Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Marzo 2008 - Volume XI - numero 3
M&B Pagine Elettroniche
Casi indimenticabili
Dalla
teoria alla pratica in un paese in via di sviluppo
Hospital
Divina Providencia, Luanda, Angola
Mi
trovavo a Luanda, in Angola, in un ospedale situato in una
periferia di una bidonville a occuparmi in modo specifico di
12-15 bambini ricoverati nella Pediatria con malnutrizione grave.
Le sfide quotidiane erano quelle di lavorare con persone di
lingua, cultura e preparazione differenti oltre che il
trattamento di molte malattie diverse dalle occidentali, alcune
delle quali croniche (come AIDS e TBC) in un contesto a bassa
compliance e scarse possibilità terapeutiche.
In
una di queste difficili mattine mi raggiunge un collega
avvisandomi di aver ricoverato nelle mie stanze una bambina con
paralisi spastica e malnutrizione grave. Anche il mio
collega era alquanto perplesso sull'utilità del ricovero
in un ospedale dove non c'è neppure un fisioterapista:
le risorse sono così limitate che sarebbe forse meglio
ricoverare un bambino con maggiori possibilità di
recupero, ma dopo averla vista in ambulatorio, proprio non se la
sentiva di rinviare la bambina a domicilio in quelle condizioni.
Accidenti!
Penso, che cosa potrò mai fare a questa bambina? Arriva
portata a braccia dal padre: 8 anni per 8 kg e mezzo di peso
corporeo: pelle e ossa. La lesione cerebrale sembra
piuttosto grave, non dà segni di interagire con il mondo
esterno, presenta una marcata spasticità degli arti e del
tronco, mani e piedi intraruotati e sciallorrea; gli occhi
sembravano attivamente tenuti chiusi (cheratosi da carenza di
vitamina A?), non dice una parola ma emette grugniti e lamenti
accompagnati da una smorfia di dolore al viso.
Vedendola
mi vengono subito in mente i bambini simili a Lei che in Clinica
Pediatrica ricoveriamo a causa del reflusso esofageo per eseguire
un intervento di Nissen con PEG che gli migliorerà la
qualità di vita…e a lei? Appare subito ovvio che anche
la “mia” bambina presenta un reflusso gastroesofageo
(il padre riferisce che piange praticamente tutto il giorno e la
notte, che il cuscino è praticamente sempre bagnato e che
rifiuta il cibo dopo qualche cucchiaio), ma di sicuro non potrò
offrirle nessun intervento chirurgico. Dall'anamnesi, inoltre,
la tragica consapevolezza che fino a un mese prima la bimba era
assolutamente normale e andava a scuola (il padre mi mostra anche
delle foto con le sue amiche).
Poi
una febbre alta curata in vari centri di salute con antibiotici e
antimalarici per os, un ricovero rifiutato in un altro ospedale
nonostante le convulsioni della bambina e in seguito gli esiti
neurologici accompagnati dal progressivo dimagramento. Bene, dopo
essermi rammaricata che la bambina non fosse venuta da noi al
momento dell'acuzie, comincio a impostare una terapia con
quello che avevo a disposizione.
Faccio
subito portare due o tre cuscini e spiego al padre di mantenerla
il più possibile semiseduta, gli raccomando di nutrirla
senza iperestendere la testa e faccio ispessire il suo latte
speciale con un po' di farina (il latte UNICEF utilizzato per
tutti i malnutriti). Inizio una supplementazione vitaminica e le
prescrivo l'unico antiacido disponibile nell'ospedale: la
cimetidina. Inoltre non
mi dimentico di avvisare il padre che non potremmo fare miracoli,
ma che ci accontenteremo di un miglioramento dello stato
nutrizionale e del dolore.
Dopo
due giorni si vedono già dei piccoli cambiamenti: non
tiene più gli occhi chiusi ma si guarda un po'
attorno…”quanto mi piace la vitamina A!” Continua però
a piangere tutto il tempo e forse la cimetidina non è
sufficiente. Chiedo al padre di cercare nella “praza”, cioè
nei banchetti per le strade o nelle “farmacie” esterne,
alcune compresse di omeoprazolo.
Ero
disposta a pagarglielo io, se fosse riuscito a trovarlo, ma il
padre, che le è sempre stato amorevolmente accanto
leggendole la Bibbia non ha chiesto nulla. Aggiungo così
l'omeoprazolo alla sua terapia e in pochi giorni Maria Josè
(ah, già, si chiamava così) non piange più…”credo
che l'omeoprazolo mi piaccia
anche di più della vitamina A”.
Piano
piano Maria Josè riprende a mangiare, aggiungo olio e uova
alla sua dieta e finalmente, raggiunge gli 11 kg e mezzo.
L'ospedale le procura una sedia a rotelle e io prima di
dimetterla aggiungo anche una piccola dose di diazepam per
alleviare le sue dolorose contratture agli arti e insegno al
padre una specie di fisoterapia (più che altro una
mobilizzazione passiva).
Finalmente
li saluto, il padre felice e sorridente e la bambina un po' più
serena e ingrassata, io però non posso non provare una
certa apprensione riguardo il loro futuro. Dopo 2 settimane il
padre di Maria Josè la porta a controllo. Quasi stento a
crederci e chiamo gli altri medici a vedere: la bambina ora sta
quasi seduta da sola, sorride al padre e a noi, non ha più
sciallorrea e ci stringe la mano! Un miglioramento incredibile,
spiegabile forse solo ammettendo che il danno cerebrale primitivo
sia stato causato da una malaria cerebrale: questo tipo di danno
neurologico, infatti,spesso tende a migliorare in maniera
sorprendente, anche se con tempi estremamente variabili da
soggetto a soggetto.
Non
so se e quanto Maria Josè continuerà a migliorare,
ma ripensando ai dubbi che avevo riguardo alle terapie possibili
quando la bambina era giunta, sono proprio contenta che il mio
collega abbia insistito per il ricovero. |
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