Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Gennaio 2005 - Volume VIII - numero 1
M&B Pagine Elettroniche
Appunti di Terapia
L'anticorpo
verso l'interleuchina 12 nel trattamento della malattia di Crohn
L'interleuchina
12 è una citochina chiave, che guida le risposte
infiammatorie, mediate dalle cellule T helper tipo 1 (Th1). Essa è
infatti alla base sia delle normali risposte dell'ospite verso un
gran numero di patogeni intracellulari (come batteri, funghi e
protozoi), sia delle anormali risposte infiammatorie che accompagnano
le malattie autoimmuni e quindi anche la malattia di Crohn.
La
malattia di Crohn infatti è caratterizzata da un'aumentata
produzione d'interleuchina 12 da parte delle cellule presentanti
l'antigene a livello della parete dell'intestino e di interferon
_ e tumor necrosis factor _ (TNF-_) da parte dei linfociti e dei
macrofagi intestinali. Queste citochine infiammatorie inducono e
mantengono l'infiammazione granulomatosa, insieme all'ispessimento
della parete intestinale, che sono i due aspetti più
caratteristici della malattia di Crohn. Bloccare l'interleuchina 12
con anticorpi si è dimostrato un trattamento efficace
nell'infiammazione intestinale dei modelli animali della malattia
di Crohn.
Per
osservare l'effetto nel Crohn umano, è stata condotto uno
studio randomizzato, doppio cieco, controllato con placebo, in molti
centri, per valutare la sicurezza e l'efficacia della
anti-interleuchina 12 nella malattia di Crohn (Mannon PJ, Fuss IJ,
Mayer L et al. Anti-interleukin-12 antibody for active Crohn's
disease. N Engl J Med 2004, 351:2069-79).
A questo
scopo sono stati arruolati 79 pazienti con malattia di Crohn, così
suddivisi:
-coorte 1 (somministrazione di una dose ogni 4 settimane per 6
settimane): 8 pazienti assegnati al gruppo placebo + 16 trattati con
1 mg/kg e 16 trattati con 3 mg/kg;
-coorte 2 (somministrazione di una dose ogni settimana per 6
settimane): 8 pazienti assegnati al gruppo placebo + 15 trattati con
1 mg/kg e 16 trattati con 3 mg/kg.
Vennero
calcolate la sicurezza della somministrazione, la percentuale di
risposta clinica (una riduzione dell'Indice di attività
della malattia di Crohn (CDAI) di almeno 100 punti) e la remissione
(CDAI inferiore a 150 punti).
Sette
settimane dopo l'interruzione del trattamento con 3 mg/kg si ebbero
le risposte migliori in confronto alle risposte manifestatesi dopo il
placebo (75% contro 25%). Ma 18 settimane dopo la sospensione del
trattamento le differenze delle percentuali di remissione fra il
gruppo trattato con 3 mg/kg della coorte 2 e il placebo non furono
più significative (69% contro 25%, P = 0,08). Nella coorte 1
non ci furono differenze significative fra i vari gruppi. La
percentuale di eventi avversi fu simile nei paziente che presero il
placebo e in quelli che avevano ricevuto l'anti-interleuchina 12,
eccetto che per una più alta percentuale delle reazioni locali
nella sede d'iniezione d'interleuchina. E' stata osservata una
diminuzione nella secrezione d'interleuchina-12, interferon _ e
tumor necrosis factor _ (TNF-_) da parte delle cellule mononucleate
della lamina propria nei soggetti che avevano avuto un miglioramento
clinico dopo aver ricevuto l'interleuchina-12.
Questa
la conclusione della ricerca: il trattamento con anticorpo
monoclonale contro l'interleuchina-12 può indurre risposte
cliniche e remissione in pazienti con malattia di Crohn attiva.
Questo trattamento si associa a diminuzione delle citochine
infiammatorie, mediate dai linfociti Th1 a livello della parte
interessata dell'intestino.
Non viene
fatto alcun confronto fra questo trattamento e trattamenti già
in uso contro tumor necrosis factor _ (TNF-_).
Un
chiarimento di questi complessi meccanismi viene fatto da Fabio
Cominelli nel commento (Cominelli F, Cytokine-based therapies for
Crohn's disease – New paradigms. N Engl J Med 2004,
351,:2045-48).
Vengono
ricordate le pubblicazioni (più volte riportate da Medico e
Bambino negli ultimi anni) che riguardano l'uso della terapia anti-
TNF-_ nei pazienti con malattia di Crohn refrattaria o fistolizzata;
la protezione delle cellule dell'epitelio intestinale dall'apoptosi
viene suggerita come il meccanismoi anti-infimmatorio attraverso il
quale agisce la terapia anti-TNF-_ della malattia di Crohn.
In
seguito agli innegabili successi della terapia anti-interleuchina 12
e anti- TNF-_, molte altre citochine sono state identificate come
potenziali agenti terapeutici: fra queste le interleuchine 18, 23,27
e 31, come anche il TL1A. Inoltre è stato anche valutato il
potenziale terapeutico delle interleuchine che appartengono alla
classe tradizionale Th2: questo gruppo include l'interleuchina 4 e
13 per le quali vi sono prove aumentanti di un potenziale ruolo
infiammatorio, particolarmente nelle piccole malattie intestinali.
Nella
figura 1 vengono riportate le ipotesi correnti sulle diverse azioni
delle citochine, che sono suddivise a seconda delle cellule che
prevalentemente le producono.
Figura
1 – Ipotesi di lavoro sul ruolo delle citochine nella patogenesi
della malattia di Crohn (Cominelli F, 2004).

Quando il
sistema immune della mucosa, in pazienti predisposti a sviluppare la
malattia di Crohn, è esposto per la prima volta a uno stimolo
antigenico, viene montata una risposta non regolare e troppo
aggressiva, formata dalle citochine, mediate dalle cellule T. Le
citochine interessate alle risposte immuni innate, che possono
giocare un ruolo chiave in questa fase, sono il TNF-_,
l'interleuchina-1, l'interleuchina-6, e possibilmente
l'interleuchina 12 e 18. Quando le cellule CD4+T sono attivate,
sono formate le citochine effettrici del sistema immune adattivo, fra
le quali il TNF-_, e l'interferon _, insieme all'interleuchina 4
e 13, che mediano la fase effettrice della risposta infiammatoria
intestinale. Nuove citochine, come la TL1A e l'interleuchina 23, 27
e 31 possono inoltre contribuire alla fase effettrice. Vanno
considerati inoltre gli antagonisti del recettore “ra”, le specie
reattive all'assigeno (ROS), e la linfotossina LT..
Il blocco
delle citochine con anticorpi monoclinali, le proteine di fusione e
gli antagonisti del recettore rimangono un metodo attraente
dell'immunomodulazione nella malattia di Crohn.
A parte
lo studio degli effetti favorevoli di queste terapie, rimangono
aperte importanti questioni riguardanti la sicurezza di trattamento
di lunga durata, specialmente perché le classiche citochine
Th1 sono importanti, se non essenziali, per combattere le infezioni.
La riattivazione della tubercolosi latente in pazienti che hanno
ricevuto la terapia anti- TNF-_, è un chiaro esempio del
pericolom potenziale, dovuto alla soppressione per lungo tempo delle
risposte infiammatorie dell'ospite verso alcuni agenti infettivi.
Vanno considerati inoltre altri due aspetti di fondamentale
importanza:
- Il rischio a,lungo termine delle malignità con il trattamento anti-citochine in general
- La possibilità che il trattamento anti-leuchina 12, particolare, possa riattivare l'asma
- Sulla base delle nostre aumentate conoscenza nella complessa patogenesi del morbo di Crohn (in particolare la riconosciuta esistenza di fasi successive di malattia), va considerata la possibilità che il blocco di alcune citochine possa risultare dannoso, invece che benefico, in alcune situazioni clinico—patologiche.
L'incapacità
del trattamento anti- TNF-_ (Infliximab) d'induirre remissione in
una discreta percentuale di pazienti con malattui8a di Crohn indica
che le vie effettrici non Th1 o una differente fase della malattia
possono predominare in questi pazienti. Una strategia di trattamento
in questi pazienti potrebbe interessare d'altra parte il blocco di
molte citochine, allo scopo d'intervenire su molte vie.
Anche io
commentare conclude che, nonostante queste limitazioni,m lo sviluppa
della terapia anticitochine, come parte dell'armamentario
terapeutico del medico, è un importante passo sulla strada di
una cura per la malattia di Crohn.
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