LE SFIDE DELLA PEDIATRIA ITALIANA

Per una nuova pediatria
luned�, 8 Giugno 2009, ore 21:01
Mi pare che l’intervista ai candidati presidenti della SIP a Medico e Bambino1 (2009;28:173-176) apra una possibilità nuova: intervenire sui contenuti per contribuire al programma del prossimo triennio della SIP.
Colgo questa occasione perché ritengo che il ruolo della società scientifica che più di tutte rappresenta la totalità della pediatria possa essere oggi particolarmente utile.
Un segnale di attenzione politica all’area materno-infantile ci viene dal documento ministeriale sugli Obiettivi prioritari del Piano Sanitario Nazionale 20092, che inserisce indicazioni alle Regioni affinché adottino provvedimenti utili a migliorare l’assistenza in area materno-infantile.
Si tratta di misure che dovrebbero essere già state realizzate da anni. Ma ciò non è accaduto. Eppure sembra esserci un buon accordo sulle necessità dei cambiamenti proposti.
Partiamo dalle analisi sulle quali c’è maggiore accordo tra i pediatri: sovrapposizione tra l’attività pediatrica degli ospedali e l’attività della pediatria convenzionata, eccessiva numerosità dei reparti di pediatria, funzione eterogenea dei reparti di pediatria (svolgono funzioni molto diverse con risultati molto diversi), funzione eterogenea dei pediatri convenzionati (svolgono funzioni molto diverse con risultati molto diversi).
A queste anomalie è necessario porre riparo.
E proprio il documento del Ministero identifica con estrema chiarezza gli interventi più urgenti e invita le Regioni a intervenire con la riduzione della numerosità dei reparti di pediatria, la guardia pediatrica 24 ore su 24 in tutte quelle che rimangono in attività, la chiusura dei punti nascita con meno di 500 nati, la concentrazione delle gravidanze a rischio con l’invio della partoriente in una struttura di terzo livello quando indicato, una programmazione regionale omogenea per pediatria/neonatologia e ostetricia.
Si tratta sostanzialmente di chiudere le micro-pediatrie e i punti nascita pericolosi perché con pochi nati. Situazioni molto spesso associate e che implicano entrambe uno scarso livello di sicurezza.
L’ostacolo principale a realizzare questi interventi relativamente semplici è rappresentato dalla politica locale, che si schiera sempre contro le chiusure, sottovalutando la pericolosità dei micro-reparti. Compito della SIP è quello di fornire alla politica gli strumenti tecnici per supportarne le scelte sanitarie, che possono avvenire soltanto a livello regionale.
I dati della letteratura sono ormai numerosi e concordi con la logica. Alcuni Paesi hanno ottenuto il dimezzamento della mortalità neonatale e materna e la riduzione della morbilità soltanto riducendo il numero dei punti nascita con pochi nati3,4. Quindi esclusivamente un problema di sicurezza, non di risparmio di risorse.
Una richiesta esplicita, condivisa dalle Società scientifiche e da tutti gli enti che rappresentano la pediatria, che sottolinei la pericolosità clinica di un’organizzazione basata sulla distribuzione capillare di reparti finti (senza guardia e con pochi ricoveri) è urgente. Anche per togliere dal disagio professionisti sprecati.

Un altro tema centrale per l’area pediatrica è affrontato da un altro documento ministeriale: chiamiamolo per semplicità “h24”5, che tocca il tema dell’affollamento dei PS da codici bianchi e della risposta alle esigenze di consultazione dei pazienti nelle 24 ore.
Tocca il problema più comune delle famiglie con bambini: a chi rivolgersi quando il bambino sta male. La risposta naturale è semplice: al proprio pediatra.
La risposta reale segue invece almeno 4 vie diverse: al pediatra convenzionato o privato, all’ospedale, al distretto, a nessuno.
La quota che non si rivolge a nessuno appare in riduzione. Segno della scarsa autonomia o del garantismo diffuso. La maggior parte delle famiglie si rivolge al proprio pediatra, trovando organizzazione e soddisfazioni eterogenee.
Alcuni si rivolgono all’ospedale. I tassi di visite al pronto soccorso pediatrico sono anch’essi molto eterogenei, variano da un minimo di 100 a un massimo che supera le 1000 visite per 1000 residenti di età pediatrica per anno e sono abitualmente più elevati nelle aree urbane. Comunque, se rapportati al numero dei bambini visti dai pediatri di famiglia (PdF) ogni giorno, i bambini che vanno direttamente al pronto soccorso sono pochi, mediamente corrispondono a 2 visite per ogni pediatra, sembrano tanti solo perché concentrati su un’unica sede e spesso su un unico operatore.
Pochissimi si rivolgono al distretto, perché pochi sono i distretti effettivamente organizzati come luoghi di cura, pochi che abbiano una propria organizzazione dedicata ai bambini, pochissimi che ospitino un’organizzazione dei PdF.
Quest’ultima sembrerebbe peraltro la soluzione del futuro, se ci riferiamo sia al documento h24 che al rinnovo della convenzione della pediatria, che prevedono l’attivazione di Punti di Primo Intervento pediatrico in aree territoriali disagiate o prive di presidi sanitari, per garantire una prima risposta all’emergenza-urgenza e a situazioni di minore gravità; al contrario, l’attivazione di Presidi Ambulatoriali Distrettuali, gestiti dai medici di Continuità Assistenziale, sappiamo non essere riconosciuta dalle famiglie come punto di riferimento pediatrico.
Anche in questo caso è fin troppo evidente come sia necessaria una riflessione sul ruolo che i PdF possono svolgere nei distretti in cui operano e sulla necessità che la loro attività sia coordinata e indirizzata a risolvere tutti i problemi che possono essere gestiti fuori dall’ospedale.
Ma appare altrettanto evidente che si tratta di un obiettivo che richiede un adeguamento del modo in cui la convenzione pediatrica è effettivamente interpretata sia dalla parte pubblica che dai PdF. E sappiamo che è interpretata in modo disomogeneo.
Cito due estremi. Uno, ormai noto ai più, è rappresentato dalla pediatria territoriale di Domodossola, dove 15 pediatri gestiscono l’intera attività pediatrica di quell’area geografica: dalla sala parto e il trasporto neonatale, tutta l’attività ambulatoriale, alla telefonata della mamma per un consiglio. Un esempio particolarmente virtuoso, forse non adatto a tutte le aree geografiche.
L’altro estremo, che sappiamo esistere, è il pediatra convenzionato che non si trova, che non si aggiorna, che non si prende carico dei pazienti, che non dialoga con nessuno.
Esiste una responsabilità del SSN nel consentire questo tipo di inadempienza. Se la convenzione fosse affidata a un ente assicurativo, diciamo le Generali, probabilmente tanta disomogeneità emergerebbe.
Oggi, tra il pediatra colto ed efficiente e quello inadempiente non c’è differenza visibile, e ciò non sembra giusto nei confronti della gran parte dei pediatri che opera bene, né utile all’intera categoria professionale.
Maggiore sicurezza nelle pediatrie, meno numerose, ma vere e attive sulle 24 ore, e maggiore omogeneità e coordinamento tra pediatri convenzionati e distretti sembrano due priorità perché la pediatria italiana adegui la propria organizzazione, fissa da troppi anni.
Proprio mentre il tema della necessità di cambiamento6 è stato ripetutamente affrontato, anche sulle pagine di questa Rivista7, ma senza risultati visibili. Questi due temi, micro-pediatrie e punti nascita pericolosi e attività ambulatoriale coordinata tra i pediatri del territorio, sono certamente legati.
Se la pediatria ambulatoriale sviluppasse una sua organizzazione adeguata ai tempi, capace di affrontare autonomamente tutti i problemi ambulatoriali, la pediatria ospedaliera potrebbe essere ripensata con una netta riduzione del numero dei reparti, pochi veri al posto di tanti pericolosi.
E probabilmente i pediatri sarebbero in numero adeguato e più contenti, tutti, del proprio lavoro.
Continuità o cambiamento? Chi avrebbe mai pensato che la Fiat salvasse la Chrysler, o che saltassero le banche, o che... In tempi di cambiamenti così imprevedibili, magari - nel suo piccolo - anche la SIP potrebbe ripensarsi, evitare di essere completamente accartocciata sull’organizzazione del Congresso Nazionale.
Siamo certi che il documento ministeriale sia anche il risultato dell’impegno delle precedenti presidenze SIP, ma il vero cambiamento sarebbe quello di arrivare a una rappresentatività pediatrica omogenea e che produca risultati in tempi accettabili, impedendo che l’organizzazione dei servizi pediatrici rimanga immobile per un tempo così lungo in una società che cambia di continuo, come di fatto è accaduto alla pediatria negli ultimi 30 anni.

Certo, alcune anomalie della pediatria derivano dalle difficoltà in cui il nostro Paese è organizzato: Piero Ottone indica l’assenza di una classe dirigente con valori etici, con il piacere di operare per il bene comune, con le qualità per farlo. Il dibattito, ormai diffuso a tutti i livelli, compresa l’università, ne è un forte segnale.
Nell’ambito disciplinare pediatrico è anche così? Verso quali obiettivi dovrebbe indirizzarsi oggi la forza di un’etica professionale pediatrica? L’area professionale pediatrica è diversa? O può impegnarsi nell’essere diversa?


Bibliografia

1. Bona G, Ugazio AG. La futura presidenza della Società Italiana di Pediatria. Medico e Bambino 2009;28:173-6.
2. Accordo Stato Regioni. 25 marzo 2009.
www.ministerosalute.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id=230.
3. Neto MT. Perinatal care in Portugal: effects of 15 years of a regionalized system. Acta Paediatr 2006;95:1349-52.
4. Richardus JH, Graafmans WC, Verloove-Vanhorick SP, et al. Differences in perinatal mortality and suboptimal care between 10 European regions: results of an international audit. BJOG 2003;110:97-105.
5. Linee Guida progetti sperimentazione assistenza h24 (id).
www.ministerosalute.it/imgs/C_17_primopianoNuovo_230_documenti_itemDocumenti_2_fileDocumento.pdf.
6. Prazar G. How many pediatricians does it take to change a practice? or how to incorporate change into practice. Arch Pediatr Adolesc Med 2005;159:500-2.
7. Marchetti F. Possono i pediatri accettare un cambiamento nella loro pratica? Medico e Bambino 2005;24:499-502.


Dino Faraguna
Dipartimento Materno-Infantile Ass 2, Monfalcone-Gorizia
4 contributi