Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
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Il commento
Casi
contributivi, casi indimenticabili: quanto, perché e come le
riviste mediche devono raccontarli?
Clinica
Pediatrica, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste
La
risposta a questa domanda potrebbe essere quasi scontata: perché
riportano le storie cliniche, diagnostiche, terapeutiche di singoli
pazienti che possono essere utili al medico e all’infermiere
per diverse ragioni: ritrovare i punti comuni, in un percorso
clinico, che possono aiutare ad arrivare a una diagnosi difficile;
perché servono a evitare gli stessi errori che magari sono
stati già commessi, perché raccontano (anche se molto
raramente), di “relazioni” con i pazienti, a volte
difficili, a volte piene di significato, secondo il modello di quella
che oggi è chiamata la “medicina narrativa” (“è
opportuno che il medico apprenda a leggere le narrazioni dell’altro
e a scoprire il mondo di significati, convinzioni e miti che fanno
del paziente (come di ogni persona) un’entità unica e
irripetibile”1.
Molte
delle difficoltà che il medico incontra nella pratica clinica
quotidiana non hanno delle immediate soluzioni nella “ricerca”
di quelle che sono le evidenze o le raccomandazioni riportate in
letteratura (la medicina basata sulle prove) e, per alcuni ambiti
specifici che riguardano una parte della disciplina pediatrica,
questo è ancora più vero. Le storie riportate di
singoli casi, se adeguatamente formulate (nel percorso diagnostico,
nelle diagnosi differenziali, nella successiva ricerca delle
“evidenze”) possono essere di aiuto (un piccolo aiuto)
per risolvere una parte di questi problemi. Nelle corsie degli
ospedali, nei congressi, negli ambulatori dei medici di medicina
generale e dei pediatri, quello che spesso capita di ricordare e
raccontarsi, di fronte a un singolo paziente che pone alcune
difficoltà, è la “storia” riportata su quel
determinato numero della rivista….o sentita in un congresso:
“hai visto questa immagine radiologica? Assomiglia tanto a
quella pubblicata sul numero di questa settimana del NEJM “
(o magari sulla rubrica Iconografica di Medico e Bambino). Come
limite, un po’ forzato, della utilità delle
pubblicazione di storie di singoli o di una serie di casi, è
noto, ad esempio, che per alcune malattie rare o complesse, siano
stati gli stessi genitori ad arrivare alla diagnosi utilizzando
canali informativi ad accesso libero di pubblicazioni su bambini con
la stessa tipologia di sintomi e condizioni2.
Nel corso
del tempo ci sono stati nel tempo tentativi di collegare
l’insegnamento della medicina “della media” (quella
delle ricerche epidemiologiche) con la medicina dell’individuo,
e questo rimane un problema centrale della medicina moderna.
Eppure i
casi clinici hanno una scarsa rilevanza (o una piccola rilevanza) per
molte riviste mediche che in qualche modo si occupano di clinica e di
salute dei pazienti e della comunità. Occupano, con le dovute
eccezioni, uno spazio molto limitato di pubblicazione e a volte anche
di interesse dichiarato da parte dei redattori del giornale. Le
ragioni sono diverse, ma una delle più importanti (la
principale?) sta nel fatto che la pubblicazione dei casi clinici non
produce impact factor, non produce richiami pubblicitari e, per dirla
tutta, può occupare uno spazio della rivista da dedicare ad
altre pubblicazioni di maggiore presunto “interesse” (nel
senso più comprensivo del termine).
Ci sono
ovviamente delle eccezioni (rare) con riviste dedicate alla
pubblicazioni di casi clinici che hanno reso esplicita l’importanza
dei “case report” in particolare in alcune specifiche
discipline3-5. Viene in particolare sottolineata l’utilità
dei casi che riferiscono eventi avversi ai farmaci (o altre
procedure) non sufficientemente conosciuti, di segnalazioni su
patologie rare o emergenti, oppure sul trattamento di malattie in
condizioni eccezionali. Rilevanti sono anche i case report che
descrivono tecniche innovative che possono avere un ruolo importante
per la sicurezza dei pazienti. In pratica, i contributi che molte
riviste scientifiche accettano come case report sono al di fuori
della media e il limite (ad esempio delle sezione dei casi di Journal
Pediatrics) è di essere “troppo” al di fuori
della media, con una comunicazione rivolta a “specialisti”
di alcuni settori (della medicina molecolare, della medicina
iper-specialistica). Sicuramente utile per il progresso di alcune
conoscenze, un po’ meno per altri obiettivi e insegnamenti che
si possono ricavare dalla lettura critica di casi clinici più
quotidiani. Si pensi ad esempio al ruolo che può avere la
discussione del caso clinico per un percorso di audit6.
Parte
della storia della rivista Medico e Bambino è dedicata
al racconto di storie di pazienti. Dall’iniziale pubblicazione
del Perché si sbaglia, all’esplicitazione di un Percorso
clinico7, all’attenzione formalizzata, con rubriche
dedicate, per i Casi indimenticabili o per quelli Contributivi.
Continueremo a farlo, magari con maggiore professionalizzazione e
approfondimenti sugli insegnamenti che ciascun caso può
offrire, ma anche mantenendo quel margine di leggerezza, di piacevole
lettura “narrativa”, che la storia di ogni singolo
paziente ci offre, anche da un punto di vista emotivo e come tale
“indimenticabile” e pertanto di utile insegnamento, anche
relazionale.
Box.
Casi contributivi e indimenticabili sul numero di giugno 2011 di
Medico e Bambino |
Su
questo numero di giugno di Medico e Bambino sono riportati,
in 7 contributi (2 della parte cartacea della rivista e 5 di
quella elettronica), 12 casi clinici. La loro lettura ripercorre,
a nostro avviso, il senso compiuto del significato dei case report
e della utilità della loro pubblicazione. Cerchiamo di
sintetizzare alcuni dei messaggi chiave di lettura possibile di
questi contributi. Ciascun lettore può trovare i suoi.
Nel
Problema Speciale su un “PTT lungo per caso”
(Ramenghi U. e coll.), la casualità di un riscontro
dell’esame di laboratorio porta a riflettere sul significato
di questo esame e sulle diagnosi finali a cui si può
arrivare: una malattia di von Willebrand in un caso, la
presenza di anticoagulanti, LAC (lupus anticoagulant)
inibitori di un fattore della coagulazione della via estrinseca,
nell’altro.
Una
storia parallela, sempre a proposito di PTT lungo, non più
per caso, ma in corso di ematuria macroscopica (De Cunto A. e
coll.), fa arrivare alla conclusione che un difetto dei fattori
della coagulazione (in questo caso l’VIII) non è
sempre necessariamente congenito e quindi va pensato anche in
assenza di storia personale e/o familiare suggestiva di
coagulopatia. La presenza dell’anticorpo inibente FVIII era
la chiave di lettura del problema. Il trattamento con cortisone
risolutivo, nel caso specifico. Si tratta di un Caso davvero
contributivo.
Nei
Casi indimenticabili della rivista, 3 storie, molto diverse ma con
un significato che riconduce uno o più sintomi a specifiche
malattie: polipnea, a insorgenza magari acuta e pensiero
obbligato anche al diabete (non sempre e solo polmonite)
(Bartolini M.T.); dimagrimento e intuizione in un attimo
della presenza di un possibile ipertiroidismo. Dimagrimento
e storia lunga, forse sottovalutata, di una malattia di Crohn
(Innocente M).
I
Casi indimenticabili delle elettroniche partono da un sintomo, che
non è sempre “una malattia”. Due storie di
adolescenti con parestesie agli arti superiori, con una
diagnosi finale diversa (sindrome del tunnel carpale,
microtraumi da sport, pallavolo) e sempre di un adolescente
questa volta con tremori agli arti superiori, sensazione
di malessere, successiva cefalea, epigastralgia.
Il riscontro di una malformazione di Arnold-Chiari alla RMN
cerebrale è presumibilmente un incidentaloma, in una
ragazza con una possibile disturbo somatoforme (Colombo
R.R.).
L’altro
caso indimenticabile è di uno stridore laringeo in
un lattante che persiste. Il pensiero facile, in parte scontato, a
una laringomalacia è quasi obbligato. Ma se il problema
agli occhi del genitore diventa sempre più rilevante (dopo
3 laringoscopie negative), il riscontro di una stenosi
sottoglottica da anello vascolare aortico alla RM è
una parziale sorpresa, ma non sempre è facile arrivarci
prima (Geraci C. e coll.).
Infine
due casi contributivi, di malattie neurologiche, di malattie
ancora una volta tipiche dell’età adolescenziale, pur
nella loro rarità.
Obesità
e cefalea con le bandierine rosse deve fare pensare alla
ipertensione endocranica idiopatica (un tempo chiamata
pseudotumor cerebri) (Meci A. e coll.).
Ancora
parestesie, questa volta agli arti inferiori, con tuttavia
concomitante presenza di difficoltà nella stazione
eretta e nella deambulazione. Diverse le possibili
cause neurologiche, tra cui la mielite trasversa,
affrontata dagli autori con quel rigore richiesto per la scrittura
dei casi contributivi: descrizione dettagliata dei sintomi, delle
ipotesi formulate, del percorso di diagnosi, delle possibili
diagnosi differenziali, delle cause eziopatogenetiche del
problema, dell’approccio alla terapia e della prognosi
(Barbato C. e coll). |
Bibliografia
1.Bert
G. Medicina narrativa. Storie e parole nella relazione di cura. Roma:
Il Pensiero Scientifico Editore, 2007.
2.Il
“dott. Google” e le malattie rare. Pagina gialla (Ventura
A, a cura di). Medico e Bambino 2010;7:421-2.
3.The
importance of case reporting: Journal of Medical Case Reports
launches its first thematic series. BioMed Central Blog, Monday May
23, 2011
http://blogs.openaccesscentral.com/blogs/bmcblog/entry/the_importance_of_case_reporting.
4.Wong
G. Case reports: a helping hand to generalists. J Med Case Rep
2008;2:311.http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2561039/?tool=pubmed.
5.Protopapas
AD, Athanasiou T. Evolving dimensions in medical case reporting. J
Med Case Rep 2011;5:164.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3094294/?tool=pubmed.
6.Vandenbroucke
JP. In defense of case reports and case series. Ann Intern Med
2001;134:330-4.
7.Marchetti
F. Percorsi clinici. Medico e Bambino 2005;24:635-6.
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