Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Febbraio 1999 - Volume II - numero 2
M&B Pagine Elettroniche
Appunti di Terapia
Il
trattamento dell'AIDS alla fine del secondo millennio
*Dipartimento
di Pediatria, Università di Firenze
**
Clinica Pediatrica, Università di Chieti
***Centro
di Riferimento Regionale AIDS pediatrico, Clinica Pediatrica III -
Azienda Meyer
Nell'estate
del 1996 si compì una svolta fondamentale nella lotta contro
le infezioni da HIV e in particolare dell'AIDS: venne riconosciuta
l'importanza del valore prognostico della carica virale nel
plasma, parametro da giungere alla conta dei linfociti
CD4, che fino ad allora costituiva l'elemento essenziale, per
stabilire la prognosi dell'infezione e della malattia. Questo
riconoscimento aprì la strada a nuove strategie terapeutiche,
rivolte alla riduzione della carica virale plasmatica al di sotto
delle 5.000 copie virali per mL: l'associazione di 2 o 3 farmaci in
combinazione fin dall'inizio del trattamento ne risultò la
logica conseguenza, insieme alla scelta dei farmaci da associare in
base all'entità della carica virale.
Sulla
base della formulazione chimica e della modalità di azione i
farmaci anti-retrovirus possono essere così suddivisi:
a)
nucleosidi-analoghi, inibitori della transcriptasi inversa:
zidovudina, didanosina, zalcitabina, stavudina, lamivudina, abacavir
b)
inibitori della proteasi: indinavir, nelfinavir, ritonavir,
saquinavir in preparazioni hard-gel e soft-gel, adefavir
c)
inibitori non nuclesidici della transcriptasi inversa: nevirapina,
delaviridina, ampenavir, efavirenz
Latranscriptasi inversa converte il genoma virale RNA dell'HIV
in un DNA a doppia elica, che permette l'integrazione nel genoma
della cellula umana, evento essenziale per la moltiplicazione virale.
Gli inibitori della transcriptasi inversa bloccano l'infezione
acuta delle cellule, ma hanno scarso effetto nelle infezioni croniche
delle cellule, quando il virus si è già integrato.
L'aspartatoproteasi è un enzima, codificato dall'HIV-1 che,
nella sua forma attiva, è costituito da due unità
simmetriche. Questo enzima è necessario per scindere i
precursori polipeptidici, che danno luogo alle proteine strutturali e
agli enzimi del virus, come la transcriptasi inversa, l'integrasi e
la stessa proteasi. Gli inibitori della proteasi bloccano la
maturazione virale e sono attivi sia nelle cellule infettate
acutamente, che in quelle infettate cronicamente.
Sulla
base d'impostazioni teoriche e di ricerche sperimentali e cliniche,
vennero così identificati vari tipi di combinazione:
a) due
nucleosidi-analoghi: questa combinazione dimostrò di essere
dotata di parziale effetto clinico
b) due
nucleosidi-analoghi insieme a un potente inibitore della proteasi
c) due
nucleosidi-analoghi insieme a inibitore non-nucleosidico della
transcriptasi inversa
Le
associazioni b) e c) portarono a una forte soppressione della
moltiplicazione virale; infatti venne dimostrata una diminuzione
della morbilità e della letalità. Questa strategia ha
portato a una attenuazione duratura e progressiva delle infezioni da
HIV, sia precoci che tardive, nel secondo anno di terapia
virus-soppressiva. L'obiettivo da raggiungere con il trattamento è
quello di meno di 20-50 copie di virus per mL, livello
imprenscindibile per l'adulto. Nel bambino (considerando gli
elevati livelli di carica virale da cui si parte, 1 o 2 Log 10 più
dell'adulto) una riduzione significativa della carica virtale è
già un endpoint soddisfacente, come detto anche nelle
Linee guida italiane per la terapia retrovirale in bambini con
infezione da HIV. Soprattutto in pediatria è compito del
pediatra modulare l'aggressività del trattamento alla
condizione clinica, vierologica e immunologica del singolo bambino in
quel momento. Esiste una proporzione di bambini che, anche senza
alcun trattamento, sono long-term non progressor: in
tal caso il trattamento risulterebbe inutile. La scelta del
trattamento deve basarsi anche sulla garanzia di compliance.
E' meglio (anche virologicamente) usare due inibitori nucleosidici
in modo corretto, che impiegare piuttosto la triplice (quindi con
inibitori delle proteasi) usati in modo scorretto. Gli inibitori
delle proteasi richiedono infatti il rispetto rigoroso dei tempi di
somministrazione e per alcuni un rapporto obbligato nei confronti dei
pasti (per problemi di biodisponibilità).
Va
ricordato d'altra parte che in un buon numero di questi pazienti si
manifestano fenomeni di resistenza, che portano a un aumento della
carica virale plasmatica, insieme a una diminuzione del numero di
linfociti CD4, accompagnati da una ripresa della malattia clinica.
Già
sono in stato di avanzata applicazione studi con 4 o 5 farmaci, allo
scopo di aumentare la potenza dell'effetto antivirale. I 16
farmaci, attualmente a disposizione, possono essere combinati in
vario modo, ma è sempre necessario verificare se a distanza
essi funzionano o meno (Vedi ancora le Linee guida). Al punto in cui
siamo è necessario arrivare alla massima semplificazione
consentita dei regimi di trattamento, adattandoli sempre al paziente
che abbiamo di fronte, anche tenendo conto della necessità di
ridurre gli effetti collaterali. Al contempo risulta estremamente
necessario giungere in tempi brevi all'identificazione di una
strategia comune, che permetta di scartare a priori tutti i
trattamenti inutili.
Conviene
a questo punto citare alcune necessità peculiari della
pediatria, quali quella delle formulazioni pediatriche, che necessita
per essere superata dalla disponibilità un Farmacista
ospedaliero, che riesca a preparare dalle capsule (le preparazioni
farmaceutiche in commercio sono tutte in confezioni per adulti)
preparazioni diverse , da usare anche 3 volte al giorno,
necessariamente palatabili (in generale i sapori dei farmaci
antiretrovirali sono terribili); va tenuto conto anche degli studi di
farmacocinetica mirati ai lattanti e ai bambini e dell'esatto
riconoscimento di indicazione pediatrica. Dei 16 farmaci sopra
ricordati, solo 2 (zidovudina e didanosina) hanno questa indicazione
e i pediatri italiani prescrivono tutti gli altri sotto la propria
responsabilità. In effetti, una volta di più, il medico
e soprattutto il pediatra deve scegliere il farmaco, ritenuto più
opportuno, effettuando talvolta veri e propri atti di coraggio, che
vanno necessariamente riconosciuti a quanti si interessano delle cure
dei bambini con infezioni da HIV. Meglio sarebbe se il Ministero
della Sanità si decidesse a introdurre in commercio tutti gli
altri farmaci o almeno la maggior parte di essi.
Dalle
esperienza accumulate è risultato evidente che quando ci si
trovi di fronte a un paziente con malattia avanzata, con bassa conta
dei linfociti CD4 e con un'altra carica virale plasmatica, è
facile prevedere una risposta parziale, qualunque sia il tipo di
terapia. D'altra parte, in un soggetto con un'evidente resistenza
a ogni classe di agenti antivirali, va considerato che non ci sono
più che altri 2 o 3 regimi terapeutici da tentare, tali, con i
farmaci oggi a disposizione, da assicurare alti gradi di soppressione
della carica virale.
Da quanto
detto scaturisce che accanto alla conta dei linfociti CD4 e alla
determinazione della carica virale plasmatica, alle quali è
stato accennato all'inizio, grande importanza per prevedere
l'efficacia delle nostre strategie terapeutiche, risiede anche
nella ricerca del grado di resistenza del virus.
Concludendo,
la chiave dell'attuale strategia nel trattamento delle infezioni da
HIV è quella di una durevole soppressione virale: questa
soppressione non può essere raggiunta senza il massimo della
sicurezza, della tollerabilità e dell'aderenza al
protocollo. L'ostacolo maggiore che s'incontra oggi è
rappresentato dall'elevato costo della terapia antivirale: la spesa
per soggetto è ancora lontana dal poter essere attuata per la
maggior parte delle persone infettate con HIV, soprattutto per le
popolazioni che vivono nei Paesi meno sviluppati.
E'
evidente che è necessario fare qualcosa anche in questo senso.
In attesa
di una soluzione finale, raggiungibile solo con un vaccino, va
riconosciuto oggi che la scoperta di nuovi farmaci sempre più
efficaci ha permesso di determinare profondi cambiamenti nella
prognosi della malattia. La componente pediatrica ha risentito molto
favorevolmente della recente introduzione dei nuovi regimi
terapeutici, applicati in donne in gravidanza: va tuttavia ricordato
che la sola zidovudina è risulktata utilissima nella
prevenzione della trasmissione dell'HIV, con un crollo della
percentuale di trasmissione (quando il protocollo ACTTG 076 venga
applicato correttamente) dal 18 all'8%: l'incidenza di nati
indenni da madri infette, trattate con i nuovi regimi, è ormai
elevatissima. D'altra parte la caduta dei livelli di letalità
per AIDS, riscontrata nei Paesi sviluppati negli ultimi anni,
documenta con grande aderenza il successo delle moderne terapie
farmacologiche. Per quanto riguarda i meriti degli antiretrovirali
nel bambino già infetto, merita ricordare che in Italia la
mediana di sopravvivenza è passata di recente da 8 a 12 anni.
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