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MEDICO E BAMBINO - ultimi commenti

Medico e Bambino - Tutti i commenti
< 2012 >
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Commenti
Casi indimenticabili Dicembre 2011
Una scossa alla schiena disponibile
I. Leonardi
I Poster degli specializzandi Febbraio 2012
BASTA, BASTA, BASTA
con l'eccesso di diagnosi di Reflusso Gastro Esofageo!!!
disponibile
M. Pavan, A. Magnolato
Caso contributivo Aprile 2012
Due sorelle con glossite e stenosi esofagea disponibile
J. Barp, A. Montemaggi, M. Paci, I. Cianchi, P. Pelosi, P. Lionetti
I Poster degli specializzandi Giugno 2012
Quando l’apparenza inganna disponibile
S. Lega, M. Pavan
Il commento Marzo 2012
Il ruolo del pediatra nella cura del bambino con autismo disponibile
C. Raffin
Casi indimenticabili, Dicembre 2011
prima di dopo ...continua
Per chi volesse sapere come è andata a finire il nostro caso simile a quello della dott.ssa Leonardi che avevo precedentemente commentato, dicendo che prima di dopo è meglio cercare un processo espansivo o infiammatorio...
nel nostro caso non c'era un processo espansivo, ma un processo infiammatorio a carico dei muscoli, in assenza di alterazioni EMG e di alterazioni enzimi muscolari e in assenza delle lesioni tipiche cutanee che precedono , concomitano la fascite eosinofila. E tanto per deliziarci interessamento anche delle mani che non si ha mai...
Come dire: la medicina è un'opinione?

clotilde alizzi
cl.ali@tiscali.it
clinica pediatrica palermo
mercoledì 25/01/2012 17:49
Casi indimenticabili, Dicembre 2011
prima di dopo...
Ho letto tutto d'un fiato questo articolo, per una situazione simile ma alla fine differente. Ancora non conosciamo la diagnosi.
Penso che le bandierine rosse devono essere accese sempre anche se sembra eccessivo. Ritengo che in una situazione simile aver fatto la RMN anche se poi non ci ha fornito le informazioni che cercavamo (e per fortuna per la bimba non c'era nessun processo occupante spazio, né altro, proprio altro) sia stato importante per quello che qui viene citato: "prima che sia troppo troppo tardi". Io amo dire: "prima di dopo..."
Grazie

ALIZZI CLOTILDE
cl.ali@tiscali.it
Clinica Pediatrica Palermo
mercoledì 21/12/2011 15:54
I Poster degli specializzandi, Febbraio 2012
Basta
Giusto dire basta! Ma il punto sul quale io rifletto è che il bambino potrebbe essere anche il "sintomo" di una condizione familiare oltre alla possibilità di una difficoltà sulla sua autoregolazioone.
Dare una diagnosi di RGE e conseguente terapia vuol dire coprire, nascondere, evitare.
Dare una risposta a questi sintomi vuol dire impegnarsi a proteggere il bambino.
Giusto dire basta, ma non basta. Non basta fermarsi a controllare crescita e salute fisica.

Un caro saluto



Costantino Panza
costpan@tin.it
Pediatra di Famiglia
venerdì 02/03/2012 11:37
Caso contributivo, Aprile 2012
Due sorelle con glossite e stenosi esofagea
Molto interessante, complimenti. non mi è chiaro però, perché il contemporaneo coinvolgimento del cavo orale e dell'esofago fanno escludere la Munchausen by proxy e l'autolesionismo.

Grazie



Giusiana Allocca
giustice@tiscali.it

mercoledì 06/06/2012 16:00
Editoriali, Giugno 2012
Pediatria del futuro e cambiamento
Lavoro da diciassette anni come pediatra di famiglia.
Assisto 770 bambini: ho limitato il numero degli assistiti volutamente perché la quantità degli assistiti influisce, a mio avviso, sulla qualità dell’assistenza.
Da diversi anni partecipo ai vari forum sul cambiamento della pediatria di famiglia: uno dei primi nel lontano 2007.
“Quale pediatria? Quale pediatra?"
La risposta, allora la vedevo negli obiettivi, ancora attuali, proposti da Biasini nel suo bellissimo articolo (Medico e Bambino 2006;25,2:83): “una pediatria che si trasformi in una comunità di professionisti che recuperino l’abitudine a lavorare insieme, ma non nel vuoto, bensì in un sistema organizzato come il SSN, con comuni obiettivi e comuni metodi di lavoro.”
Individuati gli obiettivi, mi sono sempre chiesta quale pediatra avrei voluto essere e dalla mia esperienza professionale allora avevo cercato di individuare alcuni punti essenziali:
“Un buon pediatra di famiglia deve saper ascoltare ed essere consapevole delle sue responsabilità, esercitare una buona vigilanza sulle patologie, mettersi possibilmente in armonia con se stesso e con gli altri (utenti, medici ospedalieri e infermieri, colleghi), tenere sempre vivo il desiderio di imparare da chi ha più esperienza nello specifico campo, non abusare del suo potere, verificare la qualità del suo lavoro, collaborare con l’ospedale, condividere le emozioni e le paure di genitori sempre più disorientat“ (Medico e Bambino 2007,26:82-5).
Ho sempre amato lavorare in team, ma nel territorio in cui vivo nessuno ha mai creduto in un progetto di pediatria di gruppo, neppure quando ci sarebbero state le risorse.
Cosa è cambiato da allora nella ASL in cui opero?
Nulla. L’ASL, ha accorpato in un unico ambito molti comuni, un progetto che avrebbe permesso l’istituzione di una Pediatria di gruppo in un'unica sede, ma tutti i miei colleghi interpellati hanno preferito continuare a lavorare individualmente o riuniti nell’associazionismo vigente con pediatri di altri distretti, garantendo sicuramente una maggiore disponibilità diurna del pediatra sul territorio, ma insufficiente a dare risposte efficaci ai problemi emergenti.
Editoriali e dibattiti si susseguono, ma nulla potrà cambiare se gli individualismi e gli interessi corporativi sindacali prevalgono sempre, impedendo di rifondare una pediatria di famiglia adeguata ai cambiamenti dei tempi: più moderna, più preparata professionalmente, ma anche più generosa, più solidale, più accogliente, più disponibile a condividere ed imparare i saperi unendosi in team con altre figure importanti dell’area pediatrica (infermieri, neuropsichiatri, psicologi, educatori, assistenti sociali). Solo così potremo raggiungere “in modo proattivo tutte le famiglie”.
Dare informazioni e supporti a tutte le famiglie sulle buone pratiche della salute richiede tempo, conoscere profondamente due genitori richiede ascolto. Se devi assicurare questo servizio a 1200 bambini lo si farà velocemente e non adeguatamente. Ma supportati da altre figure professionali la situazione cambia.
“L’home visiting”, la vecchia visita domiciliare, ormai scomparsa dalla nostra pratica quotidiana, quante volte ci ha permesso di ampliare lo sguardo sul mondo di un bambino e di conoscere qualcosa di più sulla sua storia?
L’ingresso del mondo nei nostri confini, ci pone localmente davanti a sfide complesse che vanno affrontate.
Chiamiamole “case della Pediatria”, “Centri territoriali”, ma proviamo a cambiare, realizzando una rete comunicante e sinergica: ospedale-pediatria di famiglia, figure socio educative.
Senza questa rete le risposte saranno sempre parcellari e frammentarie, ma uniti in un progetto etico e qualitativo potremo veramente essere un punto di forza della pubblica sanità.



Mariarita Cajani, Pediatra Di Famiglia, Erba
mariarita.cajani@crs.lombardia.it
ACP
mercoledì 29/08/2012 16:57
Editoriali, Giugno 2012
Proviamo a cambiare concretamente
Ho letto con molto interesse ciò che è stato scritto negli ultimi numeri di Medico e Bambino sul futuro della pediatria, l’editoriale di Giorgio Tamburlini e ritengo che quanto scritto sia condivisibile.
Da qualche anno faccio la pediatra di famiglia; penso che forse la riduzione del numero dei pediatri, nel futuro, sarà salutare per i bambini; potrà essere l’occasione di una riorganizzazione della pediatria, ora inflazionata, nel nostro Paese. Mi chiedo spesso cosa pensano i nostri bambini, sani, che sono continuamente portati dal pediatra e in Pronto Soccorso; che percezione hanno; continueranno ad andare dal medico per qualsiasi cosa anche da grandi?
In altri Paesi anche il futuro del lavoro del medico generalista è materia di riflessione, si veda “The evolving primary care physician”, NEJM may 17, 2012: “...molte funzioni possono essere svolte, e meglio, da figure sanitarie non mediche... il medico deve essere partner di un team multidisciplinare o impiegato in centri di salute, con scomparsa del lavoro individuale... pena la riduzione a figura di lusso per pochi”. Cita alcune esperienze dove queste forme organizzative sono in essere, sottolinea come una maggior competenza acquisita e un più stretto e proficuo rapporto con gli specialisti, permetta di migliorare la cura dei pazienti senza riferirli a un secondo livello. Sottolinea la necessità di occuparsi di salute mentale e dei pazienti con patologie croniche complesse.
Dunque proprio le stesse cose!
È evidente che molte delle funzioni svolte dai pediatri di famiglia, e alcune funzioni, impropriamente svolte dai reparti di pediatria degli ospedali, dovrebbero essere svolte da personale sanitario non medico, alcune addirittura da personale non sanitario.
Il pediatra dovrebbe vedere tanti bambini, non mille volte sempre gli stessi, riflettere su ciò che vede, su una realtà che cambia, studiare, vedere altri bambini.
Organizzare e verificare gli interventi di promozione della salute.
Fare in ambulatorio tutto ciò che si può fare, avere un rapporto permeabile con l’ospedale, uno scambio, una collaborazione.
Avere un rapporto molto stretto con i servizi di NPI, pensare di acquisire delle competenze non solo per fare diagnosi, ma per fare qualcosa in termini di intervento; essere primo riferimento per la scuola.
Un aspetto essenziale, quindi, è la cultura pediatrica, l’altro è l’organizzazione.
Organizzare meglio, sicuro, ma per che cosa? I due ambiti cruciali sono l’assistenza ai neonati e al bambino critico, che ancor oggi, in molte situazione, non riceve l’assistenza intensiva adeguata.
Organizzare meglio per il mal d’orecchie forse non serve. Cito il prof. Panizon, discriminare fra chi ha bisogno di cure e chi solo di comprensione.
Le cose scritte dal prof. Biasini nella sua lettera (Medico e Bambino 2012;5:285-6) sono assolutamente condivisibili, ma come poter fare tutto ciò?
Dal punto di vista organizzativo dovrebbe esserci un disegno, una definizione dei ruoli e dei compiti, una restituzione chiara di ruolo al personale infermieristico.
Per costruire dei team multidisciplinari è possibile mantenere il rapporto convenzionato per il pediatra o è necessario trasformarlo in un rapporto di dipendenza?
Come superare le resistenze corporative, l’opposizione del sindacato?
Come superare le chiusure di ciascuna “istituzione”? Basta vedere quello che succede in questi giorni appena si accenna a fare qualche taglio.
Se ci sono delle esperienze concrete, se ne parli, si raccontino, possono servire da modello. Proviamo a cambiare concretamente.


Daniela Lizzi
redazione@medicoebambino.com
Pediatra di famiglia, Udine
mercoledì 18/07/2012 09:51
I Poster degli specializzandi, Giugno 2012
Ecco perché la TC
Nel caso descritto, il quadro clinico e laboratoristico (persistenza della febbre nonostante la terapia antibiotica in atto da più di 72 ore, stato settico, indici di flogosi persistentemente elevati) erano indicativi di un infezione severa di cui l’origine non era chiaramente definibile.
L’ipotesi principale formulata è stata quella di un ascesso addominale e in tal senso è stata inizialmente eseguita l’ecografia che ha messo in evidenza come unico reperto una iperecogenicità diffusa del rene di destra non consentendo di escludere la presenza di colliquazione iniziale nella stessa sede.
La metodica scelta come secondo livello è stata quindi la TC. Tale indagine viene di fatto indicata in letteratura come la metodica più accurata nella diagnosi di nefrite lobare, in particolare per escludere la presenza di colliquazione, qualora la clinica lo suggerisca (come in questo caso la mancata risposta alla terapia antibiotica) e l’ecografia non sia dirimente.
Nel testo del poster a cui si fa riferimento la TC non viene suggerita come metodica di scelta nella pielonefrite ma come metodica più sensibile e specifica per la diagnosi di nefrite lobare acuta, intendendo come tale un processo infettivo- infiammatorio più severo rispetto alla pielonefrite, diverso da essa per la possibilità di evoluzione verso l’ascesso e per la quale l’atteggiamento terapeutico è più aggressivo (terapia antibiotica endovenosa quindi per os per tre settimane nella nefrite lobare contro dieci giorni di terapia per os nella pielonefrite).

1. Seidel T, Kuwertz-Bröking E, Kaczmarek S, Kirschstein M, Frosch M, Bulla M, Harms E. Acute focal bacterial nephritis in 25 children. Pediatr Nephrol 2007;22):1897-901.
2. Vourganti S, Agarwal PK, Bodner DR, Dogra VS. Ultrasonographic Evaluation of Renal Infections. Radiol Clin North Am 2006;44:763-75.
3. Cheng CH, Tsau YK, Lin TY. Effective duration of antimicrobial therapy for the treatment of acute lobar nephronia. Pediatrics 2006;117:84–9.


S. Lega, M. Pavan
redazione@medicoebambino.com
Scuola di specializzazione in Pediatria, Trieste
venerdì 05/10/2012 09:40
I Poster degli specializzandi, Giugno 2012
Uso della TC nelle infezioni delle vie urinarie
Ho letto il vostro poster sulla nefrite focale acuta non ascessualizzata. Esso a mio parere contiene una informazione fuorviante.
Affermare che nel caso di sospetta pielonefrite o nefrite focale acuta "l'indagine più accurata è la TC" non trova riscontro nella letteratura scientifica moderna.
È noto infatti da molti anni che l'indagine più accurata a tale scopo è la scintigrafia renale statica con DMSA, come dimostrato dal lavoro sperimentale comparativo di Fahey pubblicato su Radiology nel 2001, e confermato dall'uso estensivo di questa metodica come standard di riferimento nei lavori in doppio cieco sull'efficacia della terapia antibiotica, ad esempio pubblicato su NEJM da Hoberman o dal gruppo del prof. Montini.
Della TC si parla solo come metodica di terzo livello per la diagnosi di ascesso renale, quando la ecografia non è dimostrativa.
Tali concetti sono ampiamente ripresi dalle linee guida dell'AAP.
Non bisogna infatti dimenticare che una TC con MdC espone il bambino ad una dose radiogena di circa 7-15 mSv, seconda la tecnica, che è sicuramente elevata, e superiore di circa 10-20 volte più di quella legata all'uso della scintigrafia.
Per cui consiglio, prima di mettere in rete tali messaggi, un maggior approfondimento culturale.

Cordiali saluti

Diego De Palma
u.O. di Mediicna Nucleare, ospedale di Varese, senor advisor del Paediatric committee. European association of Nuclear medicine

Diego De Palma
didepal@tin.it
A.O.Ospedale di circolo, Varese
lunedì 10/09/2012 15:52
Il commento, Marzo 2012
pensare in immagini
Pensare in immagini di T.Grandin, Erickson.
E' il libro che sto leggendo, un racconto-saggio sull'autismo di cui la scrittrice "soffre".
Il vostro aggiornamento l'ho letto con occhio diverso alla luce del libro della Grandin, pubblicato per la prima volta in America nel lontano 1995.
Come pediatra di libera scelta ho in carico tre pazienti con questa patologia e posso proprio testimoniare l'esistenza dello spettro autistico, che mi pare ovvio (da ex genetista) che esista, se è un "mistero della mente che cresce", per forza di cose avrà sfaccettature correlabili alla singola individualità, alla genetica e all'ambiente di detta individualità.
Il ruolo del pediatra di libera scelta è quello di "esserci" ovvero di comprendere e rispondere ai bisogni del paziente con autismo e della sua famiglia.
Il pediatra può essere il professionista, che svolge il ruolo di intermediario tra la diagnosi (per forza di cose opera di specialisti) ed il vissuto quotidiano della diagnosi.
E' necessario avere requisiti particolari per saper svolgere questo ruolo?
Non credo, basta essere capaci di ascolto e dedizione al paziente, riconoscere di avere limiti conoscitivi e formarsi, ricercare l'integrazione con i servizi di Neuropsichiatria Infantile, presenti nel territorio dove si lavora e fare "rete".
E' stato particolarmente illuminante leggere il libro "Pensare in immagini" (segnalo che dal libro è stato tratto un film) per la ricchezza di contenuti esemplificativi della modalità di funzionamento della mente "autistica" . Ed è vero ciò che scrive Oliver Sacks nella prefazione al libro: "..la voce di Temple Grandin arriva da un luogo che prima non aveva avuto voce".
Ed è la stessa Grandin a suggerire il possibile ruolo del medico/pediatra nei confronti dei genitori di una persona autistica o della persona autistica stessa: "nel trattamento di un disturbo complesso e difficile come l'autismo, ci sarà sempre chi pretenderà di avere trovato la soluzione magica e ci saranno battute d'arresto. La cosa più importante per il bambino o l'adulto autistico è poter contare su un medico competente e di larghe vedute".
E' un libro che mi permetto di suggerire a tutti i colleghi e che ho segnalato anche ai genitori dei miei assistiti, perchè come scrive la dr.ssa Cinzia Raffin (nell'introduzione all'edizione italiana del libro) è ricco di spunti di riflessione, che inducono poi ad un aumento della consapevolezza; il racconto-saggio è d'aiuto per il pediatra che lavora con l' individualità e non con la generalizzazione delle linee guida.
vincenza briscioli (pediatra Pisogne)

briscioli vincenza
dssabriscioli@libero.it
pediatra di libera scelta Pisogne (bs)
mercoledì 03/10/2012 09:49

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