Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Ottobre 1998 - Volume I - numero 8
M&B Pagine Elettroniche
Avanzi
Novità,
riflessioni, contributi e proposte,
Già
sui quotidiani di qualche settimana fa avevamo avuto notizia degli
effetti collaterali sulla funzionalità cardiaca degli
anoressizzanti (A). Oggi ben 3 pubblicazioni e un commento sono
comparsi sul NEJM (513-18, 719-24, 725-32 e 765-7, 1998) a conferma
delle prime notizie. Le sostanze interessate nelle pubblicazioni
sono: fenfluramina, fentermina, dexfenfluramina e l'associazione
dexfenfluramina-fentermina. Il gran numero di soggetti obesi,
soprattutto in USA, ci fa comprendere che il loro uso è molto
frequente: complessivamente sono stati considerati oltre 20.000
soggetti, che assumevano farmaci A da anni. Uno dei 3 studi si basa
sulla somministrazione di A in soggetti obesi in cieco con gruppo
controllo, per la durata, a scopo sperimentale, di circa 70 giorni.
Nei 3 studi è stata dimostrata la comparsa d'insufficienza
valvolare cardiaca (della valvola aortica, e/o mitralica), con una
prevalenza maggiore fra i soggetti obesi trattati. L'ecocardiografia
si è dimostrata in mani esperte la metodica più
precisa. Secondo uno studio il rischio è risultato
corrispondente a 7,1 casi su 10.000 soggetti esposti, ma secondo
un'altra ricerca il rischio è molto più elevato,
potendo estendersi al 23% dei trattati.
Quali
risvolti pratici ?
a) gli A
non trovano un'indicazione nella cura dell'obesità di soggetti
in età evolutiva, comunque le attuali conoscenze debbono
consolidare l'abitudine dei pediatri di non trattare l'obesità
con farmaci
b) tutti
i soggetti che sono stati trattati con questi farmaci vanno esaminati
clinicamente
d)
un'ecocardiografia va consigliata a tutti quelli che presentino un
soffio cardiaco
e) una
particolare attenzione va rivolta per l'uso di lunga durata con altri
farmaci, che agiscono con meccanismo serotonergico
f) non
bisogna dimenticare tuttavia che talvolta la comparsa di alterazioni
cardiache possa essere un fenomeno naturale e non una conseguenza
della somministrazione del farmaco incriminato.
La
tubercolosi (tbc) rimane ancor oggi un'importante problema di salute
pubblica, specialmente fra le popolazioni a basso livello economico.
L'applicazione delle attuali strategie di diagnosi, trattamento e
prevenzione hanno portato negli ultimi decenni a un graduale
abbassamento nell'incidenza di questa malattia, ma essa negli ultimi
anni ha mostrato un arresto e in qualche Paese un lieve incremento
nell'incidenza, per cui si ritiene che si renda necessaria la
preparazione e la disponibilità di nuovi strumenti e di nuove
strategie.
La forte
immigrazione nei Paesi occidentali di popolazioni (provenienti
dall'India, dal nord o dal Centrafrica) nelle quale la tubercolosi ha
ancora un'elevata incidenza ha di sicuro contribuito all'arresto
della curva decrescente degli scorsi decenni. Ma indubbiamente vi ha
contribuito anche la pandemia di infezioni da HIV, molte delle quali,
allo stadio di AIDS mostrano la comparsa d'infezioni di bacilli
tubercolari o di micobatteri non tubercolari (Mycobacterium avium
soprattutto), spesso resistente a molti o a quasi tutti gli
antibiotici a nostra disposizione.
Solo la
scoperta di nuovi vaccini contro la tbc, permetterà di
affrontare il problema in modo corretto. Un fascicolo intero
dell'MMWR (47, n° RR-13) del 21 agosto 1998 è dedicato a
questo importante argomento. Il vecchio BCG, alla luce di moderne
rassegne, è risultato troppo poco omogeneo nella sua capacità
preventiva nei confronti della tbc, per cui in alcune statistiche la
sua efficacia sul campo si è situata intorno al 50% dei
vaccinati: troppo poco per rappresentare ancor oggi un'arma efficacie
nella lotta contro la tubercolosi. Sia la Sanità pubblica di
ogni nazione, che tutte le ditte che preparano vaccini vengono
stimolate a sviluppare una strategia consensuale per raggiungere
questo scopo.
Le
attuali misure di controllo
Alcune
delle attuali stategie per il controllo della tbc hanno dimostrato
scarso o nessun effetto sulla malattia o hanno aggravato la
situazione in alcuni casi: intendiamo riferirsi all'uso del vaccino
di Calmette-Guérin e alla somministrazione di farmaci, senza
uno stretto controllo del trattamento. La più efficace misura
di controllo è il trattamento attento dei pazienti con
tubercolosi polomonare bacillifera (cioè con presenza di
bacilli alcool-acido-resistenti all'esame microscopico
dell'escreato). E' stato calcolato che con una strategia di
trattamento di breve durata, complessivamente la tbc potrebbe
diminuire del 50% in 10 anni.
Sebbene
il vaccino BCG sia il più largamente usato di tutti i vacini
nel mondo, esso, come abbiamo detto, ha avuto scarsa influenza
sull'epidemiologia della tbc: quello che più ha colpito i
ricercatori che hanno raccolto i dati delle diverse esperienze è
l'estrama variabilità dei risultati, che sono andati da 0 in
un Paese all'80% in un altro. La più estesa e più
recente ricerca prospettica, con controlli, è risultata lo
studio Chingleput, eseguito nell'India del sud: questo studio non ha
complessivamente dimostrato alcun effetto protettivo. Ma tutti questi
studi hanno indicato d'altra parte che la vaccinazione con BGC
conferisce protezione verso le forme gravi di tbc del bambino, che
sono responsabili di alte percentuali di letalità: in Svezia
per esempio la miliare e la meningite tubercolare sono scomparse dopo
la vaccinazione.
Nonostante
tutti questi difetti, il BCG rimane una delle componenti della
strategia per la lotta contro la tbc nei Paesi più poveri. In
Francia questo tipo di vaccinazione è ancora diffuso, ma in
USA esso non viene raccomandato per un uso routinario, sia perchè
esso è scarsamente efficace, sia perchè inducendo una
reazione cutanea da ipersensbilità alla tubercolina PPD
(purified protein derivative) nella maggior parte dei vaccinati,
rappresenta un elemento confondente per la diagnosi di tubercolosi.
Lo
sviluppo di nuovi vaccini
Attualmente
tutti gli sforzi sono rivolti allo sviluppo di nuovi vaccini contro
la tbc. La maggior parte delle ricerche è rivolta a migliorare
le conoscenze dell'immunopatogenesi della tbc, con lo studio del
micobatterio infettate dell'ospite uomo. I ricercatori hanno
individuato il genoma completo del M tuberculosis, che permette di
offrire nuove opportunità per conoscere meglio la virulenza,
la patogenesi e la persietenza, del bacillo di Koch, cioè la
capacità del del bacillo di rimane "dormiente" per
moltissimo tempo in alcune parti dell'organismo, dopo la primitiva
diffusione linfo-ematogena. Altrettanti progressi sono stati fatti
nella conoscenza dei meccanismi della sensibilità e della
resistenza del bacillo e nell'identificazione delle risposte immuni
protettive dell'uomo all'infezione e alla malattia.
I nuovi
vaccini candidati si basano sulle più moderne tecnologie, come
i vaccini a subunità, i DNA vaccini e altri ceppi attenuati di
micobatteri vivi. Tutto questo per ora viene provato nell'animale da
laboratorio. Tutti sperano che entro pochi anni molti vaccini pongano
la loro candidatura per essere usati nell'uomo.
Nello
sviluppo di nuovi vaccini contro la tbc è necessario, almeno
inizialmente, procedere secondo linee precise:
a)
sviluppare un consenso fra la popolazione, sulla base di pareri delle
diverse componenti la Sanità pubblica e delle ditte, che
preparano i vaccini
b)
fondare un impegno di notevoli proporzioni sia da parte di fondi
privati che statali, della durata di molte decadi, per sostenere la
ricerca a tutti i livelli
Successivamente
è necessario sviluppare un piano strategico globale per lo
sviluppo dei vaccini, con il coinvolgimento della Sanità
pubblica, dei privati e dell'Università, e per stabilire con
precisioni quali debbano essere le caratteristiche necesario in un
nuovo vaccino:
- deve
essere privo di effetti collaterali
- deve
essere sicuro anche quando somministrato a soggetti
immunocompromessi, come le persone affette da HIV
- anche
per questo sarebbe meglio se il nuovo vaccino non fosse costituito da
agenti vivi attenuati
- in
linea di principio il vaccino non dovrebbe accompagnarsi a
ipersensibilità al PPD, che rende successivamente impossibile
eseguire la prova della tubercolina in soggetti vaccinati
- il
vaccino dovrebbe proteggere dalla malattia, sia quando somministrato
prima che dopo l'infezione
- prima
di essere usato nell'uomo, il vaccino va accuratamente testato negli
animali, per osservare se esso è in grado di provocare una
risposta immune e se è capace di proteggere verso la malattia
tbc, in risposta a un cartico di bacilli tubercolari virulenti
- poichè
non esiste nessun modello di infezione tubercolare silente per
provare l'effetto del vaccino, somministrato dopo l'infezione, vanno
previste specifiche ricerche in tal senso.
Conclusioni
a) sia
l'infezione che la malattia tubercolare non sono ancora state
debellate, anzi negli ultimi anni hanno mostrato un arresto nella
progressiva caduta o addirittura un lieve incemento
b) il
vecchio vaccino BCG si è dimostrato insufficiente a limitare
la diffusione della tbc, anche per l'estrema variabilità della
sua efficacia sul campo
c) è
giunta l'ora della preparazione di nuovi vaccini, meglio se
costituiti da componenti il bacillo della tbc, piuttosto che da
agenti vivi attenuati
Un tale
orientamento generale non può non dispiacerci come pediatri
italiani, perchè riporta la scienza ai vecchi concetti di
Petragnani-Salvioli, ovviamente alla luce delle nuove potenzialità
della ricerca.
Bibliografia:
Development
of new vaccines for tuberculosis - Recommendations of the Advisory
Council for the Elimination of Tuberculosis (ACET) - MMWR 47,
N° RR-13, 1998
La prima
convulsione, per la quale non risultino cause evidenti, è un
aspetto importante dell'epilessia, che merita un posto a parte nella
stessa classificazione delle epilessie e delle sindromi epilettiche.
Secondo la letteratuta nel 26-81% dei casi esse sono seguite a
distanza variabile da una ricaduta: in ampi studi la ricaduta a due
anni avviene nel 53% dei casi.
Circa il
4% della popolazione ha avuto durante la sua vita uno o più
episodi di convulsioni non febbrili. L'iniziale inquadramento clinico
di rado aiuta nella diagnosi, per cui rimangono incerte anche la
prognosi e il trattamento. Sarebbe invece molto importante poter
distinguere fin dall'inizio se ci si trova difronte a una crisi
convulsiva non epilettica (malattie del metabolismo, avvelenamenti) o
a una vera e propria epilessia, con tutte le sue conseguenze mediche
e sociali.
Da molto
tempo era atteso uno studio prospettico che permettesse di stabilire
in base a quali elementi sia possibile stabilire fin dal primo
attacco se si tratta o meno di epilessia ed eventualmente di quale
tipo di epilessia si tratti. Un gruppo di ricercatori australiani
(Lancet 352, 1007-11 e 1003-4 (commento), 1998) ha studiato 300 casi
consecutivi di bambini e adulti con convulsioni di origine non
evidente. Essi hanno sistematicamente raccolto i dati e le
documentazioni dei pazienti, compreso un EEG eseguito entro 24 ore
dall'attacco convulsivo. La Risonanza Magnetica (RM) venne eseguita a
seconda dei casi.
Un quadro
epilettico generalizzato o parziale venne diagnosticato, solo sulla
base dei dati clinici, in 141 dei 300 pazienti, cioè nel 47%
(con solo 3 errori).
L'esecuzione
di un EEG permise si allargare la diagnosi a 232 pazienti, pari al
77% del totale.
Le
diagnosi finali delle forme epilettiche furono:
-
epilessia generalizzata nel 24% dei pazienti
-
epilessia parziale nel 58% ed
-
epilessia non classificata nel 19%.
La
precocità dell'EEG (entro 24 ore dalla crisi) fu più
utile alla diagnosi che non un EEG eseguito tardivamente (51% contro
34%). Se possibile, soprattutto nelle epilessie generalizzate, è
opportuno eseguire l'EEG in deprivazione di sonno.
Le
neuroimmagini mostrarono lesioni epilettogeniche in 34 pazienti, di
cui 17 tumori. Non vennero dimostrate lesioni nei pazienti con
epilessia generalizzata. Le diagnosi finali delle forme epilettiche
furono:
-
epilessia generalizzata nel 24% dei pazienti
-
epilessia parziale nel 58% ed
-
epilessia non classificata nel 19%.
In tutti
questi venne intrapreso il trattamento.
La
scoperta di una lesione epilettogenica in un paziente con una prima
convulsione ha importanti conseguenze per la diagnosi, la prognosi e
il trattamento. Infatti al giorno d'oggi esiste una forte corrente di
pensiero che ritiene potenzialmente curabili con la chirurgia molte
lesioni epilettogenetiche, a parte i tumori cerebrali. La RM mostra
comunemente lesioni in pazienti con epilessia parziali croniche:
nell'epilessia intrattabile del lobo temporale, oltre il 70% dei
pazienti ha una sclerosi dell'ippocampo. Nonostante ciò nella
casistica riportata dagli autori predominavano i tumori più
che le sclerosi dell'ippocampo.
Una
diagnosi corretta iniziale in un paziente con sindrome epilettica
rende facile la scelta del farmaco da usare per il trattamento.
Sebbene non ci sia accordo su questo punto, studi randomizzati hanno
dimostrato che, trattando l'epilessia dal primo accesso, si riduce la
probabilità di ricaduta entro i due anni. Come farmaci di
prima scelta, gli AA suggerisdcono il Valproato nelle epilessie
generalizzate e la Carbamazepina nelle epilessie parziali.
Anche la
prognosi è più accurata nella maggioranza dei casi. Per
esempio i bambini con epilessia rolandica benigna presentato crisi
poco frequenti, che rimettono spontaneamente nell'adolescenza e che
quindi non sempre richiedono un trattamento. In contrasto l'epilessia
mioclonica giovanile può durare tutta la vita e quindi può
necessitare di un trattamento di lunga durata.
Gli
autori alla fine della pubblicazione sottolineano che i dati esposti
non si adattano ai bambini che abbiano meno di 5 anni. Per quelli di
età superiore vengono previsti:
-
rigoroso esame clinico-anamnestico, riguardante soprattutto la
presenza in precedenza di sintomi minori di tipo epilettico
- EEG
nelle prime 24 ore successive alla crisi convulsiva
- EEG in
in deprivazione di sonno se il primo EEG non sia risultato
diagnostico
- RM per
tutti i pazienti, eccettuati quelli con un'epilessia idiopatica
generalizzata all'EEG e quelli con epilessia rolandica benigna.
Da molti
anni si sapeva che mantenere in casa le piccole tartarughe d'acqua
dolce, molto amate dai bambini, espone gli abitanti della casa ad
ammalarsi di salmonellosi (sono stati descritti in USA 280.000 casi
di salmonellosi solo nel 1970, quando il fenomeno venne descritto per
la prima volta). Ora viene resa nota un'altra possibilità, a
testimonianza delle diverse vie, attraverso le quali è
possibile acquisire salmonelle: il contatto con un rettile, che nel
caso specifico è rappresentato da un giovane varano Komoro, di
9 giorni di vita, mostrato allo zoo a molti bambini (J Pediatr 132,
802-7, 1998). La descrizione di questa epidemia ci permette di
constatare una volta di più che la Salmonella enteritidis
determina un quadro clinico di una certa gravità (dolori
addominali, diarrea con sangue, febbre e vomito), tanto da doverla
necessariamente considerare a parte dalle oltre 2000 salmonelle fino
a oggi conosciute e caratterizzate da un quadro clinico molto lieve,
sia nel bambino di oltre 1 anno che nell'adulto (qualche scarica
diarroica e niente più).
Ogni anno
in Italia vengono notificati da 20 a 30.000 nuovi casi di
salmonellosi minori: ma sappiamo bene che questa cifra è
assolutamente al di sotto della realtà. A dire il vero è
molto probabile che le infezioni acute intestinali da salmonelle
siano nel nostro Paese da 10 a 20 volte superiori. Negli USA sono
previste da 2 a 4 milioni di salmonellosi ogni anno, di cui il 39% in
età inferiore ai 10 anni. Le vie attraverso le quali in Italia
le salmonelle si diffondono con maggiore frequenza.
Sono in
qualche modo legate agli animali da cortile, cioè alle
galline, alle anatre e ai tacchini. A questi animali le salmonelle
giungono con i comuni mangimi (in vario modo confezionati), che
risultano formati da sostanze alimentari di diversa provenienza,
mescolate fra loro: alcune norme internazionali hanno definitivo il
tasso massimo di salmonelle per grammo di mangime, ma anche queste
norme preventive non si sono dimostrate sufficienti frenarne la
diffusione. Fra le altre fonti d'infezione per l'uomo vanno ricordate
anche le uova, di rado di gallina e di frequente di anatre (ricordo
che è assolutamente vietato il commercio di uova di anatra).
Un'altra
modalità di diffusione, relativamente frequente come
incidenza, è il passaggio della salmonella da altri animali,
nel nostro caso rettili, ai bambini o agli adulti: ho già
ricordato le piccole tartarughe, ma sono stati descritti casi per
contagio da iguana fino a questo da Varanus komodoensis. Il varano è
un rettile, coperto di squame, diffuso nell'Africa settentrionale e
nell'Asia sud-orientale E' simile a una grossa lucertola (la sia
lunghezza raggiunge i 2 metri), con corpo slanciato, arti ben
sviluppati, grossi unghioni, coda robusta e lingue protrattile. Il
varano Komodo fu scoperto nel 1914 nell'arcipelago della Sonda e può
arrivare fino a 3,6 metri.
Ecco la
nostra storia: nel gennaio del 1996 un Laboratorio di Sanità
Pubblica del Colorado, isolò da molti campioni di feci una
Salmonella enteritidis: tutti i campioni positivi venivano dalle feci
di bambini che vivevano nella Contea Jefferson del Colorado. Le
interviste condotte fra i positivi misero in evidenza che l'unico
legame comune fra i bambini infettati era una recente visita allo
zoo, per vedere un varano Komodo di 9 giorni di vita, che era
visibile alla casa dei rettili del giardino zoologico di Denver.
L'epidemia,
perché proprio di epidemia si trattava, ha colpito 65
pazienti, di cui 39 risultarono positivi per la Salmonella
enteritidis. L'età media dei pazienti era di 7 anni: 55 (86%)
si essi ebbero dolori addominali, 42 (66%) ebbero febbre, 36 (56%)
presentarono sangue nelle feci e 30 (47%) ebbero vomito. Fra i casi
primari il tempo medio fra visita allo zoo e inizio dei sintomi è
stato di 3 giorni e mezzo. Nessuno dei pazienti ha toccato il varano,
m tutti hanno toccato la staccionata di legno che circondava il
rettile. Ricordo in un'epidemia da Salmonella agona nel reparto
lattanti della Clinica Pediatrica di Firenze che salmonelle vennero
ritrovate anche della copertina in plastica delle cartelle cliniche.
A Denver i bambini che si erano lavati le mani dopo aver visto il
varano e prima di mangiare si sono assolutamente protetti dalla
malattia. Una volta di più il lavarsi le mani rappresenta in
ogni occasione, nei reparti, come nella vita comune, il migliore
mezzo per evitare le infezioni.
Le
colture dalle feci di uno dei 4 fratelli varani, presenti allo zoo,
furono ripetutamente positive; le feci degli altri 3 altrettanto
costantemente negative. 5 su 29 campioni presi dalla barriera di
legno intorno ai varani furono positivi per la Salmonella
enteritidis. Tutti i ceppi isolati risultarono uguali: quelli del
varano, quelli dei pazienti e quelli isolati dalla staccionata di
legno: erano tutti fago tipo 8. Tutte le salmonelle isolate erano
sensibili agli antibiotici. Le salmonelle sulla barriera lignea erano
ancora presenti due settimane dopo la chiusura della mostra, ma si sa
che in qualche caso le salmonelle sono sopravvissute nell'ambiente
anche fino a 10 mesi.
Il
relativamente lungo periodo d'incubazione (3 giorni e mezzo)
documenta che l'inoculum era piuttosto piccolo, perché di
norma il periodo d'incubazione sta fra 24 e 48 ore. Bastano meno di
1.000 salmonelle per dare infezione nell'uomo.
Quasi
sempre le salmonelle isolate dalle feci dei rettili non danno
malattia nell'uomo, ma in questo caso si tratta di una salmonella
appartenente un tipo patogeno. Il 20-40% di tutti i rettili presenti
negli zoo albergano salmonelle nelle loro feci. Essi si infettano
attraverso la trasmissione transovarica, attraverso il diretto
contatto con altri rettili o con le feci di altri rettili o
attraverso i loro mangimi.
Le
salmonellosi da rettili, tenuti a domicilio, sono così comuni
che il CDC ha emanato alcune norme:
1) i
rettili non vanno tenuti negli asili nido o nelle scuole materne
2) i
lattanti e i bambini al di sotto dei 5 anni non debbono avere
contatti diretti o indiretti con rettili
3) i
rettili non vanno tenuti nelle case nelle quali abiti un bambino al
di sotto di 1 anno
4) i
soggetti immunocompromessi debbono evitare contatti con rettili
5) i
soggetti che posseggono rettili a domicilio debbono lavarsi bene le
mani dopo aver toccato i rettili o le cassette nelle quali vengono
mantenuti.
Bibliografia
Austin
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Assoc 15, 866-7, 1998.
Bartolozzi
G, Ciampolini M, Bernini G et al - Outbreak of Salmonella agona in
Italy - Lancet 2, 1386, 1974.
Friedman
CR, Torigian C, Shillm PJ et al - An outbreak of salmonellosis among
children attending a reptile exhibit at a zoo - J Pediatr 132,
802-7, 1998.
Woodward
DL, Khakhria R, Johnson WM - Human salmonellosis associated with
exotic pets - J Clim Microbiol 35, 2786-90, 1997.
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