Gennaio 2001 - Volume IV - numero 1

M&B Pagine Elettroniche

Il punto su

Il sistema immune
(Parte quarta)
Giorgio Bartolozzi

Linfociti e tessuto linfoide
Poiché solo pochi linfociti sono specifici per un dato antigene, si rende necessario che le cellule T e B migrino attraverso tutto l'organismo per aumentare le probabilità che esse incontrino un particolare antigene. Nel loro viaggio nel sangue i linfociti impiegano soltanto 30 minuti per percorrere un intero ciclo nel corpo umano.
Le risposte immuni verso gli antigeni solubili giunti attraverso il sangue iniziano nella milza, mentre le risposte verso i microrganismi presenti nei tessuti, sono iniziate a livello dei linfonodi.
Non bisogna dimenticare tuttavia che la maggior parte degli antigeni giungono all'uomo per inalazione o per ingestione. Gli antigeni che entrano nell'organismo attraverso le membrane mucose attivano le cellule del tessuto linfoide associato alla mucosa. Per esempio le risposte agli antigeni giunti all'interno del naso avvengono all'interno delle tonsille palatine e delle adenoidi. Gli antigeni che arrivano attraverso l'intestino sono catturati da cellule epiteliali specializzate, le cellule micropiega (o cellule M). Queste cellule trasportano l'antigene, attraverso l'epitelio, alle placche del Peyer, che rappresentano le sedi principali per l'induzione delle risposte delle mucose agli antigeni ingeriti.
I linfociti intraepiteliali, situati fra le cellule epiteliali dell'intestino, incontrano l'antigene, trasportato dalle cellule micropiega. La maggior parte di essi sono cellule T CD8 positive a/b, con l'aspetto di grandi linfociti granulari, mentre il 15% sono cellule T g/d. La funzione dei linfociti intraepiteliali non è ancora chiaramente stabilita: le cellule T CD4 a/b possono partecipare alla produzione delle IgA della mucosa, mentre alcune cellule T g/d possono partecipare all'induzione della tolleranza immunologica verso gli antigeni, a livello delle superficie mucose. La maggior parte delle cellule T g/d presenti nell'intestino sembra svolgere un ruolo di sentinella verso antigeni microbici.
Dopo che una risposta immune è indotta a livello delle placche del Payer, i i linfociti entrano nel torrente circolatorio e vanno nelle sedi effettrici della mucosa, come la lamina propria, dove sono prodotte grandi quantità di IgA. Ma i linfociti stimolati raggiungono anche altre sedi del corpo, per cui l'esposizione all'interno del naso a un antigene, porta alla produzione di IgA anche nei tessuti mucosali per esempio delle vie genitali.
I linfociti entrano nei linfonodi, nelle tonsille e nelle placche del Peyer attraversando speciali venule postcapillari, chiamate venule endoteliali.
Il passaggio è mediato dalle molecole di adesione, alcune delle quali sono naturalmente espresse, mentre altre sono attivate dalle citochine. Per esempio la L-selectina, naturalmente espressa sui linfociti, si lega a numerose molecole di adesione presenti nelle venule endoteliali. Questa interazione induce l'espressione della funzione linfocitaria, associata all'antigene 1 (LFA-1) dei linfociti, che facilita l'adesione delle cellule: il passo successivo è la migrazione dei linfociti attraverso l'endotelio delle venule verso il tessuto linfoide.
 I linfociti dal sangue entrano soprattutto nella milza, che manca di venule endoteliali, passando attraverso la zona marginale: le cellule T vanno principalmente alle guaine linfatiche periarteriolari, mentre le cellule B vanno nei follicoli linfoidi.
 I centri germinali, le sedi dove avvengono le ipermutazioni dei geni e lo "switching" delle immunoglobuline e dove hanno origine i precursori delle plasmacellule, sono una caratteristica dei follicoli linfoidi secondari, che compaiono nel tessuto linfoide durante la risposta immune (Vedi Figura n.8).  In questo microambiente l'incontro tra l'antigene presentato dalle cellule dendritiche e i linfociti specifici è facilitato, la maturazione di questi si attua in un unico quadro di cooperazione tra linfociti T e B che porta infine alla selezione ed alla attivazione delle cellule dirette contro l'antgene.

Figura n. 8 - Il centro germinale

Durante la preparazione delle risposte immuni acquisite, si formano nei tessuti linfoidi secondari i centri germinali per creare un microambiente dove possano interagire tutte le cellule necessarie, antigene-specifiche e presentanti l'antigene. Molte citochine, come l'interleuchina-2, 4, 6 e 10 e il fattore b, trasformante la crescita, e varie molecole sulla superficie cellulare, come CD40, CD19, CD21 e B7, sono importanti in modo determinante per queste interazioni. La proliferazione delle cellule B, stimolata dall'antigene, avviene nelle zone scure ed è accompagnata da un elevato grado di specificità, risultante dall'ipermutazione somatica dei geni delle regioni variabili delle immuno-globuline. Raggiunta la regione basale chiara, le cellule antigene-specifiche ad alta affinità sono selezionate positivamente, come risulta dalla loro interazione con i complessi antigene-anticorpo sulla superficie delle cellule dendritiche del follicolo. Le cellule B, che non siano positivamente selezionate, vanno incontro all'apoptosi e sono fagocitate dai macrofagi. Le cellule positivamente selezionate migrano verso la zona apicale chiara, dove continuano a proliferare, dove avviene il passaggio alle diverse classi di anticorpi e dove si generano le cellule della memoria e le cellule precorritrici delle plasmacellule.

Aspetto molecolare della risposta immune
Un antigene è riconosciuto in base alla forma: la forma di un epitopo è complementare con il sito anticorpo-combinante e la forma di un peptide del complesso MHC è complementare con la forma del sito combinante sul recettore della cellula T. Le regioni determinanti la complementarietà degli anticorpi secreti, e i recettori sui linfociti si legano in modo non covalente con le strutture che essi riconoscono.
Gli anticorpi, sia nelle loro forma presente in circolo, sia come recettori delle cellule B, possono nello stesso modo riconoscere una sequenza continua di un peptide. Usualmente tuttavia essi riconoscono epitopi discontinui, composti da aminoacidi che appaiono insieme non perché posti nella molecola uno accanto all'altro, ma perché presentati insieme per le pieghe presenti nella loro stessa struttura primitiva. Alcuni epitopi, presenti sull'antigene, si adattano particolarmente bene ai siti combinanti presenti nel repertorio delle cellule B, per cui la popolazione degli anticorpi contro questi epitopi tende a prevalere nelle risposte policlonali verso questo antigene (Vedi Figura n.6).
Gli epitopi riconosciuti dai recettori delle cellule T a/b, al contrario sono peptidi lineari, derivati dalla proteolisi dell'antigene. Questi peptidi sono trasportati alla superficie cellulare entro le pieghe, leganti i peptidi, di una molecola MHC, come già visto in precedenza.
Sebbene sia gli anticorpi che i recettori sulle cellule T possano distinguere con accuratezza fra antigeni molto vicini, essi talvolta cross-reagiscono con antigeni, apparentemente non in relazione, sia perché a volte due antigeni hanno epitopi in comune, sia perché due differenti epitopi hanno forma e cariche simili. Tali cross-reazioni costituiscono la base della somiglianza molecolare, per cui epitopi presenti nei microrganismi stimolano la produzione di anticorpi (o la proliferazione delle cellule T) capaci di reagire con l'antigene stesso. Ma ugualmente la somiglianza molecolare può essere causa di malattie autoimmunitarie: ne è un esempio la malattia reumatica post-streptococcica, che è determinata da anticorpi, indotti da un epitopo presente nella proteina M che cross-reagisce con un epitopo simile, presente sulla miosina del cuore.
Alcuni antigeni, detti antigeni cellule T-indipendenti, possono stimolare le cellule B, senza l'ausilio delle cellule T. Antigeni di questo tipo sono i polisaccaridi di molti batteri o la flagellina, sostanze che hanno molti epitopi ripetuti. Questi si legano avidamente ai recettori delle cellule B e in connessione con segnali di attivazione, forniti da una varietà di cellule, attivano le cellule B senza la necessità di aiuto da parte delle cellule T CD4. Ma, come è stato ben osservato con i vaccini polisaccaridici contro l'Haemophilus influenzae tipo b, il meningococco e lo pneumococco, essi non inducono la formazione dei centri germinali e sono d'altra parte incapaci d'indurre cellule B della memoria o ipermutazioni somatiche, che portino alla produzione di anticorpi ad alta affinità. Inoltre il passaggio da anticorpi della classe IgM ad altre classi di anticorpi è fortemente limitato, in assenza della cooperazione con le cellule T helper. Per questa ragione gli antigeni indipendenti dalle cellule T danno soprattutto un aumento di anticorpi della classe IgM a bassa affinità.
A differenza dai polisaccaridi, la maggior parte degli antigeni è incapace di stimolare le cellule B in assenza dell'aiuto delle cellule T CD4 (helper), per cui essi sono anche chiamati antigeni cellule T dipendenti. Quando questi antigeni si legano ai recettori delle cellule B, essi penetrano all'interno (internalizzazione) e sono elaborati, all'interno delle cellule B, in corti peptidi, che sono portati sulla superficie della cellula B da parte delle molecole MHC di classe II.
Le cellule CD4 T vicine, che riconoscono questo complesso peptide-MHC, vengono attivate ed esprimono molecole come CD154 (dette anche CD40 ligando) sulla loro superficie. Quando il CD154 sulla cellula T attivata si lega al suo recettore CD40, presente sulla cellula B, si genera un segnale che induce la cellula B a iniziare i processi di ipermutazione somatica e a passare alle diverse classi di immuno-globuline.
L'aiuto è fornito da varie citochine, come l'interleuchina-2, 4 e 5, liberate dalle cellule T helper. Anche le cellule dendritiche e i macrofagi, presentanti i complessi peptide-MCH classe II, possono attivare le cellule T CD4 helper e, attraverso questa via anche le cellule T attivate esprimono molecole co-stimolanti e liberano citochine immunostimolanti.

Un po' di glossario su antigeni ed epitopi
Alcune sequenze del DNA del microbo possono stimolare le cellule B direttamente. Esse hanno proprietà adiuvanti, particolarmente quelle contenenti motifs CpG non metilati (sequenze dinucleotidiche citosina-guanosina, comprese fra due 5' purine e due 3' pirimidine).

Quando il sistema immune è stimolato da un epitopo immunogenico, altri epitopi dell'antigene possono essere coinvolti nella risposta. Questo effetto, chiamato "diffusione dell'epitopo" può riguardare altri antigeni che si trovino insieme al primo in complessi macromolecolar. (diffusione intermolecolare). Questo è quanto si verifica nel lupus eritematoso sistemico in cui gli anticorpi diretti contro il DNA sono spesso accompagnati da antcorpi contro proteine leanti il DNA (ed anzi è verosimile che senza le risposte a queste ultime la risposta ad alta affinità contro il DNA, privo in sé di parti peptidiche, non avrebbe modo di verificarsi).

 Epitopi criptici, che di norma non sono riconosciuti efficientemente dal sistema immune, possono essere rivelati da un cambiamento nell'elaborazione dell'antigene, causato dalla stimolazione da parte delle cellule presentanti l'antigene per mezzo delle citochine proinfiammatorie, come può avvenire durante l'elaborazione della proteina base della mielina. D'altra parte l'elaborazione dell'antigene da parte delle cellule B può portare alla formazione di peptidi che non sono prodotti dalle cellule dendritiche e dai macrofagi.
La continua mutazione dei microrganismi determina un fenomeno, chiamato "drift" antigenico. I mutanti pongono problemi per le cellule della memoria del sistema immune. Un rischio ancora più grande deriva dallo scambio di materiale genetico fra agenti infettivi vicini, causa di uno "shift" antigenico. Molto poche, ammesso che ce ne siano, cellule della memoria, che sono prodotte durante l'esposizione al nuovo agente, possono essere capaci di riconoscere la nuova variante. Un esempio degli effetti devastanti di uno shift antigenico è rappresentato dalle pandemie d'influenza.

Attivazione e regolazione dei linfociti
I recettori delle cellule T sono associati sulla superficie delle cellule con il complesso CD3, formato da molecole che trasmettono i segnali di attivazione all'interno della cellula, quando il recettore della cellula T leghi l'antigene. Questo complesso consiste di CD3g, CD3d e di due molecole di CD3e, insieme con un disolfuro legato con l'omodimero z catena (Vedi Figura n. 9). Il recettore della cellula B è anch'esso associato a due molecole, Iga (CD79a) e Igb (CD79b), che trasmettono segnali alla cellula.

Figura 9. Rappresentazione schematica dei principali recettori coivolti nell'attivazione dei linfociti T (cellula a destra in basso). Il recettore dei linfociti T (TCR, in rosso) riconosce l'antigene associato all'HLA. L'antigene CD4 (in arancione), riconoscendo l'HLA classe II, "restringe" l'attività dei linfociti CD4 ala cooperazione con cellule specializzate nel presentare l'antigene (le uniche dotate dell'HLA di classe II). Il complesso CD3 (in blu), associato al TCR consente la trasmissione all'interno della cellula del segnale di avvenuto riconoscimento dell'antigene, ma l'attivazione del linfociti ha bisogno di altri segnali, detti costimolatori, come ad esempio quelli forniti dalla molecola CD28 (in verde). Queste stesse molecole sono responabili di fenomeni di attivazine e maturazione anche nelle cellule che dall'altra parte sono impegnate nella presentazione dell'antigene (cellule dendritiche, linfociti B).

La segnalazione soltanto attraverso i recettori dell'antigene, in assenza di segnali di co-stimolazione, non attiva i linfociti. Quindi tali segnali isolati portano ad anergia o ad apoptosi. I segnali aggiuntivi, richiesti per l'attivazione dei linfociti, derivano da varie molecole di co-stimolazione sulla superficie delle cellule vicine e dai mediatori solubili, come le citochine. Le molecole sulla superficie delle cellule T, che si legano alle molecole di co-stimilazione sulle cellule presentanti l'antigene, includono le CD28, la cui ligandina è B7; CD154 che si lega al CD40; e CD2, che si lega al CD58. Essenzialmente le molecole costituiscono coppie recettori-ligandine che sono richieste per attivare e regolare i linfociti.
Le cellule dendritiche attivate sono potenti stimolatori delle cellule T nuove, perché esse esprimono grandi quantità delle molecole co-stimolatrici B7 e CD40. La necessità per queste molecole di partecipare all'attivazione della risposta immune può essere spiegata clinicamente. Agenti come la molecola di fusione CD28-immunoglobulina, che interferisce con l'interazione CD28-B7, ha un grande potenziale nel limitare il rigetto di organi trapiantati, interferendo con l'attivazione delle cellule T.
Il legame del CD40 (espresso dalle cellule B) con il CD154 (indotto dalle cellule T CD4, stimolate dall'antigene) attiva la protein-chinasi nella cellula B, che media il passaggio da una classe di anticorpi a un'altra. I difetti nel gene che codifica il CD154 sono presenti nei pazienti con sindrome da iper-IgM, legata all'X, nella quale le persone ammalate hanno livelli bassi o non dimostrabili di IgG, IgA e IgE, con livelli normali o elevati di IgM.
L'attivazione della cellula T interessa una serie, molto complessa, di eventi integrati che derivano dal legame dell'antigene sul recettore cellulare. Poiché i recettori degli antigeni hanno una brevissima estroflessione citoplasmica, essi sono associati (nelle cellule T) con le molecole CD3 e catena z, ambedue segnali di trasduzione corrispondenti agli ITAM (Immunoreceptor Tirosine-based Activation Motifs), che sono soggetti alla fosforilazione (P) dalla protein-chinasi, come p56ick, p59fyn e ZAP-70 (per semplicità viene mostrata soltanto una delle molecole CD3e). Gli stadi iniziali dell'attivazione interessano anche il legame del p56ick all'estremità citoplasmatica del CD4 (nelle cellule T helper) e del CD8 (nelle cellule T citotossiche). Questi fatti portano alla segnalazione successiva , interessante un numero di differenti vie biochimiche, fino all'attivazione dei geni interessati alla proliferazione e alla differenziazione cellulare. I segnali da parte dei recettori co-stimolatori, come il CD28 e il CD 154, debbono inoltre essere presenti per attivare i linfociti; nel caso che i segnali siano avvertiti soltanto dalle molecole dei recettori degli antigeni, può seguire anergia o apoptosi.
Un altro recettore per la co-stimolazione è il CD45, un enzima fosfatasi che ha un ruolo critico nell'attivazione sia delle cellule B che T. Le molecole di co-stimolazione che attivano il CD45 non sono ancora completamente conosciute, ma esse possono includere il CD22, un recettore di adesione sulla superficie delle cellule B.
Le citochine, inclusa l'interleuchina-1, l'interleuchina-6 e il fattore a di necrosi tumorale, forniscono segnali di co-stimolazione. Ma non tutti i segnali fra le citochine e le molecola della superficie cellulare sono stimolanti. L'interleuchina-10 e il fattore b di crescita trasformante spesso forniscono segnali negativi. Ugualmente il legame della molecola CTLA-4 della superficie della cellula T, con il B7, in contrasto con il legame del CD28 con il B7, fornisce un segnale di regolazione verso il basso (down-regulation), come il legame del recettore Fcg per l'IgG sulle cellule B.

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G. Bartolozzi. Il sistema immune (Parte quarta). Medico e Bambino pagine elettroniche 2001;4(1) https://www.medicoebambino.com/?id=IPS0101_10.html