Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
M&B Pagine Elettroniche
Le Giornate di Medico e Bambino
Medico
e Bambino 2009
Cervia
(Ravenna), 15-16 maggio 2009
Pubblichiamo
qui di seguito gli abstract dei "giovani" del congresso
“Le Giornate di Medico e Bambino”.
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Un
caso di ischemia cerebrale in età evolutiva di dubbio
inquadramento eziologico
1Clinica
Pediatrica “H. Sacco”, Milano; 2UONPIA di
Garbagnate Milanese, Az. Osp. “G. Salvini”(MI); 3UO
Pediatria e Neonatologia “G. Salvini”, Garbagnate
Milanese (MI)
indirizzo
per corrispondenza: laura.cafarelli@tin.it
G. è
una bambina di 10 anni che al risveglio presentava deficit della
motilità dell’arto superiore destro associato a disturbo
dell’eloquio con afasia e bradilalia. Anamnesi personale e
familiare: nulla di rilevante. Veniva segnalata una gita a Eurodisney
nei due giorni precedenti.
All’ingresso
la bambina appariva iporeattiva e afasica. Presentava segni di lato
(ipostenia e slivellamento arto superiore di destra). Nel pomeriggio
pieno recupero della stenia mentre persisteva l’afasia. Gli
esami ematochimici e gli esami su liquor (chimico-fisico,
batterioscopico, colturale e ricerca PCR per CMV, EBV,
Varicella-Zoster, Herpes 1-2, Toxoplasma) risultavano negativi. L’EEG
mostrava netta asimmetria interemisferica per attività lenta
di banda theta prevalente sulle regioni parietotemporali di sinistra.
La RMN e l’angio-RMN encefalo evidenziavano nella regione
parietale dell’emisfero cerebrale di sinistra un’alterazione
di segnale a carico della corteccia del giro sovramarginale, in prima
ipotesi riferibile a esito di lesione vascolare ischemica.
L’ecocardiogramma con mezzo di contrasto e il doppler
transcranico basali e dopo manovra di Valsalva non mostravano shunt
interatriali, né extracardiaci. L’ecocolordoppler dei
vasi del collo risultava nella norma. Lo screening trombofilico e
vasculitico di base (proteine S e C, omocisteinemia, LAC, ricerca
mutazioni del gene del fattore V Leiden, II e MTHFR, anticorpi
anti-cardiolipina, anti-mitocondrio, anti beta-2 glicoproteina,
antinucleo e anti DNA nativo, acido lattico, acido piruvico, acido
folico, vitamina B12, C3, C4, profilo lipidico, IEF transferrina) e
l’indagine molecolare per MELAS risultavano tutti negativi.
Il
decorso clinico è stato favorevole con rapida normalizzazione
dell’obiettività neurologica e progressivo miglioramento
dell’afasia.
Conclusioni:
gli episodi ischemici cerebrali nell’infanzia non sono
frequenti e di facile inquadramento. Tra le cause possibili, quando
le usuali indagini risultano negative, va considerata la dissezione
spontanea o post traumatica della carotide, non sempre rilevabile
all’ecocolordoppler, soprattutto a distanza dall’evento.
Celiachia
e stato nutrizionale: raramente malnutrizione alla diagnosi, quasi
mai obesità in dieta senza glutine.
Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Clinica Pediatrica e Centro Fibrosi
Cistica, Università e Azienda Ospedaliera di Verona.
Indirizzo
per corrispondenza: cosilviaco@alice.it
Le
presentazioni di celiachia con grave malnutrizione sembrano diventate
inusuali. D’altra parte, vi è il timore che la dieta
priva di glutine (DPG) favorisca l’insorgenza di sovrappeso e
obesità. Abbiamo riesaminato la nostra casistica di pazienti
con celiachia per valutarne alcuni indici di accrescimento
pondero-staturale al momento della diagnosi e dopo almeno un anno di
DPG. Sono stati considerati i pazienti diagnosticati negli anni
1991-2008 registrando anno ed età della diagnosi di MC,
z-score del peso, dell’altezza e del BMI alla diagnosi e
all’ultimo controllo in DPG, durata del follow-up ed età
all’ultimo controllo. I pazienti sono stati di volta in volta
assegnati a una delle sei classi di z-score: <-2, -1/-2, 0/-1,
0/+1;+1/+2,>+2. Su 236 pazienti sono stati raccolti i dati alla
diagnosi di 167 pazienti (età mediana 6.2 anni, range 0.7-17).
Il 7.7% e 7.8% di questi aveva rispettivamente uno z-score per peso e
BMI <-2. Il 77% dei bambini con z-score del BMI <-2 era in età
prescolare. L’1.8% e il 2.4% aveva uno z-score per peso e BMI
>+2. Il 7.8% aveva uno z-score per BMI +1/+2. Nel corso dei 18
anni di osservazione, la frequenza delle diagnosi con z-score per BMI
<-2 non è significativamente variato. In 149 pazienti con
più di un anno di DPG erano disponibili anche i dati
all’ultimo controllo (mediana follow-up 4.5 anni, range 1-16).
Il confronto tra z-score per peso, altezza e BMI alla diagnosi e
all’ultimo controllo mostrava un incremento significativo
(rispettivamente: p=0.001, p=0.014, p=0.008). Nonostante l’incremento
dei pazienti con z-score per BMI >+1 dopo DPG (12% vs 21%,
p=0.053), i soggetti >+2 non erano aumentati in misura
apprezzabile (3% vs 4%, p=0.9). Nella nostra esperienza, al momento
della diagnosi di celiachia solo 1 bambino su 13 presenta un
rilevante stato di malnutrizione, mentre 1 su 8 è in lieve o
marcato sovrappeso. La DPG determina un incremento percentuale dei
bambini in sovrappeso, ma non modifica sostanzialmente quella dei
soggetti più evidentemente obesi.
Cefalea,
vomito e diplopia: un caso di endocrinologia
Centro
per gli Stati Disendocrini e Dismetabolici, Sezione di Clinica
Pediatrica, Università di Parma, Parma
indirizzo
per corrispondenza: savinsss@gmail.com
M.D.,
maschio di 16 anni e 5 mesi, giunge per la comparsa da circa due
settimane di cefalea intensa, anche notturna, non associata a febbre,
alcuni episodi di vomito alimentare, diplopia all’occhio
sinistro. Inoltre, da alcuni mesi il ragazzo presenta calo del
rendimento scolastico. All’EO: CC 58,5 cm (>97° pct),
altezza 173.2 cm (50° pct), BMI 25,4 kg/mq (85°- 90°
pct). Stadi puberali PH5, B1, A+++. VT 10-12 cc bilateralmente.
Obiettività neurologica: lieve deficit sinistro alla
deambulazione sui talloni. ROT ipoevocabili agli AAII, simmetrici.
Non evocabili agli AASS. Prove cerebellari negative; sensibilità
tattile conservata, NNCC esplorabili apparentemente indenni, MOE
integri. Campo visivo manuale: nei limiti della norma. La RMN
cerebrale con mdc dimostra una neoformazione intra/soprasellare
disomogenea, apparentemente priva di componenti calcifiche, di
dimensioni massime 60x51x53 mm, dislocante i nervi ottici che va
incontro a enhancement omogeneo con mdc. Le ipotesi diagnostiche
includono macroadenoma cistico, meno probabilmente craniofaringioma e
astrocitoma ipotalamico. Per stabilire la natura della lesione e
valutare se l’azione compressiva della massa causi alterazioni
dell’assetto ormonale, si eseguono dosaggi basali di prolattina
(Prl), ACTH, cortisolo, fT4, IGF-1, testosterone e un test di stimolo
combinato (GHRH + GnRH + TRH test) per la valutazione della funzione
dell’asse ipotalamo-ipofisario. Tali esami evidenziano livelli
di Prl patologici in tutti i dosaggi (in media 5000 ng/ml),
insufficiente secrezione di GH in risposta allo stimolo, normale
funzione dell’asse ipofisi-gonadi e dell’asse
ipofisi-tiroide, valori basali di ACTH e cortisolemia nei range della
norma. I dati sono compatibili con diagnosi di adenoma cistico
prolattino-secernente, per cui si intraprende terapia con Cabergolina
al dosaggio iniziale di 0,5 mg/sett che viene progressivamente
incrementato, con riduzione dei valori di prolattinemia, scomparsa
della sintomatologia clinica e negativizzazione dell’esame
neurologico. Secondo dati esistenti in letteratura, la Cabergolina
risulta il farmaco di scelta per il trattamento
dell’iperprolattinemia, in quanto risulta più efficace
nel ridurre il volume tumorale, la secrezione di prolattina e nel
ripristinare la funzione gonadica rispetto alla bromocriptina e agli
altri dopamino-agonisti. La terapia deve essere proseguita per almeno
12 mesi. A seguito della normalizzazione della prolattinemia e della
dimostrazione della riduzione della massa tumorale di almeno il 50%,
è possibile tentare graduale sospensione del farmaco,
monitorando il paziente per identificare precocemente eventuali
recidive. Gli effetti collaterali del trattamento con Cabergolina
includono disturbi fibrotici e infiammatori a carico delle membrane
sierose (pleurite, versamento pleurico, fibrosi pleurica, fibrosi
polmonare, pericardite, versamento pericardico, valvulopatia cardiaca
e fibrosi retroperitoneale).
Ritardo
diagnostico dei tumori cerebrali in età pediatrica: un caso
complicato
U.O.
“F.Vecchio” Oncoematologia Pediatrica - Dipartimento di
Biomedicina dell’Età Evolutiva - I Scuola di
Specializzazione in Pediatria - Università degli Studi di Bari
- Bari
indirizzo
per corrispondenza: maxtato@libero.it
Introduzione:
I segni e i sintomi dei tumori cerebrali in età pediatrica
sono inizialmente eterogenei, aspecifici, insidiosi e non
localizzati; il ritardo nella diagnosi è frequente.
Case
report: Presentiamo il caso di un bambino di tredici anni che ha
iniziato a presentare nel Giugno 2007 episodi ripetuti di vomito, sia
di giorno che di notte, sia a digiuno che postprandiali. Per tale
motivo è stato sottoposto a un primo ricovero ed è
stato dimesso con diagnosi di gastroenterite. Durante un nuovo
ricovero dovuto al persistere della sintomatologia, l’esame
radiografico con contrasto di esofago, stomaco e duodeno ha
evidenziato ernia iatale e pertanto il paziente ha iniziato a
ricevere terapia con procinetici e antisecretori. Per iniziativa dei
genitori il piccolo è stato sottoposto privatamente a
ulteriori indagini diagnostiche (impedenziometria, manometria
esofagea, esofago-gastro-duodeno-scopia (EGDS)) risultate compatibili
con reflusso gastroesofageo da incontinenza cardiale e ipotonia dello
sfintere esofageo inferiore; è stata proseguita la terapia
medica anti-reflusso ma il trattamento ha indotto solamente una
parziale remissione della sintomatologia. Per la persistenza degli
episodi di vomito e grave calo ponderale il paziente è stato
ricoverato nuovamente nell’Ottobre 2007; nel sospetto di vomito
neurologico è stato sottoposto a esame fundoscopico
dell’occhio risultato nella norma e a una valutazione
neurologica che ha messo in rilievo deflessione del tono dell’umore.
È stata ripetuta la EGDS che ha consentito la diagnosi di
esofagite. Il paziente è stato trasferito presso il reparto di
neuropsichiatria infantile nel sospetto di una componente psicogena
del vomito; qui il paziente è stato sottoposto a RMN encefalo
e successiva RMN rachide che hanno mostrato neoplasia cerebellare
mediana estesa fino al bulbo e infiltrante il pavimento del IV
ventricolo e nodulazioni del sacco durale a livello di L5-S1-S2 da
diffusione secondaria liquorale. Il paziente è stato quindi
sottoposto a intervento neurochirurgico con resezione subtotale della
massa intracranica; l’esame istologico è risultato
compatibile con medulloblastoma. Il paziente è stato quindi
sottoposto a radio- e chemioterapia, tuttora in corso.
Conclusioni:
La contestuale esofagite e l’assenza di altri segni e sintomi
di ipertensione endocranica hanno contribuito al ritardo diagnostico.
In caso di sospetto di tumore cerebrale una accurata anamnesi
dovrebbe essere rivolta a ricercare ulteriori segni e sintomi anche
sfumati, come le alterazioni del tono dell’umore, e il ricorso
al neuroimaging dovrebbe essere considerato in caso di mancato
miglioramento clinico.
Reflusso
gastroesofageo e complicanze polmonari tardive in pazienti operati di
atresia esofagea: 5 anni di esperienza
U.O.C.
UTIN, A.U.O. Policlinico “G. Rodolico”, Scuola di
Specializzazione di Catania, Catania.
Indirizzo
per corrispondenza: rachelecunsolo@yahoo.it
L’atresia
esofagea (AE) e la fistola tracheo-esofagea (FTE) sono difetti
congeniti che colpiscono circa 1:4500 nati vivi. Tra il 2004 e il
2008, abbiamo seguito, presso la nostra UTIN, l’outcome
postoperatorio di 20 bambini con AE e FTE, di cui 11 maschi e 9
femmine. L’età gestazionale è stata di 37.4
settimane (range 32 a 41) e il peso alla nascita di gr 2317 (range
1450-3100). Cinque bambini non avevano anomalie associate, 11
presentavano difetti cardiaci, 6 anomalie scheletriche, 6
malformazioni renali, 4 difetti ano-rettali, 2 atresia
duodeno-digiunale. Diciotto casi avevano un’AE di tipo III,
mentre 2 casi di tipo I long-gap. Il 90% dei bambini sono stati
sottoposti ad anastomosi eso-esofagea con chiusura della fistola
entro 48h di vita. La reintroduzione orale del latte è
avvenuta in 8.2 giorni dopo l’intervento chirurgico (range
4-20), e l’alimentazione esclusiva per os in 31.2 giorni (range
17-60). Il 50% dei bambini ha presentato reflusso gastro-esofageo
(RGE) clinicamente significativo. Complicanze respiratorie si sono
verificate in 11 pazienti durante la degenza e in 3 pazienti (A, B e
C) dopo circa 3 mesi dalla correzione chirurgica, causati dal RGE.
Nel caso A il piccolo presentava da tre mesi tosse secca, soprattutto
notturna, accompagnata a crisi di cianosi ed episodi frequenti di
RGE. Il caso B, dopo 90 giorni dalla correzione, ha presentato febbre
elevata e tosse. Nel caso C, dopo 77 giorni dall’intervento, è
insorta dispnea e crisi di cianosi dopo le poppate. Una radiografia
del torace ha messo in evidenza, sia nel caso B che C, un quadro di
polmonite ab-ingestis. Tutti e 3 i casi sono stati sottoposti a
esofagogramma con mdc mostrando la presenza di una stenosi esofagea
che ha necessitato di dilatazione chirurgica. Il RGE e le complicanze
polmonari tardive a esso associate sono frequenti nei pazienti
operati per AE. Sintomi quali tosse persistente che si accentua nelle
ore notturne, disfagia, rigurgiti, crisi di cianosi e soffocamento,
dispnea, wheezing, frequenti bronchiti o broncopolmoniti, devono
allarmare il pediatra di famiglia. Un RGE non riconosciuto e non
adeguatamente trattato può, infatti, alterare la mucosa
esofagea e respiratoria con danni, a volte, irreversibili.
ALTE,
modalità di presentazione e risoluzione: la casistica di
Varese
Clinica
Pediatrica Università degli studi dell’Insubria c\o
Ospedale di Circolo-Fondazione Macchi- Varese
indirizzo
per corrispondenza: nicola.tovaglieri@virgilio.it
Introduzione:
il termine ALTE (Apparent Life Threatening Event) descrive un
episodio clinico a esordio improvviso di apparente minaccia per la
vita di un lattante, e che spaventa l’osservatore,
caratterizzato da apnea associata ad alterazione di colorito cutaneo
e tono muscolare. Abbiamo analizzato le modalità di esordio,
risoluzione e la durata dell’evento.
Materiali
e metodi: abbiamo valutato 130 pazienti (72 M-55,4%- e 58 F-44,6%-;
età media al ricovero 2,1 mesi-DS+1,5-) fra quelli giunti
presso la Clinica Pediatrica di Varese nel periodo 2003-2008 per ALTE
raccogliendo i dati con apposita scheda anamnestica.
Risultati:
l’evento ALTE è avvenuto in 40 casi (30,8%) nel sonno e
in 90 casi (69,2%) in veglia, in particolare in 57 casi a distanza
dal pasto (43,8%), in 11 (8,5%) durante il pasto, in 21 (16,1%) a
fine pasto e una volta dopo lavaggio nasale. In 56 casi (43%) il
piccolo era supino, in 48 casi (36,9%) in braccio, in 8 casi (6,1%)
su un fianco e in 6 casi (4,6%) prono. In 12 casi la posizione non
era specificata. Abbiamo riscontrato in 73 casi (56,2%) apnea molto
prolungata, in 66 casi (50,8%) cianosi, in 42 casi (32,3%) pallore,
in 22 casi (16,9%) iperemia del volto, in 48 casi (36,9%) ipertono e
in 82 casi (63,1%) ipotonia. In 21 pazienti (16,1%) c’è
stata perdita di conoscenza. Sintomi associati all’ALTE sono
stati rigurgiti (17 casi, 13%), tosse (8 casi, 6,1%) e vomito (7
casi, 5,4%). In 30 casi (23,1%) l’episodio si è risolto
spontaneamente. In 100 pazienti (76,9%) è stato necessario un
intervento, con stimolazioni lievi in 63 casi (48,4%), prolungate e
vigorose in 28 casi (21,5%); con ventilazione bocca-naso\bocca in 6
casi (4,6%) e con massaggio cardiaco in 3 casi (2,4%). Spesso i
genitori hanno compiuto manovre errate (scuotimento del piccolo). La
durata media dell’episodio è stata di 108”.
Discussione:
l’ALTE si è verificato più spesso in veglia, a
distanza dal pasto, in posizione supina. Per la risoluzione è
stato spesso necessario l’intervento di un osservatore, non
sempre risultato corretto.
Conclusioni:
è importante che chi si prende cura dei lattanti conosca le
manovre di RCP, per intervenire in modo corretto in caso di
necessità.
Morbilità
e mortalità nell’infanzia: utilità dello
screening elettrocardiografico neonatale
Clinica
Pediatrica Università degli studi dell’Insubria c/o
Ospedale di Circolo-Fondazione Macchi-Varese
indirizzo
per corrispondenza: sia.taje@email.it
Scopo
dello studio è stato valutare, in 5252 bambini residenti nella
provincia di Varese, nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006
l’utilità dello screening ECG neonatale, attraverso
l’analisi delle patologie cardiache rilevate grazie allo
screening stesso confrontandole con i parametri clinici ottenuti dopo
alcuni anni di follow-up. I dati raccolti sono stati analizzati
dall’Istituto di Statistica di Pavia, dalla Prof.ssa Cristina
Montomoli. Su 5252 neonati sono stati riscontrati QTc > 470 msec
in 8 bambini (0,15%), ipertrofia ventricolare in 4 bambini (0.08%),
BBdx in 10 bambini (0,19%), BESV in 11 (0,21%), BEV in 7 (0,13%). Un
bambino presentava una TSV, con FC = 310 b/min e due un ritmo
giunzionale. Tra agosto 2007 e marzo 2009 sono state effettuate 1438
interviste telefoniche di follow-up che hanno evidenziato che 37
bambini (2,58% del totale) hanno sofferto di una patologia cardiaca.
Su 8 casi di QTc > 470 msec riscontrati alla nascita, 4 (pari allo
0,19%) sono stati confermati all’analisi genetica come LQTS
(Long QT Syndrome). Sono stati inoltre riconosciuti 6 bambini
portatori di DIV (0,41%), e 5 portatori di DIA (0,34%), 2 casi di
BBdx, un caso di stenosi polmonare e uno di pericardite causata da
malattia reumatica. Segnalati inoltre 7 casi di soffi funzionali
(pari allo 0,48%) e 7 casi in cui non è stato possibile
specificare la patologia. Mediante lo screening sono stati
individuati e trattati alcuni bambini con QT lungo e altri con
diverse anomalie cardiologiche a potenziale rischio aritmico, non
rilevate all’esame obiettivo.
In
conclusione una diagnosi precoce permette di effettuare interventi
terapeutici prima della comparsa di danni cardiaci gravi e
irreversibili.
Nuovi
test diagnostici per infezione tubercolare - Esperienza presso le
AUSL di Forlì e Ravenna.
1U.O.
Pediatria AUSL Forlì; 2Laboratorio Analisi AUSL
Forlì; 3U.O. Pediatria AUSL Ravenna
indirizzo
per corrispondenza: elena.zamuner@libero.it
Obiettivo:
Verificare l’affidabilità del nuovo test su sangue per
la diagnosi di infezione tubercolare, QuantiFERON TB Gold In - tube
(Cellestis, Australia) (Q). Poiché non esiste un “gold
standard” nella diagnostica TB latente (ITL) abbiamo
selezionato due tipologie di pazienti omogenei da sottoporre a
valutazione con Q.
Metodo:
Tra i bambini afferiti nel periodo 2006-2009 presso la U.O. di
Pediatria di Forlì e di Ravenna e il Laboratorio Analisi di
Forlì abbiamo selezionato i seguenti due gruppi: 1) Gruppo
screening, 58 bambini (età 2-16 anni) provenienti da aree a
elevata endemia, sottoposti a vaccinazione con BCG certificata o
verificata mediante la ricerca della cicatrice cutanea, risultati
positivi allo screening anti-TB mediante Mantoux (M) (? 5mm)
effettuato all’arrivo in Italia, asintomatici e Rx negativi e
sottoposti a Q; 2) Gruppo contatti, 21 bambini (età 2 m-16
anni), contatto stretto di caso indice di TBC polmonare bacillifera
che hanno eseguito una intradermoreazione di Mantoux e che sono stati
sottoposti aQ. Esclusi bambini con Q non determinato. Risultati e
conclusioni:Tra i 58 provenienti da aeree endemiche, solo 5
presentavano M< 10 mm. Il Q è risultato pos in 14 casi
(24%); di questi solo 1 una aveva una M < 10 mm.Tra i 21 contatti,
15 erano nati in Italia (6 da famiglia italiana e 9 da famiglia
immigrata da paesi endemici), 4 in Africa,1 in Albania e1 in
Romania.In17casi il contatto era di tipo intrafamiliare. Il luogo del
contagio è stato locale in 19,mentre negli altri 2 bambini
nati in Italia da immigrati,il contagio potrebbe essere avvenuto
durante un soggiorno nel paese di origine. Il Q è risultato
positivo in 17/21 (80%); 4 neg:1 bambini di 2mesi con M negativa e
sviluppo di TB attiva, 2 con M negativa non hanno contratto
infezione, 1 con M pos, verosimile infezione da m. atipico. Dei 21
bambini, 5 hanno sviluppato malattia TB attiva, gli altri 16sono
stati sottoposti a chemioprofilassi. La positività del Q è
stata riscontrata pressoché in tutti i contatti che hanno
sviluppato infezione(escluso il caso da m. atipici e il lattante di 2
m con anche matoux neg), permette di confermare l’utilità
di questo test soprattutto per riconoscere l’infezione nei
soggetti vaccinati.
Quando
l’anamnesi può nascondere un abbaglio...
1Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste; 2Clinica
Pediatrica, Azienda Osedaliera. “S. Maria degli Angeli”,
Pordenone
indirizzo
per corrispondenza: zemira79@hotmail.com
A. è
una bambina di quasi 4 aa che giunge in PS condotta dai colleghi del
118 in seguito a un episodio convulsivo occorso mentre stava giocando
all’asilo: la bambina è improvvisamente caduta a terra,
la maestra le si è avvicinata, la bambina ha riferito di stare
bene, subito dopo ha presentato un quadro di ipertono generalizzato,
disartria, perdita di coscienza, deviazione dello sguardo e del capo
a dx; l’episodio sarebbe durato circa 5 minuti e seguito da
ipotonia e addormentamento. All’ingresso in Reparto la bambina
appariva soporosa, difficilmente risvegliabile, pallida, apiretica;
glicemia ed esami ematici nella norma; riscontro di bradicardia
sinusale con pressione arteriosa nella norma. Nelle 3 ore successive
la bambina ha continuato a presentare sonnolenza e scarsa reattività,
riferendo a tratti cefalea.
All’anamnesi:
madre in trattamento con Ac. Valproico da 6 aa. per epilessia tipo
Grande Male; non storia di convulsioni febbrili; recente riscontro
casuale di lieve strabismo.
Alla luce
dell’andamento clinico (convulsione in apiressia, segni di
lato, sopore persistente, bradicardia…) e dei rilievi
anamnestici, nel sospetto di una possibile sottostante massa
cerebrale è stata eseguita una RMN del SNC che ha dimostrato
la presenza di una lesione di aspetto vascolare a carico del verme
cerebellare confermata poi dalla valutazione TAC che ha inoltre
dimostrato la presenza di un’emorragia sottotentoriale
derivante dalla lesione malformativa vascolare cerebellare. La
piccola è stata quindi inviata presso il reparto di
neurochirurgia dove è stato eseguito l’intervento di
embolizzazione selettiva con successivo completo recupero clinico.
Addome
acuto ma che sorpresa
1Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste; 2Clinica
Pediatrica, Azienda Ospedaliera “S. Maria degli Angeli”,
Pordenone
indirizzo
per corrispondenza: zemira79@hotmail.com
J. è
un bambino di 8 mesi che giunge al PS per un quadro di pianto
inconsolabile alternato a sopore accompagnati da vomiti ripetuti e
rifiuto del cibo. Riferito alvo chiuso da due giorni.
All’ingresso
il piccolo, di fatto, presentava un quadro di addome acuto con
iniziale stato di shock: appariva sofferente e lamentoso, cute e
mucose asciutte, colorito pallido, tachicardico; addome teso, globoso
e dolorabile con rilievo di silenzio peristaltico.
Data
l’impossibilità di reperimento di un accesso venoso
periferico è stato posizionato un accesso venoso centrale in
sedazione “estemporanea” (ketamina i.m. e Midazolam per
os) ed eseguita una ecografia addominale che ha evidenziato delle
anse ileali distese e ipomobili in fossa iliaca dx; l’RX
diretta dell’addome in bianco ha confermato il quadro
ecografico evidenziando inoltre la presenza di aria libera in addome
(profilo accentuato della anse intestinali e minima falce d’aria
sovraepatica).
Un’occlusione
intestinale con quadro di perforazione, dunque… ma da quale
causa?
All’intervento
chirurgico si è dimostrata la presenza di una estesa
peritonite causata dalla perforazione di un diverticolo di Meckel
“attorcigliato” attorno all’ultima ansa che
appariva strozzata e sofferente con ampia dilatazione del tratto
intestinale prossimale. Data la buona vascolarizzazione ottenuta dopo
la rimozione della strozzatura non è stato necessario
procedere con alcuna resezione intestinale e il piccolo nel corso del
decorso post-operatorio ha lentamente ma progressivamente raggiunto
il completo ripristino della funzione intestinale.
Una
strana psicosi acuta
Neuropsichiatria
Infantile e Neurologia Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: valerio.vellante@live.it
Ragazza
di 14 anni, presenta un quadro clinico compatibile con quadro
psicotico acuto, caratterizzato da disorientamento spazio temporale,
pensiero incongruo, perdita di contatto con la realtà, stato
acuto di agitazione psicomotoria, allucinazioni uditive, gergofasia e
posture catatoniche. Nel contempo si verificano episodi convulsivi di
tipo generalizzato, tonico-clonico, che associati allo stato di
agitazione rendono necessario il trasferimento in rianimazione. I
trattamenti farmacologici (midazolam per controllare lo stato di
agitazione, carbamazepina per l’epilessia, aloperidolo,
promazina per i sintomi psichiatrici e steroidi) si sono rivelati
inefficaci nel controllare la sintomatologia clinica. Dopo la
somministrazione di Immunoglobuline ad alte dosi la sintomatologia è
migliorata rapidamente.Gli accertamenti diagnostici (esami
ematochimici, TAC cerebrale senza mdc, rachicentesi, ricerca Antigeni
virali e pattern autoanticorpale) risultavano negativi. I tracciati
EEG nella fase acuta documentavano la presenza di crisi focali. La
prima RMN documentava la presenza di una lesione in regione temporale
destra che è progressivamente migliorata nei successivi
controlli, parallelamente alla sintomatologia. Attualmente non è
più in terapia con gli antipsicotici ed è in fase di
sospensione la carbamazepina.
Il quadro
clinico, la neuroradiologia e la risposta al trattamento con le
Immunoglobuline ci fanno propendere,dal punto di vista diagnostico,
per un’encefalite limbica, la cui eziopatogenesi nell’adulto
può essere di tipo paraneoplastico, non documentata
strumentalmente in questo caso. È comunque in corso la ricerca
degli Anticorpi antineuronali. A distanza di quattro mesi la ragazza
sta bene, frequenta la scuola e il quadro neuroradiologico si è
completamente normalizzato. Attualmente è in corso un
programma di follow-up. L’encefalite limbica è una
patologia molto rara in età evolutiva e in questo caso la
diagnosi differenziale era con l’esordio di una schizofrenia
acuta.
E
se non fosse un tic? Due casi di Sindrome di Jeavons
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Università di Ferrara
2Clinica
Pediatrica Universitaria, Arcispedale S. Anna di Ferrara
indirizzo
per corrispondenza: luciamarangio@yahoo.it
L’Epilessia
con mioclonie palpebrali e assenze (EMA), o sindrome di Jeavons, è
una forma non comune di epilessia idiopatica generalizzata riflessa,
caratterizzata dalla triade sintomatologica: mioclonie palpebrali con
o senza assenze tipiche; crisi cliniche, scariche EEG (o entrambe)
indotte dalla chiusura degli occhi; fotosensibilità. La EMA è
spesso misconosciuta in quanto i fenomeni più lievi possono
essere confusi con tic facciali, anche per anni: descriviamo i casi
di 2 bambini con EMA, che presentavano ammiccamento oculare
pluriquotidiano, talora seguito da assenze di brevissima durata,
giunti alla nostra osservazione con posta diagnosi di sindrome
ticcosa. La frequenza dell’EMA è del 1.25- 2.7%, con
esordio tra 2 e 14 anni. L’elemento caratterizzante sono le
mioclonie palpebrali, che si presentano marcate e rapide, con
versione verso l’alto dei globi oculari e retropulsione del
capo; si associano talora assenze tipiche. Le crisi, brevi (3-6 sec)
e pluriquotidiane, sono scatenate dalla chiusura degli occhi, sia
essa volontaria, involontaria o riflessa. Tutti i pazienti sono
fotosensibili: le crisi compaiono immediatamente dopo la chiusura
degli occhi in presenza di luce ininterrotta. In oltre il 50% dei
casi sono presenti Crisi Tonico-Cloniche Generalizzate, che a volte
rappresentano il motivo della prima consultazione. La VIDEO-EEG è
fondamentale per la diagnosi, rilevando scariche generalizzate di 3-5
complessi di punte o polipunte-onde, a 3-6 Hz, di durata di 1-6 sec,
che compaiono entro 0.5-2 sec dalla chiusura degli occhi in presenza
di luce. Fenomeno peculiare e controverso della sindrome è
l’autoinduzione delle crisi, scatenate dalla volontaria
chiusura degli occhi, presente talora in pazienti con ritardo
cognitivo. La diagnosi differenziale va posta con condizioni
epilettiche (Piccolo Male con mioclonie palpebrali; Assenze
miocloniche) e non (tic). La EMA è una patologia a lungo
termine, suscettibile di miglioramenti clinici. I farmaci indicati
sono: Valproato, Etosuccimide, Clonazepam e Levetiracetam. Poichè
una adeguata terapia può associarsi a scomparsa delle assenze
e quindi a miglioramento dello sviluppo cognitivo e delle performance
scolastiche, è auspicabile la precoce identificazione e
trattamento della sindrome di Jeavons.
L’importanza
di un’anamnesi accurata… e ripetuta
Clinica
Pediatrica dell’Università di Milano - AO L. Sacco -
Milano
indirizzo
per corrispondenza: chiara_cer@libero.it
Bambina
di 21 mesi viene condotta in Pronto Soccorso per comparsa da alcune
ore di scarsa reattività e difficoltà a mantenere
l’equilibrio, associate nell’ultima ora a cinque episodi
di vomito a getto, in assenza di febbre, alterazioni dell’alvo.
In anamnesi patologica prossima: non traumi recenti né
assunzione incongrua di farmaci; nei tre giorni precedenti l’accesso
in PS riscontro di enterite da verosimile infezione virale con febbre
e alvo diarroico e successiva comparsa di orticaria-angioedema. Per
quest’ultimo sintomo veniva prescritta terapia con tinset (5
gocce per 2 volte/die), con netto miglioramento al controllo dopo 24
ore dall’inizio della terapia.
All’arrivo
in Pronto Soccorso la bimba appariva in discrete condizioni generali,
vigile ma poco reattiva, con cute pallida ma indenne da diatesi
emorragica; eupnoica; presentava un soffio sistolico 1-2/6 al
mesocardio non irradiato e frequenza cardiaca di 110 bpm;
l’obiettività polmonare e addominale risultavano nella
norma; presentava lieve rigidità nucale, pupille isocoriche,
isocicliche, normoreagenti alla luce; non rispondeva allo stimolo
verbale, rispondeva con pianto allo stimolo doloroso. All’ingresso
sono stati eseguiti: EGA arterioso, esami ematochimici, ammoniemia,
valutazione neurologica, RX torace, ECG, TC encefalo, rachicentesi.
Gli accertamenti eseguiti, risultati nella norma, hanno permesso di
escludere un quadro infettivo, eventi acuti del SNC, disidratazione,
alterazioni elettrolitiche, alterazioni del metabolismo e della
coagulazione, aritmie, intossicazione da CO.
Un
ulteriore supplemento anamenstico, nonostante fosse già stato
chiesto precedentemente, ha fatto emergere che circa quattro ore
prima dell’accesso in Pronto Soccorso, la bimba aveva ingerito
circa ¼ di flacone di tinset da 30 ml.
Quesiti
anamnestici posti in modo chiaro e specifico, eventualmente ripetuti
e ulteriormente circoscritti, possono indirizzare verso l’ipotesi
eziologica più probabile, con l’esecuzione di pochi
accertamenti mirati.
Un
caso di rachitismo carenziale: terapia e prevenzione.
Centro
per gli Stati Disendocrini e Dismetabolici, Sezione di Clinica
Pediatrica, Università di Parma
indirizzo
per corrispondenza: margheritacosta@virgilio.it
B., di
famiglia originaria del Marocco ma nata e cresciuta in Italia, giunge
per la prima volta alla nostra attenzione all’età di 22
mesi per scarso accrescimento. In anamnesi emerge che la bambina è
nata a termine da parto eutocico dopo gravidanza materna
normodecorsa. Il peso alla nascita era 2,850 Kg (10°-25°
pct), la lunghezza 48 cm (25° pct). L’adattamento neonatale
è stato fisiologico. L’allattamento con latte materno al
seno è proseguito fino ai 9 mesi. Il divezzamento è
stato regolare e ben tollerato. Non è mai stata effettuata la
profilassi con vitamina D. Non patologie degne di nota in anamnesi
personale. Anamnesi familiare negativa per consanguineità.
All’esame obiettivo la bambina presenta buone condizioni
generali, cute pigmentata, peso, altezza e circonferenza cranica
inferiori al 3° pct, proporzioni corporee conservate, segni
clinici di rachitismo: lieve prominenza delle bozze frontali e
parietali, braccialetto rachitico bilaterale, ingrossamento delle
caviglie, petto carenato e parte inferiore del torace medialmente
infossata, addome prominente. Lo sviluppo psicomotorio è
adeguato all’età. Gli esami di laboratorio dimostrano
livelli sierici di calcio e fosforo ai limiti inferiori della norma,
fosfatasi alcalina e paratormone elevati, di 25-idrossi-vitamina D
ridotti, di 1,25-diidrossi-vitamina D ai limiti inferiori della norma
(Tabella 1). La radiografia del polso mostra slargamento delle
metafisi distali di radio e ulna con segno della frangia, quadro
compatibile con rachitismo in fase florida. I dati anamnestici,
clinici, laboratoristici e radiografici orientano la diagnosi verso
un rachitismo carenziale stadio II-III. Viene pertanto intrapresa
terapia con vitamina D3 alla dose di 5000 UI/die per 3 mesi e calcio
per os alla dose iniziale di 70 mg/Kg per 5 giorni/settimana, a
scalare nell’arco di 4 settimane. Ai controlli effettuati a un
mese e a 3 mesi dall’inizio della terapia si è assistito
alla progressiva normalizzazione degli indici di laboratorio cui è
corrisposto un più graduale miglioramento dei segni clinici e
radiologici (Tabella 1). La bambina continuerà ad assumere
vitamina D alla dose giornaliera di 400 UI.
Diagnosi |
1
mese |
3
mesi |
Unità
di misura | |
Calcio
totale |
8,2 |
9,6 |
9,6 |
mg/dl |
Calcio
ionizzato |
1,25 |
1,25 |
1,22 |
mmol/l |
Fosforo |
2,8 |
3,9 |
5,6 |
mg/dl |
Fosfatasi
alcalina |
1104 |
415 |
202 |
UI/l |
Paratormone |
845 |
- |
47 |
pg/ml |
25-OH-vit.D |
15 |
- |
20 |
ng/ml |
1,25-(OH)2-vit.D |
19 |
- |
- |
pg/ml |
Il
rachitismo è causato dal deficit di vitamina D in età
evolutiva. La causa predominante del rachitismo è
l’insufficiente intake di vitamina D per inadeguata esposizione
diretta alla luce solare e/o insufficiente assunzione di vitamina D.
Rare sono le cause genetiche. La risposta di B.S. alla terapia ha
confermato la diagnosi di rachitismo carenziale. Poiché il
rachitismo può essere causa di grave disabilità, è
di fondamentale importanza la prevenzione primaria del deficit di
vitamina D. L’Accademia Americana di Pediatria raccomanda per
lattanti (a partire dai primi giorni di vita), bambini e adolescenti
sani l’assunzione di 400 UI di vitamina D al giorno, attraverso
supplementi dietetici, se non è possibile con la dieta
(alimenti fortificati con vitamina D).
Un
insolito caso di stipsi
Prima
Clinica Pediatrica, Azienda Ospedaliera Universitaria, Scuola di
Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di
Cagliari, Cagliari
indirizzo
per corrispondenza: martavargiu@tiscali.it
S. è
una bambina di 23 mesi ricoverata presso la nostra clinica per febbre
da due giorni e dolori addominali. All’anamnesi patologica
remota si rileva stipsi da circa due mesi e dimagramento. All’esame
obiettivo si riscontra un addome globoso dolente alla palpazione
superficiale e profonda con aumento del timpanismo enterocolico e una
ragade anale. Gli esami di laboratorio evidenziano leucocitosi
neutrofila (GB 19800/mm3, N 66,4%), indici di flogosi aumentati (PCR
20 mg/dl, VES 97 mm/h), LDH 3464 UI/L, AST 66 UI/L, ALT 22 UI/L,
elettroforesi proteica ed elettroliti nella norma, screening per
malattia celiaca negativo. L’ecografia addome mostra intenso
meteorismo e modica distensione del sigma retto per la presenza di
abbondanti feci formate. Durante il ricovero la paziente esegue
terapia antibiotica e.v. ed enteroclismi evacuativi con emissione di
abbondanti feci. Nonostante ciò S. continua ad apparire
sofferente e fortemente irritabile con quadro addominale invariato.
Si ripete l’ecografia addome che per la presenza di segni
indiretti, pone il sospetto diagnostico di massa addominale. Per tale
motivo esegue VMA Spot Test risultato negativo in due diversi
controlli, RMN addome completo e TC total body con m.d.c. che mettono
in evidenza una massa retroperitoneale disomogenea con grossolane
calcificazioni e componenti d’aspetto necrotico-cistico del
diametro trasverso di 8 cm che si estende in senso cranio-caudale per
12 cm sino alla biforcazione aortica; la massa disloca stomaco,
pancreas, anse intestinali, rene sinistro, vena cava e renale destra,
ingloba l’aorta e le sue principali diramazioni. La paziente
viene trasferita presso l’unità di oncoematologia
pediatrica dove, nel sospetto di neuroblastoma, esegue ulteriori
accertamenti per conferma diagnostica e stadiazione: dosaggio
quantitativo VMA e HVA che si riconferma negativo, dopamina
aumentata, enolasi neurono specifica negativa, scintigrafia ossea
total body negativa e biopsia osteo-midollare con esame
immunofenotipico. Sulla base degli esami eseguiti si conferma
l’ipotesi clinica di neuroblastoma e dallo studio del gene
N-myc, che risulta non amplificato, la malattia viene inserita in un
terzo stadio.
Un
intenso rash in corso di virosi
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: margheritalondero@yahoo.it
A.,
ragazzo di 15 anni, si presenta in PS per la comparsa dal giorno
precedente di un intenso rash pruriginoso localizzato dapprima al
tronco e successivamente estesosi a dorso e arti.
La madre,
che accompagna A, segnala una familiarità (padre) per allergia
al pesce caratterizzata da importante broncospasmo, mentre nega che
il ragazzo abbia mai presentato sintomi attribuibili a una condizione
di atopia.
Al
momento dell’osservazione A. si presenta in buone condizioni
generali, eupnoico con obiettività cardiorespiratoria nella
norma, addome trattabile con margine epatico e splenico con
caratteristiche parenchimatose ben palpabili a 1.5 cm dall’arcata
costale; al tronco e arti appare evidente un intenso rash eritematoso
puntiforme.
Il
ragazzo riferisce di essere al quinto giorno di terapia antibiotica
con amoxicillina e acido-clavulanico prescritta dal curante per una
faringite accompagnata da febbre insorta la settimana precedente.
Nel
dubbio di mononucleosi viene eseguito un Monotest, risultato poi
positivo. Il ragazzo viene mandato a casa in terapia con cortisonico
per os e antistaminico al bisogno.
L’esantema
indotto da ampicillina/amoxicillina in corso di mononucleosi può
essere distinto dal rash spontaneo indotto dal virus perché
più severo e generalizzato, con interessamento di faccia,
collo, tronco, estremità, e talvolta palmi di mani e piedi.
L’esantema antibiotico indotto è pruriginoso,
solitamente non si presenta prima di 5-8 giorni dall’avvio
della terapia, e ha una durata superiore, di circa una settimana.
Benché l’esatto meccanismo fisiopatologico non sia noto,
è stato dimostrato che i pazienti con mononucleosi infettiva
non producono spontaneamente anticorpi contro l’ampicillina. Si
ritiene che un eccesso di risposta immune o una diminuita tolleranza
del sistema immunitario nei confronti di certi farmaci possa essere
responsabile di questo fenomeno. Nella maggior parte dei casi,
l’eruzione farmaco associata è un fenomeno transitorio,
che tra l’altro non controindica l’ulteriore
somministrazione dell’antibiotico nel soggetto interessato.
Una,
nessuna… centomila: tante facce, una malattia
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: ineslerario@gmail.com
Tre
bambini, 3 storie diverse, un’unica malattia.
F. è
un bambino di 9 mesi con Malattia Granulomatosa Cronica (CGD)
(positività del test al superossido e dell’NBT test).
Diagnosi posta per scarsa crescita, puntate febbrili serotine e
ipertransaminasemia. L’ecografia addominale evidenziava
multiple lesioni epatiche iperecogene rotondeggianti confermate alla
TC addominale: lesioni ovalari e rotondeggianti (tra 8 e 30 mm circa)
disseminate in entrambi i lobi epatici (> destra). Quella di
Francesco è una CGD con un importantissimo e precoce
coinvolgimento epatico di tipo ascessuale. Le lesioni sono quasi
completamente regredite con terapia antibiotica (Clindamicina,
Ciprofloxacina) e antifungina (Voriconazolo) endovenosa associata a
corticosteroide. Genetica in corso (verosimilmente una forma
x-linked). In attesa di trapianto di midollo osseo (TMO).
Y. è
un bambino di 7 anni con CGD (forma AR), diagnosi posta per la
presenza di linfoadenite suppurativa laterocervicale recidivante e
osteomieliti dall’età di 4 anni. A livello polmonare
presente alla TC una lesione delle dimensioni di 7.4 cm x 4 cm
riccamente vascolarizzata compatibile con Aspergilloma. Una riduzione
volumetrica si è ottenuta con terapia antifungina
(Voriconazolo) e corticosteroidea, l’eradicazione è
stata completa solo grazie ad asportazione chirurgica dell’intero
lobo polmonare superiore sinistro. Ha eseguito TMO e attualmente sta
bene.
M. è
un ragazzo di 16 anni con diagnosi di CGD (forma AR) formalizzata
circa 1 anno fa e seguito da circa 10 anni per un Crohn
corticodipendente e scarsamente responsivo a vari tentativi con
farmaci immunosoppressori (talidomide, infliximab, azatioprina,
metotrexate, adalimumab). La sua storia clinica non si è mai
caratterizzata per infezioni polmonari, ossee o di altre sedi
tipiche, essendo la sua unica localizzazione di malattia quella
intestinale. Anche M. è in attesa di TMO.
Stipsi
e non solo…
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: stefaniacrocco@yahoo.it
L., 11
anni e ½, viene alla nostra attenzione perché da un
anno lamenta dolori addominali ricorrenti (2-3 volte a sett.) di tipo
crampiforme, associati a stipsi ostinata. La radiografia diretta
dell’addome conferma la presenza di coprostasi ma il problema
non si risolve con trattamenti a base di senna e macrogol. Gli
accertamenti ematici eseguiti mostrano un progressivo rialzo degli
indici di flogosi (VES da 29 a 58 mm/h, PCR da 0,2 a 1 mg/dl),
associato a quello della calprotectina fecale (160,6 mg/kg), in
assenza di alterazioni delle anse intestinali visibili all’ecografia
dell’addome. Gli esami di laboratorio ci hanno indotto
all’esecuzione di ileoscopia mediante videocapsula, e
successivamente di EGDS e colonscopia che hanno confermato il
sospetto di morbo di Crohn.
E., 4
anni e mezzo, da sempre stitica, da circa 6 mesi, presenta una
diarrea, definita a crisi “esplosive”, associata a
encopresi e a urgenza alla defecazione, oltre che a dolori
addominali, che si risolvono con l’ evacuazione; lo stato
nutrizionale e la crescita non appaiono compromessi.
La storia
sembra proprio quella di una diarrea paradossa. Tuttavia l’assenza
di coprostasi all’ Rx diretta addome e il notevole rialzo degli
indici di flogosi (VES 120 mm/h e PCR 3 mg/dl), già alterati
pochi mesi prima ma ingannevoli perché effettuati in coda a
una mononucleosi, hanno indotto il sospetto di una MICI. L’esecuzione
della colonscopia ha consentito effettivamente la diagnosi di
rettocolite ulcerosa (RCU).
Considerazioni:
La letteratura riporta che il 26.2% dei pazienti con RCU e il 5% di
quelli con morbo di Crohn presentano stipsi.
Dunque,
di fronte a una stipsi ostinata anche associata a encopresi, in
presenza di rialzo degli indici di flogosi, è opportuno
approfondire le indagini. Uno di queste è il dosaggio della
calprotectina fecale.
In
letteratura è descritta come marcatore semplice, non invasivo
e poco costoso, (anche se poco specifico) che, pur non potendo
rimpiazzare le pratiche invasive, aiuta a discriminare quali pazienti
sottoporre a esame endoscopico.
Glutei
d’acciaio
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: alisonshardlow@alice.it
Giunge
alla nostra osservazione A., bambino di 3 anni, la cui storia inizia
a un anno di vita con la comparsa di noduli sottocutanei a livello
delle cosce. I genitori nel frattempo, notano che il bambino inizia a
muoversi un po’ meno e preferisce giocare “da seduto”.
Alla visita si apprezzano, ai quattro arti, alcuni noduli
sottocutanei duri, non dolenti né dolorabili, confluenti, più
evidenti nei segmenti prossimali e in particolar modo in
corrispondenza dei glutei con cute sovrastante normale. Alle
interfalangee prossimali (IFP) delle mani sono ben riconoscibili
lesioni papulari iperemiche e al volto il rash violaceo palpebrale.
Ricostruendo la storia del bambino: astenia muscolare prossimale,
papule di Gottron alle IFP delle mani e il rash eliotropo…il
pensiero alla Dermatomiosite era praticamente obbligato!
Effettuiamo
alcuni accertamenti di laboratorio (enzimi muscolari nella norma, LDH
lievemente aumentato, indici di flogosi negativi); RMN degli arti
inferiori che mostra un’aumentata intensità del segnale
ai muscoli quadricipiti come da infiammazione. Per indagare la natura
delle lesioni sottocutanee eseguiamo una radiografia degli arti
inferiori che evidenzia grossolane e disomogenee calcificazioni in
parte confluenti che interessano le parti molli di entrambe le cosce
e cingolo pelvico.
Per il
coinvolgimento molto eclatante di muscolo, cute e alterazioni degli
esami di laboratorio seppur modeste, abbiamo formalizzato la diagnosi
di dermatomiosite e avviato terapia con steroide e methotrexate.
Discussione:
la calcinosi nella dermatomiosite compare molto spesso 1-3 anni dopo
l’esordio della malattia, tuttavia sono descritti casi in cui
la accompagna già all’esordio e altri in cui è
visibile 20 anni più tardi. I siti più spesso coinvolti
sono gomiti, ginocchia, dita e glutei. Le calcificazioni possono
comparire in 4 forme: placche o noduli sottocutanei, depositi che si
estendono ai muscoli, calcinosi lungo i piani fasciali e che possono
determinare contratture e la calcinosi diffusa. La calcinosi può
determinare ulcerazioni cutanee, alterazione della funzionalità
articolare, contratture, dolore in seguito all’intrappolamento
di strutture nervose. Non si conosce nello specifico la patogenesi di
questo fenomeno: esso sembra essere associato ad aumentata produzione
locale di TNF-alfa. La calcinosi è associata al ritardo
diagnostico e alla lunga durata di una malattia non trattata. Può
andare incontro a regressione spontanea anche se è più
probabile la progressione in corso di malattia cronica, specie se non
trattata con terapia adeguata.
Prolasso
rettale recidivante in un lattante: può nascondere una
patologia importante
Clinica
Pediatrica, Università degli Studi di Ferrara, Ferrara
indirizzo
per corrispondenza: martimaine@libero.it
Descriviamo
il caso di S.,10 mesi, che giunge in PS per prolasso rettale dopo
l’evacuazione; alvo sempre regolare. Non presenti alterazioni
mucose all’esplorazione anale. Il prolasso viene ridotto
manualmente. A 11 mesi torna per un nuovo episodio di prolasso
rettale: l’ecografia addominale risulta a norma, si esegue
riduzione manuale e si prova terapia con rammollitori fecali. Gli
episodi tuttavia diventano sempre più frequenti. All’età
di 15 mesi viene quindi eseguita una rettoscopia che evidenzia, a 18
cm dall’ano, un voluminoso polipo sessile di natura
infiammatoria cloacogenica. Poche settimane più tardi, in
occasione di una nuova recidiva associata a ematochezia; si esegue
colonscopia che rileva polipo del sigma. L’istologia ne
documenterà la natura amartomatosa (tipo Peutz-Jeghers). A
seguito della rimozione endoscopia del polipo, il piccolo non ha più
presentato prolasso rettale né altra sintomatologia
addominale. Il follow-up eseguito nei tre anni successivi (endoscopie
annuali), ha evidenziato la presenza a livello gastrico di piccoli
polipi di mucosa gastrica con iperplasia foveolare e di 2 polipi di
tipo amartomatoso. L’indagine genetica ha documentato delezione
degli esoni 2 e 3 del gene LKB1, confermando la diagnosi di sindrome
di Peutz-Jeghers (PJS).
Data
l’età, il piccolo non ha presentato ancora chiazze
melaniniche cutanee o mucose.
Sebbene
la PJS riconosca un erediterità autosomica dominante, non è
presente familiarità per poliposi nella famiglia di S. È
tuttavia noto che nel 35% dei casi possono presentarsi mutazioni
ex-novo.
Dato la
nota predisposizione di questi pazienti a sviluppare neoplasie del
tratto gastrointestinale, sarà necessario proseguire il
follow-up annuale che, quando l’età del bambino lo
consentirà, sarà arricchito dell’ausilio ormai
indispensabile della videocapsula.
Kawasaki:
non è mai troppo tardi!
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: giulia.paloni@libero.it
Giunge
alla nostra attenzione un ragazzo di 16 anni per la presenza di
febbre, rash cutaneo e urine ipercromiche, sintomi comparsi nei due
giorni precedenti all’accesso in Pronto Soccorso. Sulla cute
del tronco e degli arti è presente un rash maculo-papulare
costituito da piccoli elementi, che tendono a confluire; le lesioni
scompaiono con la digitopressione; il faringe è iperemico, sul
palato molle ci sono alcune petecchie; la milza appena palpabile;
negativa la restante obiettività. Ci consegna un campione
delle urine (sono proprio arancioni!), lo stix è positivo per
bilirubina. Dopo un attimo di esitazione per la bilirubinuria ci
convinciamo che, con quella cute e quella gola, la diagnosi più
probabile al momento è la scarlattina (in letteratura le
segnalazioni di iperbilirubinemia in corso di scarlattina si contano
sulle dita di una mano e sul Nelson nessun riferimento in merito).
Avviamo quindi l’amoxicillina e programmiamo un controllo
ravvicinato per verificare lo sfebbramento. Due giorni più
tardi il ragazzo è ancora febbrile, più sofferente, c’è
ancora il rash. Gli esami ematici mostrano un’iperbilirubinemia
diretta (4.77 mg/dl con diretta 3.35 mg/dl), un aumento delle GGT -86
U/L- e degli indici di flogosi (leucocitosi neutrofila e aumento di
VES -54 mm/h- e PCR -9 mg/dl-). Ci troviamo quindi di fronte a una
malattia febbrile con rash cutaneo e colestasi. Per la mononucleosi
(febbre senza risposta all’amoxicillina, rash cutaneo e
interessamento epatico) manca la linfomonocitosi (non sempre presente
all’inizio) e non ci sono cellule di Downey allo striscio.
L’ecografia dell’addome mostra una lieve splenomegalia e
un ispessimento omogeneo della parete della colecisti. Ci prendiamo
ancora un po’ di tempo. Il ragazzo ritorna. Siamo ormai al
sesto giorno di febbre e questa volta notiamo la comparsa di un
eritema palmo-plantare, edema del dorso delle mani e dei piedi e una
congiuntivite sierosa bulbare. Pensiamo a una Kawasaki (età
non proprio usuale!). L’ecocardio è negativa per
aneurismi o altro interessamento cardiaco; la visita oculistica nega
l’iridociclite. Pronto sfebbramento dopo l’avvio di
immunoglobuline endovena (IGIV) 2 gr/kg e acido acetilsalicilico.
Caso fin
troppo banale se il “bambino” avesse avuto meno di 5
anni! Di fronte a una clinica suggestiva non bisogna farsi
scoraggiare dall’età, infatti in letteratura sono
riportati casi di Kawasaki in adolescenti e adulti che tipicamente
esordiscono con manifestazioni atipiche e hanno una prognosi
peggiore.
La
vaccinazione anti-influenzale nei bambini con malattia oncologica
1U.O.
“F.Vecchio” Oncoematologia Pediatrica - Dipartimento di
Biomedicina dell’Età Evolutiva - I Scuola di
Specializzazione in Pediatria - Università degli Studi di Bari
- Bari
2Dipartimento
di Scienze Materno-Infantili - Università degli Studi di
Milano, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e
Regina Elena - Milano
indirizzo
per corrispondenza: dorianamato@libero.it
Introduzione
e Obiettivi: L’influenza è una malattia particolarmente
severa nei bambini affetti da tumore. Sebbene la vaccinazione
antinfluenzale sia raccomandata ai bambini con patologie croniche, e
specialmente con patologie neoplastiche, la copertura vaccinale in
questo gruppo rimane bassa. L’obiettivo del nostro studio è
stato quello di confrontare la copertura vaccinale antinfluenzale nei
bambini fuori terapia per malattie oncologiche e in bambini sani, di
indagare quali fattori influenzino la pratica vaccinale e ricercare
modalità per aumentarla.
Metodi:
Casi: bambini fuori terapia per malattia oncologica; controlli:
bambini sani. Studio in due fasi. Fase 1: È stato
somministrato un questionario ai genitori dei soggetti arruolati
riguardante la situazione vaccinale dei loro figli nella stagione
influenzale 2005-2006. Fase 2: Ai genitori dei bambini fuori terapia
per malattia oncologica è stata proposta la vaccinazione
antinfluenzale per i loro figli gratuitamente, per la stagione
2006-2007, con tre modalità differenti, previa randomizzazione
dei soggetti in tre gruppi: nel primo gruppo i genitori sono stati
contattati direttamente dai medici del centro di riferimento
oncologico che hanno offerto la vaccinazione gratuita presso
l’ambulatorio di oncologia; nel secondo gruppo i genitori sono
stati contattati egualmente dai medici del centro di riferimento che
hanno offerto la vaccinazione gratuita nello stesso ospedale, ma in
un ambulatorio diverso; nel terzo gruppo i genitori sono stati
contattati da un medico esterno al centro di riferimento che ha
offerto la vaccinazione gratuita presso un ambulatorio esterno.
Risultati Fase 1: 72 di 400 (15%) tra i bambini sani e 53 di 199
(24.12%) tra quelli oncologici sono risultati vaccinati contro
l’influenza nella stagione 2005-2006, il fattore che
maggiormente ha influenzato i genitori nella scelta della pratica
vaccinale è risultato essere la raccomandazione del medico,
soprattutto nel gruppo degli oncologici. Fase 2: Le tre strategie
vaccinali proposte si sono rivelate tutte egualmente efficaci
nell’incrementare la quota di copertura vaccinale
antinfluenzale tra i bambini oncologici da 24.12% della stagione
2005-2006 al 52.68% registrato nella stagione 2006-2007. Inoltre, in
questo gruppo, la vaccinazione si è rivelata utile nel ridurre
di circa il 50% il numero di infezioni respiratorie e
gastrointestinali durante la stagione influenzale. Conclusioni Fase
1: La nostra ricerca è giunta alla conclusione che i genitori
riferiscono che a consigliare loro la vaccinazione antinfluenzale è
principalmente il Pediatra di Famiglia per i bambini sani, il Medico
del Centro di Riferimento per i pazienti oncologici. Infatti, è
la raccomandazione del medico a diventare la ragione principale per
un genitore, sia di un bambino sano che di uno con patologia
neoplastica, a far somministrare la vaccinazione contro l’influenza
al proprio figlio. Inoltre nelle classi di bambini oncologici gioca
un ruolo importante anche il timore che l’infezione influenzale
possa aggravare la patologia di base. Fase 2: Le tre strategie
vaccinali si sono rivelate egualmente utili nell’incrementare
la copertura vaccinale nella popolazione degli oncologici. È
dunque di forte impatto il ruolo che i genitori affidano al Pediatra
di Famiglia o del Centro di Riferimento, nel consigliare e far
eseguire la vaccinazione antinfluenzale.
Spondilodiscite
in una bambina di due anni
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: patty76@aliceposta.it
E. è
una bambina di 2 anni che apparentemente all’improvviso, mentre
salta per gioco sul letto, cade e inizia a lamentare dolore intenso
in regione lombare con rigidità del tronco, incapacità
a stare seduta e a deambulare. A distanza di circa una settimana
dall’esordio della sintomatologia algica, si osserva la
comparsa di una tumefazione teso-elastica lombare a localizzazione
paravertebrale sx per cui vengono eseguiti radiografia rachide,
bacino arti inferiori, ecografia dei muscoli para-vertebrali e delle
anche negativi.
All’ingresso
in reparto la bambina si presenta in condizioni generali buone ed è
apiretica. Si evidenzia l’assoluta incapacità e il
rifiuto sia nel mantenere la posizione eretta che nel camminare senza
appoggio, riesce però a gattonare e a stare seduta; non
controlla ancora gli sfinteri. Si conferma la tumefazione
teso-elastica paravertebrale a livello lombare.
Viene
effettuata RMN con m.d.c. del tratto dorso-lombare che documenta un
coinvolgimento flogistico a carico del disco interposto L3-L4 con
colata lungo tutto il muscolo psoas omolaterale.
Gli esami
ematologici evidenziano solo lieve elevazione degli indici di
flogosi, in particolare VES 44 mm/h e piastrine 776000. Gli esami
colturali e le indagini sierologiche non consentono l’identificazione
di un agente eziologico responsabile del quadro clinico: Bartonella,
Vidal-Wright, Mantoux e Quantiferon, titolo antistafilolisinico, EBV
negativi.
Viene
intrapresa terapia antibiotica per via parenterale con Teicoplanina e
Ceftriaxone associata ad Azitromicina per due settimane seguita da
Amoxi-clavulanico e Rifampicina per altre 3 settimane. Inoltre viene
associato l’uso di un corsetto su misura.
Al
controllo RMN successivo si apprezza una regressione netta della
colata flogistica a carico del muscolo psoas. Clinicamente non si
evidenzia più la tumefazione in sede lombare paravertebrale,
la sintomatologia dolorosa scompare permettendo alla piccola di
muoversi e di avere una deambulazione progressivamente normale.
Il
tallone d’Achille
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: alisonshardlow@alice.it
Vediamo
M., 4 anni, per improvvisa zoppia esordita circa 2 settimane prima,
senza apparente causa scatenante. La caviglia destra presenta
tumefazione e limitazione dolorosa senza febbre e sintomatologia
sistemica. La madre infermiera fa eseguire una radiografia della
caviglia che mostra un’area di radiotrasparenza a livello
dell’astragalo e modica tumefazione delle parti molli della
caviglia. Primi pensieri: infezione o malignità? Esami di
laboratorio negativi (emocromo, indici di flogosi, AST, ALT, LDH,
ferritina, trigliceridi, marker tumorali). Nell’ipotesi di
osteomielite avviamo terapia antibiotica endovenosa con clindamicina.
La TAC senza e con mezzo di contrasto mostra un’area
rotondeggiante di osteolisi di diametro poco superiore al centimetro,
a margini netti, sul versante posteriore della troclea astragalica;
ampia interruzione della corticale ossea senza reazione periostale;
lieve versamento intrarticolare. In RMN, dopo mezzo di contrasto si
evidenzia impregnazione ad anello e area centrale ipointensa.
Escludiamo radiologicamente altre localizzazioni di malattia ossee e
viscerali. Eseguiamo biopsia ossea e currettage chirurgico della
lesione. L’esame colturale del campione risulta negativo,
pertanto sospendiamo la terapia antibiotica. L’istologia mostra
proliferazione fibroconnettivale, edema e modesto infiltrato
cellulare polimorfo con granulociti anche eosinofili, linfociti e
plasmacellule; rari istiociti. Si tratta di un quadro
radiologicamente e istologicamente suggestivo per granuloma
eosinofilo in assenza di riscontro all’immunoistochimica dei
markers tipici (proteina S100 e CD1a). Ripetiamo TAC di controllo a
un mese dall’intervento: rispetto al precedente si osserva
addensamento osseo con sclerosi dei bordi, segno di evoluzione in
senso riparativo.
Discussione:
l’esordio di un’artrite monolocalizzata, senza febbre e
con un laboratorio non molto espresso, in una bambina piccola fa
ipotizzare una artrite idiopatica giovanile monoarticolare. La
radiografia prontamente eseguita ha evidenziato una lisi ossea da
probabile granuloma eosinofilo. Take home message: non fate diagnosi
di AIG monoarticolare senza prima aver eseguito una radiografia
dall’articolazione colpita!
A
mali estremi estremi rimedi
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: domenica_giglia@hotmail.com
Gli
emangiomi sono i tumori più frequenti in età
pediatrica, in genere si manifestano nei primi mesi di vita e
successivamente vanno incontro a spontanea involuzione (il 60% entro
il 5° anno di vita e il 90-95% entro i 9 anni). Nei casi in cui
l’emangioma è molto esteso o interferisce con funzioni
vitali come la visione, la respirazione o la deglutizione, si rende
necessario trattamento terapeutico che a seconda delle
caratteristiche può essere di tipo chirurgico (anche
laser-terapia) o medico (cicli di Prednisone a alto dosaggio per via
orale o iniezione intralesionale di corticosteroidi).
Sulla
base delle recenti segnalazioni in letteratura (NEJM; 2008, 358;24),
di straordinari risultati in seguito all’uso del Propranololo
(rapida riduzione delle dimensioni dell’emangioma, senza gli
effetti collaterali legati all’uso di steroide) abbiamo avviato
presso il nostro Istituto, dall’inizio del 2009 uno studio
randomizzato in aperto per il trattamento degli emangiomi capillari
(propanololo vs cortisone). I bambini randomizzati nel gruppo
Propranololo, dopo un valutazione basale che comprende visita
cardiologia con ECG ed Ecocardio e studio di imaging della lesione,
ricevono dosi gradualmente crescenti del ?bloccante fino al
dosaggio di 2 mg/kg. Durante l’avvio del trattamento sono
costantemente monitorati la FC e la PA. Per uno stretto monitoraggio
sono previsti inoltre successivamente dei controlli ecografici e
radiologici dopo 1 settimana e dopo a 1-2-3-6-12 mesi di trattamento
a dose piena. Dall’inizio del 2009 abbiamo trattato con
Propranololo 4 bambini (4F) di età compresa tra 6 mesi e 3
anni. In 2 su 4 casi abbiamo assistito a una immediata (già
dal giorno successivo all’avvio del trattamento) riduzione
della tumefazione visibile obiettivamente ed ecograficamente senza
effetti collaterali legati al farmaco. In un caso invece, in bambina
di 3 anni, in cui avevamo avviato il trattamento con Propranololo,
per uso compassionevole, non abbiamo assistito ad alcun beneficio
assistendo invece alla comparsa di vomito e diarrea che ci ha indotto
a sospendere rapidamente il trattamento, in un altro (bambina di 3
anni) parziale beneficio. In casi selezionati il Propranololo offre
una concreta opportunità di risoluzione.
Sull’encefalite
da rota
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: domenica_giglia@hotmail.com
D. è
un bambino di 16 mesi condotto in PS per una crisi convulsiva tonica
generalizzata, primo episodio, senza familiarità per crisi
epilettiche. All’arrivo in PS, D. ha presentato un’altra
crisi prontamente trattata con Diazepam e immediatamente risolta. In
anamnesi storia di episodi di vomito e diarrea da qualche giorno,
senza febbre. Il bambino alternava momenti di irritabilità a
momenti di sopore, non aveva segni meningei, ha presentato altre due
crisi toniche generalizzate nell’arco della giornata. Sono
stati eseguiti esami ematici (emocromo, elettroliti, indici di
flogosi: nella norma), esame del liquor (limpido, senza batteri né
PMN, con normale glico e proteinorrachia) ed EEG e TC cerebrale che
hanno invece evidenziato un lieve aumento di attività lenta
posteriore e un lieve edema cerebrale, compatibili con un quadro di
encefalite. Pur se poco probabile, nell’ipotesi di una
encefalite erpetica è stata avviata terapia con aciclovir,
associata al cortisone x ev. Durante il ricovero il bambino ha
continuato ad avere diarrea profusa (15 scariche/die), necessitando
dell’idratazione endovena. Il giorno successivo si è
avuta conferma della negatività del liquor per enterovirus,
herpesvirus e rotavirus; quest’ultimo invece è stato
isolato nelle feci. Abbiamo pertanto interrotto la terapia antivirale
e gradualmente sospeso il cortisone. Il bambino non ha mostrato alcun
esito alla dimissione. Riteniamo che D. abbia presentato quindi
un’encefalite di grado lieve con convulsioni legate
all’infezione intestinale da rotavirus. La più recente
letteratura ipotizza a tal proposito due meccanismi patogenetici: uno
infiammatorio legato alla maggiore concentrazione di citochine (IL 6
e IL 8) associato a manifestazioni extraintestinali come febbre e
convulsioni. Alcune casistiche dimostrano infatti maggiori livelli di
citochine nel liquor di bambini che presentano convulsioni in corso
di infezione da rotavirus (sia rispetto a soggetti con infezioni da
Rotavirus ma senza convulsioni, che rispetto a soggetti sani).
L’altra ipotesi è di tipo citotossico in cui una tossina
(NSP4) attraverso il danno della mucosa gastrica raggiunge il SNC e
inibisce la mobilizzazione di Ca intracellulare. Sono necessari
comunque ulteriori studi.
Tuttavia
sono necessari altri studi a tal proposito.
Un
caso di linfedema
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste; 2 Dipartimento di
Genetica Medica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Genetica, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: alisonshardlow@alice.it
Caso
clinico: P. è un ragazzo di 13 anni che è giunto alla
nostra attenzione per la comparsa, dall’età di 11 anni,
di tumefazione bilaterale agli arti inferiori, maggiormente evidente
la sera, in assenza di dolore e impotenza funzionale delle
articolazioni coinvolte. Nella sua storia clinica riferiti un DIA
cardiaco e pervietà del dotto di Botallo (presenti alla
nascita e regrediti spontaneamente), facies particolare (orecchie a
impianto basso, filtro nasale allungato e pterigium colli), crescita
sopra il 90° percentile in peso e altezza. Obiettivamente P.
presentava edema dei tessuti molli, improntabile, localizzato
unicamente alle caviglie e dorso dei piedi, senza segni di flogosi.
Abbiamo eseguito alcuni accertamenti che hanno permesso di escludere
la presenza di cause secondarie di edema degli arti inferiori:
ecografia addome-pelvi (cause compressive quali tumori),
ecocolordoppler arti inferiori (trombosi venosa profonda - TVP),
esami di laboratorio (protidemia, ormoni tiroidei, LDH nella norma,
indici di flogosi negativi, proteinuria assente). Escluse le
principali cause di linfedema secondario è stata considerata
la natura sindromica dello stesso: in particolare è stata
valutata la sindrome di Noonan, ritenuta poi clinicamente poco
probabile (altezza >97° percentile). Successivamente è
stata riscontrata nel DNA del ragazzo una mutazione de novo del gene
FOXC2. È stata dunque formulata diagnosi di sindrome
linfedema-distichiasi.
Discussione:
il linfedema origina da un rallentamento nel deflusso linfatico che
può essere determinato da ostruzione, compressione o ipoplasia
dei dotti linfatici. È importante, di fronte a ogni nuovo caso
diagnosticato, escludere la presenza di cause secondarie. Secondo
step riguarda lo studio di forme sindromiche ed ereditarie. Da un
punto di vista classificativo, il linfedema si distingue in primitivo
(ereditario, sindromico e non, e idiopatico) e secondario (infezioni,
tumori, radioterapia, ipo-ipertiroidismo, TVP, chirurgia, traumi,
scompenso cardiaco congestizio, ipoprotidemia). La sindrome
linfedema-distichiasi è una forma di linfedema ereditario con
mutazione del gene FOXC2 caratterizzata, come dice il nome stesso, da
linfedema (specialmente agli arti inferiori), distichiasi (doppia
fila di ciglia presente nel 94%dei casi) e altre anomalie tra cui
quelle cardiache.
Una
diarrea muco-ematica
Clinica
Pediatrica, Università degli Studi di Ferrara, Ferrara
indirizzo
per corrispondenza: martimaine@libero.it
Descriviamo
il caso di G., giunta alla nostra attenzione a 25 mesi per storia di
diarrea mucosa,a volte ematica,iniziata 4 mesi prima. Anamnesi
fisiliogica negativa. Ricovero a 19 mesi per episodio di angioedema
dopo ingestione di dolce a base di nocciole, in seguito al quale
l’alimento è stato eliminato dalla dieta. Accertamenti
ematici nella norma (ipereosinofilia periferica), negativi gli indici
di flogosi e la sierologia per celiachia.Quando giunge presso il
nostro DH G. è in buone condizioni generali,non mostra segni
clinici di anemizzazione, l’esplorazione rettale è
negativa. È già stata precedentemente eseguita
colonscopia che ha documentato l’assenza di lesioni
macroscopiche mentre l’esame bioptico del colon sinistro ha
mostrato “infiltrato eosinofilo (> 60 per campi di visione a
40x) della lamina propria”, quadro compatibile con colite
eosinofila. Permane alvo con muco e positività per sangue
occulto fecale. Gli indici di flogosi rimangono negativi, non
anemizzazione, non viene più documentata ipereosinofilia
periferica; le IgE totali e specifiche per proteine del latte
risultano incrementate. Considerati la storia familiare e personale
di atopia, la positività delle IgE, e soprattutto il referto
istologico, viene iniziata dieta di eliminazione per proteine del
latte vaccino per 3 settimane con successivo scatenamento senza
alcuna variazione della situazione clinica. Un approccio con dieta a
basso potenziale antigenico sembra poco proponibile vista anche l’età
della bimba. Si decide pertanto di avviare trattamento
corticosteroideo per os con Prednisone alla dose di 2 mg/kg/die per 2
settimane e poi a scalare in 4 settimane. Nel frattempo è
risultata anche positività degli ANCA perinucleari, anticorpi
che possono essere correlati RCU (patologia per la quale G. ha
familiarità), ma il cui incremento può anche
verificarsi in modo aspecifico in corso di flogosi intestinale. Ci
riproponiamo pertanto di seguire l’andamento clinico e di
eseguire rivalutazione endoscopica in caso di mancata risposta alla
terapia steroidea.
Un
caso di pneumotorace
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: margheritalondero@yahoo.it
S., 16
anni, sportivo agonista, si presenta in Pronto Soccorso per
improvvisa comparsa di dolore toracico e dispnea durante un
allenamento. Il ragazzo non ha alcun precedente clinico, ogni anno
viene sottoposto a visita sportiva per attività agonistica,
risultata sempre nella norma. In anamnesi familiare nessuna morte
acuta improvvisa per accidente cardio-vascolare né per
patologia cardiaca. All’ingresso in PS S. appare molto
sofferente, pallido, sudato, tachidispnoico con FR 60 atti/minuto:
descrive il dolore come molto intenso, trafittivo, ad andamento
postero-anteriore con irradiamento all’emitorace sx, esacerbato
con gli atti del respiro. L’inspirio profondo è
limitato. Il polso radiale è piccolo, aritmico, al
pulsi-ossimetro non è possibile rilavare la saturazione (SaO2)
plasmatica. All’ispezione del torace si evidenzia
immediatamente asimmetria degli emitoraci con emicostato sinistro
ipomobile ipoespanso. Non crepitii sottocutanei alla palpazione in
sede sovra-claveare sx. All’auscultazione toracica il murmure
vescicolare è normotrasmesso, simmetrico su tutti i campi
esplorati senza rumori aggiunti patologici. L’attività
cardiaca risulta regolare con FC 90 atti/minuto. Il ragazzo esegue
subito un tracciato ECG, che risulta nella norma, e una RX del
torace, che evidenzia una falda di pneumotorace (PNX) apicale a
sinistra. La SaO2 risulta del 98%. L’incidenza del PNX
spontaneo in età pediatrica è di 12 casi su 100.000 con
un rapporto M:F di 2:1. Il fenotipo classico del paziente è
rappresentato dal maschio adolescente alto, con BMI inferiore alla
media, che si presenti con un dolore toracico unilaterale insorto
acutamente, accompagnato da dispnea e tosse secca. Negli individui di
statura elevata gli alveoli apicali sono infatti sottoposti a una
pressione di distensione maggiore rispetto a quelli posti alla base e
sono pertanto predisposti allo sviluppo di bolle subpleuriche,
riscontrabili nel 90% dei casi di PNX spontaneo.
La
terapia è rappresentata dal drenaggio chirurgico, indicato
esclusivamente per volumi di PNX superiori al 15-20% dell’emitorace.
Uno
strano mosaico
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: alessandro.amaddeo@gmail.com
Robin è
un ragazzo di 9 anni a cui, nel 2007, viene fatta diagnosi di
neurofibromatosi di tipo 1 (NF1) per la presenza di 7 chiazze color
caffèlatte (di diametro maggiore di 5 cm), tutte distribuite
all’emitorace di destra e di lentigginosi ascellare
(freackling). Non presenta familiarità per NF1 e la ricerca
delle possibili complicanze risulta negativa (non alterazioni ossee,
esame neurologico nella norma, potenziali evocati visivi ed esame
oculistico normali, non lesioni endoaddominali). Nel dicembre del
2008 Robin torna per un controllo clinico annuale, pronto a
sottoporsi alla lunga lista di esami specialistici routinari
programmati per i pazienti con NF1 ma… visitando il bambino
salta all’occhio una particolare caratteristica delle lesioni
cutanee, le chiazze e il freackling sono limitate all’emitorace
di destra e comprese all’interno di una più vasta area
iperpigmentata che si estende fino al cavo ascellare e al dorso
(figura 1).
Le
caratteristiche di queste lesioni rientrano in una forma particolare
di neurofibromatosi, definita NF1 segmentaria localizzata (o mosaic
localized NF1). A differenza della forma generalizzata autosomica
dominante (1:3500) la forma segmentale ha un’incidenza molto
bassa (1 individuo ogni 36000/40000) e la sua patogenesi dipende da
una mutazione de novo che avviene durante le prime fasi di divisione
mitotica embrionale. L’estensione delle lesioni dipende dalla
precocità con cui la mutazione avviene (più precoce è
la mutazione, più vasto sarà il territorio coinvolto) e
caratteristicamente, le lesioni sono disposte in maniera asimmetrica
all’interno di una più vasta area iperpigmentata che
segue le linee di Blashko, proprio come nel nostro caso. Il
riconoscimento di questa forma di malattia non è solo
interessante dal punto di vista didattico ma è importante
vista la ridotta incidenza di complicanze rispetto alla forma
generalizzata (solo il 5%) e la minore, quasi assente, probabilità
di trasmissione alle successive generazioni.
Un
insolito bernoccolo
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste
G. è
un bimbo di 14 mesi, la sua storia inizia la scorsa estate quando la
mamma osserva la comparsa di un “puntino rosso” a livello
del braccio, che con il passare delle settimane continua ad aumentare
di dimensioni e di consistenza. Il medico curante decide di eseguire
un’ecografia, che descrive una lesione con caratteristiche di
benignità.
Ma a
distanza di un mese compare un piccolo nodulo anche a livello nucale
e anche questo in rapido accrescimento. Per tale motivo viene inviato
dal chirurgo, che dopo un ulteriore periodo di attesa, decide di
eseguire la biopsia del nodulo a livello del braccio e viene alla
fine fatta diagnosi istologica di sarcoma granulocitico.
Quando
giunge alla nostra attenzione sono già passati 4 mesi dalla
comparsa della prima lesione. Obiettivamente è possibile
osservare in regione parietale sinistra, un nodulo rotondeggiante,
rosso-viola, di consistenza aumentata e non dolente alla palpazione.
Il passo successivo è quello dell’aspirato midollare che
mostra la presenza di blasti (45%) e l’immunoistochimica
conferma la diagnosi di leucemia mieloide acuta.
La
lesione cutanea di G. è nota come sarcoma granulocitico o
cloroma, si tratta di un tumore mieloide a localizzazione
extramidollare, che insorge prevalentemente a livello dei tessuti
molli o di strutture ossee, ma sono state descritte anche in sede
orbitaria e nello spazio epidurale. Più frequentemente si
osserva in bambini con leucemia mieloide. Queste lesioni possono
comparire contestualmente alla localizzazione midollare oppure
possono precederla di mesi o anni, cosa che rende più
difficile la diagnosi. Forse si sarebbe potuto arrivare alla diagnosi
con qualche mese d’anticipo, tuttavia ciò non avrebbe
modificato sostanzialmente la prognosi né la terapia, in
quanto una presentazione di questo tipo classifica comunque la
malattia come un’emopatia ad alto rischio, richiedendo da
subito un trattamento chemioterapico energico.
La
carenza di vitamina D: tale madre, tale figlio
1Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste; 2Unità
Operativa Pediatria Ospedale Bufalini, Cesena
indirizzo
per corrispondenza: cecilia_geraci@yahoo.it
A. è
un lattante di 45 giorni giunto alla nostra osservazione per la
comparsa di crisi convulsive parziali subentranti. Il livello sierico
di Calcio è molto al di sotto dei limiti della norma (6,6
mg/dl) con Fosforo elevato (7,9 mg/dl).Con l’infusione di
Calcio gluconato la calcemia si porta lentamente al livello
stazionario di 7,5 mg/dl e le crisi non si presentano più.Pur
in assenza di alcuna stigmata di rachitismo nella madre, era comunque
doveroso dosare in lei la vitamina D, trattandosi di una donna scura
di pelle e sempre coperta. Calcemia e fosforemia erano normali (Ca: 9
mg/dl; P: 3,4 mg/dl) con PTH inappropriatamente elevato (PTH: 572
pg/ml) e un deficit grave di vitamina D (< 4 ug/L).
M.,
bambino di 1 anno e 7 mesi, è pallido, distrofico, con
malformazioni ossee (braccialetto e rosario rachitico) e
macrocefalia. Il bambino non si regge in piedi. La curva di crescita
dimostra che il peso e l’altezza del bambino sono passati dal
50° al 3° percentile dal 10° mese. Escluso il
malassorbimento, il quadro depone di più per un rachitismo o
carenziale o da malassorbimento (vitamina D inferiore alla norma).
La pronta
e stabile risposta a una singola dose di vitamina D confermerà
l’ipotesi della forma carenziale, la madre però
ribadisce che il piccolo veniva adeguatamente esposto al sole.
Ricordandoci del caso precedente, abbiamo dosato la vitamina D anche
nella madre e ancora una volta abbiamo trovato che la donna, sempre
di pelle scura e molto coperta,era gravemente carente della vitamina.
Questi
due casi dimostrano quindi come un importante deficit di vitamina D
nella madre si possa ripercuotere sul figlio, anche in assenza di
evidenti dati clinico anamnestici chiaramente suggestivi di forma
carenziale.
Otitic
Hydrocefalus
1Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste; 2Scuola
di Specializzazione in pediatria, Università di Ferrara,
Ferrara; 3Unità Operativa Pediatria Ospedale
Bufalini, Cesena
indirizzo
per corrispondenza: cecilia_geraci@yahoo.it
G. è
un bambino di che giunge alla nostra osservazione per vomito. La
madre è particolarmente preoccupata dal tipo di vomito: non
alimentare e a getto. Teniamo il piccolo in osservazione e durante la
degenza notiamo che G. versa in stato letargico tanto da obbligarci a
pensare a un interessamento del sistema nervoso centrale. La
rachicentesi dà esito alla fuoriuscita di liquor marcatamente
iperteso con proteine e glucosio a norma. L’ EEG è
rallentato e la RMN cerebrale mostra una trombosi del seno venoso
laterale. A questo punto giustifichiamo lo stato di torpore con
l’ipertensione endocranica secondaria a trombosi del seno
cerebrale. Dalla TAC emerge un’otomastoidite con soluzione di
continuo tra le pareti delle celle e le pareti dei seni trombizzati,
documentando quella rara condizione che va sotto il nome di Otitic
Hydrocefalus. Effettivamente il piccolo aveva presentato nei giorni
precedenti un’otalgia non trattata con antibiotico. Con
Mannitolo e cortisone endovena il bambino ha avuto beneficio, ma la
trombosi per altro non si è canalizzata e il bambino ha
sviluppato un edema della papilla che permane tutt’ora. Questo
caso mostra una temibile complicanza dell’otomastoidite: il
cosiddetto Hydrocefalo otiticus, condizione di ipertensione
endocranica in un contesto di otite media complicata. In letteratura
abbiamo trovato pochi casi di questo genere, evidenziando come sia
effettivamente raro nella pratica corrente il verificarsi di tale
complicanza. A ogni modo abbiamo fatto esperienza di un’altra
delle importanti delle importanti eziologie di ipertensione
endocranica nei bambini.
La
pazienza è la virtù dei forti… anche nella
glicogenosi
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste, Trieste
F. giunse
alla nostra osservazione nel 1981, all’età di 3 anni
circa, a causa di un ittero colestatico con ipertransaminasemia (AST
324 U/l, ALT 363 U/l, GGT 87 U/l). L’esame obiettivo mise in
evidenza una facies “da bambola”, importante
epatosplenomegalia, e un’altezza <3° percentile. Gli
esami ematici evidenziarono una lieve ipoglicemia a digiuno (40-45
mg/dl, senza aumento della glicemia dopo un carico di glucagone
seguente una notte di digiuno), iperlipemia (trigliceridi 251 mg/dl,
colesterolo totale 268 mg/dl), iperuricemia (5.8 mg/dl),
iperlattacidemia e bassa aggregabilità piastrinica. Fosfatasi
alcalina, aldolasi, CPK ed ECG risultavano nella norma. Non erano
presenti danni renali all’ecografia dell’addome. La
biopsia epatica evidenziava un accumulo di glicogeno negli epatociti,
reperto compatibile con una diagnosi di glicogenosi; non venne
eseguito il dosaggio enzimatico e sulla base della clinica venne
posta diagnosi di glicogenosi di tipo I. Dopo l’avvio di una
dieta adeguata, gli esami ematici e la clinica del paziente
migliorarono nel tempo. L’ipertransaminasemia e l’ittero
furono interpretati come conseguenti a un’infezione virale
concomitante. Dopo alcuni anni, il paziente è stato perso al
follow-up. Quando il paziente si è ripresentato, all’età
di 31 anni, appariva in pieno benessere, non era più presente
organomegalia e l’ecografia dell’addome era nella norma,
nonostante non seguisse più un regime dietetico adeguato da
diversi anni. Era presente solamente una lieve ipertransaminasemia
(AST 37 U/l, ALT 82 U/l) e iperlipemia (trigliceridi 170 mg/dl,
colesterolo totale 263 mg/dl). Non erano presenti debolezza muscolare
o problemi cardiaci. Abbiamo quindi rivalutato la diagnosi, e
nell’ipotesi di una glicogenosi di tipo III abbiamo eseguito
un’indagine genetica, che ha evidenziato una mutazione nel gene
AGL (IVS6+3 A>G) in omozigosi. All’epoca non venne fatto il
dosaggio enzimatico su biopsia e la diagnosi fu prevalentemente
clinica; al giorno d’oggi un semplice prelievo permette
facilmente di distinguere i diversi tipi di glicogenosi, con prognosi
e trattamenti anche molto diversi tra loro.
Una
bambina al buio
1Scuola
di Specializzazione in pediatria, Università di Ferrara;
2Unità Operativa Pediatria Ospedale Bufalini,
Cesena; 3Clinica Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Università di Trieste,
Trieste
indirizzo
per corrispondenza: erikagubellini@inwind.it
M. è
una bambina di 9 anni che giunge alla nostra osservazione per un
progressivo calo del visus bilaterale, che è insorto da circa
10 giorni. All’ingresso la bambina è pressoché
cieca: non riesce a leggere né a riconoscere le persone,
cammina solo se sorretta, riesce a malapena a percepire la luce. Ha
già effettuato presso un altro ospedale alcuni accertamenti,
che delineano un quadro tutt’altro che rassicurante: grave
riduzione dell’acuità visiva (VOO 2/50), grave difetto
campimetrico bilaterale, PEV non riconoscibili bilateralmente; al
fundus oculi non segni di papillite; TAC cerebrale negativa. Viene
negata un’esposizione a tossici; non risultano vaccinazioni o
infezioni recenti; non familiarità per malattie neurologiche.
La bambina non riferisce altri sintomi, in particolare non dolore ai
globi oculari né disturbi sfinterici. All’esame
obiettivo, oltre al grave deficit visivo bilaterale, notiamo una
reazione pupillare torpida, soprattutto a destra; per il resto non
altri segni neurologici focali; non nistagmo; ROT rotulei
normoeccitabili. La RMN evidenzia due distinte localizzazioni
encefaliche di verosimile natura infiammatoria, una a livello dei
nervi ottici nel loro tratto retrobulbare (dx>sn) fino al chiasma
con impregnazione contrastografica, l’altra in sede cerebellare
interessante sia la corteccia che la sostanza bianca sottocorticale;
il midollo risulta indenne. All’esame del liquor non
proteinorrachia né pleiocitosi, ma sono presenti alcune bande
oligoclonali. Nel sospetto di una malattia demielinizzante abbiamo
sottoposto M. a una terapia immunosoppressiva (metilprednisolone) con
importante miglioramento della funzione visiva già dopo 12
ore.
Allo
stato attuale non sono presenti le caratteristiche di temporalità
e spazialità per parlare di sclerosi multipla (SM); inoltre la
bilateralità della neurite ottica e l’interessamento
della sostanza grigia corticale cerebellare depongono maggiormente
per un’encefalomielite acuta disseminata (ADEM). Solo il
follow-up ci permetterà di chiarire la diagnosi (ADEM,
malattia monofasica vs SM, cronica-recidivante per definizione) e di
formulare una prognosi.
La
malattia autoimmune del fegato associata alla celiachia
Epatologia
e Gastroenterologia, Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera
Universitaria Pisana ed Epatologia e Trapianto di Fegato Pediatrico
Ismett, Palermo
indirizzo
per corrispondenza: irenepellegrinifilippeschi@yahoo.it
Il 15%
dei pazienti pediatrici seguiti in Italia per una malattia autoimmune
del fegato (MAF) hanno una malattia celiaca (MC). Per definire le
caratteristiche di esordio della MAF associata a MC abbiamo rivisto
retrospettivamente tutti i pazienti con MAF, seguiti dal 1995 al 2008
presso la Clinica Pediatrica di Pisa e l’Epatologia pediatrica
dell’ISMETT di Palermo. Tutti erano stati screenati alla
diagnosi e/o durante la sorveglianza per una MC. Su un totale di 105
pazienti, 11 (10.5 %) sono risultati affetti da MC,. In questi
pazienti (10 F) l’età media di presentazione clinica è
stata di 2.7 (19m-5a) in 6 la MC ha rappresentato la condizione di
esordio, in 2 MC e MAF sono state diagnosticate pressoché
contemporaneamente mentre in 3 l’esordio è stato di tipo
epatitico. La malattia epatica si è manifestata in modo
eterogeneo: in 3 casi con epatite acuta grave, in 8 con
iper-transaminasemia asintomatica in 7 e nel contesto di una malattia
infiammatoria intestinale in 1 paziente. La MAF associata a MC era
caratterizzata in 7 casi da ANA/SMA positività, in 2 da LKM
positività e in 2 da sieronegatività. Una bambina
presentava deficit assoluto di IgA. Tutti i pazienti avevano
ipertransaminasemia, con AST 3 -65 x N; ALT 2 -70 x N, GGT nella
norma in 7 pazienti e funzionalità epatica conservata in 10
pazienti. In una bambina con esordio di tipo epatite acuta la
coagulopatia epatica ha necessitato una trasfusione di plasma. In 10
pazienti è stata effettuata biopsia epatica, che ha mostrato
in tutti necrosi lobulare, attività di interfaccia e fibrosi
di grado variabile, in 4 era inoltre presente anche interessamento
biliare. Tutti i pazienti sono stati messi a dieta priva di glutine e
trattati per la MAF con terapia convenzionale (prednisone e
azatioprina); in 3 casi è stata associata terapia con UDCA. La
durata totale attuale del follow-up è 115,5 mesi (range 13 -
261 mesi); 6 pazienti sono attualmente in trattamento: 4 di questi
hanno presentato recidiva bioumorale (3 in corso di discontinuazione
della terapia cortisonica e 1 dopo 4 anni di sospensione della
terapia.). In uno di questi pazienti alla ripresa della terapia è
stata associata per un anno terapia con ciclosporina; 5 pazienti sono
attualmente off therapy.
Testicoli
ritenuti di tutta Italia
1Clinica
Pediatrica, IRCCS “Burlo Garofolo”, Università di
Trieste, Trieste; 2Servizio di Epidemiologia e
Biostatistica, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste;
3Associazione Culturale Pediatri
indirizzo
per corrispondenza: gianluca.tornese@gmail.com
Scopo del
nostro studio era descrivere la gestione attuale del criptorchisimo
fra i pediatri di libera scelta e di segnalare le differenze rispetto
alle recenti linee guida recentemente pubblicate su Acta Pediatrica
(e in versione italiana su Medico e Bambino) e stilate da un gruppo
di clinici e ricercatori provenienti da cinque Paesi nordici
(Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) sulla base delle
evidenze fino a ora disponibili. Le raccomandazioni che sono state
formulate possono essere così riassunte: a) non viene
raccomandata nella stragrande maggioranza dei casi di testicolo
ritenuto la terapia ormonale (con hCG e/o LHRH), per gli scarsi
risultati immediati e per i possibili eventi avversi a lungo termine
sulla spermatogenesi; b) l’intervento di orchidopessi viene
consigliato nei casi di testicolo ritenuto non palpabile o palpabile
dopo i sei mesi ma che non rimane una volta riposizionato nello
scroto, fra il 6 e il 12 mese di vita o alla diagnosi se questa
avviene dopo l’anno di età; c) l’orchidopessi,
prima dei 12 mesi, dovrebbe essere eseguita esclusivamente in centri
dotati di una struttura di chirurgia pediatrica o urologia pediatrica
e che dispongano di anestesisti pediatri. 141 pediatri di libera
scelta, provenienti da 18 regioni italiane, hanno compilato un
questionario on line. Il questionario richiedeva informazioni su
tutti i bambini con criptorchidismo nati tra il 1 gennaio 2004 e il
1° gennaio 2006, sulle loro caratteristiche e la loro gestione. I
dati riportati sono un’analisi preliminare dei risultati. Sono
stati ottenuti dati su 168 bambini con testicolo sovrascrotale. Fra
questi, il 21% ha avuto diagnosi di testicolo retrattile, mentre il
79% di testicolo ritenuto vero e proprio. L’età media
alla diagnosi era di 0.7 anni (range 0-4.1). Nel 19% dei casi, il
criptorchidismo si è risolto spontaneamente all’età
media di 1.8 anni (range 0.2-3.8). Fra i 136 bambini con
criptorchidismo persistente, il 72% ha ricevuto orchidopessi (età
media alla chirurgia 1.8 anni, range 0.1-4.7), di cui il 16% prima
dell’anno di età. L’intervento è stato
eseguito da un chirurgo pediatrico nell’85% dei casi, con una
percentuale di successo dell’89%. L’orchidopessi è
stato il primo trattamento nel 60% dei casi, mentre è stata
preceduta da trattamento ormonale nel 12% dei casi. Il trattamento
ormonale è stato usato in prima battuta nel 25% dei casi, con
una percentuale di successo del 29% (n=10/34). Complessivamente, 21
bambini non hanno ricevuto alcun tipo di trattamento, di cui 7 sono
in attesa di intervento chirurgico già programmato (età
media all’ultimo follow-up 3.3 anni). Il nostro studio mostra
un importante ritardo nell’orchidopessi. Inoltre un’alta
percentuale di bambini con criptorchidismo viene trattata con terapia
ormonale, sebbene non raccomandata delle recenti linee guida.
Outcome
a lungo termine dell’empiema pleurico trattato con o senza
urochinasi
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste
L’empiema
pleurico è una delle possibili complicanze delle polmoniti, ma
non esistono al momento sufficienti studi in grado di predire la
funzionalità polmonare in pazienti trattati per tale
patologia. L’obiettivo del nostro studio è quello di
valutare la funzionalità polmonare a distanza, in un gruppo di
pazienti ricoverati per empiema pleurico dal 1981 al 2005 presso la
clinica pediatrica dell’IRCCS Burlo Garofolo. Tutti i pazienti
trattati per empiema parapneumonico e sottoposti a drenaggio
intrapleurico sono stati richiamati per essere sottoposti a una
valutazione pneumologica comprensiva di anamnesi mirata a cogliere
eventuali segni di deficit polmonare, visita pneumologica e
spirometria. Dei 39 pazienti inizialmente ritenuti idonei a
partecipare allo studio 12 sono risultati non rintracciabili, 7 non
erano interessati a eseguire il follow-up e 3 risiedevano fuori
regione ed erano pertanto impossibilitati a partecipare allo studio.
Dei 17 pazienti rimasti 5 erano stati trattati con drenaggio semplice
e 12 con drenaggio e iniezione intrapleurica di urochinasi secondo un
protocollo in uso presso il nostro istituto dal 1997. L’età
media della popolazione studiata è di 16,5 anni e la durata
del follow-up è stata mediamente di 10,2 anni. 2/17 pazienti
hanno presentato almeno un altro episodio di polmonite, in entrambi i
casi non complicata e senza necessità di ricovero; 3/17 hanno
ricevuto diagnosi di asma bronchiale dopo il ricovero e due di questi
hanno sviluppato una sensibilizzazione ad aeroallergeni. In un
paziente è stata riscontrata una importante scoliosi evolutiva
che ha reso difficile l’esecuzione della spirometria. I dati
spirometrici non hanno evidenziato segni di deficit respiratori né
in senso restrittivo (FVC medio 95,8%) né ostruttivo (FEV1
97,6%). Nessuno dei pazienti studiati presentava segni o sintomi
indicativi di deficit polmonare. In conclusione i risultati ottenuti
indicano che la polmonite complicata da empiema non causa una
riduzione della funzionalità respiratoria a lungo termine.
Chi
si muove troppo e chi troppo poco
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste
indirizzo
per corrispondenza: sara.dal.bo@gmail.com
Recife,
Brasile, clinica pediatrica: O. è un ragazzo di 12 anni (ma il
suo atteggiamento lo fa sembrare molto più maturo) di una
famiglia povera dell’entroterra. Il suo disturbo è
cominciato con un dolore sovrapubico prima evocabile alla palpazione,
poi costante, farmacoresistente. Nel tempo è insorta una
paralisi flaccida progressiva degli arti inferiori, con incontinenza
urinaria e fecale. Il ragazzo lamenta anche una cefalea frontale che
risponde ai comuni analgesici. L’esame obiettivo neurologico
evidenzia solo la paralisi e la perdita totale di sensibilità
a carico degli arti inferiori, dove non sembrano evocabili i riflessi
profondi. Non ha evidenze anamnestiche né laboratoristiche di
infezioni o di altra patologia: emocromo, esami di funzionalità
epatica, renale e enzimi muscolari si mantengono in successivi
controlli sempre nella norma. Ecografia addominale, analisi del
liquor (anche pressione liquorale), TC cerebrale, RMN cerebrale e del
midollo spinale, scintigrafia ossea, angioRMN e elettroneuromiografia
non evidenziano alcuna alterazione.
Trieste,
Italia, pronto soccorso: A. è un ragazzo di 12 anni che viene
portato in ospedale in autoambulanza per crisi convulsiva
generalizzata, iniziata mentre cenava con gli amici. Durante il
trasporto gli è già stata somministrata una prima dose
di diazepam ev, a cui non ha risposto. A. all’ingresso presenta
estremità fredde e contrazioni spastiche, alternate a fasi di
ipertono degli arti inferiori e superiori, quasi mai simultanee;
inoltre inarca la schiena. All’ arrivo il suo GCS è di
5, non risponde agli stimoli verbali, non apre gli occhi, ma gira il
capo dal lato dove l’infermiera gli sta inserendo l’agocannula.
È tachicardico (FC: 115), non tachipnoico, afebbrile, PA
normale: a tratti sviluppa delle apnee di pochi secondi, ma la
saturazione di O2 non scende mai sotto il 99%. Gli vengono
somministrate due dosi crescenti di midazolam e una di tiopentone
acetato, dopo le quali gli spasmi cessano per pochi minuti, per poi
riprendere invariati. Quando il neuropsichiatria (che lo conosce)
arriva, lo chiama e gli parla: in pochi minuti la crisi si ferma, A.
riprende coscienza e comincia a parlare con il padre; il suo esame
neurologico è completamente normale. Tutti gli accertamenti
(EEG, TC cerebrale, elettroliti, glicemia, emocromo,), eseguiti in
questo e in occasione di precedenti episodi, non hanno mai
evidenziato alcuna alterazione.
Entrambi
i casi, pur così diversi per manifestazioni cliniche e
contesto, rappresentano due forme di disturbo da conversione: il
primo ragazzo è entrato in terapia farmacologica e
psicoterapia per una forma di depressione, il secondo è
seguito dalla Neuropsichiatria Infantile per psicosi.
Buono
(?), ma ingombrante…
Ospedale
dei Bambini “V.Buzzi” Milano
indirizzo
per corrispondenza: chiarabersanini@gmail.com
F., bambina di 10 anni. Anamnesi patologica remota muta, crescita regolare.
A cinque
anni eseguito Rx torace per flogosi delle basse vie respiratorie,
polmonite bilaterale. Evidenza a livello dell’arco medio
cardiaco, in proiezione frontale, di una disomogenea opacità
tondeggiante a margini sfrangiati, che in laterale sembra
localizzarsi a livello del tratto medio del rachide dorsale,
suggestiva per alterazione espansiva paravertebrale contenente
calcificazioni. La successiva RMN torace conferma il quadro Rx con
evidenza di acquisizione di mezzo di contrasto da parte dell’espanso.
La parete costale, il tratto discendente dell’aorta, il ramo
interlobare dell’arteria polmonare, che entrano in contatto con
la formazione, non mostrano segni RM di coinvolgimento. Ritenuta di
difficile esecuzione l’agobiopsia, prevista l’asportazione
chirurgica. Intraoperatoriamente riscontro di lesione di pertinenza
parenchimale polmonare sinistra, coinvolgente i segmenti apicale e
dorsale, con rapporti anatomici tali da condizionare un esteso volume
di resezione; biopsia incisionale: processo infiammatorio fibroialino
calcifico con pseudotumor infiammatorio: granuloma plasmacellulare.
Benessere
fino a maggio 2007, quando viene ricoverata presso il reparto di
Pediatria del nostro Ente per polmonite sinistra da Mycoplasma;
decorso non complicato, mai ossigenodipendenza. I controlli TC e RMN
evidenziano la stabilità dimensionale del noto espanso, che
genera compressione bronchiale e carnificazione parziale del
parenchima della piramide basale a valle, con bronchiectasie
cilindriche varicose. Reperto pletismografico di deficit
disventilativo misto (TLC 53% del predetto, RAW 246 % del predetto).
Pneumonectomia sinistra, posizionate protesi in cavità
pleurica omolaterale. Confermata la diagnosi di pseudotumor
infiammatorio infiltrante la pleura viscerale e parietale fino a
ridosso delle fibre muscolari striate, inglobante le strutture ilari
con interessamento dell’ilo polmonare posteriore e del bronco
principale. Valutata a sette mesi dall’intervento,
asintomatica, persistenza di deficit disventilativo restrittivo.
Un caso di febbre, proteinuria e dolore articolare
Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Cagliari
indirizzo
per corrispondenza: piliamariapaola@tiscali.it
G. è una ragazza di 15 anni, giunta alla nostra osservazione per episodi febbrili ricorrenti della durata di 3-4 giorni, caratterizzati da febbre elevata a risoluzione spontanea e dolore in sede sacro-iliaca bilaterale. All’anamnesi familiare è presente una zia materna affetta da sindrome da anticorpi antifosfolipidi, madre positiva per LAC senza manifestazioni patologiche. All’anamnesi patologica remota viene rilevata un’ipoacusia bilaterale neurosensoriale, riscontrata anche in altri familiari in linea paterna, e la varicella insorta qualche settimana prima del quadro clinico.
Dagli esami ematochimici e colturali viene esclusa una patologia infettiva in atto. L’esame emocromocitometrico mette in evidenza un’anemia normocitica normocromica. L’autoimmunità organo-specifica risulta in un primo momento nella norma, eccetto che per un’ipocomplementemia del C4. Nell’esame urine compaiono proteiunuria ed emoglobinuria, mentre al sedimento urinario riscontro di 4/6 eritrociti per campo e rari cilindri ialino-granulosi. Durante il ricovero la proteinuria delle 24h aumenta progressivamente fino a 1000 mg/die con clearance della creatinina nella norma. Viene effettuata una consulenza nefrologica e una biopsia renale che pone diagnosi di glomerulonefrite proliferativa mesangiale con focali aspetti di proliferazione extracapillare; il reperto viene ritenuto suggestivo per una forma evoluta di glomerulonefrite postinfettiva.
Durante il follow-up compare la positivizzazione di ANA; aDNAds; lupus anticoagulant; anticorpi anti-cardiolipina; Anticorpi anti-beta2 glicoproteina e allungamento dell’APTT. Visti i nuovi dati, la diagnosi viene modificata in glomerulonefrite in corso di lupus eritematoso sistemico.
La paziente è tutt’ora seguita presso il nostro Istituto.
Dagli esami ematochimici e colturali viene esclusa una patologia infettiva in atto. L’esame emocromocitometrico mette in evidenza un’anemia normocitica normocromica. L’autoimmunità organo-specifica risulta in un primo momento nella norma, eccetto che per un’ipocomplementemia del C4. Nell’esame urine compaiono proteiunuria ed emoglobinuria, mentre al sedimento urinario riscontro di 4/6 eritrociti per campo e rari cilindri ialino-granulosi. Durante il ricovero la proteinuria delle 24h aumenta progressivamente fino a 1000 mg/die con clearance della creatinina nella norma. Viene effettuata una consulenza nefrologica e una biopsia renale che pone diagnosi di glomerulonefrite proliferativa mesangiale con focali aspetti di proliferazione extracapillare; il reperto viene ritenuto suggestivo per una forma evoluta di glomerulonefrite postinfettiva.
Durante il follow-up compare la positivizzazione di ANA; aDNAds; lupus anticoagulant; anticorpi anti-cardiolipina; Anticorpi anti-beta2 glicoproteina e allungamento dell’APTT. Visti i nuovi dati, la diagnosi viene modificata in glomerulonefrite in corso di lupus eritematoso sistemico.
La paziente è tutt’ora seguita presso il nostro Istituto.
La displasia ectodermica associata a mutazione del gene TP63: una possibile causa di complessa disgenesia degli organi genitali interni femminili con agenesia di utero e ovaie
Servizio di Endocrinologia Pediatrica, Clinica Pediatrica, Ospedale Luigi Sacco (Milano), Università di Milano
indirizzo
per corrispondenza: maryan@email.it
Descriviamo una paziente di 14 anni giunta alla nostra osservazione per amenorrea primaria con adrenarca avanzato, affetta da LMS (Limb Mammary Syndrome), una forma di Displasia Ectodermica causata da una mutazione del gene TP63 (1576_1577 del TT) mai descritta in letteratura.
La paziente presentava severa ectrodattilia, palatoschisi isolata, aplasia di ghiandole mammarie e capezzoli senza anomalie a livello di capelli e cute. Lo sviluppo dei genitali esterni appariva normale, con regolare meato vaginale e uretrale. La peluria pubica corrispondeva a uno stradio 4 secondo Tanner. Collateralmente presentava un rallentamento della velocità di crescita compatibile con il ritardo di esordio puberale.
Gli studi ormonali hanno evidenziato un quadro di ipogonadismo ipergonadotropo con livelli ematici di estrogeni molto bassi. All’ecografia pelvica non è stato possibile identificare né utero né ovaie. La RM ha confermato l’agenesia di entrambi gli organi.
Le principali cause di agenesia degli organi genitali interni riportate in letteratura sono la Sindrome di Turner, dove un difetto cromosomico legato all’X determina la sola agenesia delle ovaie, e la S. di Rokitansky, la cui eziopatogenesi non è ancora chiara, che si associa invece alla sola agenesia dell’utero e della parte craniale della vagina.
Nella nostra paziente, l’analisi citogenetica con metodica FISH ha evidenziato un cariotipo 46,XX normale, escludendo concomitanti difetti dei cromosomi sessuali responsabili di agenesia ovarica.
L’agenesia combinata di utero e ovaie potrebbe pertanto essere strettamente correlata al deficit della proteina p63, ampiamente espressa a livello degli organi genitali femminili.
La paziente presentava severa ectrodattilia, palatoschisi isolata, aplasia di ghiandole mammarie e capezzoli senza anomalie a livello di capelli e cute. Lo sviluppo dei genitali esterni appariva normale, con regolare meato vaginale e uretrale. La peluria pubica corrispondeva a uno stradio 4 secondo Tanner. Collateralmente presentava un rallentamento della velocità di crescita compatibile con il ritardo di esordio puberale.
Gli studi ormonali hanno evidenziato un quadro di ipogonadismo ipergonadotropo con livelli ematici di estrogeni molto bassi. All’ecografia pelvica non è stato possibile identificare né utero né ovaie. La RM ha confermato l’agenesia di entrambi gli organi.
Le principali cause di agenesia degli organi genitali interni riportate in letteratura sono la Sindrome di Turner, dove un difetto cromosomico legato all’X determina la sola agenesia delle ovaie, e la S. di Rokitansky, la cui eziopatogenesi non è ancora chiara, che si associa invece alla sola agenesia dell’utero e della parte craniale della vagina.
Nella nostra paziente, l’analisi citogenetica con metodica FISH ha evidenziato un cariotipo 46,XX normale, escludendo concomitanti difetti dei cromosomi sessuali responsabili di agenesia ovarica.
L’agenesia combinata di utero e ovaie potrebbe pertanto essere strettamente correlata al deficit della proteina p63, ampiamente espressa a livello degli organi genitali femminili.
Fenotipo femminile completo in mosaicismo tissutale 45,X/46,X idicYq
Servizio di Endocrinologia Pediatrica, Clinica Pediatrica, Ospedale Luigi Sacco (Milano), Università di Milano
indirizzo
per corrispondenza: cristiana.caprio@gmail.com
Una ragazza di 12 anni giunge alla nostra osservazione per importante bassa statura (-3,7 SDS) e assenza di segni di sviluppo puberale. L’anamnesi familiare è positiva per bassa statura, ma non per ritardo puberale. All’esame obiettivo la ragazza presenta genitali esterni femminili normoconformati e alcune caratteristiche cliniche tipiche della sindrome di Turner: collo a vela e torace a scudo con ipertelorismo dei capezzoli. Gli accertamenti ormonali evidenziano valori di gonadotropine basali e dopo stimolo compatibili con ipogonadismo ipergonadotropo e una normale secrezione del GH dopo stimolo con insulina ev. L’ecografia e la RMN pelvica evidenziano la presenza di abbozzo di utero e annessi descritti come banderelle fibrose. Viene pertanto effettuato studio del cariotipo sui linfociti del sangue periferico che evidenzia monosomia X nel 20% delle cellule, mentre nel restante 75% è presente un cromosoma marcatore, definito alla FISH come un Y isodicentrico (idicYq). L’analisi molecolare con PCR conferma la presenza del gene SRY localizzato in Yp11.3, ma la mancata sequenza di tale gene per lo studio di eventuali mutazioni, non ci permette di affermare se il gene sia attivo. Viene inoltre effettuata una laparoscopia, che conferma la presenza dell’utero, delle tube di Falloppio e di masserelle tissutali nella sede delle ovaie, che vengono asportate. L’esame istologico mostra la presenza di cellule di Leydig e di residui epididimali, ma non di cellule di Sertoli né di follicoli. Lo studio con tecnica FISH sulla biopsia evidenzia la presenza di diverse linee cellulari: nella regione del tessuto epididimale il 45% di cellule con 2 segnali positivi per il centromero Y e il 65% con segnale assente per l’Y; nella zona con cellule di Leydig il 65% delle cellule con doppio segnale Y e il 35% con assenza; mentre nella regione delle tube di Falloppio solo il 4% delle cellule presenta 2 segnali positivi per il centromero Y, mentre il restante 96% non presenta segnale per l’Y. La nostra osservazione, in linea con altre riportate in letteratura, sottolinea l’importanza del mosaicismo cellulare gonadico su quello periferico nelle determinazione del fenotipo sessuale, in presenza di derivati dell’Y.
Dottore… aiuto, bimbo freddo…
UO di Pediatria, Ravenna
indirizzo
per corrispondenza: elena.zamuner@libero.it
I., terzogenito, origine nordafricana, con anamnesi neonatale nella norma. A 5 mesi ricovero per vomito ripetuto, ipotermia e stato soporoso; nel sospetto di una reazione anafilattica da IPLV è stato inserito idrolisato di LV e ha proseguito dieta senza PLV per 4 mesi; Prick test, Rast, acido lattico e ammonio nella norma. Reintroduzione del LV con tolleranza. A 11 mesi nel Paese d’origine presenta secondo episodio di vomito, febbre, alvo diarroico e ipotermia preceduta da sudorazione profusa. A 15 mesi nuovo episodio di ipotermia severa (30,4 °C rettale), iperidrosi, midriasi, bradicardia, della durata di 3-4 h in corso di infezione. Gli esami ematochimici risultano nella norma. All’assoluta normalità dell’EEG intercritico si contrappone EEG in corso di crisi con diffuso rallentamento del ritmo di fondo e anomalie lento-irritative sulle regioni anteriori che diffondono ampiamente. RMN encefalo evidenzia lieve dilatazione dei ventricoli laterali e modeste alterazioni nelle sequenze in diffusione a livello del III ventricolo e dell’adiacente parenchima ipotalamico, elementi poco significativi per processi degenerativi a carico del SNC. Le manifestazioni critiche della durata di molte ore sono divenute sempre più frequenti e importanti; caratterizzate da inappetenza, sonnolenza, vomito, sudorazione, stato di coscienza alterato, ipertono e alterazioni della temperatura cutanea sino a 23 °C. Gli esami effettuati (emocolture, carbossi-Hb, acilcarnitine, AA plasmatici, acidi organici urinari, lattato e piruvato su liquor) neg. Nell’ipotesi di epilessia con stato di male epilettico si decide di trattare le crisi con diazepam e.r. con parziale risposta e si inizia carbamazepina con persistenza di crisi parziali complesse, quasi quotidiane, che, se trattate tempestivamente con diazepam e.r., si risolvono entro 15-30 minuti. In attesa di eseguire RMN con studio funzionale si associa clobazam. La storia continua...
Gutta cavat lapidem
Clinica Pediatrica, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste
indirizzo
per corrispondenza: ineslerario@gmail.com
M. è una ragazzina di 12 anni, carina, educatissima, una vera e propria donnina. Rimango colpita dalla sua maturità e dalla disinvoltura con cui interagisce sin da subito con il personale medico e infermieristico… un po’ come se fosse a casa sua. La sensazione non era sbagliata, quello di M. era l’ennesimo ricovero, l’ennesimo spettacolo vissuto come spettatrice di se stessa. M. ha girato tutto il Bel Paese, come una grande attrice, ma i suoi palcoscenici non sono mai stati quelli di un teatro, bensì il letto di molti ospedali. Peccato che a M. non piaccia fare l’attrice… è “il suo impresario” (brutta razza!) che la rende schiava di se stessa, del suo talento. Una ventina i ricoveri in giro per l’Italia, per i motivi più svariati: dal vomito ricorrente, alla microematuria, ai dolori addominali, ogni lettera di dimissione sempre più lunga della precedente. Ma nessuna spiegazione era abbastanza chiara, nessuna rassicurazione serviva a interrompere questa vertigine di pazzia. M. giunge alla nostra attenzione questa volta per un problema di poliuria alternata a oliguria per cui la ragazza aveva già subito 4 ricoveri, durante uno dei quali aveva anche eseguito una biopsia renale. Veniva eseguito l’ennesimo test di assetamento, ovviamente risultato negativo. Gli indizi per una Münchausen by proxy erano ormai molti e molto chiari: la molteplicità dei ricoveri per sintomi inesistenti o ipertrofizzati, la gentilezza, a tratti il servilismo della mamma nei confronti del personale medico di riferimento, la ricerca ossessiva della malattia, anche quando questa veniva negata dall’evidenza, il monitoraggio compulsivo del “sintomo” portato come patologico. Fin qui tutto chiaro, lineare.
Quello che non riesco a dimenticare è lo sguardo di M.: c’è stato un momento in cui si sono scoperte le carte, abbiamo palesemente dichiarato a M. di essere una ragazzina sana, molto intelligente e con grosse potenzialità; la madre, in un momento di lucidità, ha confermato di preoccuparsi esageratamente della salute della figlia.
Non si gioca più, giù le maschere, M. rimane la ragazza educata di sempre, ma il suo sguardo fugge il mio, come si fosse vista scoperta, come se anche questa volta lo spettacolo fosse finito, senza infamia e senza lode.
Grazie alla nostra segnalazione la storia di M. è stata presa in carico dai servizi sociali, mi chiedo ancora se abbiamo fatto la cosa giusta.
Quello che non riesco a dimenticare è lo sguardo di M.: c’è stato un momento in cui si sono scoperte le carte, abbiamo palesemente dichiarato a M. di essere una ragazzina sana, molto intelligente e con grosse potenzialità; la madre, in un momento di lucidità, ha confermato di preoccuparsi esageratamente della salute della figlia.
Non si gioca più, giù le maschere, M. rimane la ragazza educata di sempre, ma il suo sguardo fugge il mio, come si fosse vista scoperta, come se anche questa volta lo spettacolo fosse finito, senza infamia e senza lode.
Grazie alla nostra segnalazione la storia di M. è stata presa in carico dai servizi sociali, mi chiedo ancora se abbiamo fatto la cosa giusta.
Fetal Alcohol Effects (FAE): un caso clinico sospetto
Clinica Pediatrica, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste
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per corrispondenza: giusypatti1983@libero.it
Alti livelli di alcol assunti in gravidanza possono risultare dannosi allo sviluppo embrionale e fetale. Le classiche manifestazioni cliniche da esposizione intrauterina all’alcol vengono indicate con il termine di Sindrome Feto-Alcolica (FAS). Tale sindrome è caratterizzata da : 1) deficit di crescita pre- e post-natale 2) anomalie facciali 3) malformazioni cardiache 4) anomalie delle articolazioni minori e degli arti 5) deficit mentale variabile. La sigla FAE viene assegnata a quei casi con difetti fisici sfumati e che quindi non presentano i criteri tradizionali della FAS. Si descrive il caso clinico di un bambino di 13 mesi con anamnesi certa di esposizione intrauterina all’alcol. Il bambino ha un bersaglio genetico di 170 + 6 cm (25° percentile), è nato a termine con un peso di 2,350 kg (3° percentile) e presenta un deficit di crescita in peso (<< 3° percentile), altezza (< 3° percentile) e circonferenza cranica (< 3°pc). L’apporto calorico è adeguato all’età. Il piccolo è in ottime condizioni generali. Lo sviluppo psicomotorio è buono. La facies presenta lievi note dismorfiche (epicanto, occhi piccoli e viso triangolare), poco significative data la somiglianza con il viso materno. Sono stati effettuati esami di laboratorio (emocromo, funzionalità renale, indici nutrizionali, AST, ALT, γGT, IgG, IgA, IgM, TTG-IgA, TTG-IgG, AGA-IgA, AGA-IgG, TSH, FT3, FT4, IGF1, emogasanalisi, esame urine, ricerca dei grassi fecali, test del sudore), volti a ricercare una causa organica del deficit di crescita. Tutti gli esami sono risultati negativi, a eccezione di un transitorio incremento del TSH a un valore di 5,58 mU/L, non ritenuto significativo. È stato anche effettuato un cariotipo di cui non si hanno ancora i risultati. La negatività di tutti gli esami diagnostici effettuati orienta verso una diagnosi di FAE. La diagnosi precoce di FAE, benché fondamentale per una corretta gestione dei bambini affetti, è difficile poiché non sempre si ha la certezza di una esposizione intrauterina e poiché le manifestazioni cliniche sfumate o isolate pongono il problema di una scrupolosa diagnosi differenziale con numerose patologie.
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