LE INCERTE SORTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Il contributo del dott. Meneghelli
venerd�, 13 Giugno 2008, ore 12:00
L’argomento introdotto da Tamburlini è serio, ma se ne parla poco: qualche fiammata sui giornali d’agosto quando la Corte dei Conti pubblica il bilancio annuale del SSN col monito inascoltato di razionalizzarne la spesa. Purtroppo gravi fattori interni ed esterni alla Sanità, di cui pochi responsabili paiono preoccuparsi, prospettano una economia difficile per il SSN. Fattori esterni. Il SSN è una risorsa vitale di un Paese da tempo in declino, bloccato tra un debito pubblico stellare e un PIL a crescita zero. Pertanto sono indisponibili nuove risorse per i costi crescenti della spesa pubblica e del SSN stesso. A riprova di ciò, l’ISTAT informa del grave impoverimento delle cellule demografiche dello Stato, le famiglie pure loro alle prese con bilanci asfittici per la vita corrente. Non occorre scomodare A. Sen, Nobel 1998 per l’Economia, per capire l’importanza di una valida assistenza sanitaria e la sua stretta dipendenza dallo sviluppo del Paese (“Lo Sviluppo è Libertà”, scritto nel 1999, Ed. Saggi Mondadori 2008). L’Italia ha costruito la produttività delle forze lavoro anche contro le variazioni biologiche: la vita media cresce da decenni superando oggi gli 82 anni, ma ci si pensiona molto prima. Tra i 60-64 anni lavora solo il 19% degli italiani contro il 65% della Svezia. Sommando pensioni e sanità il debito implicito supera il 100% del PIL. Sarebbe logico pensare che pensioni e Sanità pubblica siano a rischio e correre ai rimedi, ma per il SSN pare ci si preoccupi ancor meno delle pensioni. Fattori interni. Chi scrive ritiene che l’assistenza sanitaria vada gestita dallo Stato diffidando degli investimenti privati come dei sistemi assicurativi tipo USA, ma restare ancorati ai principi istitutivi del SSN (LN 833/78) è utopico. È vero che diversi correttivi sono stati introdotti nel SSN post-1990 (troppi per essere qui riassunti), ma non hanno migliorato il costo-efficienza di risultati. Le Regioni, cui sono passate molte competenze della Sanità, hanno uscite di bilancio per il 75% occupate dalle spese sanitarie. Il SSN è costato nel 2007 oltre 102 milioni di euro (6,7% del PIL), la spesa è in crescita (+3% nel 2006, +7% nel vicino 2005). Poiché il 42% è attribuibile agli over 65 anni ampliare i margini di pensionamento, come afferma il Governatore Draghi, potrebbe aiutare l’economia del Paese e il SSN. La relazione, lunga da spiegare, è intuitiva (aumento di produttività verso diminuzione di spesa pubblica). Esistono vari settori in cui SSN e Regioni hanno comportamenti poco virtuosi. Ad es. la mancata chiusura dei piccoli ospedali programmata da una Legge Nazionale del 1989. Una recente inchiesta della SIN sui punti nascita ne segnala attivi il 10% con meno di 500 nati e parimenti solo un 10% con più di 1000 nati/anno. Sarebbe, invece, di 2000-3000 parti il valore cui riferire la buona funzione di un centro nascite. Spesso ai punti nascita piccoli è collegata una UO di Pediatria con hinterland sui 10.000 bambini contro gli almeno 40.000 (NB. Bambini, non abitanti) considerati oggi numero minimo per una Pediatria con posti letto. Sono gli sperperi degli egoismi politici locali, che tra l’altro producono per ragioni tecniche bassa qualità di cure. Ovviamente ciò non riguarda solo la pediatria: ASL con 70.000 abitanti con 2 o 3 piccoli ospedali in funzione non sono rare nel Veneto come in altre Regioni. Alla spesa ospedaliera troppo alta (45% circa del costo SSN) si contrappone un territorio che non vanta grandi successi in campi come la spesa farmaceutica o la compliance delle cure primarie che in misura elevata affluiscono al Secondo livello. Ne sono esempio i milioni di accessi impropri ai PS di codici bianchi e verdi. Per qualche mese si è discusso nelle riviste pediatriche della continuità assistenziale del territorio, poi la discussione è finita, passata di moda, su un problema annoso quanto irrisolto. L’amara medicina. È il titolo di un saggio di R. Volpi (Ed. Mondadori, 2008) che, numeri alla mano, dimostra gli eccessi del “sistema prevenzione” con risultati costosi e insoddisfacenti. Secondo l’Autore curiamo troppo i sani sottraendo risorse a chi si ammala per davvero. I bambini italiani, sommando i dati statistici, sono afflitti da 2-3 patologie a testa: asma, atopia, obesità, cefalea, depressione, piedi piatti, scoliosi, patologie ortodontiche ecc, quasi tutti da prevenzione? Volpi non ha tutti i torti dato che gli studi dei pediatri di famiglia come le pediatrie sono molto frequentati da bambini sani e genitori annoiati alla ricerca della malattia che non c’è. Visite, prescrizioni inutili di farmaci ed esami, record di ricoveri impropri ne sono in parte la conseguenza. Il problema immigrati. Secondo Istat 3,8 milioni di immigrati (numero in crescita di 450.000 unità/anno), il 5,8% della popolazione italiana, sono quasi tutti inseriti nel SSN senza iniziale contribuzione economica, limitata anche nei tempi successivi verso i costosi servizi sanitari di cui usufruiscono. Non si critica qui la giusta necessità etica ed epidemiologica di curarli, fatto del resto conveniente per la comunità per ovvi motivi, ma ciò propone costi aggiuntivi a un SSN già in crisi. Altri Paesi hanno percorso strade di recupero economico. Il paradosso italiano è che di questo nemmeno si parla. L’Italia è un Paese che non ama fare i conti o quando lo fa è troppo tardi, Alitalia docet. Sarà così anche per il SSN?
Salvate il soldato Ryan. Parlare della crisi del SSN serve per riaffermare l’indispensabilità della sua sopravvivenza. Non ci sono soluzioni miracolose, come operatori non possiamo garantirla da soli, ma abbiamo il dovere morale di contribuire.
Ogni medico del SSN sa che la spesa da lui determinata si colloca, come le statistiche dimostrano, con ampi margini tra un massimo e un minimo: è il vecchio concetto di fare meglio con meno. Per ora è fallito sia perché manca ogni controllo del SSN sia perché “comportarsi bene” non è premiante; il sistema per assurdo punisce il medico che nega il superfluo.
I problemi economici-organizzativi del SSN sono trattati poco da riviste e convegni medici a fronte di migliaia di pagine e congressi che scandagliano 100 volte/anno ogni più piccola patologia (ad es. le coliche del lattante). In questo campo Medico e Bambino (per amor del vero anche “Quaderni acp”) si è comportato meglio di altri, ma è corretto chiedere ad una rivista di formazione maggior impegno verso il futuro incerto del SSN che renderebbe superflua anche la buona preparazione degli operatori?
Medico e Bambino è la rivista più amata dai pediatri italiani (merito dalla sua qualità), ma osservando i suoi più rappresentativi convegni (Confronti in Pediatria) è corretto chiedere di sostituire in parte alcuni temi clinici stravisitati con quelli della sopravvivenza del SSN? È provato che i temi organizzativi non fanno audience, ma nemmeno gli struzzi (mi riferisco agli operatori lontani da questi temi) fanno molta strada.
Da ultimo è antipatico chiedere che i pediatri di famiglia, finora tenuti in tale convegno, con rare eccezioni, in posizione di ascolto, possano esercitare, almeno sui temi organizzativi, un ruolo di intervento e confronto coi Colleghi universitari e ospedalieri?
È una domanda di aiuto, certo incompleta e mal posta, per il SSN il cui indebolimento sarebbe una vera tragedia per la salute degli italiani. Le rivoluzioni possono partire da piccoli segnali, almeno speriamolo e cerchiamo di farlo per quanto ci compete.


Giorgio Meneghelli
Pediatra di famiglia, Mestre (Venezia)
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