Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Febbraio 2004 - Volume VII - numero 2
M&B Pagine Elettroniche
Appunti di viaggio
Bolivia
Scuola
di Specializzazione di Padova
Indirizzo
per corrispondenza:enrica.fornaro@inwind.it
“Come è
andata in Bolivia?”
Questa la
domanda che ogni persona mi ha posto dopo il mio ritorno seguita
dalle facce perplesse e interrogative quando la mia risposta era un
semplice:”bhè, sì, bene…”, accompagnato da una
espressione tutt'altro che entusiasta. Ma come essere entusiasti di
ciò che ho visto? Di ciò che ho vissuto? Di ciò
che esiste lì?
Sono
stata in America Latina per cinque settimane dove ho frequentato
alcuni ospedali del posto (non missionari): durante le prime due
settimane in un piccolo ospedale nell'entroterra (“Ichillo” a
S. Carlos) e nelle successive tre settimane all'ospedale pediatrico
della città di S. Cruz (Hospital de los ninos). Purtroppo, la
brevità del mio soggiorno non mi ha permesso di entrare a
pieno regime nella realtà degli ospedali: le mie giornate si
spendevano a fianco dei medici boliviani che seguivo in ogni loro
attività.
A S.
Carlos era presente un attivo reparto di ostetricia e ginecologia
(circa 2 parti al giorno) e un centro per il recupero dei bambini
malnutriti. Qui venivano alimentati per diversi mesi i piccolini di
età inferiore ai 3 anni, sorvegliati dalle suore e educati da
personale autoctono che provvedeva anche alla loro pulizia e ai loro
bisogni primari. E' scoraggiante pensare che una volta dimessi da
questo centro, nella maggior parte dei casi, i piccoli avrebbero
fatto nuovamente il loro ingresso, ancora sottopeso e denutriti.
All'“Hospital
de los ninos”, invece, erano presenti molti reparti specialistici
(TIPED, terapia semi-intensiva, grandi ustionati, infettivologia,
neonatologia, divezzi, pronto soccorso, chirurgia) e diversi servizi
ambulatoriali (ORL, cardiologia, nefrologia, pediatria di base, …).
Qui il personale medico era costituito oltre che da medici
“strutturati” anche da tirocinanti e da specializzandi: è
affascinante trovare così distante e in un posto così
diverso, la stessa organizzazione formativa che c'è da noi.
Bello è stato confrontare il loro lavoro con il nostro: per
esempio, il loro esame di stato viene fatto dopo un anno di tirocinio
e consiste in un intervento di appendicectomia, un parto e un caso di
medicina generale.
La
specializzazione in pediatria dura tre anni ma l'iter formativo è
per la maggior parte sovrapponibile al nostro; le borse di studio,
però, non sono disponibili per tutti gli specializzandi che si
vedono così costretti a condividere la misera “parcella”
con altri colleghi.
Al di là
di questi “fatti tecnici”, mi ha fatto molto dolore toccare con
mano la realtà che ancora persiste nei paesi poveri e dove si
ha diritto alla cura sanitaria solo dopo aver pagato. I bambini
vengono portati dal medico, nella maggior parte dei casi, quando la
patologia è molto progredita, quando l'infezione di una
ferita ha portato ad un'importante osteomielite, quando la
polmonite si è evoluta in sepsi generalizzata… E pensare che
per le donne in gravidanza e per i bambini fino ai 5 anni di età
il sistema sanitario ha previsto l'assistenza medica in regime di
gratuità. Il problema è che il concetto di “prevenzione
e profilassi” non appartiene ancora alla popolazione. Si ritiene
che la Boliva sia uno dei paesi a più alta mortalità
infantile: durante la mia breve permanenza ho visto morire quasi un
bambino al giorno, le cui cause di decesso sono state principalmente
sepsi e grave denutrizione.
Ho avuto,
inoltre, la “fortuna” di vivere la realtà sanitaria da
parte del paziente: un ragazzo boliviano di 28 anni è affogato
in una piscina con conseguente grave edema polmonare e coma. I tempi
con cui si è realizzata la stabilizzazione del paziente hanno
ben poco a che vedere con la frenesia che si respira nei nostri PS. A
titolo di esempio, dopo circa 20 minuti dal suo arrivo in PS il
ragazzo era appena stato posto in ventilazione meccanica esterna
quando i medici mi hanno presentato una ricetta per andare ad
acquistare in farmacia gli elettrodi, fleboclisi, aghi cannula,
siringhe, catetere vescicole fenobarbital, mannitolo… e solo dopo
le “spese” il ragazzo è stato assistito da un punto di
vista clinico. Una volta inserito il catetere vescicale è
fuoriuscita urina color coca-cola: l'ecografia urgente sono andata
a “comprarla” ad un centro (negozio) poco distante dall'ospedale
e dopo circa un'ora il moribondo, intubato e ventilato con ambu (da
un medico appena laureato), è stato portato in barella per la
strada al centro per essere sottoposto all'ecografia. Per
concludere, l'annegamento succedeva di domenica, mercoledì
il ragazzo veniva dimesso dalla terapia intensiva e giovedì
tornava a casa in autobus: risorto dopo tre giorni… vi ricorda
qualcuno?
Oltre
alla realtà sanitaria, ho avuto modo di entrare in contatto
anche con l'aspetto sociale. Alla sera andavo ad un centro di
accoglienza (“Techo Pinardi”) per i ragazzi di strada minori di
16 anni di età. Un centro, aperto solo da due anni, il cui
obiettivo primario è quello di proteggere i bambini
(abbandonati, fuggiti da casa o figli di famiglie della strada) dalla
vita notturna delle calli. Qui c'è molta violenza, diretta
sia contro gli adulti e, soprattutto, contro i bambini. Quasi tutti i
ragazzi più grandi che vanno al centro hanno subito
aggressione sessuale quando erano più piccoli e molti di loro
sono diventati a loro volta aggressori. Era triste quando arrivavano
al centro ragazzini di 12-13 anni completamente “fatti” di droga
o di clefa (la vernice allucinogena che si sniffa: è lo
stupefacente a minor costo, per cui il più usato), ma era
ancor più penoso vedere i volontari che, con il cuore pesante,
non li accettavano per quella notte e li rimandavano sulla strada
invitandoli a ripresentarsi una volta smaltito l'effetto.
In mezzo
a tutto questo che appare così penoso mi sono domandata quale
significato potesse avere l'aiuto che i volontari del “primo
mondo” continuano a portare. Ho chiesto ad un mio amico italiano,
che ha dato avvio al “Techo Pinardi” e che resterà in
Bolivia per altri due anni, “In questa società non riesco a
vedere punti di leva per migliorare la situazione, che cosa ti porta
a restare qui?” e lui mi ha risposto:”La cosa bella è che
i bambini continuano a sperare!!” (e parlave dei bambini
violentati, abbandonati e lasciati a se stessi).
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