Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Maggio 2020 - Volume XXIII - numero 5

M&B Pagine Elettroniche

Il commento

“Così lontano, così vicino”: nascere ai tempi del coronavirus

Alessandra Coscia1, Paola Cavicchioli2, Patrizia Strola3

1Terapia Intensiva Universitaria, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino
2Pediatria e Terapia Intensiva Neonatale, Ospedale dell’Angelo, Venezia Mestre
3Neonatologia Universitaria, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino

Indirizzo per corrispondenza: alessandra.coscia@unito.it

In tempi di coronavirus, ogni decisione organizzativa in ambito perinatale assume caratteristiche peculiari, non solo perché i problemi di salute sono molto diversi da quelli del bambino e dell’adulto, ma anche perché l’assunto concettuale di base è profondamente differente.
In questi tempi stravolti, si parla di quanto sia importante distinguere la condizione di “distanziamento fisico” da quella di “distanziamento sociale”. Quando però si parla di parto, di nascita, di costruzione della relazione genitoriale nel periodo post-natale, risulta evidente che è proprio il distanziamento fisico (la separazione del bambino dalla madre o dai genitori, del partner dalla madre) a costituire un assurdo concettuale e biologico: il parto, l’allattamento, l’accudimento sono per loro natura contatto fisico stretto. Sono proprio i primi legami “fisici” a costituire il primo nucleo anche dei legami “sociali”: in questa fase della vita, quindi, distanziamento fisico e distanziamento sociale si embricano, si confondono e si influenzano reciprocamente.
Decenni di letteratura e di esperienze documentano come la separazione precoce dal genitore costituisca un profondo stress per il bambino e per i genitori, con effetti a breve e a lungo termine. Abbiamo imparato a pensare alla madre e al bambino come a una diade indissolubile, a individuare strategie di protezione dei cosiddetti “primi mille giorni”, a proteggere il più possibile le relazioni precoci e lo sviluppo della genitorialità. Sappiamo che la fase precocissima della vita condiziona in maniera decisiva il successivo sviluppo socio-emozionale e la qualità della vita di un bambino. Questa fase infatti costituisce un “periodo critico” dal punto di vista neuroevolutivo, nel corso del quale l’ambiente (anche attraverso la qualità della relazione genitoriale e gli stress precoci) incide sulla plasticità cerebrale, causando modificazioni neuronali che influenzano il futuro funzionamento del cervello del bambino1-3.
Quando poi si aggiungono condizioni cliniche come la prematurità o altre problematiche alla nascita, sappiamo che queste hanno un significativo impatto sullo sviluppo cognitivo e socio-emozionale, con diversi gradi di compromissione del quadro funzionale. In queste circostanze, la qualità delle relazioni precoci del bambino con le figure primarie di riferimento costituisce un fattore sia di protezione che di promozione dello sviluppo delle competenze del bambino4.
Nella prima fase della pandemia (la cosiddetta fase 1) l’emergenza obbliga lo sguardo a fermarsi a stretto raggio e la prospettiva temporale a limitarsi al breve termine. La priorità che ha prevalso in quel momento, come è ovvio, è stata la problematica sanitaria, che ha impegnato i sanitari e i decisori su due piani, quello della tutela di tutte le madri sane e dei loro neonati e quello della tutela e della cura nel caso di positività o sospetta positività per Covid: sono stati studiati e messi in atto percorsi separati, che hanno profondamente modificato l’organizzazione del Percorso nascita all’interno delle strutture ospedaliere.
La necessità di affrontare rapidamente l’emergenza e di adeguarsi alle direttive ministeriali ha portato a un cortocircuito anche semantico (che diventa però sostanziale) tra i termini “visitatore”, “parente”, “partner”, “caregiver”, “genitore”. Quando l’obiettivo diventa, comprensibilmente, quello di attuare regole restrittive, il linguaggio si semplifica intorno al termine più generico e opaco di “visitatore”: se l’ingresso è vietato al visitatore, è vietato a tutti, e i diversi ruoli diventano ininfluenti.
In Italia l’Istituto Superiore di Sanità ha istituito un Gruppo di lavoro, coordinato dal Centro Nazionale di Prevenzione delle malattie e di Promozione della Salute (CNaPPS), che comprende rappresentanti delle Comunità scientifiche di neonatologi, pediatri, ginecologi e ostetrici: Società Italiana di Neonatologia (SIN), Società Italiana di Medicina Perinatale (SIMP), Società Italiana di Pediatria (SIP), Associazione Culturale Pediatri (ACP), Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI), Associazione Ginecologi Universitari Italiani (AGUI), Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI), Federazione Nazionale Ordini della Professione Ostetrica (FNOPO). Il Gruppo di lavoro ha elaborato documenti, sottoposti ad aggiornamenti periodici, relativi soprattutto alla gestione dei neonati da madre Covid-positiva o sospetta positiva: l’approccio è stato quello del compromesso fra sicurezza e tutela del lato relazionale, sulla base delle evidenze scientifiche5,6.
Le evidenze scientifiche relativamente tranquillizzanti hanno permesso di creare “percorsi Covid” il più possibile individualizzati, compatibili con lo stato di salute di madre e neonato, nell’ottica di salvaguardare la vicinanza madre-figlio e l’allattamento al seno (nella maggior parte dei casi è consentito il rooming-in, con l’adozione contemporanea di misure di contenimento del contagio). Nonostante ciò in molte realtà italiane ha prevalso il timore e si è assistito al ricorso a pratiche discutibili (es. ricorso all’induzione del travaglio e del taglio cesareo non sempre motivato da indicazioni ostetriche, separazione della madre dal proprio neonato indipendentemente dalle condizioni cliniche ecc.).
È stato tuttavia nei Percorsi nascita che esulano dal Covid (madre e neonati sani, o all’opposto nascita pretermine o con problematiche neonatali) che le direttive ministeriali sono state interpretate nel modo più restrittivo o con concessioni minime.
Per quanto riguarda il parto, si è assistito a una vasta eterogeneità di disposizioni nelle diverse realtà, dalla negazione del diritto delle donne ad avere una persona di propria scelta durante il travaglio e il parto, alla concessione al partner di accedere alla sala parto solo durante la fase espulsiva, al permesso di assistere solo al travaglio, al parto e alle prime due ore post-partum. Nella maggior parte dei casi è stato negato al partner l’accesso successivo ai reparti di degenza, fino alla dimissione, acuendo il senso di solitudine della madre in puerperio.
Il luogo in cui i contrasti si sono fatti più evidenti è stata la Terapia Intensiva Neonatale (TIN), proprio quel luogo in cui domina la fragilità (dei neonati e dei loro genitori) e in cui sono fragili anche gli equilibri fra cure intensive e cura della relazione. È costata fatica anche ai professionisti acquisire, nel corso degli anni, la consapevolezza che i genitori sono parte integrante dell’assistenza neonatale, che l’unica assistenza possibile è quella centrata sui bambini e sulla famiglia e che i neonati pretermine necessitano di un supporto abilitativo al fine di promuovere il loro sviluppo neuro-comportamentale7-10.
Il contesto della TIN, in cui un neonato è circondato da figure professionali che garantiscono i suoi bisogni assistenziali essenziali per tutto il tempo, a volte anche molto lungo, della degenza, può fuorviare la percezione delle Direzioni sanitarie, che ricadono nel cortocircuito semantico citato prima: il genitore non è essenziale, non è caregiver, non è genitore, ma diventa semplice “visitatore”. Invece la presenza dei genitori al fianco del proprio figlio pretermine o con problemi è un diritto fondamentale del bambino ricoverato e risponde anche a un bisogno primario dei genitori11. I benefici della vicinanza dei genitori in un periodo così delicato sono documentati in letteratura con un alto livello di evidenza. La prematurità è una fonte di stress per i genitori, e li espone al rischio di disturbi dell’attaccamento, di ansia e depressione, acuite dalla separazione della diade genitore-figlio, che ostacola il normale contatto fisico e la vicinanza emotiva12,13. La pandemia espone tutte le persone a stress e ad ansia, che possono sommarsi a disturbi psicologici preesistenti o esacerbare l’esperienza di situazioni emotivamente difficili. Ciò vale per gli operatori sanitari ma anche per i genitori di neonati ricoverati in ospedale, oltretutto in un contesto di distanza sociale che limita il sostegno dei propri cari.
Il ricovero in TIN comporta il rischio di separazione tra il genitore e il bambino, ma nell’emergenza Covid questo può essere ulteriormente incrementato dalle esigenze cautelative di contenimento del contagio.
Costrette a vedere il genitore come “visitatore”, alcune TIN hanno vietato completamente l’accesso dei genitori, soprattutto a inizio pandemia. Molte altre realtà sono riuscite invece a impugnare la differenza terminologica e sostanziale fra “genitore” e “visitatore”, sostenuta in modo forte dalle Società scientifiche, in particolare dalla SIN, e dalle Associazioni dei genitori, per abbracciare fin dall’inizio politiche di compromesso, iniziando di fatto la cosiddetta fase 2. A fronte di divieti più stringenti (sospensione delle visite dei parenti, compresi nonni e fratellini, sospensione degli incontri fra personale e genitori), si sono cercate soluzioni per evitare sovraffollamenti (presenza di un solo genitore per volta, suddivisione delle presenze su due grandi fasce orarie, es. mattina e pomeriggio) e per ridurre possibilità di contagio (utilizzo di dispositivi di protezione, in particolare durante la kangaroo care e l’allattamento al seno).
La fase 2 (di transizione) e la fase 3 (il ritorno a una “nuova” normalità) richiedono un obbligatorio bilanciamento di priorità, perché lo sguardo deve ri-allargarsi all’ampio raggio e la prospettiva temporale affacciarsi sul lungo termine. Lo sguardo più ampio permette di riordinare le priorità su piani prospettici differenti: con il coronavirus presente ma sullo sfondo, il primo piano scenico dovrà tornare ad appartenere alla relazione come parte integrante dell’assistenza.
Poiché noi operatori sanitari avremo un po’ più di tempo per la riflessione, dovremo organizzarci per non abbassare l’asticella della qualità delle cure, così faticosamente conquistata (o in corso di conquista). Dovremo reinvestire in tutte quelle buone pratiche che richiedono prossimità, nella promozione dell’allattamento materno, nella kangaroo care, nella partecipazione diretta dei genitori alla cura del proprio bambino14-17. In particolare, nella degenza non-Covid potrebbero essere sufficienti le misure di barriera generiche (utilizzo corretto di mascherine chirurgiche, accurata igiene delle mani, attenta valutazione della comparsa di sintomi, anche minori, oltre che del contatto con soggetti positivi). In questi casi poco o nulla dovrebbe cambiare, in termini di orari di accesso e di contatto diretto genitore-neonato18,19.
Per altre forme di interazione, quelle tra personale e genitori (riunioni, momenti di formazione, corsi di accompagnamento alla nascita), o nei casi in cui motivi di salute materna tengano forzatamente a distanza madre e figlio, dovremo probabilmente continuare a sfruttare la tecnologia e la comunicazione a distanza, che abbiamo imparato a conoscere meglio proprio grazie all’emergenza coronavirus. Una sintesi delle proposte che permetterebbero di conciliare sicurezza e developmental care è presentata nel Box 1.
Potremo ritornare alla “nuova normalità” solo se saremo rigorosi: dovremo essere fermi nell’appellarci ai principi inderogabili dei diritti dei neonati e dei loro genitori, ma anche sottoporre le nostre azioni a costante verifica, la verifica delle evidenze. E le evidenze che si richiedono non sono solo quelle relative alle crescenti conoscenze sull’epidemiologia e sulla clinica di Covid-19 in ambito perinatale, ma anche quelle relative al potenziale impatto a breve e lungo termine delle misure di restrizione sulla salute, nella sua accezione più ampia, dei genitori e dei bambini.


Box 1 - ACCESSO E RUOLO DEI GENITORI IN NEONATOLOGIA DURANTE L’EPIDEMIA COVID-19: PROPOSTE CHE PERMETTONO DI CONCILIARE SICUREZZA E DEVELOPMENTAL CARE

L’attuale epidemia di Covid-19 ha imposto misure di restrizione dell’accesso in ospedale. I neonati ricoverati tuttavia necessitano non solo di adeguata assistenza e tecnologia, ma anche di cure centrate sulla famiglia e sullo sviluppo, il cui impatto a breve e medio termine è scientificamente dimostrato.

Genitori e professionisti devono rispettare alcune regole fondamentali
  • Lavarsi frequentemente le mani
  • Tossire o starnutire all’interno del gomito
  • Utilizzare fazzoletti monouso e gettarli
  • Mantenere la distanza sociale di un metro
  • Indossare una mascherina chirurgica in modo continuo
In caso di sintomi (febbre, tosse, mal di gola, mal di testa, sintomi gastroenterici, alterazione del gusto e dell’olfatto) e/o di contatto con soggetto positivo
  • Contattare il personale sanitario per effettuare eventualmente test virologici
  • Rispettare il periodo di quarantena se indicato
Strategie di developmental care da mantenere
  • Kangaroo care precoce e prolungata
  • Controllo ambientale di luce e rumore
  • Posture del neonato in flessione
  • Rispetto del sonno del neonato
  • Prevenzione e trattamento del dolore
Presenza e ruolo dei genitori
  • Entrambi i genitori devono poter stare accanto al loro bambino (uno alla volta, o entrambi se gli spazi lo consentono) quotidianamente e a lungo
  • Coinvolgimento attivo nelle cure (kangaroo care)
  • Fornire loro adeguato sostegno psicologico
Allattamento al seno
  • L’alimentazione al seno, l’estrazione del latte, l’uso di latte materno fresco devono essere incoraggiati
  • Rispetto delle misure igieniche raccomandate (pulizia meticolosa del tiralatte, adeguata igiene corporea)
Genitori Covid-positivi
  • Isolamento in rooming-in del neonato in buona salute con la madre, se le sue condizioni lo permettono, fino all’uscita a domicilio (isolamento domiciliare ed esecuzione tamponi come da protocolli)
  • Se sono disponibili percorsi e spazi separati, accesso minimo protetto della madre al proprio bambino ricoverato (o, se impossibile, del padre) fino alla fine dell’isolamento clinico, quindi accesso standard per entrambi i genitori
  • Accoglienza sicura e organizzata. Solo in caso di assoluta impossibilità di contatto uso di mezzi audiovisivi a sostegno dell’unità familiare

Bibliografia

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