LE SFIDE DELLA PEDIATRIA ITALIANA

Le sfide
venerd�, 27 Febbraio 2009, ore 20:58
Caro Medico e Bambino,
ho letto e apprezzato l'editoriale "Le sfide della pediatria italiana per il 2009" (Medico e Bambino 2009;1:7-8) a firma del dott. Marchetti. Condivisibile,sì... ma non funziona. "La situazione è disperata ma non è seria" (come diceva il protagonista di un vecchio film di Billy Wilder): la situazione della pediatria di famiglia potrebbe essere questa, e perché no, anche per parte della pediatria in generale.
Marchetti ha indicato quali opportunità ci potrebbero essere per la pediatria delle cure primarie. Tutto bello e tutto già letto da anni. Cambiano gli interpreti politici, cambiano le sigle (oggi dovrebbero chiamarsi UTAP), ma le risorse economiche per queste novità non ci sono.
Spero che qualcuno mi sconfessi e mi dica che le strutture saranno inaugurate a breve e che ci sia anche la disponibilità del personale paramedico. Piangiamo pure per gli irrisori stipendi dei pediatri ospedalieri, ben sapendo che il pediatra di famiglia guadagna un 30% in meno del collega assunto a tempo indeterminato (i dati li ho letti dal Sole 24Ore del 2008).
Contratti che continuano a confermare un'idea di pediatria di famiglia che poteva funzionare trent'anni fa, ma che ora non rispecchiano la nuova realtà sociale e che oggi non favoriscono certamente un'adeguata tutela all'infanzia.
Contratti "bulgari" dove non si deve riconoscere nessuna sostanziale diversità tra le possibili diverse forme di assistenza che si possono attuare. Difficoltà nell'aggiornamento e nella formazione. Sia da parte dei pediatri di famiglia come per tutti i pediatri (di famiglia, ospedalieri, di comunità, se ancora esistono...).
Ma dove sono le risorse per l'aggiornamento… e (maliziosamente, scusate) dove sono i vantaggi per chi si aggiorna?
Ricerca di gruppo? Magari, ma gli ostacoli da superare e il prezzo da pagare alla fine ti fanno rinunciare, anche se ti senti un missionario. E spero proprio che il pediatra senta la sua mission ma non si senta un missionario. Almeno, io non lo sono.
L'evoluzione insegna che al cambiare delle condizioni ambientali anche l'organismo cambia (i geni non sono marmorei, ma molto agili). La mancanza di adattamento favorisce la morte e l'estinzione della specie. Poco male, l'habitat verrà popolato da una nuova specie, senz'altro con maggiori risorse e più agile.
Parlare di quello che si dovrebbe e potrebbe fare (le sfide) senza permetterne le condizioni è un esercizio di frustrazione.
Scusate tutti, oggi mi sono alzato di malumore e ho scritto di getto. Un saluto a tutti.

Costantino Panza
Pediatra di famiglia
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