'attivazione della coagulazione e un consumo eccessivo di anticoagulanti endogeni, per cui si assiste alla formazione di microtrombi in tutto l'organismo, responsabili delle manifestazioni emorragiche cutanee, della disfunzione d'organo e dell'elevata letalità. Per noi pediatri la malattia paradigmatica di questa situazione è la sepsi meningococcica. L'antitrombina III potrebbe fornire protezione dall'insufficienza multiorgano e aumentare la sopravvivenza nei pazienti gravemente ammalati.
Per controllare se l'antitrombina III ad alte dosi, somministrata entro 6 ore dall'inizio della malattia, fornisce vantaggi in questi pazienti, è stato condotto uno studio multicentrico, in doppio cieco, controllato contro placebo in 2.314 pazienti con sepsi grave, di cui 1.157 trattati e altrettanti non trattati (Warren B.L. et al., JAMA 2001, 286:1869-78).
E' risultato che l'antitrombina III ad alte dosi non ha alcun effetto sulla mortalità entro 28 giorni dall'inizio della malattia, in pazienti adulti con sepsi grave e shock settico, anche quando somministrata entro 6 ore dall'inizio. Anzi il suo uso è associato a un aumentato rischio di emorragia, quando somministrata in associazione all'eparina. Un qualche beneficio nell'uso dell'antitrombina III è risultato evidente in pazienti che insieme non ricevevano eparina.

Aumentato uso dei macrolidi e resistenza dello Streptococcus pneumoniae
Gli antibiotici macrolidi (eritromicina, claritromicina, azitromicina e altri) sono molto usati nel trattamento empirico della polmonite. Per studiare l'epidemiologia degli pneumococchi resistenti in USA, è stato condotto uno studio su 15.481 isolamenti da malati con infezioni invasive (Hyde T.B. et al., JAMA 2001, 286:1857-62).
Il consumo di macrolidi fra il 1993 e il 1999 è aumentato in USA del 13%, ma fra i bambini al di sotto dei 5 anni esso ha avuto un incremento del 320%; nel frattempo la resistenza è aumentata dal 10,6% del 1995 al 20,4% del 1999. I ceppi più resistenti hanno presentato una MIC che corrisponde a quella incontrata nei casi che non avevano risposto al trattamento.
Da ricordare che in Italia la resistenza ai macrolidi di un altro agente infettivo, lo streptococco gruppo A, ha raggiunto e superato il 40% in alcune aree. E' una volta di più un richiamo all'uso mirato e selettivo degli antibiotici nelle infezioni, soprattutto del bambino, prima che il problema della resistenza non arrivi a rappresentare un'evenienza allarmante.

La mutazione Leiden del fattore V costituisce un vantaggio genetico per l'impianto dell'embrione
La mutazione Leiden del fattore V della coagulazione è presente nel 6% della popolazione bianca: essa rappresenta il più comune fattore di rischio per la trombosi venosa. Lo studio genetico suggerisce che la mutazione sia insorta 21-34.000 anni fa. Quale può essere l'effetto positivo di questa mutazione nella selezione naturale ? E' stato visto, in studi sulla fertilizzazione intracitoplasmatica in vitro, che nel 90% dei casi l'impianto di un embrione Leiden positivo era seguito da successo, contro il 49% per gli embrioni fattore Leyden negativi (Göpel W. Et al., Lancet 2001, 358:1238-9). Si può concludere che il vantaggio genetico della mutazione Leyden risiede nel miglioramento nella possibilità d'impianto dell'embrione.

La resistenza dell'Escherichia coli al cotrimossazolo
Il trattamento delle infezioni delle vie urinarie (IVU) è reso difficile in questi ultimi anni dalla comparsa di ceppi antibiotico-resistenti di E. coli. Il 25% di 255 ceppi isolati da donne con IVU sono risultati resistenti al trimetoprim-sulfametossazolo e ad altri agenti antibatterici (Manges AR et al. N Engl J Med 2001, 345:1007-13). Tutti i ceppi appartevano allo stesso gruppo clonale, pur essendo stati isolati in 3 comunità, geograficamente diverse. E' molto probabile che la comparsa di questi batteri resistenti sia collegata alla crescente pressione selettiva, operata dagli antibiotici.

La comparsa del diabete tipo 1 non dipende dall'azione dei linfociti B
A volte un caso singolo è sufficiente per gettare un nuova luce su alcuni problemi patogenetico. Oggi si ritiene che nella patogenesi del diabete tipo 1 sia fondamentale la distruzione immuno-mediata delle cellule b delle isole pancreatiche, a opera principalmente delle cellule T, insieme probabilmente alle cellule B e agli autoanticorpi. La comparsa di un diabete mellito tipo 1 in un soggetto portatore di agammaglobulinemia legata all'X obbliga a rivedere questa impostazione (Martin S. et al., N Engl J Med 2001, 345:1036-40): questo caso dimostra in modo evidente che le cellule B e gli autoanticorpi non sono necessari per lo sviluppo del diabete tipo 1 e può spiegare perché le immunoterapia dirette contro le cellule B o gli autoanticorpi possono fallire nella prevenzione della distruzione delle cellule b nei pazienti a rischio.

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G. Bartolozzi. Aumentato uso dei macrolidi e resistenza dello Streptococcus pneumoniae
La mutazione Leiden del fattore V costituisce un vantaggio genetico per l'impianto dell'embrione
La resistenza dell'Escherichia coli al cotrimossazolo
La comparsa del diabete tipo 1 non dipende dall'azione dei linfociti B'>L'antitrombina III ad alte dosi nella sepsi grave
Aumentato uso dei macrolidi e resistenza dello Streptococcus pneumoniae
La mutazione Leiden del fattore V costituisce un vantaggio genetico per l'impianto dell'embrione
La resistenza dell'Escherichia coli al cotrimossazolo
La comparsa del diabete tipo 1 non dipende dall'azione dei linfociti B. Medico e Bambino pagine elettroniche 2001;4(9) https://www.medicoebambino.com/?id=AV0109_10.html