Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Gennaio 2010 - Volume XIII - numero 1
M&B Pagine Elettroniche
Casi indimenticabili
Appendicite?
pediatra
di famiglia, Gemona del Friuli (Udine)
Maggio
’89, lavoro in una piccola Pediatria di ospedale di zona,
Alto Friuli. Il lavoro diurno è continuativo, durante la
notte reperibilità per parti e urgenze.
Sono
incinta di 10 settimane, sto bene, ma stamattina ho una nausea
insopportabile. Arrivo alle 8 in reparto stravolta.
L’infermiera
mi aggiorna sulle ultime novità e mi dice di aver mandato
un bambino, arrivato al mattino molto presto con coliche
addominali, al Pronto Soccorso Generale ma di non averne più
avuto notizie.
Telefono
e mi rispondono che è già in carico ai Chirurghi
per un’appendicite.
Verso
le 11 vengo chiamata d’urgenza in Radiologia dove radiologo
e chirurgo sono con le mani nei capelli con un bambino privo di
conoscenza, che, in attesa di eseguire la radiografia del torace
di routine, come si usava nelle chirurgie generali, aveva avuto
la risposta degli esami, sempre di routine, con una glicemia a
680 mg% e una flebo (fisiologica, glucosata?) che correva a
manetta….
Da
quel momento non ho più potuto permettermi di avere
nausea.
G., 6
anni appena compiuti, era ospite della nonna e da un paio di mesi
aveva ripreso a fare pipì a letto, beveva spesso e da
qualche giorno era stanco e abbattuto. Anche alla festa di
compleanno della cuginetta, pochi giorni prima, era stato
particolarmente tranquillo, seduto a lamentarsi di mal di
pancia…. Il seguito della storia, che molti vecchi lettori
di “Medico e Bambino” già conoscono, non lo
racconterò nei dettagli, metterò solo l’accento
su alcuni punti: la nonna e la zia che lo accompagnavano non
avevano mai sentito parlare di diabete giovanile, di poliuria,
polidipsia.
All’ingresso
al PS generale il collega di turno, il chirurgo, ma anche
l’infermiera della Pediatria, non hanno preso in
considerazione poliuria e polidipsia e soprattutto il respiro
acidotico di Kusmaull e questo ha ritardato di ore il primo
intervento adeguato.
L’iperidratazione,
in attesa della corretta diagnosi, ha peggiorato sicuramente il
quadro.
Il
bambino era in uno stato di acidosi estrema (pH inferiore a 7);
dopo cauta stabilizzazione metabolica nel pomeriggio, sempre in
condizioni molto gravi e senza ripresa della conoscenza, l’ho
accompagnato io stessa in ambulanza all’Ospedale Infantile
di Trieste. La severa acidosi e l’edema cerebrale che è
successivamente insorto non hanno concesso possibilità a
G. I genitori si sono rivolto successivamente alla Procura, che
ha svolto indagini ma non ha rilevato responsabilità dei
sanitari.
Questa
storia, anche per la tragica conclusione, continua per me ad
avere un grandissimo rilievo nel lavoro di tutti i giorni, ci
tengo a sottolinearlo in particolare in questo che è
l’anno del diabete.
Sarà
stata fortuna, sarà stata la mia maggiore attenzione, ma
da allora tutti i “miei bambini diabetici” sono
arrivati alla diagnosi ai primi sintomi, compresa mia figlia,
nata a dicembre ’89 e diabetica dall’età di 4
anni.
Sono
convinta però che informare a livello generale, di
popolazione, dell’esistenza del diabete giovanile e dei
sintomi di esordio sia una priorità che non può
essere lasciata solo alla sensibilità di singoli operatori
e che richieda l’impegno di altri attori a livello
istituzionale, garantendo in primis l’aggiornamento
professionale ma anche – a livello di immediata percezione
del problema da parte del grande pubblico - la preparazione di
poster e locandine da apporre negli ambulatori dei pediatri e
medici di medicina generale. |
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