Aprile 2017 - Volume XXXVI - numero 4

Medico e Bambino


Lettere

Rottura del rapporto con la famiglia
Disagio mentale
Problematiche organizzative vaccinali e ruolo del pediatria di famiglia

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Rottura del rapporto con la famiglia; Disagio mentale; Problematiche organizzative vaccinali e ruolo del pediatria di famiglia
Medico e Bambino 2017;36(4):216 https://www.medicoebambino.com/?id=1704_216.pdf


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Vaccinazioni: il possibile ruolo del pediatra di famiglia
Caro direttore,

mi dispiace, ma non posso concordare con quanto scrive sul numero di aprile 2017 di Medico e Bambino il dott. Baio, a proposito del ruolo del pediatra di famiglia (PdF) nelle vaccinazioni.

Fin da quando ho iniziato a lavorare come PdF ho sempre pensato che vaccinare i miei assistiti fosse un mio compito irrinunciabile.
Per molti anni mi sono offerto di farlo, senza compenso, utilizzando i vaccini che i genitori stessi compravano in farmacia. Poi, insieme alle colleghe del mio studio associato, abbiamo cominciato ad acquistare noi i vaccini, mettendoli poi a disposizione delle famiglie che ce ne rimborsavano il costo.
I genitori erano felici di affrontare la spesa pur di far vaccinare i loro figli dal loro pediatra di fiducia: riempivamo noi i “libretti vaccinali” che erano l’unico documento attestante la vaccinazione. Fra il 1/9/94 e il 31/8/95 io personalmente avevo praticato ai miei circa 820 assistiti 735 vaccinazioni: la copertura per l’antipertosse (ancora non compresa in un vaccino combinato) era del 96%, quella per l’antimorbillo del 98% (dati pubblicati sul n. 6/95 della Lettera Pediatrica, bollettino dell’ACP Lazio).

Nel 1998 alla direzione del Dipartimento Materno-Infantile (DMI) della nostra ASL venne chiamata Maria Edoarda Trillò, bravissima pediatra e dirigente lungimirante, che purtroppo ci ha lasciato qualche mese fa. Iniziò allora una vera e propria collaborazione fra noi e la ASL.

Il nostro studio, che assisteva circa 2500 bambini, si dotò dell’attrezzatura necessaria (kit di rianimazione, frigorifero con termometro e smaltimento dei rifiuti speciali: tutto qui, una spesa di qualche centinaio di migliaia di lire); la ASL ci forniva periodicamente i vaccini sulla base delle nostre previsioni; noi vaccinavamo, alla famiglia veniva consegnato il libretto vaccinale compilato, mentre alla ASL veniva restituita (in forma cartacea) un’informazione puntuale sulle vaccinazioni eseguite, da trascrivere nell’anagrafe vaccinale.

Il successo fu clamoroso: praticamente nessuno dei nostri pazienti sceglieva il centro vaccinale, tutti preferivano vaccinarsi da noi: le vaccinazioni venivano eseguite al termine dei bilanci di salute del 3°, 6°, 12°, 15°, 24° mese, 6° e 14° anno, prolungando di pochi minuti ciascuna di queste visite.

Nel primo anno somministrammo ai nostri pazienti più di 3000 vaccini in circa 1500 sedute vaccinali: sui 19 centri vaccinali attivi nella nostra ASL il nostro studio si collocava al 7° posto per numero di vaccini somministrati. Prendendo come indicatore la percentuale di bambini di due anni vaccinati contro il morbillo, su 164 che all’epoca frequentavano lo studio ne avevamo vaccinati 159 (97%).

Il risparmio di tempo di cui beneficiarono le famiglie, che non furono costrette ad accedere al centro vaccinale, fu stimato in circa 2300 ore. Non fu possibile stimare il risparmio per la ASL in termini economici, perché il nostro accordo con il DMI non prevedeva una retribuzione, ma se ogni seduta vaccinale fosse stata pagata dalla ASL 35.000 lire (tariffa corrisposta ai PdF piemontesi che vaccinavano i loro assistiti), il “centro vaccinale” attivo all’interno del nostro studio sarebbe costato poco più di 54 milioni di lire all’anno.

Questi dati furono pubblicati sulla Lettera Pediatrica n. 1/2000.
La collaborazione si interruppe, senza preavviso e improvvisamente, 4 anni più tardi, quando alla guida del DMI fu chiamato un altro dirigente. Non abbiamo mai saputo esattamente perché, ma abbiamo sempre sospettato che la “concorrenza” (i centri vaccinali) non ci avesse mai visto di buon occhio.
Grande fu il disappunto dei genitori: il sistema era efficiente, la tempistica quasi perfetta e le vaccinazioni venivano eseguite in maniera, per quanto possibile, indolore. Non ricordo reazioni terrorizzate da parte dei nostri piccoli pazienti.

Alcuni di loro sono oggi genitori, portano da noi i loro bambini e sono molto dispiaciuti di non poterli vaccinare con la stessa efficienza e comodità con cui ricordano di essere stati vaccinati loro stessi.

Quelle vaccinazioni erano per noi un’attività molto gratificante perché riempivano la nostra professione di concretezza, di “medicina”. Mentre oggi lo spazio che era occupato dal frigo dei vaccini è desolatamente invaso da campioni di integratori e prodotti cosmetici, e il tempo che impiegavamo per vaccinare… trascorre in chiacchiere.
Ho voluto raccontare questa storia perché credo che pochissimi la conoscano; io stesso, guardando al presente, stento a credere che tutto ciò sia davvero successo.

La nostra esperienza dimostra che la somministrazione delle vaccinazioni al termine dei bilanci di salute eseguiti dai PdF è fattibile, è efficace, è gradita dall’utenza, garantisce alti livelli di copertura vaccinale ed è economica. Resto convinto che sia il modo migliore per dar corso ai nuovi Piani Vaccinali e ai nuovi obblighi decretati dal Governo.

E allora, perché non si fa?

Forse perché ci sono strutture nelle ASL che si sentirebbero scavalcate e diventerebbero presto inutili.

Forse perché le modalità di organizzazione del lavoro e la divisione dei compiti nelle ASL si sono troppo sclerotizzate per adattarsi ai cambiamenti della realtà.

Forse perché la maggior parte dei PdF sono anziani, poco motivati e a loro agio più nel ruolo di chi “consiglia”, che in quello di chi fa.
Peccato!


Vincenzo Calia
Pediatra di famiglia, Roma
mercoled�, 31 Maggio 2017, ore 09:38