Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Settembre 2011 - Volume XIV - numero 7
M&B Pagine Elettroniche
Caso contributivo
Mutismo
selettivo: un intervento sistemico efficace
La
storia di quattro casi
Psicologhe
e psicoterapeute sistemiche, Milano
Indirizzo
per corrispondenza: metastudio95@gmail.com
Selective
mutism: an effective therapeutic intervention
Key
words Selective
mutism, Socialization, Systemic therapy, Meta function, Parents
Abstract
Selective
mutism (SM) is recognized as a disorder linked to a strong
anxious component in the child. The SM is considered a disorder
of relevant diagnostic and, above all, therapeutic difficulty.
The present work reports the experience of the treatment of four
cases of SM in female children from four to six years old and
describes the fundamental steps of the therapy of their families.
The intervention has utilized the systemic therapy, which
requires the presence of only parents in the sessions. These,
conducted by two systemic psychotherapists, have been from six to
ten for each case, with a monthly frequency and about two hours’
duration each. The systemic paradigm claims that the
intervention, even if only on one part of the system, has an
effect on the whole system, so the parents are considered as a
resource in order to favour behaviour changes useful for the
child. The treated cases have shown that the so-called “meta
function” is unsafe, unstable or, in some cases,
non-existent in the couple. “Meta function” refers to
parents’ capacity of auto-observation of and
auto-reflection on their educative actions. Such kind of approach
has permitted the positive resolution of all the treated cases.
The SM is reported in the children younger than five years old;
it usually appears when they start nursery school, therefore the
role of the pediatrician is particularly important since a
precocious diagnosis could allow the disorder, which is less
complex than the one discovered in the primary school, to be
resolved. |
Parole chiave
Mutismo
Selettivo, Contesti di socializzazione, Terapia sistemica, Funzione
meta, Coppia genitoriale.
Il
Mutismo Selettivo (MS) è riconosciuto come un disagio legato a
una forte componente ansiosa nel bambino. Il MS è ritenuto un
disturbo di rilevante difficoltà diagnostica e soprattutto
terapeutica. Riportiamo l’esperienza della cura di quattro casi
di MS in bambine dai quattro ai sei anni, descrivendo le tappe
fondamentali della terapia delle loro famiglie. L’intervento ha
utilizzato la terapia sistemica che prevede la presenza in seduta
solo della coppia genitoriale e non richiede la presenza del bambino.
Gli incontri, condotti da due psicoterapeute sistemiche, sono stati
da sei a dieci circa, con cadenza mensile e della durata di due ore
ciascuno. Il paradigma sistemico sostiene che l’intervento
anche solo su una parte del sistema, lo fa muovere nel suo complesso,
quindi i genitori vengono visti come risorsa per favorire cambiamenti
utili per il figlio. Nei casi trattati abbiamo riscontrato che la
cosiddetta “ funzione meta” è insicura, instabile
o addirittura inesistente nella coppia genitoriale. Quando parliamo
di “funzione meta” ci riferiamo alla capacità di
auto-osservazione e auto-riflessione nella coppia genitoriale sulle
proprie azioni educative. Un approccio di questo tipo ha permesso la
risoluzione positiva di tutti i casi trattati. Il mutismo selettivo è
riscontrabile prima dei cinque anni di ètà, tipicamente
con l’ingresso nella scuola dell’infanzia, perciò
è particolarmente importante la figura del pediatra che, con
una diagnosi precoce, permetta una risoluzione del disagio meno
complessa di quando il mutismo viene diagnosticato all’interno
della scuola primaria.
Per
mutismo selettivo (MS) si intende un disturbo identificato nel DSM
IV1 con le seguenti caratteristiche diagnostiche:
- “La caratteristica fondamentale del Mutismo Selettivo è la persistente incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche (per es. a scuola, coi compagni di gioco) quando ci si aspetta che si parli, mentre in altre situazioni parlare risulta possibile.
- L’anomalia interferisce con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione sociale.
- L’anomalia deve durare per almeno 1 mese e non è limitata al primo mese di scuola (durante il quale molti bambini possono essere timidi o riluttanti a parlare).
- Il Mutismo Selettivo non dovrebbe essere diagnosticato se l’incapacità di parlare del soggetto è dovuta soltanto al fatto che non conosce o non è a proprio agio col modo di parlare richiesto nella situazione sociale.
- Non viene neppure diagnosticato se l’anomalia è meglio attribuibile all’imbarazzo relativo all’essere affetti da un Disturbo della Comunicazione (per es. Balbuzie) o se si manifesta esclusivamente durante un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, Schizofrenia, o un altro Disturbo Psicotico”.
Il MS, fu
identificato per la prima volta nel 1877 da Adolf Kussmaul, uno
psicofisiologo tedesco, e definito come una condizione di “afasia
volontaria”; successivamente da Tramer fu coniato il termine di
“mutismo elettivo”. Entrambi i termini evidenziano e
riflettono l’attribuzione di una volontarietà e di una
scelta attiva da parte del bambino, confermata anche fino al 1992
nell’ICD-102,3.
Nel 2000
l’ultima versione del DSM-IV- TR (APA 2000) ha portato non solo
a un cambiamento dell’etichetta diagnostica, ma soprattutto a
una significativa ridefinizione eziologica di questo disturbo. Dal
concetto di “rifiuto” si passa a quello di “incapacità”,
abbandonando l’idea precedente che il sintomo abbia una valenza
consapevole e determinata e ponendo l’attenzione sul
comportamento di selezione che il bambino effettua rispetto ai
differenti ambienti e agli interlocutori con cui parlare4,5.
Tale selezione si può presentare a diversi livelli di severità
e quindi per alcuni la limitazione funziona solo in pochi ambienti,
mentre per altri può giungere a quasi tutte le situazioni
sociali esterne alla relazione con i genitori e in alcuni casi più
gravi il bambino può ridursi a parlare solo con uno dei
genitori (in genere la madre)6,7.
Considerando il fatto che il MS è stato individuato ed etichettato più di cent’anni fa, finora ha ricevuto un interesse poco sistematico sia dalla letteratura psichiatrica e psicologica che da quella pediatrica. Allo stato attuale, infatti, i lavori che si sono occupati di mutismo in età evolutiva sono scarsi e la maggior parte di questi (dai meno ai più recenti) sono presentazioni di casi singoli, analisi retrospettive di studi di casi, contributi teorici8-13. Alcuni studi hanno esaminato piccoli gruppi di bambini con MS14,15, ma pochi lavori sono su campioni più ampi di bambini e/o di follow-up che hanno utilizzato criteri metodologici più sistematici con l’utilizzo di gruppi di controllo e misure di valutazione standardizzate7,16,17. Una letteratura scarsa e con dati poco confrontabili e generalizzabili è tra i motivi primari alla base di una concettualizzazione di questo disturbo ancora poco chiara e ben definita. Conseguentemente, anche le conoscenze riguardanti le strategie e l’efficacia di diversi trattamenti risultano ancora incomplete7,11,17,18.
Considerando il fatto che il MS è stato individuato ed etichettato più di cent’anni fa, finora ha ricevuto un interesse poco sistematico sia dalla letteratura psichiatrica e psicologica che da quella pediatrica. Allo stato attuale, infatti, i lavori che si sono occupati di mutismo in età evolutiva sono scarsi e la maggior parte di questi (dai meno ai più recenti) sono presentazioni di casi singoli, analisi retrospettive di studi di casi, contributi teorici8-13. Alcuni studi hanno esaminato piccoli gruppi di bambini con MS14,15, ma pochi lavori sono su campioni più ampi di bambini e/o di follow-up che hanno utilizzato criteri metodologici più sistematici con l’utilizzo di gruppi di controllo e misure di valutazione standardizzate7,16,17. Una letteratura scarsa e con dati poco confrontabili e generalizzabili è tra i motivi primari alla base di una concettualizzazione di questo disturbo ancora poco chiara e ben definita. Conseguentemente, anche le conoscenze riguardanti le strategie e l’efficacia di diversi trattamenti risultano ancora incomplete7,11,17,18.
Le
metodologie più utilizzate, che coinvolgono direttamente il
bambino, variano da quella cognitivo-comportamentale, alla play
therapy, alla riabilitazione logopedica, al trattamento
psicoanalitico, a quello farmacologico e altre; le ricerche recenti
sottolineano l’utilità della multimodalità
dell’intervento, vista la complessità della patologia e
la difficoltà nel trattamento terapeutico.
La
patologia è in genere associata a una forte componente
ansiosa, al punto da poter essere considerata un sintomo della stessa
ansia; escluse componenti neuropsichiatriche che possano essere la
causa del mutismo, esso viene generalmente inquadrato in una
patologia psicologica e come tale affrontato.
L’approccio
sistemico, di cui proponiamo l’esperienza in quattro casi
giunti alla nostra osservazione, può essere un intervento
efficace sulla risoluzione, in tempi anche molto rapidi, del sintomo.
Vengono
riportati quattro casi di MS, inteso come “un persistente
rifiuto di parlare in una o più delle principali situazioni
sociali (tra cui la scuola)”, giunti nel nostro studio privato
nel periodo 2005-2010.
Molte
ricerche evidenziano come una forte componente ansiosa presente nei
bambini, li renda incapaci di parlare in contesti sociali altri
rispetto a quello familiare.
Il primo
riconoscimento di questo disturbo nelle famiglie incontrate, si è
avuto nella Scuola dell’Infanzia, che ha informato i genitori,
i quali a loro volta si sono rivolti al pediatra o al
neuropsichiatra. È evidente come i primi ambiti di
socializzazione dei bambini permettano di segnalare delle differenze
nei comportamenti osservabili riguardanti la crescita.
Prima di
un invio in psicoterapia è indispensabile la visita pediatrica
(e/o neuropsichiatrica) allo scopo di escludere la presenza di
disturbi della comunicazione (es. balbuzie) o patologie psichiatriche
(es. autismo).
Le
quattro famiglie sono state inviate nel nostro studio su indicazioni
del medico pediatra (una famiglia), della neuropsichiatra (due
famiglie) e della dirigente di una Scuola d’Infanzia di Milano
(una famiglia).
L’approccio
terapeutico si colloca nella Teoria dei Sistemi che ha dato vita alla
più nota Terapia Familiare Sistemica, terapia che lavora sul
modo in cui si intrecciano le comunicazioni, le relazioni e i
significati che ognuno, dal proprio punto di vista, dà a
queste.
Il
modello sistemico utilizzato è quello definito ”Milan
Approach”, modello sistemico di terapia familiare sviluppatosi
a Milano all’inizio degli anni ‘70. Successivamente
l’approccio milanese subì l’influenza del pensiero
della complessità e del costruttivismo attraverso le figure di
Heinz von Foerster, Humberto Maturana, Francisco Varela. Negli anni
‘90 la Scuola milanese di Terapia della Famiglia si è
avvicinata al paradigma narrativo e al costruzionismo sociale: al
centro di tale posizione teorica c’è l’idea che la
realtà non esista in quanto tale, ma si costruisce nel
linguaggio condiviso19.
Il nostro
intervento terapeutico sistemico si è rivolto alla coppia
genitoriale senza prevedere la presenza del bambino in seduta.
La scelta
di lavoro solo con i genitori è supportata dalla Teoria
Sistemica stessa che sostiene che l’intervento anche solo su
una parte del sistema fa muovere il sistema nel suo complesso20.
I
genitori vengono visti come gli adulti che si stanno facendo carico
del disagio, ma soprattutto come le risorse nelle quali trovare i
“rimedi” (altri comportamenti e comunicazioni) che
favoriscano cambiamenti utili per il figlio.
Nella
nostra prassi clinica il lavoro con i genitori ci ha mostrato come
per gli adulti sia indispensabile trovare spazio e tempo per
riflettere sulle situazioni, fare scelte dotate di significati
costruiti insieme e condivisi con altri adulti e assumersi
responsabilità nelle azioni educative che rivolgono ai loro
figli.
Laura (4
anni), Francesca (4 anni e mezzo), Mara e Aurora (5 anni), sono state
al centro delle nostre conversazioni con i loro genitori, in incontri
a cadenza mensile della durata di 2 ore ciascuno. Le terapie hanno
avuto durate variabili, dai sei ai dieci incontri.
Nelle
sedute cliniche con i genitori gli interventi terapeutici hanno
riguardato soprattutto i seguenti temi:
-conoscenza
e consapevolezza delle proprie modalità di comunicazione21;
-valorizzazione
delle competenze genitoriali e sostegno delle stesse;
-promozione
della capacità di auto-osservazione del genitore, aiutandolo a
trovare risposte a domande di questo tipo: “cosa faccio?”,
“come lo faccio?”, “cosa sento e cosa succede
se...”;
-proposte
di attività di gioco mirate al coinvolgimento di genitori e
figli su temi specifici, utili a favorire cambiamenti positivi.
Questi
temi rendono possibile un consolidamento della funzione genitoriale e
la possibilità di contenere e offrire confini emotivi al
bambino nel suo sviluppo, bambino attualmente sempre più
stimolato dai contesti esterni alla famiglia.
L’ipotesi
sistemica22 che ha guidato il nostro lavoro si basa su
queste considerazioni: il MS, nelle situazioni incontrate,
rappresenta un sintomo ansioso connesso alla maggior o minor capacità
dei genitori di contenere e dare dei confini emotivi al bambino,
rispetto alle sollecitazioni dell’ambiente esterno. In assenza
di confini emotivi o in presenza di confini emotivi labili, il
bambino si ritrova senza protezioni rispetto all’esterno e, per
non mettersi a rischio, tace.
Una
risorsa attivabile nella famiglia è quella relativa alla
capacità di meta comunicare: “Ogni comunicazione ha un
aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il
secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione”23.
Quando
parliamo di funzione meta intendiamo parlare della capacità di
auto- osservazione e auto-riflessione nella coppia genitoriale sulle
proprie azioni educative, “capacità di andare meta”
che permette alla coppia di autoregolarsi e modificare l’orientamento
di volta in volta a seconda delle risposte ricevute dai figli.
Questo
processo avviene solo se si costruisce una “mente di coppia”
tra i due genitori: il contesto terapeutico sistemico favorisce la
costruzione di significati condivisi a partire dalle diverse
posizioni in cui ognuno dei genitori si trova.
Nelle
situazioni di difficoltà relazionale nelle famiglie con
bambini piccoli con cui abbiamo lavorato, la funzione cosiddetta meta
è sempre insicura, instabile o addirittura inesistente
all’interno della coppia genitoriale.
Non
partiamo dal presupposto che i genitori portino idee o comportamenti
giusti o sbagliati, ma idee o comportamenti che fanno stare bene e
altri che fanno star male24. In tal modo permettiamo ai
genitori di recuperare la libertà di scegliere insieme
assumendosi responsabilità educative.
L’emotività
che ogni patologia dei figli muove nei genitori è intensa e
contrasta la funzione meta, rendendo così più fragile
il genitore che deve autoregolarsi, scegliendo i comportamenti più
adeguati per la relazione con il figlio.
Anche il
sintomo che presenta il figlio in genere va a collocarsi in
situazioni o emozioni in cui il genitore si sente più fragile.
All’inizio
della terapia Laura non parlava da due anni e proveniva da una
terapia di un anno, intervento che aveva richiesto incontri
settimanali con la bambina e a volte con la mamma; Francesca non
parlava da due mesi; Mara non aveva mai parlato in ambiti sociali
esterni alla famiglia prima della terapia e Aurora manteneva il
silenzio da circa due anni. Nelle storie di Francesca e Aurora c’è
una coincidenza temporale tra la nascita di un fratellino e la
comparsa del sintomo.
La
famiglia di Laura si era trasferita in Francia da 4 anni per esigenze
di lavoro del padre, esperto in relazioni internazionali. La madre
aveva sofferto molto questo trasferimento e non era riuscita ad
appropriarsi della nuova lingua e di conseguenza a costruire
relazioni sociali soddisfacenti. La figlia Laura, che invece aveva
imparato bene il francese, si rifiutava di parlarlo fuori casa. Nella
lettura sistemica non esiste una relazione causa effetto (non è
colpa della madre che non parla il francese bene che causa il non
parlare fuori casa della figlia) ma un rispecchiamento di significati
utili o meno (la figlia per sentirsi più sicura fa come fa la
madre)25 che in questo caso genera il paradosso in cui si
trovano: Francesca per sentirsi sicura si rispecchia nella mamma, ma
in una sua fragilità. In questo modo si costruisce nel tempo
un circolo vizioso che si auto-mantiene26: la soluzione
che costruisce il problema.
Un altro
esempio di circolo vizioso lo ritroviamo nella storia di Aurora.
Aurora,
all’inizio del secondo anno di scuola materna, continua a non
parlare; la mamma molto preoccupata, ogni giorno chiede alle maestre,
in presenza della figlia, se ha parlato. Questo comportamento
favorisce la chiusura di Aurora, ma la mamma non riesce a modificarsi
perché il tempo aumenta l’ansia.
Le
esperienze cliniche ci mostrano una specificità del ruolo
materno che vede la madre più vicina alla quotidianità
del bambino piccolo. La posizione del padre è più
frequentemente meno coinvolta dal punto di vista emotivo e intenta
all’ osservazione della coppia madre-bambino.
Il lavoro
terapeutico permette alla madre di fare “un passo indietro”
rispetto alle proprie emozioni, grazie al “passo avanti”
che può fare il padre verso il figlio. Come quando si danza in
coppia i movimenti dei partner sono diversi, ma complementari, e
hanno un obiettivo comune, danzare, così nella terapia i
genitori imparano a educare insieme riconoscendo i comportamenti
dell’uno e dell’altro ruolo.
Per
esempio chiediamo al papà di Mara, fuori casa per molte ore al
giorno, di offrire un rituale serale alla figlia (una storia ogni
sera prima di dormire) per fornire rassicurazione emotiva e un
riavvicinamento tra loro, e chiediamo alla madre di ricercare
eventuali cambiamenti nella loro relazione quotidiana. In questo modo
la madre può allentare la tensione emotiva senza restare
“disoccupata emotivamente “ e scoprire che ci sono altri
modi per far star bene la propria figlia e che il padre può
essere coinvolto più direttamente nella relazione con la
bambina.
Le storie
delle famiglie incontrate sono ricche e molto differenti tra loro,
come sempre succede in terapia. Le storie si compongono di eventi
reali e di significati scelti per unire le emozioni che si provano
mentre si vivono.
Il filo
rosso che le attraversa nella terapia è la funzione meta che
si traduce in un processo comunicativo proprio di ogni storia
familiare.
Ad oggi
Laura, Francesca, Mara e Aurora dopo l’intervento eseguito
“parlano” dovunque!
Il MS
rappresenta una patologia ancora oggi poco conosciuta, sia in termini
epidemiologici che eziopatogenetici; la letteratura riporta infatti
singole e limitate esperienze cliniche, da cui emergono una maggior
frequenza nel sesso femminile e una comparsa nelle età
comprese tra i 3 e gli otto anni.
Nella
nostra esperienza, il MS è un disagio riscontrabile nei
bambini prima dei 5 anni di età, in contesti di
socializzazione diversi da quello famigliare e conferma il dato della
prevalenza maggiore nel sesso femminile.
Appaiono
inoltre particolarmente importanti le figure del pediatra, del
neuropsichiatra infantile e delle insegnanti della scuola
dell’infanzia per poter effettuare una diagnosi precoce.
Infatti
il riconoscimento precoce della patologia permette un intervento
clinico e una risoluzione del caso meno complessa di quando il MS
viene diagnosticato e curato nel periodo della scuola primaria.
Il nostro
intervento clinico ci ha confermato la premessa teorica sistemica per
cui le risorse per il cambiamento sono rintracciabili all’interno
del sistema stesso. Pertanto la nostra prassi clinica ha richiesto in
seduta la presenza sempre e solo dei genitori, che permette al
bambino di non dover affrontare persone sconosciute, in setting a lui
estranei e quindi stressanti. Sarebbe paradossale intervenire su un
sintomo ansioso aggiungendo componenti ansiogene!
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