Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Novembre 1999 - Volume II - numero 9
M&B Pagine Elettroniche
Il punto su
L'avvelenamento
da ossido di carbonio
L'avvelenamento
da ossido di carbonio (ACO) rimane ancor oggi, in seno agli
avvelenamenti, la causa più frequente di mortalità. Nel
nostro Paese muoiono ogni anno per ACO intorno a 500 persone (3
maschi contro una femmina), di cui molto pochi in età
inferiore ai 18 anni (5 morti nel 1994). Il numero dei morti per ACO
(n. 986 della classificazione analitica) nel 1994 ha rappresentato
l'1,75% del totale dei morti per traumatismi e avvelenamenti e il 50%
preciso dei morti per avvelenamenti nel loro complesso (488 soggetti
su 975). L'ACO può essere intenzionale, e quindi viene
annoverato fra i suicidi, o accidentale: talvolta rimane
difficile stabilirne con esattezza l'origine. In Italia nel 1994 su
488 soggetti morti per ACO, ben 399 sono risultati legati a suicidio
e 89 a cause accidentali (rapporto suicidi/morti accidentali di 4,48
a 1)
In USA,
con una popolazione 4 volte la nostra, ogni anno si verificano circa
600 morti accidentali, dovute all'ossido di carbonio (CO), con un
numero di suicidi da 5 a 10 volte superiore.
L'origine
dell'ossido di carbonio
L'ossido
di carbonio (CO) si forma per un'incompleta combustione del legno,
del carbone, o degli idrocarburi. Di norma nell'atmosfera la
concentrazione di CO è inferiore allo 0,001%, contro il 20%
circa di ossigeno. La concentrazione di CO è di norma più
elevata nelle città che in campagna. All'interno del nostro
organismo si ha produzione di CO, per cui anche nel soggetto normale
si ritrova una minima concentrazione di carbossi-emoglobina (1-3 % di
CO-Hb): il fumo di tabacco è un'importante fonte di CO, tanto
che nei fumatori la concentrazione di CO-Hb raggiunge e supera il
15%.
Le cause
più comuni del CO sono rappresentate dagli scarichi degli
autoveicoli, dai sistemi di riscaldamento mal funzionanti e infine
dal fumo inalato. Un'altra sorgente è rappresentata dal
cloruro di metilene, un comune componente di alcuni solventi dei
colori. Esso, una volta assorbito attraverso la cute e i polmoni,
come vapore, circola nel fegato, dove viene metabolizzato con
formazione di CO.
La
concentrazione letale di CO-Hb in un garage chiuso può essere
raggiunta in 10 minuti.
Fisiopatologia
Il CO è
un gas tossico, non irritante, senza colore, senza odore, facilmente
assorbito dai polmoni. L'assorbimento dipende da 3 fattori:
- dalla
ventilazione per minuto
- dalla
durata dell'esposizione
- dalla
concentrazione relativa del CO e dell'ossigeno nell'aria
dell'ambiente.
Il CO è
eliminato principalmente dai polmoni senza aver subito alcuna
modificazione: solo l'1% viene ossidato ad anidride carbonica (CO2).
Dal 10 al 15 % del CO si lega alle proteine, come la mioglobina e la
citocromo-c ossidasi. Meno dell'1% del gas inalato rimane in
soluzione. La gran parte (fra l'83 e l'88 %) si lega all'emoglobina
(Hb).
Da un
punto di vista generale, infatti, la tossicità del CO deriva,
in primo luogo, dall'ipossia tissutale, conseguente alla stabilità
del legame del CO con l'Hb, e secondariamente dal danno diretto
prodotto dal CO a livello cellulare.
Per
quanto riguarda il legame con l'Hb, il CO compete con l'ossigeno, per
la sua affinità per l'Hb da 200 a 250 volte superiore. Questo
legame competitivo ha come conseguenza uno spostamento a sinistra
della curva di dissociazione ossigeno-Hb, per cui si manifesta una
ridotta capacità di trasportare ossigeno da parte dell'Hb, e
quindi una diminuita liberazione di ossigeno a livello tissutale, con
conseguente ipossia cellulare. Di sicuro, nell'avvelenamento da CO
sono in gioco altri fattori, legati all'azione tossica diretta del
CO, soprattutto a livello delle cellule nervose: il meccanismo
principale di queste lesioni dirette sarebbe rappresentato dallo
stress ossidativo sulle cellule, conseguente alla produzione di
radicali liberi, derivati dalla conversione della xantina
deidrogenasi a xantina ossidasi. Le conseguenze della mancanza di
ossigeno a livello cellulare e dell'inibizione diretta della
respirazione cellulare sono rappresentate dall'ipossia tissutale,
dal metabolismo anaerobio e dall'acidosi lattica.
Nel feto,
per le sua estrema sensibilità agli effetti tossici del CO, si
hanno, pur spostati nel tempo in confronto a quelli che avvengono
nella donna in stato di gravidanza, gli effetti più evidenti,
anche di tipo teratogenico.
Manifestazioni
cliniche
Una delle
difficoltà che si incontrano nell'identificare l'avvelenamento
da CO, soprattutto delle forme croniche non letali, è
rappresentato dalla non specificità del quadro clinico, che
può far venire in mente un ampio spettro di possibilità
diagnostiche. Il quadro che più spesso viene in mente è
quello di un'infezione virale. I sintomi acuti più
frequentemente riscontrati sono riportati nella Tabella n.1.
Tabella
n. 1: SINTOMI RILEVATI DOPO ESPOSIZIONE AL MONOSSIDO DI CARBONIO
Sintomi | Percentuale
sul totale di pazienti |
Cefalea | 91 |
Vertigine | 77 |
Stanchezza | 53 |
Nausea | 47 |
Difficoltà
a concentrarsi, stato confusionale | 43 |
Respiro
corto | 40 |
Modificazioni
della visione | 25 |
Dolore
al torace | 9 |
Perdita
di conoscenza | 6 |
Dolore
addominale | 5 |
Crampi
muscolari | 5 |
Da EW
Ely, Am J Med 1995, RAM Myers, Ann Emerg Med 1985 e RE Burney Ann
Emerg Med 1982
A questi
sintomi e segni di base, si associa costantemente un aumento del
numero dei polsi e dei respiri, come meccanismo compensatorio
all'ipossia. L'ipossia cerebrale, insieme alla vasodilatazione e
all'incipiente edema cerebrale, possono d'altra parte essere
responsabili di uno stato di presincope, di sincope e addirittura di
convulsioni. L'ipossia cellulare a livello cardiaco può
accompagnarsi ad angina, edema polmonare e aritmie. Per chi già
soffre di malattie polmonari o cardiache, l'avvelenamento da CO può
peggiorare una fase di stazionarietà. I classici sintomi
(labbra rosso-ciliegia, cianosi ed emorragie retiniche) sono presenti
di rado.
La
gravità del quadro va dalle forme lievi, con soli sintomi
generali di media entità, alle forme gravi con coma,
depressione respiratoria e ipotensione. Va sottolineato a questo
proposito che non sempre il livello di CO-Hb si correla con
l'intensità dei sintomi. La durata dell'esposizione sembra
rappresentare più spesso un importante fattore di tossicità.
Un altro fattore da tener presente è rappresentato dai livelli
di CO circolante, per cui la mancanza di CO nel plasma può
accompagnarsi a una scarsa sintomatologia, anche quando i livelli di
CO-Hb siano elevati. Ne deriva che la necessità di porre il
paziente in una camera iperbarica non può essere presa solo
sul livello di CO-Hb.
Mentre
nella maggior parte degli avvelenamenti da CO in fase acuta mancano i
segni di una sofferenza cerebrale, con una discreta frequenza (10-30%
dei casi) sono stati descritti sintomi neuro-psichiatrici dopo 3-240
giorni dall'avvelenamento acuto. Le cause di questa sofferenza
psichiatrica sono ancora incerte.
Diagnosi
La
mancanza di sintomi specifici rende necessaria, per la diagnosi, la
presenza di alti livelli di sospetto, specialmente nei medici addetti
all'accettazione e alla medicina di emergenza. Da sola, la
determinazione dei livelli di CO-Hb può essere insufficiente
per scartare il sospetto diagnostico, anche se nella maggioranze dei
casi aumentati livelli di CO-Hb possono essere risultare diagnostici.
Anche la determinazione dei livelli di CO nell'aria dell'ambiente,
nel quale si è verificato l'evento, può essere decisiva
per la diagnosi. Poiché può accadere che i livelli di
CO-Hb possano diminuire in modo netto al momento della presentazione
del paziente al Dipartimento dell'emergenza, può essere utile,
quando sia possibile, eseguire prelievi di sangue sulla scena stessa
dell'avvelenamento.
Anche
se il sangue arterioso si adatta meglio alla valutazione del livello
di CO-Hb (anche perché è possibile la contemporanea
determinazione del grado di acidosi), pure i campioni di sangue
venoso possono essere considerati adeguati per la diagnosi. In
generale la CO-Hb viene valutata con uno spettrofotometro. L'uso dei
comuni pulsossimetri non trova indicazioni in questa circostanza,
perché l'apparecchio non è in grado di riconoscere
fra CO-Hb e ossiemoglobina (O-Hb). E' sempre utile una precisa
valutazione delle alterazioni neurologiche e neuro.-psichiatriche,
eventualmente presenti dopo 30 minuti dall'evento. L'esecuzione di
una TC cerebrale non trova indicazioni nell'ACO, ma può essere
utile per escludere altre patologie che si presentino con un quadro
simile. Di recente è stata dimostrata l'utilità della
SPECT cerebrale per il riconoscimento precoce delle alterazioni
cerebrali regionali in seguito ad avvelenamento acuto da CO.
Trattamento
La prima
cosa da fare nel sospetto di un ACO è quella di rimuovere la
sorgente del CO e di allontanare il paziente dall'ambiente in cui
l'avvelenamento si è verificato. Nel contempo va
immediatamente somministrato al paziente ossigeno al 100%. L'ossigeno
accorcia la emivita della CO-Hb, competendo con i siti di
combinazione della Hb e insieme migliora l'ossigenazione dei tessuti.
La somministrazione di ossigeno va continuata fino a quando i livelli
di CO non siano tornati al normale. I pazienti con avvelenamenti
gravi, con problemi medici sottostanti, o con lesioni associate,
vanno ricoverati; soprattutto quelli che, essendo stati investiti dal
fuoco, presentino lesioni delle vie aeree. Ma per la maggior parte
dei soggetti può essere sufficiente un trattamento
ambulatoriale.
L'eliminazione
del CO dipende dalla ventilazione per minuto, dalla durata
dell'esposizione e dalla frazione di ossigeno inspirato. La emivita
della CO-Hb è di 4-6 ore quando il paziente respiri l'aria
atmosferica, cade a 40-80 minuti quando il paziente respiri ossigeno
al 100%, per ridursi a 15-30 minuti quando il paziente respiri
ossigeno iperbarico. La terapia con ossigeno iperbarico trova una sua
precisa indicazione nell'ACO, perché con questa si riesce a
ridurre i sintomi dell'avvelenamento. Esistono precise indicazioni
per il trattamento dell'ACO con ossigeno iperbarico (Vedi tabella
n.2).
Posta la
diagnosi di ACO, il medico deve decidere se sia indicata o meno la
somministrazione di ossigeno iperbarico; nel caso in cui lo ritenga
necessario deve provvedere a trasferire il paziente, con la massima
fretta, in un Servizio che sia dotato di camera iperbarica.
Prevenzione
La
diffusione delle conoscenze sui pericoli del CO fra il personale
medico e la popolazione rappresenta la chiave per ridurre la
morbilità e la mortalità. Le prime nozioni da
comunicare riguardano:
- le
auto: non debbono rimanere a lungo a motore acceso in ambienti chiusi
- i tubi
di tiraggio delle stufe, delle caldaie e dei camini debbono essere
ripuliti prima di entrare nella stagione invernale
- i grill
a gas non debbono funzionare all'interno della casa.
Tabella
n. 2 - Indicazioni per l'uso dell'ossigeno iperbarico, in
pazienti con avvelenamento da CO |
Coma |
Periodo
d'incoscienza di qualunque tipo e lunghezza |
Qualunque
sintomo i segno di sofferenza neurologica o neuro-psichiatrica |
CO-Hb
a livelli superiori al 40% |
Gravidanza
con CO-Hb superiore al 15% |
Segni
di ischemia o aritmia cardiache |
Storia
di infarto, con CO-Hb superiore al 20'% |
Sintomi
ricorrenti da oltre 3 settimane |
Sintomi
che non risolvono con l'ossigenoterapia normobarica dopo
4-6 ore |
Esistono
oggi apparecchiature che segnalano la presenza di CO nell'aria, ma
sarebbe un errore considerarle dei buoni sostituti delle norme di
profilassi sopra riportate.
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