Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Febbraio 2010 - Volume XIII - numero 2

M&B Pagine Elettroniche

Appunti di viaggio

Festa nazionale in Angola
Gabriele Cont
Specializzando in Pediatria, Clinica Pediatrica IRCCS “Burlo Garofolo”, Università di Trieste
Indirizzo per corrispondenza: contgabriele@gmail.com


Siamo al 43° giorno di vita in Angola... oggi è festa nazionale, non per questo la morte va in ferie... e per questo motivo abbiamo imparato a fare un saltino comunque, un “giretto” fugace a vedere solo i più critici... dice Magda (la volontaria pediatra che è qui da più o meno 3 anni)... ma già lo sapevo che non sarebbe andata così. Sì perché dipende sempre da chi fa il turno, ma normalmente il medico di banco si fa ben poco vedere e i malnutriti, i nostri bimbi, non contano per nessuno all’infuori di noi e qualche dottore nero (dico nero perché è semplicemente africano e NON angolano!). Grazie al cielo oggi è una giornata tranquilla, nel senso che sono tutti vivi e nessuno è sparito nel procedere lento della notte... perché la notte... nera... è morte... si muore magari senza una diagnosi (cosa piuttosto comune), a volte senza alcun spettatore o “accompagnatore”... la mamma dormiva... l’infermiere anche... il medico pure... e lui si è soffocato nel sonno, quando lo capiscono è già freddo da ore...
Ma questa Angola, questa piccola parte di Africa, questi 43 giorni non sono solo questo, no!
Una cosa è certa, questa gente, questo cielo d’Africa, questo sole, questa terra arsa, questi occhi tristi non si lasciano semplicemente vivere, non ti scorrono davanti solo perché il tempo non si ferma, no, ti fanno sudare, angosciare, emozionare, piangere, gridare, arrabbiare, commuovere, riflettere, domandare, vergognare, condividere, pregare, comprendere, giustificare... scappare, tornare e vivere!

Mi ero preparato mentalmente e sentimentalmente a quanto mi sarei trovato di fronte... ma non era sufficiente, fino a quando non ci sbatti il naso, non impatti sulla differenza profonda che per te la vita ha un senso e un significato e per loro no, fino a quando non capisci che il tuo cervello è stato più o meno da sempre abituato al confronto, all’apprendimento, all’essere stimolato, che sei un essere umano circondato da segni di amore... fino a quando non capisci che il tuo modello di salute, famiglia e vita è tuo e non ha nulla a che vedere con quello a cui questa povera gente è stata abituata, fino a quando non capisci che prima il colonialismo e poi la guerra civile per 25 anni hanno rasato al suolo quel poco di tradizionale (Freddy il nostro compagno di casa Togolese, Africano lui stesso, rimane sempre allibito pensando al fatto che qui di lingue nazionali tradizionali... africane... non c’è l’ombra!!! hanno perso tutto il loro essere Africani... come la foresta di Baobab che va in fiamme... per far spazio ai grattacieli...) quel poco di tradizione che era rimasto è stata cancellato (resistono soltanto le barbare pratiche medico-religiose che fanno morire piuttosto che guarire) e che qui si vive come viene, e nascere e morire è la stessa cosa, si festeggia ugualmente... Fino a quando non digerisci questo, fino a quando non lo fai tuo, tuo modello di vita e pensiero e comprensione... Non puoi metterti a proporre nulla... perché sei lontano da tutto e da tutti.

Respiro profondo...

Si è appena conclusa la mia settimana nera, LA MIA PRIMA SETTIMANA NERA... durante la quale tutti i sentimenti ed emozioni provabili le ho provate... in 36 ore sono morti 5 nostri bambini e due lunedì pomeriggio, chiamati dalle infermiere quando una era già fredda... e l’altra tirata fuori per i capelli da morte imminente (cuore e respiro ASSENTI per 5 minuti)... ci è morta comunque dopo 2 ore... Lunedì mattina iniziato con la cronologia dei FALECIDOS (persi)... con i racconti dell’accaduto del medico di turno... privo di commozione, freddo come fredde le sue parole e le sue espressioni... e quella stupida risata finale sulla “pesantezza del suo turno, inteso come lavoro” inteso come pesantezza lavorativa e non sentimentale. Ho il cuore gonfio, le lacrime sono lì per lì, mi alzo e me ne vado, disgustato e tradito!
Ritorno, la riunione è ancora in corso, la direttrice sembra veramente arrabbiata oggi, mai vista così. Mi guarda, ci incrociamo la vista più volte, mi ammicca un sorriso, anche il dottore Kalumè (del Congo), anche la dottora Lorna (di Panama), e Angelina; con “Gina” mi trovo veramente bene, è sulla nostra stessa linea d’onda (per 1/3 angolana, 1/3 cubana e 1/3 italiana perché sposata con Michele... lo Chef amministrativo, con il quale si è creato un rapporto meraviglioso, che deve ancora dare il meglio di sé... mas vai dar!). Il problema era mio, non riuscivo a giustificare l’accaduto, con nessuno di qui, con nessuno di casa, nemmeno con me stesso. Ho provato una nausea tale che mi facevano vomitare tutti, pure il vedermi al lavoro.... “Devi porti un limite, non puoi pensare di farti carico di tutto, devi porti un limite” frase che mi dicevo da solo, che mi dicevano tutti e che mi faceva ancor più nausea.
Perché questi bambini li dovreste vedere... arrivano che sembrano assolutamente morti che camminano, certi fa persino male solo guardarli, perché ti chiedi come si può sopravvivere a tutto questo, con madri che ti chiedi come siano ancora in vita mangiate dall’HIV, divorate piano piano... in vita quel tanto che permette a noi di riacquistare la speranza per poter rimediare... e sul più bello, quando il cucciolo finalmente riassapora il piacere di vivere... muore la mamma... e per lui è finita!

Respiro profondo...

Qui si muore semplicemente perché non riesci e visitarlo, perché gli infermieri sono in pausa pranzo, perché in quel momento sei tu a pranzo, perché è notte o meglio è la notte del sabato o domenica e viva dio oggi no, oggi non vado... e ti muoiono perché nessuno ha badato loro perché la mamma dorme. Mi chiedo ma è mai possibile che muoiano sempre quando noi non ci siamo??? Ti viene spontanea la voglia di dire, “cavolo stasera vado su, tanto abiti a 100 m dall’ospedale, dentro lo stesso recinto, vado su e me li guardo perché altrimenti domani non li vedo”.
Qui a un certo punto qualcosa cambia, quel piccolo mucchietto di ossa con gli occhi che riflettono l’ombra di morire... sarà perché riusciamo a trasmetterli attenzioni, amore, coccole e le stesse mamme capiscono che devono tornare a essere mamme (forse quelle mamma che nemmeno le loro mamme sono mai state), beh quel mucchietto di ossa, quel teschio che ti guarda con occhi grandi e smarriti... prende una forma nuova, inizia a fissarti senza piangere, ti prende un dito quando tu stendi la mano, ammicca, ti cerca con lo sguardo, di stende le braccia o ti corre incontro quando arrivi in stanza. Non potete immaginare quante volte si è già ripresentato lo stesso copione... e grazie al cielo... così torno in pace con il mondo!

Manca lo spinning...

Sì qua lo stress mi resta dentro, non c’è possibilità di scaricare la tensione, l’insoddisfazione, la rabbia... una rabbia che è così forte che devo letteralmente andarmene via perché altrimenti mi scendono lacrimoni o peggio ancora metto la mani addosso a qualcuno... “altro che Zoglia”...
Tuttavia ho trovato una via di fuga... torno in pace con me stesso e con questa parte di Mondo e con questa gente, tutta (infermieri, madri, medici...) la notte.
Torno in ospedale, la sera dopo cena, e parlo con loro, racconto delle storie, le stimolo a farle loro... mamme... papà... zie... zii... nonne... le nostre favole più o meno tradotte fantasticando, un po’ di teatro... ho imparato a fare la pizza e il dolce... e con loro tutte condivido un pezzettino... poi me li abbraccio e abbraccio anche loro, le madri, perché se non lo fanno con i loro figli sarà forse perché... perché hanno dimenticato o non l’hanno mai saputo quanto importante è il calore di un abbraccio... e intanto le tengo sveglie, e loro danno questo benedetto latte.
Torno a casa e mi metto a sedere nel “giardino” di sabbia di fronte alla nostra casa e guardo il cielo... e la notte c’è una brezza... fresca quel giusto da aver la pelle d’oca... e mi chiedo da dove venga questo vento, quanta strada abbia fatto, che profumi porti con sé rubati all’insaputa di quali villaggi o navi galleggianti nell’oceano... chissà se porta qualcosa di Recife...
Che luna signori. Il cielo è cielo, le stelle sono tante e luminose... ma che costellazioni... e il carro dov’è? e la luna?? chi ha girato lo schermo??? che fa questa luna, è girata, mi sorride.
Quanto importante è un sorriso e un po’ di musica.
Può essere la giornata più cupa e triste, ma quando un cucciolo mi sorride... ah, prende tutta un’altra piega. Non dico che i nostri bimbi non siano belli, dolci, sorridenti e profumati... ma questi sembrano esserlo ancora di più! C’è un calore umano, che quando TORNA A GALLA... cavolo è pazzesco, SCOTTA! per non dire che BRUCIA!
Non riesco a rimanere impassibile, mi rimescola tutto dentro.
Mi fa tornare in pace con il mondo!

Abbiamo legato molto, soprattutto con quei casi disperati che nessuno sa come... morti arrivati e che davi per morto il giorno seguente, che si sono ripresi e che cantano assieme alla mamma o al papà e assieme a me “ci son due coccodrilli e un orangotango” tradotta in portoghese e con animazione... devo dire grazie a mamma e papà che sono riusciti, nonostante la mia opposizione e chiusura iniziale, a rendermi “adattabile” alle situazioni. Il nostro è un reparto di disperazione, ma facciamo il possibile perché non manchi mai il sorriso, la battuta, sulla mia condizione di calvizie ormai c’è una telenovela. La visita è sempre uno scherzare, perché si sono abituati a rispondere alle domande routinarie, sapendo quando rispondere sì e quando no... e allora inframmezzo qualche altra domanda oltre a “ha diarrea”... “a tosse”... “ha vomitato”... chiedo se ha orecchie, occhi, se io ho testa... e se io ho capelli... così capiamo se è connesso o meno il cervello nel rispondere.

Ho imparato ad alzare la voce in pubblico... a fare la voce grossa... a essere cinico... a essere diretto senza giri di parole... ad alzare le spalle e scrollarmi di dosso responsabilità che non mi appartengono... a fare interventi manuali senza anestesia, a comunicare diagnosi di HIV positive... a riferire della perdida del cucciolo alla mamma o al papà.
MA.... Cosa non ho ancora imparato è sopportare sono le mosche... madonna che roba, qui gli camminano sulla faccia, sulla bocca, nell’occhio (sì, NELL’occhio) nel naso e nessuno si scompone... non hanno la forza... mi è stato spiegato, non hanno la forza di gridare la fame che hanno... figurati se sprecano energie a cacciar via milioni di mosche...
Che esperienza: POSITIVA!
Si, positiva sotto tutti i punti di vista, anche quelli BUI, quelli INCOMPRESI, quelli che HO NASCOSTO SOTTO LA SABBIA...
Mi è stato chiesto perché... PER ME!
Certo che sono venuto per me!
Per l’umanità che qui incontri dopotutto: umanità al 100%, quando riemerge non ci sono finzioni. Mamme che condividono il pranzo, padri che lavano la roba, dicevo madri o padri che lavano la roba anche per gli altri... piene di feci... vomito o pipì... quando esce, c’è un rapporto umano incredibile.
Sono sull’amaca di Magda che scrivo questa email... l’Amaca, “a REDE” Zanin... che mi fa sentire insieme a te ancora in Brasile, il Nostro Brasile!
Qui ci sono molte più difficoltà e certe insormontabili... ma le gioie semplici... sono immensamente grandi!
Beijos... da un privilegiato!

Gabri


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