Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Maggio 2011 - Volume XIV - numero 5
M&B Pagine Elettroniche
Casi indimenticabili
Chi
si ferma è perduto
Pediatria,
Ospedale Santa Maria della Misericordia, Perugia
Lavoriamo
nel reparto di Pediatria della nostra città e un giorno si
presenta in ambulatorio Paolo, un ragazzetto di 10 anni
dall’aspetto smunto e gracile, un po’ curvo su se
stesso, che si muove in maniera rigida, anchilosata. È
accompagnato dai suoi genitori che sono molto, molto preoccupati
per lui in quanto da circa 4 mesi presenta dolori
muscolo-scheletrici e articolari diffusi: rigidità
mattutina, astenia serotina, progressiva postura obbligata degli
arti inferiori in posizione semiflessa, riduzione dell’attività
fisica. Nonostante ciò, il padre, di professione militare,
forse ispirato dagli slogan di storica memoria “marciare
per non marcire” o “fermarsi significa retrocedere”,
ritiene che non debba essere interrotta la buona dose di marcia
quotidiana (circa 4-6 km) a cui da tempo aveva avviato il figlio…
e Paolo … guidato dal motto “Chi si ferma è
perduto”, caro al papà, anche se con fatica estrema,
riesce a portar a termine ogni giorno la sua marcia!
Alla
madre è stata posta la diagnosi di poliartrite
sieronegativa.
Paolo
non ha mai presentato febbricola né perdita di peso; il
dolore non è controllato dal paracetamolo. Sono già
state eseguite numerose indagini risultate negative (indici di
flogosi e di funzionalità d’organo, ANA, anti-DNA,
AMA, ASMA, TAOS, immunoglobuline sieriche).
Nel
corso della nostra valutazione clinica il ragazzo lamenta dolore
spontaneo (8-10 sulla scala VAS), con acutizzazione alla
digitopressione a livello di punti trigger bilateralmente
(articolazioni temporo-mandibolari, scapolo-omerali, gomiti,
polsi, metacarpo-falangee, anche, ginocchia, caviglie,
matatarso-falangee, apofisi spinose); il test di Schober non è
eseguibile per l’assoluta impossibilità alla
flessione del rachide, non segni di flogosi a carico delle
articolazioni; negativa la restante obiettività clinica.
La
madre si colpevolizza per il suo stato di malattia perché
lo ritiene in qualche modo ereditabile dal figlio e ci sembra
succube del padre, che con i suoi atteggiamenti inflessibili e
rigidi ha sempre l’ultima parola.
Per
quanto riguarda il profilo comportamentale, emerge che Paolo,
figlio unico, ha un atteggiamento ansioso, un ottimo rendimento
scolastico, è dedito all’attività sportiva, è
molto metodico nell’esecuzione delle sue attività,
continuamente teso a compiacere le aspettative degli adulti, dei
suoi genitori, della nonna, abituato a rispondere al dictat “gli
ordini si eseguono e non si discutono”.
Sottoponiamo
(ahimè) Paolo a terapia con flurbiprofene senza ottener
alcun vantaggio clinico e a un nuovo controllo
laboratoristico/strumentale che, senza ombra di dubbio, mostra la
normalità di tutto: VES, PCR, emocromo con lettura dello
striscio periferico, sierologia autoimmune allargata rispetto
alla precedente anche agli ANCA, EMA e t-TG, tipizzazione HLA
(B27 negatività), sierologia infettiva (Mycoplasma,
Borrelia, parvovirus), catecolammine urinarie, calprotectina
fecale, ecografia articolazione anca e ginocchio (normale
spessore della sinovia, assenti versamenti endo-articolari),
ecografia dell’ultima ansa ileale, Rx torace. ECG,
ecocardio.
Richiediamo
la consulenza reumatologica.
Il
consulente reumatologo, valutando le patologiche dinamiche
familiari che pesano su Paolo, ipotizza la natura funzionale
della sintomatologia dolorosa muscolo-scheletrica ascrivibile
alla sindrome dolorosa cronica funzionale. Infatti Paolo presenta
i criteri necessari per tale diagnosi: dolore generalizzato
muscolo-scheletrico presente da più di tre mesi,
negatività delle indagini eseguite, assenza di altre
condizioni patologiche, dolorabilità risvegliabile alla
digitopressione in più di 5 punti trigger, faticabilità,
riduzione dell’attività fisica in seguito alla
sintomatologia algica (la marcia gli richiedeva un grande sforzo
fisico), comportamento ansioso.
Il
reumatologo pertanto consiglia: sospensione della terapia
antinfiammatoria, riduzione della tensione emotiva e di quella
muscolare tramite l’esecuzione di fisioterapia e di
attività fisica.
Esponiamo
al pediatra curante e ai genitori l’ipotesi diagnostica con
l’intento da un lato di sciogliere le preoccupazioni di
questi ultimi, dall’altro di renderli consapevoli
dell’importanza di evitare pressioni psicologiche nei
confronti del figlio.
I
genitori sembrano aver compreso ciò di cui ha bisogno
Paolo.
Qualche
tempo dopo ricontattiamo la famiglia per verificare l’aderenza
al programma terapeutico. La mamma ci riferisce che il figlio sta
progressivamente meglio, praticando il nuoto e fisioterapia, ma
anche che il padre per detendere la muscolatura di Paolo a volte
applica questo rimedio: lo sostiene per i piedi a capo in giù!
Forse
non ci siamo spiegati bene! Ma pensiamo seriamente anche
all’opportunità di una valutazione neuropsichiatrica
(soprattutto per il padre!).
Riconvochiamo
la famiglia, sensibilizzando in particolare il padre a modificare
il proprio comportamento.
Dopo
un po’ di tempo ricontattiamo la famiglia e il pediatra, e
con gioia apprendiamo che il nostro messaggio è stato
recepito: Paolo sta benissimo, ha pure smesso la marcia
quotidiana e abbandonato il karatè. Corre libero al parco.
E il padre non lo appende più come un salame!
Non
c’è bisogno di specificare oltre perché il
caso sia indimenticabile! |
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