Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Maggio 2001 - Volume IV - numero 5

M&B Pagine Elettroniche

Avanzi

Novità, riflessioni, contributi e proposte,
a cura di Giorgio Bartolozzi

I probiotici nella prevenzione delle malattie atopiche
I probiotici sono rappresentati da colture di batteri della microflora intestinale di soggetti sani: un ceppo, il Lactobacillus rhamnosus (Lactobacillus GG) ha dimostrato di essere un agente sicuro ed efficace nel trattamento delle infiammazioni allergiche e dell'allergia ai cibi. In uno studio finlandese, in doppio cieco, randomizzato, contro placebo, è stato somministrato il Lactobacilluis GG, prenatalmente (per due settimane prima del parto) alle madri, che avevano almeno un parente di primo grado con eczema atopico, rinite allergica o asma, e postnatalmente per 6 mesi ai loro figli (Kalliomaki M et al, Lancet 2001, 357:1076-9).
Un eczema atopico venne diagnosticato in 46 di 132 bambini al di sotto dei due anni di età; l'asma venne diagnosticata in 6 di questi bambini e la rinite allergica in uno. La frequenza dell'eczema atopico nel gruppo trattato con probiotici è risultata la metà (23%) in confronto al gruppo trattato con placebo (46%). Viene concluso che il Lactobacillus GG è efficace nella prevenzione della malattia atopica precoce in bambini ad alto rischio. Ne segue che la microflora intestinale può essere una sorgente finora inesplorata di immunomodulatori naturali, utili per la prevenzione della malattia atopica. Fra le ipotesi sollevate merita di essere ricordata quella che ritiene che la microflora gastro-intestinale promuova l'immunità di tipo Th1 e di conseguenza sopprima l'infiammazione allergica indotta dai linfociti Th2.

Vaccinazione contro l'influenza e contro lo pneumococco nel vecchio riduce ricoveri e morti
L'influenza e la polmonite, spesso causata dallo Streptococcus pneumoniae, sono le cause principali di morbilità, e quindi di ricovero in ospedale, e di morte in soggetti di oltre i 65 anni, specialmente se affetti da condizioni mediche croniche. L'effetto dell'uso contemporaneo della vaccinazione contro l'influenza e contro lo pneumococco (con il classico vaccino 23-valente), nella prevenzione della morbilità e della mortalità generale, non è stato ancora ben definitivo. In una ricerca svedese, eseguita fra al 1° dicembre 1998 e il 31 maggio 1999 sono stati studiati tutti i soggetti (259.627 persone), abitanti nella Contea di Stoccolma, in età superiore ai 65 anni (Christenson B et al., Lancet 2001, 357:1008-11). L'incidenza del ricovero in ospedale fu più bassa fra i vaccinati che fra i non vaccinati, mentre il totale della mortalità fu inferiore del 57% fra i vaccinati. Questa esperienza è in favore delle numerose iniziative, intraprese in molte parti d'Italia, di associazione delle due vaccinazioni nell'anziano.

Vaccinazione contro l'epatite B nell'adolescente: bastano due dosi
Come si sa, la vaccinazione dell'adolescente prevede 3 dosi (0, 1 e 6 mesi), analogamente a quanto è previsto per il primo anno di vita. Per sapere se in questa età della vita sia sufficiente una schedula che preveda due dosi, è stato condotto uno studio su 1.026 adolescenti confrontando i livelli anticorpali (GMT = titoli medi geometrici) dopo 2 e dopo 3 dosi (Cassidy WM et al., Pediatrics 2001, 107:626-31). I risultati dello studio hanno messo in evidenza che con solo due dosi di vaccino contro l'epatite B si ottiene ugualmente una buona risposta immunogenica e si induce un'efficiente memoria immunologica, come dopo un regime con 3 dosi.

Probabilità di trasmissione dell'HIV-1 con il coito, in eterosessuali
Le probabilità di trasmissione dell'HIV (infettività) con il coito per via vaginale è stata valutata attraverso studi prospettici: le stime per atto sessuale variano da 0,0001 a 0,0014, sia in Europa che in USA , mentre sale a 0,002 nei Thai. Le più alte probabilità di trasmissione sono state riscontrate fra uomini che hanno avuto contatti con prostitute in Tailandia o in Kenia, fra i quali l'incidenza è salita a 0,056-0,1 per atto, il che significa una possibilità di trasmissione ogni 10-20 atti. Mancavano i dati riguardanti l'Africa sub-sahariana, per aree in cui la malattia ha un'elevata incidenza. Per rispondere a queste domande è stato condotto uno studio su 174 coppie monogame, abitanti a Rakai (Uganda) nelle quale un partner era HIV-1 positivo (Gray RH et al., Lancet 2001, 357:1149-53). Dallo studio è risultato che la frequenza del coito fu di 8,9 per ogni mese, con una diminuzione in rapporto all'età e al carico virale di HIV. La probabilità di trasmissione aumentò da 0,0001 per atto, con carica virale inferiore a 1.700 copie/mL a 0,0023 per atto con 38.500 copie di virus/mL o più (p=0,002): la probabilità salì a 0,0041 per la presenza di ulcerazioni genitali. La trasmissione non variò con il sottotipo di HIV (sottotipi A e D), con il sesso o per la presenza di disuria o di "perdite" nel partner HIV-positivo. Viene concluso che il carico virale, le ulcerazioni genitali e la giovane età sono i principali determinanti della trasmissione dell'HIV-1 con il coito nella popolazione ugandese

Otite media con versamento: tubino timpanostomico e/o adenoidectomia + tonsillectomia ?
Nello stesso numero del NEJM compaiono due pubblicazioni di grande interesse sul trattamento dell'otite media con versamento (OME) (Paradise JL et al, N Engl J Med 2001, 344:1179-87; Coyte PC et al, N Engl J Med 2001, 344:1188-95). Nello studio di Paradise, in bambini con OME persistente di età inferiore ai 3 anni venne inserito un tubino timpanostomico o il prima possibile dopo la diagnosi (169 bambini) o 9 mesi più tardi (66 bambini), se il versamento permaneva. Dagli esami per la parola, il linguaggio, l'apprendimento e lo sviluppo psicosociale, ai quali questi bambini furono sottoposti all'età di 3 anni, non vennero dimostrate differenze significative nei due gruppi. Viene concluso che nei bambini al di sotto dei 3 anni con OME persistente, la pronta inserzione dei tubini timpanostomici non migliora in modo misurabile lo sviluppo cognitivo, valutato all'età di 3 anni, nonostante le differenze esistenti fra la durata del versamento e la riduzione dell'acutezza auditiva nei due gruppi; nessuna conclusione viene tratta per versamenti che avessero una durata superiore ai 9 mesi o che riguardassero soggetti con una moderata-grave perdita dell'udito. Ugualmente, ripetono gli autori, i risultati ottenuti non vanno necessariamente estesi a soggetti in età superiore ai 3 anni.
Coyte PC, uno studioso canadese, affronta invece il problema dell'utilità dell'associazione, all'inserzione dei tubino timpanostomico, dell'adenoidectonia o dell'adeno-tonsillectomia. Sulla base dei risultati ottenuti in 37.316 bambini, sottoposti a timpanostomia, è stato osservato che l'associazione dell'adenoidectomia portava a una notevole riduzione nella necessità di reinserzione del tubino timpanostomico (p<0,001); anche la facilità di riammissione per condizioni legate all'otite era ugualmente ridotta (p<0,001); se all'adenoidectomia veniva associata la tonsillectomia i rischi erano ulteriormente ridotti. Viene concluso che praticare l'adenoidectonia o l'adeno-tonsillectonia, al momento dell'inserzione del tubino timpanostomico, riduce in modo sostanziale la facilità di ulteriori ospedalizzazioni o interventi, in relazione all'otite media, in bambini in età di 2 anni o più. Gli autori convengono tuttavia che sono necessarie 8 adenoidectomie per evitare un singolo caso di re-ospedalizzazione, in un periodo di due anni.
A parte alcuni punti discutibili in questa ultima pubblicazione, va sottolineato, come ricorda il commentatore (Perrin JM, N Engl J Med 2001, 344:1241-2), che gli otorino possono essere meno portati a sottoporre un bambino a un ulteriore intervento chirurgico, quando si tratti di un bambino al quale siano state già tolte le adenoidi o di più le adenoidi e le tonsille. Ma si può anche pensare che i genitori di bambini che hanno già subito due interventi (inserzione del tubino timpanostomico e adenoidectomia) sono riluttanti a considerare ulteriori cure in ospedale, soprattutto se di tipo chirurgico. Infine le variabili (reinserimento di un tubino timpanostomico e re-ospedalizzazione) sono pochissimo usate per valutare l'effetto dell'adenoidectonmia, perché sono pochissimo adatte a valutarne l'efficacia. Ne deriva che i pediatri pratici, dati i limiti dei dati raccolti, dovrebbero interpretare con cautela le conclusioni della pubblicazione di Coyte.

Esistono davvero due sottotipi di falso croup ?
Esistono prove retrospettive che bambini con una storia di croup possono essere ad aumentato rischio di sviluppare in seguito asma, atopia e ridotta funzione polmonare. Per studiare questi rapporti il gruppo di ricercatori di FD Martinez (Castro-Rodriguez JA et al., Pediatrics 2001, 107:512-8) ha studiato 884 bambini che avevano sofferto di malattie delle vie aeree inferiori nei primi 3 anni di vita. Dallo studio di questi bambini è risultato che il 10% aveva avuto croup con respiro fischiante, il 5% aveva avuto croup senza respiro fischiante, il 36% aveva avuto un'altra malattia delle vie aeree inferiori e il 46% non aveva avuto altre malattie respiratorie. Il virus respiratorio sinciziale venne isolato più spesso nei bambini che avevano presentato croup e respiro fischiante. Solo i bambini con croup+wheeze o con altre malattie delle vie aeree inferiori avevano un aumentato rischio di successivo wheeze persistente durante la loro vita. Viene concluso che il croup è una malattia eterogenea e che esistono due tipi di croup, quello con wheezing e quello senza wheezing: l'aumentato rischio di successive ostruzioni ricorrenti delle vie aeree inferiori, dipende dall'iniziale interessamento delle vie aeree inferiori e dalle alterazioni, prima e dopo la malattia, della funzione polmonare. Un rilievo del genere è troppo importante per il pediatra di famiglia per non richiedere conferme e approfondimenti.

Elettroencefalogramma e risonanza magnetica per la diagnosi di encefalopatia acuta del neonato
Le crisi ipossico-ischemiche sono la causa più comune delle lesioni cerebrali del nato a termine. L'elettroencefalogramma (EEG) e la risonanza magnetica (RM) sono i due esami che si sono dimostrati più utili per la diagnosi e per la prognosi dell'encefalopatia acuta del nato a termine: questi due esami fino a oggi erano stati valutati separatamente. In uno studio collaborativo, al quale hanno partecipato molti ricercatori italiani (Biagioni E et al. Pediatrics 2001, 107:461-8) sono stati esaminati 25 neonati a termine, nei quali è stato eseguito un EEG entro 72 ore dalla nascita e una RM alla fine della prima settimana di vita. Sia l'EEG che la RM sono risultati predittivi dell'evoluzione: una normale RM è sempre stata associata a un normale EEG e di conseguenza a un'evoluzione favorevole, mentre gravi anomalie della RM con alterazioni EEG sono indicative di un'evoluzione sfavorevole. Quando la RM mostra alterazioni moderate, in tutti i soggetti studiati, fuorché in uno, l'EEG permette d'identificare i pazienti con una buona o con una cattiva prognosi.

Una riduzione delle prescrizioni non basta sempre per ridurre la resistenza batterica
E' ormai certo che vi è una stretta associazione fra consumo di farmaci antibatterici nella popolazione e frequenza nel riscontro di resistenza batterica. D'altra parte è stato dimostrato più volte che una riduzione nell'uso di questi farmaci si accompagna, in un periodo di tempo più o meno lungo, a una minor frequenza di ceppi resistenti. Ma non è sempre così: nel Regno Unito qualche anno fa è stato decisa una riduzione nelle prescrizioni di sulfamidici per ridurre la prevalenza di ceppi resistenti ai sulfamidici dell'Escherichia col: si è così passati da 320.000 prescrizioni per anno nel 1991 a 7.000 nel 1999. Questa restrizione nelle prescrizioni non ha però portato all'attesa riduzione della resistenza (Enne VI et al. Lancet 2001, 357:1325-8). Le ragioni di questo comportamento sono risultate molteplici.

Trattamento chirurgico versus medico nel reflusso vescico-ureterale bilaterale grave
E' pratica comune correggere il reflusso vescico-ureterale (RVU) grave con l'intervento chirurgico, sulla base dell'ipotesi che questa alterazione predisponga alle infezione delle vie urinarie e faciliti la diffusione dell'infezione al parenchima renale e quindi alle cicatrici. Nonostante questo convincimento non sono a disposizione prove sicure che il trattamento chirurgico offra maggiori possibilità del trattamento medico, sia nel migliorare l'accrescimento del rene che nel ridurre il numero di nuove cicatrici, nell'arco di 10 anni. Per chiarire questo punto, è stata intrapresa una ricerca nella quale sono stati assegnati a caso, al gruppo trattato chirurgicamente e al gruppo trattato con cure mediche, 52 bambini(25 maschi e 27 femmine) in età fra 1 e 12 anni (Smellie JM et al., Lancet 2001, 357:1329-33). Dopo un periodo di osservazione di 4 anni la velocità di filtrazione glomerulare (VFG) fu di 72,4 mL/min per il gruppo trattato con farmaci, contro 71,7 mL/min per il gruppo trattato chirurgicamente. Il cambiamento medio della VFG dopo 4 anni fu di -2,4% nel gruppo medico contro il 4,7% nel gruppo chirurgico. Queste differenze nei due gruppi non furono statisticamente significative. Gli autori concludono che i loro dati non confermano l'attuale punto di vista che il futuro della funzione renale migliora con la correzione chirurgica del RVU nel bambini con malattia bilaterale. Questo studio assume una grande importanza per chi si interessa di nefro-urologia pediatrica, perché sovverte alcune delle regole che hanno guidato le decisioni del chirurgo e dell'urologo pediatra.

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G. Bartolozzi. Vaccinazione contro l'epatite B nell'adolescente: bastano due dosi
Probabilità di trasmissione dell'HIV-1 con il coito, in eterosessuali
Otite media con versamento: tubino timpanostomico e/o adenoidectomia + tonsillectomia ?
Esistono davvero due sottotipi di falso croup ?
Elettroencefalogramma e risonanza magnetica per la diagnosi di encefalopatia acuta del neonato
Una riduzione delle prescrizioni non basta sempre per ridurre la resistenza batterica
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Vaccinazione contro l'influenza e contro lo pneumococco nel vecchio riduce ricoveri e morti
Vaccinazione contro l'epatite B nell'adolescente: bastano due dosi
Probabilità di trasmissione dell'HIV-1 con il coito, in eterosessuali
Otite media con versamento: tubino timpanostomico e/o adenoidectomia + tonsillectomia ?
Esistono davvero due sottotipi di falso croup ?
Elettroencefalogramma e risonanza magnetica per la diagnosi di encefalopatia acuta del neonato
Una riduzione delle prescrizioni non basta sempre per ridurre la resistenza batterica
Trattamento chirurgico versus medico nel reflusso vescico-ureterale bilaterale grave. Medico e Bambino pagine elettroniche 2001;4(5) https://www.medicoebambino.com/?id=AV0105_10.html