Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Ottobre 1999 - Volume II - numero 8
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- Nuova indagine per la diagnosi del morbo di Crohn
Un'epidemia di malattia mani-piedi-bocca
Nefropatia grave da ingestione di erbe cinesi
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Un'epidemia di malattia mani-piedi-bocca
Nefropatia grave da ingestione di erbe cinesi
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Ottobre 1999 - Volume II - numero 8
M&B Pagine Elettroniche
Avanzi
Novità,
riflessioni, contributi e proposte,
Prove
integrate per la diagnosi in utero di sindrome di Down
Le
prove di screening nel 1° e nel 2° trimestre di
gravidanza per la sindrome di Down, servono a identificare le donne
da sottoporre al prelievo di villi coriali o all'amniocentesi. Sulla
base dei risultati ottenuti dallo studio di 77 gravidanze con feto
affetto da sindrome di Down e 393 gravidanze con feti sani, viene
proposto l'utilizzo di prove diverse, integrate fra loro, in
successione (N Engl J Med 341, 461-7 e 521-2, 1999). Nel primo
trimestre viene dosata la proteina plasmatica A, associata alla
gravidanza, e viene misurata la translucentezza nucale del feto
mediante l'ECO; nel secondo trimestre vengono dosate,
l'alfa-fetoproteina del siero, l'estriolo non coniugato, la
gonadotropina corionica umana e l'inibina A. Con queste prove la
percentuale di riconoscimento della sindrome di Down fu dell'85% e la
percentuale dei falsi positivi fu dello 0,9%. Il fattore limitante di
questa procedura è rappresentato dall'alto costo dei vari
esami, di fronte a un 15% di casi che comunque sfugge alle indagini e
fortutamente a meno dell'1% di falsi positivi.
Siamo
sicuri che l'uso dei supplementi di acido folico in gravidanza riduca
l'incidenza dei difetti del tubo neurale?
Ormai
siamo tutti sicuri che la somministrazione di supplementi di acido
folico durante la gravidanza riduce in modo evidente i difetti del
tubo neurale, tanto è vero che questi interventi profilattici
vengono ormai usati a tutti i livelli e in tutto il mondo. Ma ecco di
recente suonare una campana discordante (Lancet 354, 998-9,
1999): da una larga indagine statistica risulta che il declino
nel numero dei nati con difetti del tubo neurale è cominciato
ben prima (dal 1980) dell'introduzione dell'acido folico in
gravidanza e che anzi da quando l'acido folico è stato
introdotto, l'abbassamento si è arrestato. Viene suggerito
che l'abbassamento riscontrato negli anni 80 rappresenti il ritorno
a un livello normale di malformazioni, dopo un'epidemia di difetti,
insorta fra il 1920 e il 1949. Nonostante tutto questo, ci sembra che
non sia il caso di interrompere l'attuale profilassi dei difetti,
mediante l'uso sistematico dell'acido folico, tuttavia questa
nuova segnalazione ci deve spingere a studiare ancora più
approfonditamente il problema e soprattutto ci deve suggerire di
tenere sempre vivo il nostro spirito critico per essere costantemente
pronti a rivedere, correggere o cambiare modi di pensare, che ci
sembravano inattaccabili.
I
pediatri conoscono bene quella tumefazione duro-lignea, da rotonda a
fusiforme, presente fra il terzo medio e il terzo inferiore del
muscolo sternocleido-mastoideo (SCM), che compare dopo 10 giorni
dalla nascita, come conseguenza di un'emorragia endomuscolare, che
aumenta di volume fra la seconda e la quarta settimana di vita e che
persiste per mesi, per scomparire, senza residuati all'età
di 5-8 mesi. L'origine della tumefazione è dovuta alla
trasformazione fibrosa del muscolo, in corrispondenza dell'avvenuta
emorragia. I rapporti fra questa tumefazione e il torcicollo
muscolare successivo non sono tuttavia ancora sufficientemente
chiari, perché anche nella tumefazione fibrosa si manifesta
fin dall'inizio un'inclinazione della testa dal lato colpito con
rotazione verso il lato opposto. Per chiarire questi rapporti è
stata condotta un ricerca su 510 casi di tumefazione dello SCM,
seguiti per una media di 3,5 anni (J Pediatr 134, 712-6,
1999). Venne notata una buona correlazione con la presentazione di
natiche (19,1%) e con il tipo di assistenza al parto; il rapporto
maschi/femmine fu di 3 a 2. Il 6,1% di tutti i bambini non aveva
deficit di rotazione, ma il 67% presentava deficit significativi. In
tutti i lattanti il trattamento fu conservativo, con posizionamento
della testa a domicilio e con stiramento manuale da parte di un
fisioterapista. L'intervento chirurgico venne riservato a quei
soggetti che non dimostrarono alcun miglioramento dopo l'età
dei 6 mesi. Nel 93,3% dei casi il risultato della terapia
conservativa fu ottimo; solo 34 soggetti (6,7%) necessitarono di
trattamento chirurgico, per la correzione del residuo torcicollo. Da
tutto questo risulta che la comparsa di un torcicollo, al di là
del 6° mese di vita, rappresenta una rara evoluzione di una
comune tumefazione del muscolo SCM: dall'esame dei dati riportati
risulta difficile stabilire quali siano i rilievi clinici che
facciano ritenere probabile un'evoluzione verso il torcicollo
tardivo.
La
dilatazione dei ventricoli cerebrali del prematuro è un
cattivo segno pronostico?
I
neonatologi, con esperienza di ecografia cerebrale, hanno messo in
evidenza da decenni che il rilievo di una ventriculomegalia,
soprattutto a carico dei ventricoli cerebrali laterali, senza segni
di aumentata pressione intracranica, è un rilievo
relativamente poco frequente (circa il 4%), come evoluzione di
emorragie intraventricolari. Inizialmente si pensava che la
ventriculomegalia non avesse, come in effetti non lo ha, alcun
rapporto con l'idrocefalo, e che non avesse un sicuro significato
prognostico. Per controllare questo modo di pensare sono stati
esaminati a distanza di oltre 4 anni, 384 nati con peso molto basso
(Pediatrics 104, 243-8, 1999).I rilievi riscontrati permettono
di affermare che per i neonati pretermine la ventriculomegalia
rappresenta il segno della vulnerabilità dello sviluppo del
cervello: la sua presenza è un importante e indipendente
predittore di un cattivo sviluppo cognitivo e motore all'età
di 4,5 anni. Viene ipotizzato che la ventriculomegalia sia la
conseguenza della riduzione nel volume della sostanza bianca, in
seguito all'intervento di fattori anossico-emorragici.
L'azitromicina
nella prevenzione della Pneumocystis carinii
I La
polmonite da Pneumocystis carinii (PPC) rimane una delle più
comuni infezioni opportunistiche, sia dei piccoli prematuri che dei
soggetti infettati con HIV-1. La prevenzione di questa complicazione
è infatti capace di abbassare notevolmente la stessa mortalità
per AIDS. L'associazione trimetoprim-sulfametossazolo, fra le tante
proposte, rimane la migliore: tuttavia la frequente intolleranza
contribuisce a rendere difficile questo tipo di profilassi, che
d'altra parte permette ancora un'incidenza di PPC dell'8-20%.
Sebbene l'introduzione della terapia antivirale fortemente attiva
abbia temporaneamente resa inutile la profilassi della PPC,
l'interesse per la scoperta di nuovi farmaci è ancora molto
alto. Durante l'uso della profilassi, mediante azitromicina, delMycobacterium avium, in soggetti con infezione da HIV-1, è
risultato che questo antibiotico, somministrato una volta alla
settimana alla dose di 1.200 mg nell'adulto, rappresenta anche
un'utile arma nella profilassi primaria della PPC (Lancet354, 891-5, 1999). Per quanto riguarda il versante neonatale
mancano ancora conferme.
Nuova
indagine per la diagnosi del morbo di Crohn
Negli
ultimi anni sono state migliorate molte delle procedure usate per la
diagnosi di morbo di Crohn (MC) e di malattia infiammatoria cronica
(colonscopia e indagini radiologiche contrastografiche) e sono state
scoperte nuove prove, come quella dei globuli bianchi marcati: tutte
queste metodiche o non sono ben accette dall'adolescente o
richiedono la sottrazione di sangue e quindi sono per qualche verso
invasive. A cura di ricercatori canadesi viene proposta una nuova
tecnica che utilizza il fluorodesossiglucosio, marcato con fluoro 18
(FDG) (Lancet 354, 836-7, 1999): l'assunto è che le
cellule infiammatorie utilizzano grandi quantità di glucosio,
per cui usando la tomografia con positroni è possibile
identificare una concentrazione di glucosio a livello della lesione
intestinale. L'esame richiede uno scan di 30-40 minuti, da eseguire
un'ora dopo l'iniezione endovenosa di FDG (1,85 MBq/kg). Sono
stati studiati 25 pazienti con sospetto MC che sono stati sottoposti
all'esame con FDG PET e alla colonscopia con biopsie multiple o un
esame del tenue in alternativa o in successione: la sensibilità
della prova fu dell'81% e la specificità dell'85%; in 8 di
10 pazienti nei quali la colonscopia fu incompleta, la FDG PET
dimostrò un'aumentata attività a livello di un
segmento dell'intestino, rilievo che fu consistente con la diagnosi
d'infiammazione del colon prossimale, che non era stato possibile
visualizzare. Viene consigliato di aggiungere questa prova alla
colonscopia e agli studi col bario, nei centri nei quali è
possibile eseguire un esame PET, in particolar modo in quei soggetti
che nei quali gli studi convenzionali non avevano avuto successo.
Un'epidemia
di malattia mani-piedi-bocca
Ormai la
diagnosi di malattia mani-piedi-bocca viene posta con relativa
facilità: essa viene in generale considerata, da noi, come una
malattia relativamente rara e ad andamento sempre favorevole. Ognuno
ha visto piccole epidemie intrafamiliari, di scarsa rilevanza. Ma a
Taiwan le cose sono andate altrimenti: nel 1998 è scoppiata
una grave epidemia, che ha coinvolto 129.106 casi con malattia
mani-piedi-bocca, dovuta all'enterovirus 71 (N Engl J Med
341, 929-35), che , come sappiamo, è stato spesso causa di
gravi epidemie (Bulgaria, Ungheria, Malesia); nel nostro Paese la
malattia è data invece dal Coxsackie A16, virus molto meno
invasivo di quello che ha colpito Taiwan. Degli oltre 100.000
ammalati, 405 (soprattutto quelli con età inferiore ai 5 anni)
ebbero una malattia molto grave: le complicazioni furono
l'encefalite, la meningite asettica, l'edema e le emorragie
polmonari, la paralisi flaccida acuta e la miocardite. 78 di questi
pazienti vennero a morte: il 91% con meno di 5 anni di età. Il
quadro neurologico era caratterizzato dall'interessamento del
rombencefalo (cervelletto, ponte e midollo allungato) e da paralisi
flaccida degli arti inferiori (N Engl J Med 341, 936-42 e
984-5, 1999). Un rilievo di cui tener conto nella diagnosi
differenziale di una polio paralitica, magari post-vaccinazione.
Nefropatia
grave da ingestione di erbe cinesi
La
medicina alternativa trova sempre più fautori: la maggior
parte della popolazione pensa che questi rimedi forse non funzionano,
ma non sono d'altra parte capaci di provocare danni al nostro
organismo. Purtroppo non è sempre così: l'attenzione
degli studiosi si è concentrata di recente sulle "erbe
cinesi", una preparazione dagli usi molteplici che già
anni fa aveva causato in Belgio molti casi d'insufficienza renale
cronica (circa un centinaio), con passaggio obbligato per alcuni di
loro alla dialisi e al trapianto renale. Oggi è la volta del
Regno Unito: due casi (ambedue adulti) sono giunti all'insufficienza
renale cronica dopo ingestione prolungata di erbe cinesi, assunte in
ambedue i casi per la cura di un eczema (Lancet 354, 481-2,
1999). Le preparazioni cinesi sono state sottoposte ad accuratissimi
esami e in esse è stato riscontrato l'acido aristolocico I e
II: si tratta di una sostanza a elevatissima azione nefrotossica e
inoltre cancerogena, che era stata ritrovata anche nei casi belgi. Ma
chi usa queste erbe e soprattutto chi le consiglia ? Nel Regno Unito
ci sono almeno 3.000 medici che prescrivono erbe cinesi per le
malattie più diverse, spinti, probabilmente, dal desiderio di
novità e di dissacrazione della medicina ufficiale. Ma il
contenuto della sostanza attiva, negli estratti dalle piante, e lo
sapevano bene i vecchi medici per la digitale, non è
quantificabile con precisione e non si può escludere la
presenza di inquinanti di vario tipo. E' la mancanza di controlli che
porta a queste conseguenze. Cosa sta succedendo in Italia a questo
proposito ? Esiste un controllo da parte del Ministero della Sanità
su questi prodotti ?
L'immunoterapia
è efficace nell'allergia alle graminacee
Come
tutti sanno molti dubbi esistono ancora in alcuni allergologi
sull'utilità dell'immunoterapia. Per l'allergia alle
graminacee sembra di essere giunti alla conclusione finale:
l'immunoterapia per 3-4 anni induce una remissione clinica prolungata
della rinite allergica, accompagnata da una persistente modificazione
della reattività immunologica (N Engl J med 341, 468-75
e 522-4, 1999). E' stato usato un vaccino, assorbito con idrossido di
alluminio, per via sottocutanea, con somministrazione una volta al
mese.
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