Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Marzo 2010 - Volume XIII - numero 3
M&B Pagine Elettroniche
Casi indimenticabili
Quello
che davvero conta
1Clinica
Pediatrica, Università di Verona
2Pediatra
di famiglia, ULSS 20 del Veneto
Tutto
inizia come una consulenza “virtuale”, nel senso che
il bambino non c’è ancora, dovrebbe arrivare da
lontano, dalla Siberia. L’amico pediatra ci parla di una
coppia di genitori che ha avviato la pratica di adozione di un
bambino di due anni e che, di fronte alla documentazione clinica
fornita dall’orfanotrofio ha avuto un momento di sconcerto,
quasi una battuta d’arresto. Il bambino sembra avere un
idrocefalo, rilevanti problemi neurologici e di sviluppo
psicomotorio, ma soprattutto è stato sottoposto dopo pochi
mesi di vita a più di un intervento di chirurgia
addominale per una cisti pancreatica che si è complicata
in pancreatite e peritonite con, in più, un’infezione
peritoneale da toxoplasma. Hanno asportato anche la colecisti,
c’è stata “infezione” al fegato e ai
reni. Cosa sia stato demolito e come, eventualmente, ricostruito,
non è dato di sapere. Le carte parlano di maldigestione,
malnutrizione, dieta controllatissima e ristretta, prospettano
problemi seri e di dubbia soluzione. I potenziali genitori
cercano un po’ di chiarezza e di rassicurazione. Si sentono
incerti se continuare il loro viaggio verso la Siberia.
Al
primo incontro conosciamo una coppia “tecnica”,
composta dal marito e dalla cognata che, lavorando in ambito
medico, si è assunta il difficile compito di accompagnare
razionalmente i genitori in questo momento di grande
coinvolgimento emotivo. La mamma non è presente, la
conosceremo dopo qualche giorno, ma è la sua assenza a
parlare per lei. La storia ha già dall’inizio tutti
gli elementi che determineranno poi il finale. Marito e moglie
sono già genitori felici di un bambino russo di 10 anni
adottato alcuni anni prima, e hanno già sperimentato
l’ansia che precede l’adozione, l’ambiguità
dei “documenti ufficiali” e conoscono già il
percorso di difficoltà quotidiane e quotidiana costruzione
necessari per accogliere il nuovo componente della loro famiglia
e diventarne davvero i genitori. Hanno già conosciuto il
“nuovo” bambino e lui loro, gli hanno regalato
piccole cose che lui ha accolto con l’entusiasmo di chi non
ha mai avuto nulla. Si sono rivisti e riconosciuti. Ormai è
il loro bambino. Un po’ ingenuamente chiediamo quale sia il
sentimento della “mamma” in questo momento, il marito
ci risponde semplicemente “non ha dubbi”, ed è
tutto.
Ci
chiedono di aiutarli a disperdere quell’ombra che le
cartelle cliniche hanno fatto scendere, inaspettatamente anche
per loro, su una motivazione che avvertono ancora fortissima e
senza ritorno. Hanno portato un breve filmino dalla Siberia che
il collega Neuropsichiatra ha giudicato rassicurante. Resta,
pesante e indefinita, la storia chirurgica e concordiamo di
richiedere all’orfanotrofio ulteriori dettagli clinici e
accertamenti che puntualmente ci vengono forniti. Troppo
puntualmente. La sensazione è che i dati che otteniamo
siano incongruenti e quasi certamente non veritieri. A domanda
seguirebbe invariabilmente una risposta, ma quale risposta?
Siamo costretti ad ammettere che questa non è la strada
giusta e che non riusciamo a essere di alcun aiuto, anzi. La
decisione deve essere presa attraverso altri percorsi dei quali
non possiamo che essere spettatori, tutt’al più
prudenti accompagnatori. Lo diciamo ai genitori e abbiamo la
sensazione che l’avessero saputo da sempre. Ivan, questo è
già il suo nome, verrà in Italia perché
così, dentro di loro, avevano deciso fino dal primo
momento. E poi ci faremo carico dei suoi problemi.
Il
ricovero in Clinica è rapido, ci sono molte domande
angosciose a cui dare risposta. Ad alcune Ivan risponde da solo.
È un bellissimo bambino, sveglio, molto curioso e con una
buffa propensione per le figure maschili. Sembra correre incontro
alla mamma che lo aspetta a braccia aperte, ma in realtà
l’aggira invariabilmente con una rapida finta per gettarsi
sul papà. Accetta di buon grado il pediatra, maschio, ma
della mamma non se ne parla. Come fosse trasparente. Sorridendo,
la signora ci spiega che ha impiegato anni prima di riuscire a
farsi accettare dal primo figlio adottivo: misteri della vita in
orfanotrofio… Intanto gli accertamenti proseguono e non
privi di sorprese. Ivan ha uno sviluppo neuromotorio del tutto
adeguato, non vi è traccia di idrocefalo né di
encefalopatia, è nella media per peso, altezza e
circonferenza cranica. È vero che ha l’addome
solcato da numerose cicatrici, ma il pancreas appare indenne al
suo posto come se nulla fosse successo e pure funzionante, così
come le vie biliari e i reni; gli è addirittura
ricresciuta la colecisti e non vi è alcuna traccia di
infezione da toxoplasma. Ha un appetito che definiremmo
“riparatore” e tutto in lui sembra essere in ottima
forma. Accettiamo l’ernia inguinale e l’infezione da
Helicobacter con un sorriso di sufficienza. A distanza di mesi,
Ivan ci conferma le grandi risorse di cui sembrava dotato. E
tutti noi ci sentiamo forse un po’ in imbarazzo perché,
per un breve momento, avevamo dubitato di lui…
Non è
la prima volta che incrociamo le vite di genitori adottivi o
affidatari e dei loro bambini, ma è la prima volta che, in
qualche misura, siamo stati chiamati a partecipare al momento
decisionale più critico. E, soprattutto, nel ruolo quanto
mai insidioso di esaminatori della “sostenibilità
organica” di un bambino adottivo che neppure conoscevamo.
Siamo riusciti a fermarci in tempo e i genitori sono stati in
grado di riappropriarsi della motivazione autentica del loro
agire. Che è poi quello che realmente conta. |
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