Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Febbraio 1999 - Volume II - numero 2
M&B Pagine Elettroniche
Il punto su
Nuova
classificazione e nuova impostazione diagnostica del diabete mellito
*Dipartimento
di Pediatria - Università di Firenze
**Servizio
Regionale per il Diabete mellito - Azienda Ospedaliera Meyer, Firenze
Nel
1997-98 vi sono state due novità di grande interesse per
quanti hanno a cuore la salute dei soggetti con diabete mellito (DM),
siano essi bambini, adolescenti o adulti:
- una nuova classificazione, proposta dall'American Diabetes Association e dalla WHO, basata questa volta sul meccanismo patogenetico e non come nel passato sulla dipendenza o meno dall'insulina esogena
- un cambiamento, proposto dall'American Diabetes Association (ADA), nella scelta delle modalità di diagnosi di DM, basata soprattutto sul valore della glicemia a digiuno (abbassato da 7,8 mmol/L a 7 mmol/L, cioè da 140 mg/dL a 126 mg/dL di glicemia a digiuno), attribuendo minore valore ai livelli di glicemia alle due ore, dopo una curva da carico orale di glucosio (OGTT).
Unità
di conversione
1
mmol/L = 18 mg/dL
Esempi:
7,8 mmol/L = 140 mg/dL
126
mg/dL = 7 mmol/L |
La
vecchia classificazione del DM suddivideva semplicemente la malattia
in forme insulino-dipendenti (diabete mellito tipo I) e forme
insulino-indipendenti (diabete mellito tipo II), ma la
classificazione si complicava quando passavamo ai sottogruppi.
Sia l'ADA
(giugno 1997) che l'OMS (Comitato di esperti) hanno suggerito di
abbandonare questa vecchia classificazione e ne hanno proposta
un'altra, basata soprattutto sul meccanismo patogenetico, alla base
della malattia. Secondo questa nuova suddivisione vengono
riconosciute 4 forme di DM (Vedi Tabella n.1).
Tabella
n.1
Nuova
classificazione del diabete mellito
| |
Tipo
1 | -comprende
tutte le forme di DM da deficienza assoluta d'insulina, sia
immuno-mediate che idiopatiche, da alterata funzione delle
cellule |
Tipo
2 | -
comprende le forme di DM che derivano dalla presenza
d'insulino-resistenza e quindi con deficit relativo d'insulina, o
da difetto secretorio |
Tipo
3 | -
comprende un ampio raggio di situazioni, che includono vari
difetti genetici della funzione delle b-cellule, difetti genetici
che interessano l'attività dell'insulina e infine malattie
del pancreas esocrino (fibrosi cistica per esempio) |
Tipo
4 | -
diabete mellito gestazionale, nel quale l'insulino-resistenza di
una gravidanza peraltro normale può portare al DM nei casi
in cui la capacità di secrezione d'insulina non sia
sufficiente per coprire le aumentate richieste della gravidanza. |
Questa
differenziazione rende ragione dell'eterogeneità dei processi
che portano alla comparsa del DM, dalla mancanza assoluta d'insulina
per distruzione delle b-cellule, alla mancanza relativa d'insulina
(tipica essenzialmente del diabete dell'adulto), alla mancata
attività dell'insulina per difetti genetici della sua
conformazione e della sua funzione, fino al diabete mellito
gestazionale.
Gli
estensori di questa nuova classificazione sperano che essa in breve
tempo venga applicata in ogni Paese e sperano che essa contribuisca a
una più precisa definizione diagnostica e quindi a un
più appropriato trattamento e a una migliore prognosi.
La
diagnosi di diabete mellito
Come si
sa nel bambino e nell'adolescente la diagnosi è nella maggior
parte dei casi relativamente facile: la polidipsia e la poliuria,
insieme alla perdita di peso e alla stanchezza sono elementi così
specifici, che spesso il bambino giunge al pediatra già con la
diagnosi fatta, perché i genitori hanno già fatto
eseguire per loro iniziativa un semplice esame delle urine. Il
miglioramento generale della cultura sanitaria della popolazione ha
influito in senso positivo sulla precocità della diagnosi,
tanto è vero che negli ultimi anni è meno frequente che
un bambino giunga in Ospedale, al Servizio per il DM in età
evolutiva, in situazione di coma o addirittura di grave acidosi.
Ma
non sempre, e questo vale soprattutto per l'adulto, la diagnosi
iniziale di DM è così facile.
Per
facilitare la diagnosi e quindi per una più precisa
identificazione e un più precoce trattamento, l'ADA, sempre
nel giugno del 1997, ha proposto di basare la diagnosi essenzialmente
sul livello glicemico a digiuno (eseguito per due volte), preferibil
alla OGTT, se questa non è raccomandata come uso routinario di
screnning, anche per la sua scarsa riproducibilità. Questo,
per chi (pediatri compresi) si basava per la diagnosi nei casi al
limite, sul livello della glicemia dopo carico orale di glucosio, ha
rappresentato una difficoltà notevole. La riduzione del valore
soglia alla diagnosi, sia per l'iperglicemia a digiuno (126 mg/dL),
sia per una semplice alterazione della glicemia a digiuno, con valori
uguali o superiori a 110 mg/dL, ha molta importanza per i soggetti in
età evolutiva (Mody), e quindi per le sue correlazioni con il
rischio di complicanze micro e macrovascolari.
La ADA ha
inoltre raccomandato di ricercare il DM in tutte le persone in età
superiore ai 45 anni, con controlli successivi ogni 3 anni. La
determinazione della glicemia viene consigliata anche in tutti i
soggetti in età inferiore ai 45 anni che presentino fattori di
rischio, come l'obesità e la storia familiare di DM.
Nonostante queste prese di posizione da parte dell'ADA, gli esperti
dell'OMS ritengono ancora che il criterio migliore per la diagnosi di
DM sia ancora la OGTT con una glicemia dopo due ore che sia uguale o
superiore a 11,1 mmol/L (cioè a 200 mg/dL). Nello screening
degli adulti con diabete tipo 2, la discussione verte sulla glicemia
a digiuno, per stabilire se una glicemia superiore a 126 mg/dL può
evitare una OGTT o se c'è comunque bisogno di entrambe per
definire la casistica a rischio di complicanze.
Ovviamente
sono tutti d'accordo che la diagnosi di diabete mellito non può
essere posta soltanto sui risultati di una singola prova, anche se
nelle forme al limite, altri parametri, come il livello della Hb A1C,
possono mantenersi ancora nei limiti della normalità.
A questo
punto si è inserita un'importante ricerca del Gruppo di Studio
Europeo per l'Epidemiologia del Diabete, alla quale hanno contributo
i principali Paesi europei (per l'Italia il gruppo di studio del San
Raffaele di Milano); lo scopo della ricerca è stato quello di
confrontare i risultati ottenuti negli stessi soggetti senza diagnosi
di DM, impiegando i due diversi criteri di diagnosi, quello proposto
dall'ADA e quello sostenuto dagli esperti dell'OMS. Da un esame di
17.881 uomini e 8.309 donne sani, in età fra 17 e 92 anni è
risultato che usando i criteri, proposti dall'ADA, l'incidenza del DM
variava notevolmente da un Paese europeo a un altro, con un minimo
del 4% e un massimo del 13,2% della popolazione totale (valore medio
superiore al 7%). Nel gruppo di soggetti studiati vennero
diagnosticati complessivamente come diabetici 1517 soggetti, secondo
i criteri ADA e OMS. Ma dei 1044 soggetti che avevano DM, secondo i
criteri ADA, solo il 45% aveva dopo OGTT una glicemia uguale o
superiore a 200 mg/dL, cioè una diagnosi di sospetto DM,
secondo i criteri OMS. Ma il rilievo più sbalorditivo è
che dei 1.517 casi di DM diagnosticati con l'uno o con l'altro
metodo, solo il 28% rispondeva ad ambedue i criteri proposti.
La
conclusione dei ricercatori europei appare ovvia: prima di applicare
nei Paesi sviluppati i nuovi criteri, stabiliti dall'ADA, è
necessario ampliare gli studi, per definire quale dei due criteri
meglio si adatti a valutare il rischio di un singolo soggetto a
sviluppare le complicazioni microvascolari e cardiocircolatorie. I
ricercatori USA hanno già risposto precedentemente a questo
interrogativo, affermando che i livelli di glicemia da loro indicati
comportano già un aumentato rischio di complicazioni
microvascolari e che quindi questi soggetti possono ottenere
beneficio da un intervento attivo che riduca i fattori di rischio
cardiaco.
Tuttavia,
se adottassimo sic et simpliciter i criteri suggeriti dai ricercatori
americani, causeremmo un brusco viraggio delle condizioni generali di
benessere di molti, apparentemente sani. Questo eccesso di diagnosi
avrebbe indubbiamente serie conseguenze non solo sulla Società
nel suo complesso, ma anche sulla Salute pubblica, senza calcolare
l'effetto deleterio sui soggetti, definiti come ãdiabeticiä,
con conseguenze dirette sia personali che economiche.
Quale
conclusione al momento attuale ?
Accettare
la nuova classificazione, ma per quanto riguarda i nuovi criteri di
diagnosi rimanere ancorati a quanto è stato fatto fino a oggi,
impegnandosi tuttavia in un'approfondita ricerca sopranazionale per
stabilire quale sia il comportamwento diagnostico migliore per
prevedere e prevenire il rischio di complicazioni.
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