LA FORMAZIONE DELLO SPECIALIZZANDO IN PEDIATRIA PRESSO GLI AMBULATORI DEI PEDIATRI DI FAMIGLIA

Replica 2
domenica, 3 Ottobre 2010, ore 19:39
Carissimo Gianluca Tornese e amici tutti,
scopro con immenso piacere di far parte di una squadra e di aver giocato una partita conclusasi però, apparentemente, "in perdita" e pertanto l'emotività mi coglie e qualche riflessione vorrei fare andando direttamente all'aspetto complessivo e cruciale della questione: - L'esperienza nell'ambulatorio del PdF avrebbe scoraggiato lo specializzando a scegliere la pediatria di famiglia come progetto di lavoro per il futuro. - Complessivamente comunque il 72% (23/32) degli specializzandi della SSP di Trieste dichiara di non avere interesse a fare il PdF al termine degli studi. Questo dato così come è stato riportato si presenta molto deludente non solo per i pediatri di famiglia, ma ancor peggio per la pediatria di famiglia come progetto globale di salute, di "mother and childh health", su cui tanto si è investito e che costituisce un privilegio del SSN italiano. In realtà io non lo leggo così e credo che qualche spiegazione vada ricercata nel lavoro stesso: probabilmente è proprio l'obiettivo domanda-risposta "vuoi o non vuoi fare il PdF" che è sbagliata! Come già in parte commentato nell'articolo, infatti, la motivazione più vera sta sicuramente nel sano desiderio di appropriarsi di un sapere più complesso, in una comprensibile ambizione ad acquisire competenze superspecialistiche da parte del giovane specializzando che "si vive" e vive il proprio lavoro in qualità di medico di 2°-3° livello, da codice rosso. La gestione di casi e malattie croniche complesse è più coinvolgente, la partecipazione attiva alla vita di reparto responsabilizza molto, la guida e la condivisione culturale con grandi capi rende questo periodo della vita professionale unico, magico! C'è da augurarsi che sia così in tutte le Scuole di Specializzazione. Dunque non mi stupisce e non mi rattrista questa sincera dichiarazione di intenti da parte degli specializzandi: È FISIOLOGICO! Io, da specializzanda, del mio futuro pensavo uguale, tanto che tra specialità e contrattini precari ho vissuto 13 anni della mia vita professionale in Clinica Pediatrica all'Università di Napoli. Facevo parte del Centro di Eccellenza di…, il coinvolgimento totalizzante, l'impegno, più faticoso era e più gratificante risultava (reparto, ambulatorio, laboratorio, J. Club, Casi Clinici, Riunioni di Ricerca, la comunicazione all'Espgan, e così via...). È comprensibile dunque che l'esperienza dell'ambulatorio del pdf appaia al confronto limitata, eppure a un certo punto mi decisi per la pediatria di famiglia e una spinta forte la ricevetti proprio da Trieste: I CONFRONTI! Occasione di aggiornamento fra tutti e per tutti su una pediatria che mi apparve molto vera, molto dedicata, molto al servizio, di grande qualità, interdisciplinare, e così, non più giovane specializzanda, sentivo di poter essere una figura professionale di riferimento per una comunità, di poter offrire qualcosa in più grazie anche al background che avevo alle spalle: una dignitosa professionalità con la maturità oserei dire di un "Consultant" (nella mia esperienza inglese post-laurea, a Londra, l'ambulatorio della singola patologia cronica veniva gestito direttamente dal Consultant). L'esperienza a Cuba 3 mesi prima della specializzazione per la tesi mi ritornò viva: "El medico debe ir al centro de su nuevo trabajo che es el hombre entro de la massa, el hombre entro de la comunidad (el Che)". All'epoca apprezzai molto l'efficienza dell'organizzazione sanitaria con cui il pediatra ad esempio arrivava in ogni casa per garantire il vaccino per la pertosse a tutti i suoi assistiti del distretto, noi in Italia non avevamo raggiunto ancora lo stesso obiettivo. Dunque, animata da più motivazioni, scelsi di dedicarmi alla pediatria di famiglia. In questi anni ho diagnosticato qualche malattia rara e complessa e averlo pensato nell'isolamento è stato molto gratificante (oggi comunque la pediatria va sempre di più verso la pediatria di gruppo o in associazione, di quest'ultima anche io faccio parte), i rapporti di collaborazione con i centri di riferimento ospedalieri e universitari, a volte gestiti dagli specializzandi stessi qualificano molto il lavoro; evitare se possibile l'accesso al p.s., ancor più evitare qualche ricovero, solo perché dai la tua disponibilità e prendi la tua responsabilità, non è roba da poco da tutti i punti di vista, professionalmente e umanamente, l'esperienza della H1N1 che un anno fa ci ha visti protagonisti in prima linea nella sua parossistica drammaticità è stato per il PdF un banco di prova che ha misurato la fiducia di un migliaio di famiglie solo verso di noi e non certo verso ogni autorità competente!

Cari specializzandi,
questo e tanto altro è la mission del pediatra di famiglia.
È chiaro che 2-3 mesi è un tempo trascurabile per apprezzare il potenziale che hai fra le mani, mentre è sufficiente a presentarsi nella sua routinarietà a volte banale, ripetitiva e certamente poco appassionante. Sinceramente devo testimoniare che l'esperienza degli specializzandi napoletani è stata dichiarata più entusiasmante, ma ovviamente esistono realtà diverse e pertanto non è possibile fare un discorso generale. Sono trascorsi 15 anni da allora e non sono pentita della scelta fatta forse perché sono rimasta fedele alla parte migliore di me.



Marina Meyer
Pediatra di famiglia, Napoli
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