Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
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HIV/AIDS
L'Icaro
di Matisse
Coordinatore
Progetto Associazione di Volontariato per il Servizio Internazionale,
Uganda
Una
nuova malattia
Mentre
lavoravo agli inizi degli anni Ottanta in un ospedale rurale del nord
Uganda, incontravo nel lavoro quotidiano le tipiche malattie
tropicali: morbillo, malaria, tetano neonatale, infezioni
respiratorie, diarree; le complicazioni della gravidanza e del parto.
Poi
iniziai a notare pazienti in giovane età che si presentavano
con segni di grave perdita di peso, diarrea cronica, eruzioni cutanee
e febbre. Altri erano colpiti da tubercolosi disseminata. Un giovane
uomo venne colpito dal sarcoma di Kaposi, una rara forma di cancro.
Tutti morirono in poche settimane, nonostante le terapie di ogni
genere che provammo a instaurare.
Senza
saperlo ci trovavamo di fronte a una nuova malattia. Solo dopo un
paio d'anni venimmo a conoscenza dell'epidemia negli Stati Uniti
e ad Haiti e alla fine alla nuova malattia venne dato un nome in
Uganda: la malattia del dimagrimento, slim disease.
Una volta
che la malattia fu identificata, fu chiaro che non vi era al momento
alcuna cura. Essendo possibile la diagnosi ed esistendo alcune misure
preventive, lanciammo nel distretto una campagna di informazione
pubblica. Nel mio piccolo ospedale quasi tutto il personale, dopo
aver ricevuto adeguate informazioni, accettò di essere
testato. Gli operatori sanitari erano poco più di 100:11
risultarono infetti dal virus. Ma con mia grande sorpresa nessuno
chiese di conoscere il proprio risultato. Eravamo nel 1987.
La paura
era grande e stigma e rifiuto erano molto diffusi.
La
coraggiosa campagna iniziata nel 1987 dal giovane governo del NRM
aiutò molti ad affrontare la malattia in un modo totalmente
diverso. Il messaggio era chiaro, senza giri di parole. Si tratta di
una malattia fatale, che potrebbe devastare il nostro Paese. Ma la
malattia può essere prevenuta e quindi possiamo agire ora. I
malati possono essere accuditi con cura e possono continuare a vivere
e poi morire con dignità. Veniva sottolineata la necessità
di cambiare le abitudini sessuali come la sola realistica modalità
per sradicare la causa dell'AIDS. Questo era un importante giudizio
culturale che indicava che la causa dell'AIDS trova la sua origine
nel cuore dell'uomo e che d'altra parte mostrava fiducia
riponendo speranza nella capacità della società
ugandese di superare la tremenda sfida.
Una
risposta umana
Il
presidente ugandese Yoweri Museveni, parlando nel 1991 alla
Conferenza Internazionale sull'AIDS a Firenze, indicò i
fattori che avevano caratterizzato la lotta a questa malattia in
Uganda:
“... Ho
sempre sottolineato la necessità di tornare alle nostre
tradizioni culturali, provate dal tempo, che enfatizzano la fedeltà
e denunciano i rapporti prima e fuori dal matrimonio. Credo che la
miglior risposta alla minaccia posta dall'AIDS e dalle altre
malattie trasmesse per via sessuale sia riaffermare pubblicamente e
senza esitazioni il rispetto e la venerazione che ogni persona deve
al suo prossimo. I giovani devono essere educati alle virtù
della astinenza, dell'autodisciplina e della rinuncia al piacere e
a volte al sacrificio...”
Di fronte
al terribile disastro, la preoccupazione del governo si è
basata sulla fiducia nella possibilità di vincere il nemico,
se il popolo avesse lavorato in unità verso uno scopo comune.
Ciò ha portato a una eccezionale mobilitazione di tutta la
società, singoli individui, gruppi, la Chiesa e altre
organizzazioni religiose e associazioni.
Si tratta
di una vera e propria epopea del popolo ugandese. L'impressionante
risultato, la riduzione della prevalenza da HIV da circa il 18% alla
fine degli anni ‘80 al 6,4% nel 2005, è stato anche definito
come la success story dell'Uganda. La linea del fronte è
stata di fatto la risposta nelle comunità, dove numerosissime
organizzazioni si sono fatte carico della responsabilità di
sostenere la tradizionale rete di solidarietà della famiglia
estesa, curando i malati e facendosi carico degli orfani e
indirizzando l'educazione delle giovani generazioni.
Ci sono
tantissime persone e organizzazioni da menzionare a questo proposito.
Noerine
Kaleeba, la fondatrice della organizzazione TASO (The Aids Support
Organisation), una delle prime realtà comunitarie che
hanno iniziato a combattere l'AIDS.
Elly
Ongee, il fondatore in Kitgum del Meeting Point, che poi si è
diffuso a Hoima e Kampala.
La moglie
del presidente ugandese, Janet Museveni, che ha contribuito
affermando che “la nostra è una generazione spiritualmente
analfabeta”. Infatti il cambiamento comportamentale deriva dalla
educazione della persona alla responsabilità, che inizia con
la “conoscenza”, come cultura e programmi basati sui valori.
Miriam
Duggan, medico e religiosa, che con geniale intuizione ha affrontato
la sfida nella comunità, negli slum di Kampala, creando la
Kamwokya Christian Caring Community. Inoltre ella percepì
come il cuore della risposta dovesse essere l'educazione delle
giovani generazioni, promuovendo il gruppo di base Youth Alive.
La
coraggiosa Lucille Teasdale Corti, stimatissimo chirurgo canadese,
che morì di AIDS contratto durante le operazioni sui feriti
nel conflitto armato in nord Uganda. Nonostante la malattia ella
lavorò instancabilmente fino alla fine, offrendo cura e
servizi alla popolazione affetta dalla guerra.
Tuttavia,
tra i giganti di questa epica storia, voglio ricordare una semplice
persona. Quando la mia giovane segretaria Rose Akumu risultò
sieropositiva, volle partecipare a un incontro dove Elly Ongee di
Kitgum pubblicamente offrì la sua coraggiosa testimonianza di
un affronto pieno di significato della malattia, tentando di
trasmettere ad altri la convinzione che la vita potesse avere ancora
senso ed essere positiva, nonostante la malattia mortale che lo aveva
colpito. Così Akumu decise di dedicare il suo tempo libero
all'aiuto delle persone affette e infette dall'AIDS. Durante la
pausa pranzo la ricezione dell'ufficio dell'AVSI si trasformava
in un luogo di dialogo: decine di persone partecipavano, discutendo
argomenti di comune interesse, ponendo domande e condividendo
esperienze circa la malattia. Dopo una lunga lotta, nonostante un
disperato tentativo terapeutico con l'AZT, ella morì nel
maggio del 1992.
Le
quattro ondate
La
pandemia dell'AIDS è devastante. Dal 1981 sono morte più
di 25 milioni di persone. Si stima che oggi 33 milioni di persone
siano infette dall'HIV. Nel mondo, solo nel 2007, circa 2 milioni e
mezzo di persone sono state contagiate. L'Africa subsahariana è
la regione più colpita, con più di 22 milioni di
persone sieropositive. Si stima che ben 15 milioni di bambini siano
orfani a causa dell'AIDS, avendo perso uno o entrambi i genitori.
Dodici milioni di questi bambini vivono nell'Africa subsahariana.
L'epidemia
si è diffusa con una serie distruttiva di ondate, di vere e
proprie tsunami.
Un numero
grandissimo di persone malate costituisce la prima onda anomala.
Poi vi è
l'ondata degli innumerevoli morti.
Infine
segue la sfida costituita da milioni di orfani dell'AIDS.
E ora
siamo di fronte al difficilissimo compito di aumentare i servizi alle
persone malate, garantendo a milioni di malati l'accesso alla
terapia antiretrovirale, soprattutto in Africa.
Tuttavia
la tragedia della pandemia dell'AIDS ha anche portato con sé
una straordinaria ondata di solidarietà. Assieme a situazioni
di estrema paura, ansietà, rifiuto ed emarginazione,
l'epidemia ha mostrato esempi meravigliosi di mobilitazione di
famiglie e intere comunità e di saggia direzione politica, nel
provvedere cura e sostegno ai malati. La generosità dei
volontari nella Copperbelt in Zambia, nella regione Kagera in
Tanzania, nei quartieri poveri di Kampala e nei sobborghi di Harare,
costituisce una ispirazione per continuare un coerente impegno
nell'affrontare le sfide poste dall'epidemia.
Tali
iniziative sono caratterizzate da un affronto globale, centrato sulla
persona, non limitandosi a soluzioni tecniche e mediche. Come nel
Medio Evo l'atto di prendersi cura del malato ancora una volta ha
preceduto la terapia.
Il
filo conduttore
C'è
un elemento comune e caratteristico di tutte queste esperienze. La
risposta alla epidemia non è stata innanzitutto la reazione ad
una malattia, ma il commosso piegarsi sulle persone bisognose e
malate. Questo è il sottile filo rosso che collega Akumu e
Ongee, Museveni e Kaleeba, Meeting Point, TASO e AVSI: la risposta a
una persona che ti provoca. Si tratta e si è trattato di
rapporti amorevoli. Veramente l'epidemia dell'AIDS è stata
e ancora costituisce una terribile tragedia. Ma allo stesso tempo
essa è stata ed è una provocazione formidabile per una
riscoperta della dignità e del valore della vita umana e del
significato dell'amore. Questa naturale e a volte anche educata
consapevolezza ha reso possibile una risposta realistica
all'epidemia. Infatti nessuno avrebbe trovato la forza e adeguate
ragioni per un cambiamento e per continuare a sperare, senza la
presenza di amici e il sostegno degli altri. Non possiamo amare con
fedeltà per paura, ma solo perché ognuno ha ricevuto il
compito meraviglioso e impegnativo di camminare assieme ad altri
verso il comune Destino. Possiamo veramente farci carico degli orfani
solo per un amore al destino di ciascuno di essi.
L'Icaro
di Matisse è l'immagine che può essere vista nel logo
del Meeting Point. Veramente l'antico mito greco di Icaro è
il simbolo di questa epopea. Icaro era un giovane pieno di stupore di
fronte agli uccelli, che non erano costretti a rimanere sulla terra,
ma erano liberi di volare liberi nel cielo. Anch'egli voleva
volare. Così suo padre gli attaccò con la cera delle
piume alle braccia, che si trasformarono in ali. Mentre gioiva nel
suo volo nel cielo, Icaro si avvicinò troppo al sole e il suo
calore sciolse la cera. Le penne si staccarono e Icaro cadde e morì.
Matisse rappresenta la nera figura di Icaro, che vola con le sue ali
artificiali nel cielo blu, pieno di stelle luminose. Nella figura
scura di Icaro, brilla una macchia rossa, il suo cuore.
L'uomo,
come Icaro, ha un infinito desiderio di felicità e libertà.
Ma ogni giorno egli deve affrontare i suoi fallimenti, la sua
debolezza, la malattia e alla fine, inevitabile, la morte. Il Meeting
Point è nato affinché nessuno rimanesse solo nella
malattia, nelle sofferenze, nelle difficoltà e nella paura;
affinché ognuno potesse incontrare una compagnia capace di
sostenere la speranza, di guidare nel sacrificio e di ispirare il
rispetto per gli altri.
Questa è
la stessa ragione per cui, assieme a mia moglie Luciana, da oltre 25
anni continuiamo il nostro impegno. Accanto alla gente, per
“combattere contro il brivido che pervade il mondo con il calore
del nostro respiro”.
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